martedì 25 gennaio 2011

Com'è bella la città

Riporto da "La Bussola Quotidiana", a firma di Vittorio messori.
San Francisco




La nuova evangelizzazione nelle città dove si fa la storia e si è più liberi 25.01.2011

Ho sempre sentito molto l’appello rivolto prima da Giovanni Paolo II e ora dal suo successore Benedetto XVI per una nuova evangelizzazione che riparta dagli inizi, dal kerigma, dall’annuncio cristiano di un Dio che si fa carne, muore per noi sulla croce e risorge. Mi colpisce il fatto che nei primi tre secoli della storia cristiana questo annuncio sia sempre stato legato a grandi città.

In quel primo periodo coloro che non accoglievano la fede cristiana erano gli abitanti dei villaggi, dei «pagi» appunto, da cui la definizione «pagani». Il cristianesimo infatti fu fin dall’inizio un fenomeno urbano. Gesù dice: «Bisogna che io salga a Gerusalemme», vuole recarsi nella città cuore della Terra Santa. Paolo rifiuta il processo immediato, dal quale probabilmente sarebbe stato assolto, perché vuole essere trasportato a Roma e appellarsi all’imperatore.

Anche altri apostoli ed evangelisti si dirigono verso le grandi città dell’epoca: Giovanni va ad Efeso, importantissimo centro religioso, mentre Marco si reca ad Alessandria. Ricordo questo perché in fondo, complice anche una certa venatura ambientalista, noto spesso nei cattolici superstiti una nostalgia per la vita rurale, per la piccola parrocchia del paesino sperduto, per i rapporti umani tra persone che si conoscono tutte…

Ricominciare dall’inizio significa eliminare ogni paura e diffidenza per le grandi città, riprendere proprio da lì, ovviamente senza disprezzare la provincia e la campagna, ma ricordando che con un ripiegamento bucolico il cristianesimo rinnegherebbe le sue origini.

Perché il primo annuncio cristiano ha prediletto le città? Perché con le città, che sorgono poco a poco, quando le popolazioni nomadi abbandonano il nomadismo e diventano stanziali, è nata la storia. Il cristianesimo è Dio che si incarna nella storia e ha bisogno di una città, di un luogo dove i destini umani si incrociano. «La città è il destino dell’uomo», diceva Le Corbousier e qui risuona con efficacia l’annuncio evangelico.

Non dimentichiamo che la città è il luogo della libertà, di una libertà che non è detto sia uguale nei centri più piccoli, dove tutti si conoscono e dove prevalgono gruppi sociali, clan familiari, etc. Nella tristemente famosa scritta che si trova sul cancello d’ingresso al lager nazista di Auschwitz si legge Arbeit macht frei, il lavoro rende liberi. Pochi sanno che questa espressione altro non è che la parafrasi tragicamente ironica – divenuta simbolo di un luogo di orrore e di sterminio – di un proverbio tedesco: Stadt Luft macht frei, cioè l'aria della città rende liberi. Perché libera l’uomo dal legame al clan e alla tribù, che spesso lo protegge ma anche lo immobilizza.

Se ci sta a cuore la nuova evangelizzazione, se vogliamo davvero ripartire con l'annuncio cristiano, non solo non dobbiamo avere paura della città, ma dobbiamo ricordare che chi ne ha paura dimentica la vocazione primitiva del Vangelo che deve risuonare là dove si fa la storia e le coscienze sono libere.