sabato 22 gennaio 2011

Cristo ti attende.

Oggi 22 gennaio è il quinto giorno della settimana di preghiera per l'unità

dei cristiani: propongo questo testo di Matta el Meskin:

Aosta, sant'Orso XI secolo - affrescoPadre santo,
tu che hai glorificato tuo Figlio Gesù
e gli hai conferito potere su ogni carne,
perché egli comunichi la vita eterna
a tutti quelli che hanno creduto in lui quale Dio e Salvatore,
noi ti ringraziamo del dono elargito a noi uomini:
di comprendere la profondità dell'unione consustanziale
che è tra te e tuo Figlio e lo Spirito santo,
alla quale ci hai chiamati
attraverso la preghiera innalzata a te dal figlio tuo:
«Affinché siano tutti una cosa sola,
come tu sei in me, o Padre, e io in te;
affinché anche loro siano una cosa sola in noi,
e così il mondo creda che tu mi hai mandato».
Noi veramente crediamo
che questa unità cui ci hai coinvitati,
è necessaria quale testimonianza
del mistero della tua opera nella natura umana,
incline alla decomposizione e alla disintegrazione
a causa del peccato e dell'egoismo.
Questa unità è necessaria anche perché il mondo creda
che non c'è altra speranza
se non nella persona di Gesù Cristo, tuo prediletto,
che hai mandato per unire le realtà celesti con quelle terrestri.
Noi confessiamo che la venuta di tuo figlio in noi
provoca in noi un'attrazione insopprimibile verso l'unità:
«Io in loro e tu in me,
perché così siano perfettamente uno,
e il mondo sappia che tu mi hai mandato
e che li hai amati come tu hai amato me».
Perciò tutte le nostre resistenze
alla piena realizzazione dell'unità in te,
quell'unità che tu hai voluto per noi,
costituiscono una carenza di fede
e una mancanza di carità da parte nostra.
Queste deficienze ci fanno anteporre
le controversie ideologiche, politiche, razziali
alle esigenze dello Spirito, della fede e dell'amore
e affievoliscono la voce di Cristo nei nostri cuori
per accondiscendere al mondo e agli uomini.
Padre santo,
glorifica il tuo figlio nella vita della chiesa,
perché la chiesa glorifichi te e il figlio tuo
quando tutti si saranno liberati
da ogni impedimento contro l'unità e l'amore.
Signore non lasciare che la comunità soccomba
e tenti di eliminare un peccato con un altro peccato,
di curare un male con un altro male;
non permettere che l'unità sia cercata
attraverso controversie ideologiche,
e la carità sia confusa con la politica,
e le coalizioni razziali vengano considerate
una forza dello Spirito.
Matta el Meskin
CATECHESI
Il cristiano è cercatore dell'unità perché è cercatore di Dio; egli la percepisce nella sua anima nella misura in cui percepisce la presenza di Dio.
L'unità cristiana è dunque un'esigenza di fede per eccellenza. Noi la perseguiamo perché essa stessa ci urge nel fondo del nostro cuore. Tuttavia, non possedendo tutti un eguale senso di Dio, non tutti hanno dell'unità la stessa visione; essa si allarga e si rimpicciolisce negli uomini secondo il tipo di rapporto che hanno con Dio. Qualcuno non l'avverte neppure; altri la rifiutano: è una prova di fede.
La fonte dell'unità scaturisce inizialmente da una pienezza di fede e da una spiritualità traboccante che infrange le barriere dell'odio, le divergenze di mentalità, i dissensi dell'anima, gli artifici dell'intelligenza e le sollecitudini della carne. Se l'unità degli uomini è ricercata a un livello divino, essa è un ideale che supera le forze umane: essa sgorga, quale necessità e conseguenza inevitabile e diretta, dall'unione dell'uomo con Dio.
Questa è una ben nota legge spirituale che si fonda tanto nell'esperienza pratica quanto nella testimonianza ripetuta nelle Scritture. Il più grande comandamento dice: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente", e l'altro: "Amerai il prossimo come te stesso" (Mt 22.37-39). La Scrittura afferma che il secondo comandamento consegue dal primo, in quanto da esso procede. Il secondo senza il primo non avrebbe alcun valore; sarebbe perfino prossimo al peccato.

Per chi ha un pò di tempo, pubblico i "Consigli per la preghiera", ancora di Matta el Meskin, il notissimo padre spirituale egiziano scomparso nel 2006, fedelissimo alla Parola di Dio e alla tradizione dei padri del deserto. Buona lettura!



Matta el Meskin

Consigli per la preghiera



PREMESSA

In uno dei fraterni colloqui da noi avuti a San Macario, chiedemmo a un monaco in base a quali criteri veniva concesso a qualcuno di iniziare a vi­vere da eremita. «È molto semplice rispose –. È sufficiente che sappia pregare! E uno sa veramente pregare quando la sua preghiera è esaudita perché è risultata gradita a Dio». Ma l’«esaudimento» non si misura con criteri umani o miracolistici: l’unica cosa essenziale che il cristiano deve domandare nel­la preghiera, con la certezza di essere esaudito è lo Spirito santo (cf. Lc 11,13), Spirito che permette di discernere qual è la volontà di Dio su di sé e su­gli altri e di distinguerla dagli appetiti individuali e dalla volontà propria. «Tutta la vita del cristiano continuò il nostro interlocutore è uno sforzo continuo per giungere a dire con Gesù: Non la mia, ma la tua volontà sia fatta, e in questa ricer­ca i fratelli sono un aiuto prezioso. Perciò solo quando uno riceve il dono della preghiera esaudi­ta, lo Spirito di discernimento, può vivere da ere­mita, privandosi del sostegno quotidiano dei fra­telli senza cadere preda delle illusioni».

È questo itinerario spirituale che emerge dalle pagine che seguono, un cammino che non si allon­tana dai fratelli, ma che anzi vi ritorna con grande carità. L’autentico uomo di preghiera non solo porta nel cuore i fratelli e li presenta a Dio, ma porta Dio ai fratelli e agli uomini tutti, ai peccatori in­nanzitutto. Peccatore che ha ottenuto da Dio il dono di vedere i propri peccati, l’uomo di preghie­ra sa scorgere nell’altro l’immagine di Dio che cia­scuno porta impressa e sa farla emergere al di sopra del peccato che la deturpa. Pregare è invocare lo Spirito, Spirito che ci convince di peccato e Spirito che porta consolazione (cf Gv 16, 8.7). Pregare è ottenere il dono del ristabilimento della nostra con­dizione di figli che gridano: «Abbà, Padre». Di­cevano gli anziani che hanno preceduto Matta el Meskin nella vita di preghiera nel deserto di Scete: «Come mai certuni hanno rivelazioni e vedono gli angeli? Beato piuttosto colui che vede sempre il proprio peccato».



Tu invece, quando preghi, entra nella tua ca­mera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo che è nel segreto. (Mt 6,6)












TU QUANDO PREGHI...



Chiudere la porta

Quando Dio ti chiede di chiudere la porta pri­ma di pregare, vuole ricordarti di separare l’at­tività esterna alla tua camera dall’attività inter­na; e questo va fatto per quanto riguarda il cuo­re, i sensi e le persone.
Riguardo al cuore, è necessario che tu getti via assolutamente tutte le preoccupazioni, i pe­si, le ansietà e i timori nel momento in cui ti poni di fronte a Dio, in modo che ti sia pos­sibile entrare nella pace vera che sorpassa ogni comprensione. In questo senso chiudere la porta significa consolidare il proprio cuore al sicuro dietro la separazione che si erge tra il mondo carnale e il mondo spirituale, separazione che equivale a una morte. In altri termini, quando chiudi la porta dietro di te, devi considerarti co­me morto al mondo carnale e posto di fronte a Dio, per beneficiare della sua provvidenza e per invocare la sua misericordia.

Riguardo ai sensi, sei generalmente assillato da pensieri che si sono fissati nella tua mente, da immagini che hanno colpito la tua fantasia, da parole che hai memorizzato e ancora da altre esperienze che si sono impresse in te attraverso i sensi. Oltre al resto, tutto ciò comporta anche modelli spregevoli verso i quali la tua coscienza può essersi sentita attratta: allora i sensi li han­no ritenuti e la mente vi si è aggrappata. Questi modelli di comportamento a volte li fai rivivere deliberatamente, altre volte li richiami furtiva­mente e contro la tua stessa volontà, altre volte ancora sei costretto a invocarli senza nessun mo­tivo particolare e indipendentemente dalla vo­lontà e dalla coscienza: vengono così a crearti un amaro conflitto interiore. È perciò estremamente opportuno, ogni volta che entri nella tua came­ra, che tu agisca d’anticipo ed espella dalla co­scienza questi pensieri, chiedendo perdono da­vanti a Dio con contrizione e pentimento, fer­mamente deciso a trasformare il loro ricordo in un’occasione di orrore e di rifiuto.
Chiudere la porta della tua camera significa porre tra lo spirito e i sensi della carne il Cristo crocifisso, cioè mortificare le membra del corpo che appartengono alla terra: «Voi, agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo croci­fisso» (Gal 3,1); «Mortificate quella parte di voi che appartiene alla terra» (Col 3,5).
Se invece non rinunci a queste esperienze, a queste cose viste e sentite, se non le confessi co­me colpe, aborrendole ogni volta che entri nella tua camera, allora esse non solo ti privano della capacità di pregare e di stare di fronte a Dio, ma riescono perfino a trasformare la tua camera in un luogo impuro.
Riguardo alle altre persone, succede a te co­me a tutti di trovar ti sempre e costantemente le­gato agli altri; ti può capitare quindi di venirti a trovare emotivamente turbato dall’amore ver­so una persona, il che ti conduce a ricercare una vicinanza fisica che ti priva della tua indipen­denza e della tua libertà interiore, che sono il fondamento della preghiera, dell’amore per Dio e della crescita spirituale; oppure puoi essere preoccupato per le condizioni delle persone che ti sono care, per la loro salute o il loro avvenire, fino al punto di non prenderti più cura della tua crescita spirituale e della tua salvezza; oppure puoi essere scosso dall’ostilità, l’opposizione, il rancore, il disaccordo e l’odio nei confronti de­gli altri, a tal punto che l’amarezza ti invade com­pletamente e ti impedisce di liberarti dai pensie­ri malvagi e da desideri di vendetta; oppure puoi sentirti portato verso gli altri senza accor­gertene, finendo per andartene a spasso a destra e a sinistra, unicamente per mettere in mostra le tue capacità, il tuo acume spirituale, la tua bra­vura e trovare così degli ammiratori che alimen­tino il tuo autocompiacimento.
In questi casi chiudere la porta della tua ca­mera significa troncare qualsiasi rapporto morti­fero che ti lega a qualcuno e che provoca la di­struzione della tua anima: «Quale vantaggio in­fatti avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero e poi perderà la propria anima?» (Mt 16,26).
Questo non significa che devi interrompere i rapporti con quanti hanno bisogno di te o con coloro di cui tu hai bisogno, né che devi disso­ciarti dagli altri uomini; si tratta invece di puri­ficare le tue relazioni con gli altri, in modo che tutto concorra all’armonia della tua crescita spi­rituale. Devi quindi smettere di disperderti in vane preoccupazioni per gli altri – atteggiamen­to che non giova a nulla e a nessuno –, devi por­re un freno alla malizia e morire al desiderio di essere glorificato dagli uomini.


La preghiera,
opera fondamentale nel cammino spirituale

Come ti è indispensabile lavorare costante­mente e restare legato alla terra per poter vi­vere, dandoti da fare con la mente e con il cor­po per ottenere un boccone di pane e un sor­so d’acqua, così per il tuo essere interiore è indispensabile restare sempre in relazione con Dio, affinché il soffio d’immortalità metta le radici nel tuo spirito e lo renda adatto alla vita eterna.

La relazione con Dio è quella che chiamiamo preghiera: in realtà si tratta di un’azione. Devi perciò riconoscere che solo in virtù di un atto spirituale il tuo spirito viene nutrito e riceve di­rettamente da Dio le energie per crescere. Ciò di cui devi essere convinto è che ogni contatto con Dio è preghiera, ma non ogni preghiera è contatto con Dio! Molti infatti pregano senza esservi preparati e senza alcun desiderio di co­municare con Dio. Ma questa non è preghiera, perché la preghiera è un’opera realizzata in col­laborazione tra l’uomo e Dio.
Se la «camera» è quindi il «luogo» messo a parte da Cristo per l’opera della preghiera inte­riore, ne consegue che per tutto il tempo che vi trascorri devi necessariamente perseverare nel­l’opera della preghiera; questo significa che devi sempre restare in contatto spirituale con Dio.
Dio può concedere a qualcuno l’opportunità di restare a lungo nella propria camera, come è il caso del monaco, che è giustamente ritenuto un cristiano che è entrato nella camera e che ha chiuso definitivamente la porta dietro di sé: questi non vuole avere più alcun rapporto con la mondanità e con le sue vane preoccupazioni. A un altro può darsi che Dio conceda la possibilità di restare nella propria camera solo alcune ore al giorno; ma alla maggior parte della gente non è possibile restarvi se non per un’ora al giorno, e a volte addirittura per un tempo ancora più breve. In ogni caso questa differenza di tempo disponi­bile per dimorare e pregare nella propria camera è compensata in altri modi dallo Spirito santo, quando uno è fedele e sincero nel proprio cam­mino spirituale. Infatti, nella misura in cui tu aneli veramente alla preghiera, lo Spirito ti con­cede, anche in poco tempo, delle grosse oppor­tunità di rallegrar ti e di sentirti ricolmo della presenza di Dio.
Non devi quindi rattristarti per la scarsità del tempo disponibile per appartarti nella camera; devi piuttosto assicurarti di essere pronto e pie­no di desiderio di comunicare con Dio: allora ti accorgerai che i minuti possono essere come giorni. In genere, comunque, il lamento per la scarsità del tempo disponibile per la preghiera è solo una falsa scusa per giustificare l’«io» nella sua negligenza, trascuratezza e indifferenza nel­lo stare di fronte a Dio.


L’effusione dello Spirito santo
nelle parole della preghiera

Quando chiudi la porta nelle tre direzioni ac­cennate sopra – e cioè nei confronti del cuore, dei sensi e delle persone – quando ti prostri per tre volte nel nome della santa Trinità come gesto indicativo del tuo desiderio di Dio, quando sol­levi le mani, gli occhi e il cuore verso il cielo, al­lora lo spirito della preghiera scende su di te. È in quel momento che ogni atteggiamento viene trasformato in un contatto con Dio e tu vivi, per poche o molte ore, alla presenza di Dio.
Se inizi a pregare animato da questo spirito (soprattutto se utilizzi i salmi), ti accorgerai che le parole delle tue labbra non sono quelle solite: a poco a poco esse assumeranno per te significa­ti, orientamenti e promesse nuove. Infatti, an­che se la parola pronunciata dalla bocca è identi­ca a quella contenuta nel salmo, ciò nondimeno essa ti apparirà come pronunciata da Dio per fornirti una risposta esauriente, un’occasione di conforto, una promessa di aiuto e di salvezza. E questo nonostante che la preghiera sembri usci­ta unicamente da te: è lo Spirito santo che si in­serisce segretamente nella preghiera e inizia a ri­sponderti con le stesse parole che hai pronun­ciato. Questa è la chiave che introduce nella vita interiore: senza l’intervento dello Spirito santo nella preghiera le parole diventano deboli e pri­ve di un messaggio preciso e personale: «Simil­mente anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stes­so intercede con insistenza per noi» (Rm 8,26). Concretamente, lo Spirito santo non cesserà mai di guidarti, se manterrai il cuore docile e la mente aperta, ma completerà le parole della preghiera e delle letture in maniera estremamente sapien­te. Di conseguenza, qualsiasi preghiera o lettura tu faccia senza avere la mente aperta e l’inten­zione di ascoltare la voce dello Spirito, rimar­rà estranea a una sana vita spirituale, e pratican­dola non ne ricaverai alcun vantaggio tangibile: «Non chiunque mi dice: Signore, Signore, en­trerà nel regno dei cieli» (Mt 7,21); «Pregherò con lo Spirito, ma pregherò anche con la men­te» (1Cor 14,15).










LA PREGHIERA, LEGGE SPIRITUALE



L’importanza di una legge spirituale

Le regole della vita spirituale non sono come le leggi della fisica che governano la natura, né come le leggi civili fissate da un’autorità per ga­rantire la sicurezza e la giustizia; queste leggi in­fatti sono generalmente «chiuse», cioè non apro­no verso realtà al di là di loro stesse. Sono ari­de, puniscono ma non ricompensano: in realtà, limitano la libertà dell’uomo.
Le regole della vita spirituale, invece, sono come i gradini di una scala: se tu stai saldo su un gradino, questo ti mette in condizione di salire su quello successivo. L’ascesa è infinita, perché la vita spirituale non conosce limiti: le leggi spi­rituali non sono chiuse su se stesse. Non devi quindi confondere le leggi fisiche con quelle spi­rituali né di conseguenza temere per le leggi spi­rituali sulla falsariga dell’ansia che provoca in te l’esperienza che hai dell’accezione corrente del termine «legge».

Nell’ambito spirituale la legge è estremamen­te generosa: se tu la osservi, ne trarrai un enor­me beneficio. Se l’adempi fedelmente, ti mette­rà in grado di osservare una legge superiore con maggior generosità e libertà. Se tuttavia rifiuti o trasgredisci la legge spirituale, non per questo cadi sotto la sua vendetta, come ti avviene inve­ce se non tieni conto della legge di gravità o se trasgredisci una legge dello stato. La legge spiri­tuale infatti è interamente positiva, non contie­ne alcuna negatività, come Dio stesso; questo significa che nella legge spirituale esiste un rap­porto con Dio solo per coloro che lo accettano e lo seguono. Perché chi segue Dio, cresce e di­venta libero; chi invece rigetta la legge spiritua­le, priva se stesso della crescita e della libertà. Se vuoi una semplice immagine degli effetti del­la legge spirituale, puoi trovarla nelle parole di Cristo: «Camminate mentre avete la luce, per­ché non vi sorprendano le tenebre» (Gv 12,35). La legge spirituale è come una luce nella quale trovi rifugio per poter camminare passo dopo passo sotto la sua guida. Finché vi rimani ag­grappato, vai avanti; ma se trascuri o ignori la luce, questa non ti abbandonerà né si vendiche­rà, però tu sarai sopraffatto dalle tenebre e non sarai più in grado di camminare.
Puoi trovare un’altra immagine viva della leg­ge spirituale nelle parole del Signore: «Questo è il mio comandamento, che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 15,12). Se segui questa legge, cammi­ni nella luce, per usare le parole dell’apostolo Giovanni, cioè progredisci, cresci nell’amore. Ma verso che cosa stai camminando? Fino a che pun­to devi crescere nell’amore? La risposta a que­sti interrogativi è di importanza capitale. Infatti stai camminando verso la sorgente stessa della luce, verso Cristo che è la luce del mondo, e de­vi crescere nell’amore fino a giungere alla piena statura di Cristo che è perfetto amore: ecco una magnifica espressione di una crescita senza fine.
Quello che hai imparato sulla legge dell’amo­re vale anche per la legge della preghiera. Infat­ti le parole del Signore «sulla necessità di pre­gare sempre, senza stancarsi» (Lc 18,1) – «Ve­gliate e pregate» (Mt 26,41), «Quello che dico a voi lo dico a tutti: Vegliate» (Mc 13,37), «Ve­gliate e pregate per non entrare in tentazione» (Mc 14,38) – rivelano l’importanza della pre­ghiera nella vita spirituale e la presentano sotto forma di legge. L’evangelo testimonia che Cri­sto stesso ha osservato questa legge: «Se ne an­dò sulla montagna a pregare e passò tutta la not­te in orazione» (Lc 6,12), «Salì sul monte, solo, a pregare» (Mt 14,23).
Da queste insistenti esortazioni sull’impor­tanza della preghiera ti è facile renderti conto come essa nasconda in sé aspetti davvero essen­ziali per l’uomo e non sia un semplice comanda­mento che possa essere trascurato o sostituito con qualcosa d’altro o con un altro comanda­mento. Dalle ripetute esortazioni di Cristo a pre­gare e dal suo stesso ricorso alla preghiera conti­nua e incessante – al punto di dedicarle l’intera notte – puoi dedurre che la preghiera è un’irre­vocabile regola della vita spirituale, avvolta in numerosi misteri. La sua importanza e serietà è tale che anche il solo trascurarla ti espone a pro­ve e tribolazioni.
La regola delle sette ore canoniche di preghie­ra fissata dalla chiesa trova il proprio fondamen­to spirituale nel comandamento del Signore di pregare sempre, senza stancarsi. per ga­rantire che l’intera giornata (e quindi ogni mo­mento) venga riempita con la preghiera, la chie­sa ha diviso le dodici ore del giorno in sei parti e ha fissato per ognuna di esse una preghiera adatta, composta dalla salmodia, da un brano della Scrittura e da un’orazione. Inoltre è stata collocata una preghiera nel cuore della notte, suddivisa in tre parti in modo da coprire l’intero arco della notte. In questo modo, mediante le sette ore canoniche, si è reso possibile l’adempi­mento del precetto di Cristo sulla preghiera con­tinua. Questa recita ritmata del salterio costi­tuisce una norma di preghiera basata sul coman­damento di Cristo che invita a usare il tempo e regolare l’intera vita santificandola mediante la preghiera, inoltre esprime la costante vigilanza del cuore nell’attesa degli ultimi giorni e della venuta dello Sposo, come ci ha ricordato Cristo stesso: «Quello che dico a voi lo dico a tutti: Ve­gliate!» (Mc 13,37). Così le sette ore terminano ogni giorno con la preghiera nel cuore della not­te a testimoniare la vigilanza nell’attesa del ri­torno di Cristo.
Ora, se sei cosciente che la vigilanza del cuo­re e la santificazione di ogni momento della gior­nata costituiscono la base della disciplina nella preghiera, puoi anche adattare queste norme al tuo ritmo di lavoro quotidiano, soprattutto se le tue condizioni di lavoro non ti consentono quasi mai di osservare la pratica dei sette momenti di preghiera quotidiani.
La vigilanza del cuore durante l’adempimento dei tuoi doveri quotidiani – di qualunque tipo essi siano: a casa come a scuola, come in fabbri­ca, in campagna, in negozio o in ufficio – sosti­tuisce il rimanere in preghiera nel segreto della tua camera: ti porta all’immediato adempimen­to della regola di preghiera in obbedienza alla ri­chiesta del Signore. La vigilanza del cuore – e cioè il prestare a più riprese durante la giornata l’attenzione al Signore Gesù, mantenendo viva una conversazione segreta con lui, fatta di silen­ziose parole di amore – non è assolutamente in­feriore allo stare in preghiera in chiesa.
Per santificare la tua giornata ti bastano solo pochi minuti sette volte al giorno, giusto il tem­po di recitare un salmo, l’orazione prevista e il versetto dell’evangelo: per far questo ti è suffi­ciente ritirar ti in un angolo tranquillo, anzi a volte puoi rimanere anche sul posto di lavoro. Devi però anche saper cogliere la possibilità di usare il tempo libero al mattino e alla sera, cioè prima e dopo il lavoro, per recitare interamente e con calma mattutino e compieta: testimonierai così la tua piena disponibilità a dedicare il mag­gior tempo possibile a Dio.
Quanto alla preghiera nel cuore della notte, l’aiuto, la grazia e la forza ottenuti praticandola sono sufficienti per compensare qualsiasi stan­chezza o fatica che ti immagini di dover patire nell’alzarti a quell’ora. Se poi lavori fino a tardi nella notte, non puoi fare a meno di privare te stesso della condivisione di alcuni minuti della notte con il Figlio della Luce, rendendo gloria allo Sposo. Le vigilie notturne sono un simbolo dell’attesa e dell’accoglienza dello Sposo (cf. Mt 25,1–13). La realtà che questo segno vuole indi­care è che nel momento presente l’accoglienza dello Sposo avviene in modo parziale, in vista del giorno escatologico in cui giungeremo alla consumazione e alla vittoria nell’incontro defi­nitivo con il Signore.
Ora che la regola della preghiera è diventata un’autentica luce che ti guida verso l’incontro con il Signore, puoi capire come la scrupolosa osservanza della norma ti permetta di crescere più vicino a Dio; così, incontrando il Signore ogni giorno, cresceranno 1’amicizia, l’amore e l’intimità tra te e lui. Di conseguenza la preghie­ra stessa avrà maggior fervore, insistenza e amo­re. Cristo infatti ha chiesto che la preghiera sia fatta con insistenza e fiducia e ha dato l’esem­pio della vedova che andava dal giudice del­la città e lo importunava per ottenere giustizia contro l’avversario; e il giudice l’esaudì, nono­stante fosse iniquo, a motivo della sua insisten­za; Gesù ha così richiamato l’attenzione sull’im­portanza dell’insistenza nella preghiera: «E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano gior­no e notte verso di lui, e li farà a lungo aspetta­re? Vi dico che farà loro giustizia prontamente» (Lc 18,7–8).


La preghiera come dono

Osservare la regola quotidiana della preghiera con scrupolosità e insistenza e attenervisi con fedeltà, amore e perseveranza, non è semplice­mente un dovere che compi perché vi sei tenuto, quasi si trattasse di dare a Dio una parte del tuo tempo e delle tue forze e nulla più. Se infatti il ritmo di preghiera fosse solo un dovere, Cristo non ci avrebbe invitati a pregare con così tanta insistenza.
Ma al di là della scrupolosità e della perseve­ranza nella preghiera si trova un dono, un dono preziosissimo, più prezioso di qualsiasi cosa di cui l’uomo possa aver bisogno o che gli possa ca­pitare, più prezioso perfino di tutte le glorie del mondo. Questo dono è lo Spirito santo, che Dio desidera offrire all’uomo, non come ricompen­sa, ma in risposta alla preghiera e all’insistenza nella supplica: «Quanto più il Padre vostro cele­ste darà lo Spirito santo a coloro che glielo chie­dono» (Lc 11,13). Valuta bene l’importanza del­la preghiera e rifletti quanto sia opportuno che tu ti dedichi a questa disciplina con scrupolosità e perseveranza: essa ti mette in grado di ricevere lo Spirito santo.
Se solo sapessi che è lo Spirito santo quello che infonde l’amore nel cuore, che insegna l’u­miltà, che fa dono della pace del cuore, che rin­salda la tua fede in Dio e la tua speranza nella vita eterna, che illumina il tuo sguardo affinché tu possa discernere la verità e la volontà di Dio, che infiamma il cuore con lo spirito della pre­ghiera, che ti incoraggia a restare vigilante con una forza e uno zelo che sorpassano le possibi­lità della carne! Allora ti renderesti conto del frutto prezioso che puoi raccogliere dalla pre­ghiera. È questo il segreto nascosto dietro l’insi­stente invito di Gesù a pregare: il valore della preghiera consiste nell’acquisizione dello Spiri­to santo, senza il quale l’uomo non vale nulla.
La preghiera quindi è la regola più importan­te nella vita spirituale, è il segreto per una cre­scita spirituale feconda ed è il coronamento di ogni sforzo nel cammino secondo Dio; attraver­so la preghiera infatti l’uomo acquisisce lo Spiri­to santo che porta a perfezione la crescita spiri­tuale di ciascuno.





CRISTO TI ATTENDE




Ogni volta che ti metti dinanzi a Cristo per pregare con fervore nella supplica, la tua volon­tà incontra la sua e ottiene misericordia. Attra­verso la frequenza e la sincerità della preghiera le due volontà tendono ad avvicinarsi.
Solo nella preghiera Cristo può raggiungerti e manifestarti la sua volontà. Cristo attende, de­sidera la tua preghiera: «Ecco, sto alla porta e busso» (Ap 3,20). Nell’evangelo egli ha rivela­to l’importanza e la necessità della preghiera, in­sistendo perché preghiamo sempre, incessante­mente e senza stancarci mai (cf. Lc r8,r). Que­sto perché è proprio nella preghiera che può rag­giungerti, rivelarti la sua volontà e darti la sua grazia.
Il peccato è odiato dal Padre e contrista il cuore di Cristo, perché è stato la causa della cro­ce e delle sofferenze terribili che il Signore ha sopportato senza nessuna pietà da parte degli uo­mini. Tuttavia, non appena il peccatore si pre­senta dinanzi a Dio Padre tenendosi saldo alla croce e innalzando suppliche nel nome del san­gue di Cristo, il suo peccato gli è rimesso, la condanna cessa di pesare su di lui ed egli non è più maledetto. Per questo è bene portare la cro­ce e baciarla spesso durante la preghiera.
Cristo si è sottoposto alla croce in vista della gioia che gli era posta innanzi (cf. Eb 12,2), cioè la gioia di salvare gli uomini e di riconciliarli con il Padre. È in vista di questa stessa gioia che egli continua a portare il peso dei nostri peccati e che è sempre disposto a perdonarli, anche se si rinnovano più volte al giorno, purché ogni volta noi ritorniamo a lui con cuore contrito. Le sof­ferenze che egli ha sopportato fino alla morte mostrano chiaramente la sua disponibilità illi­mitata a portare il peso dei nostri peccati, per­ché il suo cuore conosce la debolezza della no­stra natura, il venir meno della nostra volontà e la grande miseria dell’uomo.
Perciò, durante la preghiera, presentati a Cri­sto nell’atteggiamento del peccatore cosciente della propria miseria, a capo chino, battendoti il petto, con la fronte coperta di polvere, ma nello stesso tempo con la certezza di essere accolto e perdonato da Cristo, a motivo della sua grande compassione, della predilezione che egli ha per i più deboli e della gioia che prova ogni volta che ritorni a lui.




ALLA PRESENZA DI DIO




La preghiera è un dono prezioso che ti è con­cesso affinché tu acceda alla presenza di Dio Pa­dre, attraverso la mediazione di Gesù Cristo. Per una condiscendenza inaudita della sua natura, Dio accetta così di mettersi alla portata dell’uo­mo, in grazia dell’amore del Padre per suo Figlio Gesù Cristo, il quale si pone umilmente in mez­zo a noi ogniqualvolta noi preghiamo, secondo la sua promessa (cf. Mt 18,19). Ed è lo Spirito santo che prepara, mediante la grazia, questo in­contro spirituale invisibile. Così devi prostrarti con grande pietà e venerazione dinanzi al Padre, al Figlio e allo Spirito santo, a più riprese, per onorare la presenza divina e manifestare la tua completa sottomissione alla santa Trinità.
A ogni prostrazione è bene che tu baci la cro­ce: essa è il prezzo che ti ha ottenuto questi do­ni preziosi e ti ha aperto l’accesso al Padre con sicurezza e fiducia.
La preghiera inizia nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, perché è questi il Dio unico che devi adorare. Viene quindi la dossolo­gia, con la quale rendi gloria alla santa Trinità e testimoni la pienezza della presenza divina. Se­gue poi il «Padre nostro», che devi recitare len­tamente, indirizzandolo al Padre, con tutta ve­nerazione, nell’atteggiamento di Abramo che si rivolgeva a Dio con il sentimento schiacciante di non essere che «polvere e cenere».
Dio non può essere contenuto dal cielo, né dai cieli dei cieli; né tanto meno, quindi, dalla terra. Ciononostante, egli desidera entrare e tro­vare riposo nell’anima umana che si pente e ri­torna a lui. Perché l’anima umana è un soffio dell’alito di Dio, cioè del suo Spirito. Come l’a­nima prova un desiderio innato verso il suo Crea­tore, cos1 il Creatore desidera riposarsi nella sua creatura, poiché essa è del suo stesso Spirito.
Perciò, durante la preghiera, non devi imma­ginarti nessuna forma esteriore di Dio Padre o del Figlio o dello Spirito santo, come se si tro­vassero al di fuori di te o come se il tuo occhio potesse contemplarli, perché è all’interno della tua anima che Dio si rende presente e non al­l’esterno. Senti allora la sua presenza, ma senza vederlo. «Prega il Padre tuo che è nel segreto» (Mt 6,6).
L’apprensione nei confronti di Dio, lo spa­ventoso accumularsi dei peccati, o anche i dubbi provocati dalla tentazione o dalla malattia ti im­pediscono di sentire la presenza di Dio. Ma que­sto non significa ,che Dio non sia presente al­la tua preghiera. È impossibile che tu inizi una preghiera umile e sincera e che Dio resti assente da te; perché l’amore che Dio ha per ogni uomo che si pente gli impedisce di prestare attenzione ai tuoi peccati o di provare disgusto per le tue impurità o per i tuoi dubbi. Questo amore divi­no possiede infatti una potenza infinita di re­missione e di purificazione.


Superare le sensazioni mediante la fede

Perciò è necessario che tu ti liberi dai dubbi e sia certo che Dio è presente alla tua preghiera, ascolta le tue parole e le tue suppliche, e acco­glie con piacere la tua preghiera. Devi anche es­sere convinto che Dio non è incostante come gli uomini: il suo amore è stabile e la sua promessa fedele. Una volta che egli ha amato l’uomo, non cessa più di venire in suo aiuto – talvolta con gesti di amore, talaltra con la correzione o con l’abbandono – fino a portare a compimento la sua salvezza. Non devi quindi fondare la tua re­lazione con Dio sugli affetti e sulle sensazioni che provi; mediante la fede devi invece superare l’ambito del sensibile.


Pretesti per sfuggire alla preghiera

La carne dell’uomo ha desideri contrari al suo spirito (cf. Gal 5,17). Essa non può trovare ri­poso nella preghiera, soprattutto nella preghiera sincera, pura, offerta in spirito di vera adorazio­ne, perché questa implica il rinnegamento di sé e la morte delle passioni, dei desideri e delle fal­se speranze di questo mondo... Perciò il corpo inventa mille pretesti per sfuggire alla preghiera: pretende di essere malato, debole, di avere mal di testa, alle articolazioni, alla schiena, di ave­re un gran bisogno di dormire. Se, nonostante questo, ti costringi a pregare, il tuo corpo cerca di abbreviare la preghiera. E se perseveri nella volontà di compiere la preghiera fino in fondo, il corpo cerca allora di sfuggire nel vero senso della parola: la lingua s’ingarbuglia, l’attenzione si allenta e divaga qua e là, il pensiero si appe­santisce. Il tuo «io» cerca il pretesto del corpo per sottrarsi alle parole della preghiera, poiché esse comportano la sua morte. Assomiglia al ser­pente che sfugge alla musica dell’incantatore e s’affretta a turarsi le orecchie per non ascoltarne la voce, sapendo che questa implica la sua mor­te. Il Signore sa tutto questo; è per questo che ha raccomandato di «pregare sempre, senza stan­carsi» (Lc 18,1).
Questi sintomi gravi non compaiono nelle pre­ghiere farisaiche, fredde, compiute per ricevere la ricompensa dagli uomini, cioè per attirarsi le loro lodi o la loro ammirazione. Anzi, il corpo si adatta bene a una tale preghiera: si alza presto per farla in pubblico e non prova nessuna fatica a restare in piedi per lunghe ore davanti agli uo­mini. Recita a voce molto alta, e l’intelligenza diventa molto attenta e gli fa pronunciare le pre­ghiere con il contegno voluto, con una chiarezza e una precisione che gli attirano l’ammirazione dei presenti. Questo genere di preghiera è gra­dito all’«io» umano, poiché comporta di per se stesso una ricompensa carnale: conduce all’af­fermazione di sé anziché alla rinuncia di sé, alla deificazione di sé anziché alla morte di sé. Per­ciò l’«io» vi si compiace, così come gli piace ac­cumulare il denaro. E il corpo non ne prova mai stanchezza, così come non si stanca affatto di buon cibo.
Ben sapendo ciò che c’è in ogni uomo (cf. Gv 2,25), il Signore ha messo in guardia da tutto ciò, dicendo: «Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Pa­dre tuo che è nel segreto» (Mt 6,6). Chiudere la porta indica, qui, la necessità di far si che la pre­ghiera non sia né vista né udita dagli uomini, al­meno nell’intenzione e nella coscienza di te che preghi.


L’ascesi del corpo e l’ardore dello spirito

L’ascesi del corpo, prima e durante la pre­ghiera, è necessaria perché l’anima prenda pie­no slancio in una preghiera fervente. A ciò puoi arrivare attraverso due tipi di approccio. Il pri­mo è negativo: le numerose prostrazioni, il digiu­no, il silenzio, la sobrietà e la semplicità del ve­stito. Il secondo è positivo: consiste nell’offrire a Cristo, dal profondo del cuore, un amore sin­cero, espresso con parole di affetto, di deside­rio, con un dialogo del cuore che non cessa né di giorno né di notte, sostenuto da una meditazio­ne attenta delle sue parole e dei suoi precetti.
Ciò significa che il fervore della preghiera è condizionato nello stesso tempo dall’ascesi del corpo e dall’ardore dello spirito. Un solo elemen­to non sarebbe sufficiente, perché ciascuno atti­va l’altro. L’ascesi del corpo prepara l’ardore del­lo spirito e l’ardore dello spirito facilita l’ascesi del corpo: insieme custodiscono la tua preghie­ra al riparo dall’acedia, dalla stanchezza, dalla tiepidezza spirituale e dalla dispersione dell’at­tenzione.

La preghiera e il tempo

Cristo è entrato nel mondo attraverso l’incar­nazione. La fede ortodossa confessa l’unità di natura del Verbo incarnato[1], vale a dire l’unio­ne perfetta che si è operata in lui fra il divino e l’umano. Di conseguenza, Cristo ha unito in se stesso le azioni umane temporali, il tempo, alla sua divinità eterna. Tutto ciò che Cristo ha pra­ticato nella propria carne – la preghiera, le opere di misericordia e di compassione, come anche le sofferenze redentrici assunte sulla croce – tutto ciò ha ricevuto in lui una dimensione divina eterna. In altre parole, il tempo si è unito all’e­ternità nella persona di Gesù Cristo.
Unirsi a Cristo mediante la preghiera signi­fica in realtà glorificare il tempo, santificarlo; significa glorificare l’azione umana in quanto tale e santificarla, perché vuol dire conferirle, in Cristo, un’eterna dimensione divina. La pre­ghiera autentica è un vero «riscatto del tempo» (Ef 5,16), perché trasforma il tempo morto in un’opera divina eterna. Perciò l’accesso alla pre­ghiera autentica si accompagna necessariamente a una liberazione rispetto alla percezione del va­lore umano e materiale del tempo. Il movimento dell’orologio deve lasciare il posto al movimento dello spirito.­

Nella preghiera il tuo spirito è chiamato a entrare in comunione con gli spiriti dei santi nell’eternità, perché avvicinandoti a Cristo ti avvicini necessariamente al regno dei cieli.
La fretta nella preghiera, così come il senso di stanchezza, sono il segno che ti aggrappi al tempo materiale, privo delle benedizioni dello Spirito e delle aspirazioni all’eternità. La perce­zione del tempo materiale, dell’importanza dei minuti, delle ore, delle azioni umane temporali che ti attendono dopo la preghiera, contribuisce a soffocare in te lo Spirito e a impedirti di gode­re della percezione dell’eternità e di vivere in essa durante la preghiera.
Così, la fretta e la stanchezza sono sufficien­ti per togliere alla preghiera il suo autentico ca­rattere spirituale. Essa si riduce allora a nulla più di uno dei tanti atti della vita temporale che compi con il pensiero o con il corpo, come quelli di incontrare un superiore, di pronuncia­re un discorso o di prendere il pasto. Perciò Cri­sto ti avverte: «Bisogna pregare sempre, senza mai stancarsi» (cf. Lc 18,1). È meglio quindi per te esprimere con lo spirito una preghiera calma, tranquilla, degna, che dura cinque minuti, piut­tosto che pregare un’ora intera con fretta o tre ore con svogliatezza.

Cristo partecipa alla tua preghiera

Cristo ascolta la tua preghiera. Anzi, molto di più: vi prende parte in modo effettivo. Senza Cristo la tua preghiera non può assolutamente trovare accesso al Padre. È grazie alla mansuetu­dine di Cristo, al suo amore e alla sua umiltà che tu avanzi con sicurezza verso il Padre, facendo affidamento unicamente sul sangue divino ver­sato per la tua riconciliazione e la tua giustifica­zione. Cristo è dunque personalmente presen­te alla tua preghiera; è lui che la presenta al Padre avvalorandola con il suo merito. La pre­ghiera quindi non è un’opera unilaterale da par­te tua. Tutto ciò che pronunci nella preghiera non ha valore se Cristo non dice «Amen», se cioè non lo avvalora presso il Padre con il suo merito, sostenendo la tua debolezza e interce­dendo per i tuoi peccati.
Perciò, durante la preghiera, devi essere co­sciente di questa partecipazione effettiva di Cri­sto. Non sei libero, quindi, di cominciare, di continuare o di terminare la preghiera a tuo pia­cimento. È alla sequela di Cristo che accedi alla preghiera, è con la bocca di Cristo che innalzi la supplica, è per il suo sangue che riprendi corag­gio, per la sua giustizia che speri di essere esau­dito, per il suo amore che ti rivolgi al Padre co­me al tuo beneamato, in virtù dello Spirito del Figlio.

Lo Spirito santo grida nel tuo cuore

Lo Spirito santo sa quali sono le domande op­portune e gradite a Cristo e al Padre. A lui solo spetta il compito di guidare la tua preghiera, di determinarne la durata e il momento opportu­no, di esortarti alla preghiera. È lui che ti ispira le parole e che ti infonde nel cuore l’ardore spi­rituale e lo zelo. È lui che ti pervade di afflizio­ne e ti fa pregare con gemiti e lacrime, con un cuore spezzato, come se fosse lui stesso ad avere bisogno della misericordia del Padre e della me­diazione di Cristo. Egli grida nel cuore verso il Padre e verso Cristo con «gemiti inesprimibili» (Rm 8,26), cioè con gemiti potenti e sinceri che tu non puoi tradurre in parole, perché sorpassa­no l’intelligenza per il loro fervore, la loro pro­fondità e la loro autenticità. Affidarti allo Spi­rito santo equivale quindi a pregare incessante­mente senza stancarti, poiché egli ti dà la forza di perseverare con fervore nella preghiera – in piedi, in ginocchio o prostrato – senza essere mal sazio.
Lo Spirito santo conosce i tuoi bisogni spiri­tuali e sa quali sono le tue possibilità materiali quanto al tempo. Perciò, se sei timorato di Dio, egli ti accorda la pienezza della preghiera e la sua durata, in modo che la tua anima ne sia pie­namente saziata, senza che tuttavia ne risenta­no i vari compiti e responsabilità. Nel più breve lasso di tempo ti accorda le grazie più ricche e più preziose; e ti fa terminare la preghiera al momento opportuno.
Se, invece, la tua preghiera non è guidata dal­lo Spirito santo, allora ne esci senza essere con­solato, senza avere né la pace interiore né la gioia del cuore, come se la tua preghiera non fosse giunta all’orecchio di Dio.

Come invocare lo Spirito santo?

Lo Spirito santo è di una semplicità estrema. Egli risponde subito al tuo appello, per poco che tu lo invochi con cuore sincero, pieno di fede e di semplicità. È sufficiente che lo inviti semplicemente a venire – come farebbe un bam­bino semplice e innocente – perché egli ascolti e risponda. Nella preghiera di Terza la chiesa ci insegna a invocarlo con queste parole: «Degnati di venire a dimorare in noi» [2].
Lo Spirito santo viene nel cuore ripieno di una fede semplice e fiduciosa nella misericordia di Dio. La venuta dello Spirito non è accompa­gnata da alcuna sensazione materiale. Egli non trova riposo in mezzo a grida o nel disordine, e neppure in un cuore duro, ingiusto, pieno di rancore, di collera o di sufficienza. Ugualmente, non trova riposo nell’uomo «mondano», cioè at­taccato alle cose di questo mondo (cf. Gc 4,4; 1Gv 2,15), attirato dalla bellezza effimera o am­biziosa della gloria di questo mondo.
Lo Spirito santo ama e incoraggia la preghie­ra del povero che è riconoscente verso Dio, così come quella del ricco amico dei poveri: egli è il Consolatore degli inferiori oppressi e dei superiori misericordiosi, la Luce degli afflit­ti e la Vita di coloro che si prodigano a servi­zio dell’evangelo e per amore dei piccoli e degli umili.
Perciò, se davvero desideri pregare, devi im­parare innanzi tutto a renderti gradito allo Spiri­to santo, evitando tutto ciò che può contrariar­ne la dolcezza, la santità e la carità. Altrimenti, la tua preghiera sarebbe privata dell’unica po­tenza in grado di elevarla e di presentarla a Dio.
Se desideri pregare alla presenza di Dio, devi anche avere la piena certezza di essere sostenuto dallo Spirito santo: non è forse lui che ti ha ge­nerato nel fonte battesimale? Devi quindi invo­carlo dal fondo del cuore, più e più volte, e chie­dergli di disporti alla preghiera e di concederti la forza di compierla in conformità al desiderio del Padre e del Signore Gesù.
La tua preghiera, quindi, concerne lo Spirito santo quanto e anche più di quanto concerna te stesso; poiché è per mezzo della preghiera che si sviluppa l’uomo nuovo, generato in te dallo Spi­rito santo; è per mezzo della preghiera che esso riceve la luce divina, che riconosce la volontà di Dio e che impara a metterla in pratica con l’aiu­to della grazia.


La preghiera, invito divino
al ritorno della creatura esiliata

La preghiera autentica, nella quale hai acces­so al Padre e parli alla sua presenza, non è un semplice atto umano: è essenzialmente un invi­to divino, al quale tu non fai che rispondere. Dio è sempre e in ogni tempo disposto a ricever­ti e non cessa di invitarti a venire a lui: «Tutto il giorno ho steso le mani...» (Rm 10,21). «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò» (Mt 11,28). «Colui che viene a me, non lo respingerò» (Gv 6,37). Perché Dio si rallegra di averti accanto a sé; e, se possibile, in modo permanente.
Quando stai dinanzi a Dio, alla sua presenza, realizzi di fatto il ritorno della creatura esiliata verso il seno del suo Creatore, il ritorno di Ada­mo nel paradiso. Così la preghiera è, di per se stessa, una riparazione per le lunghe ore passa­te lontano da Dio, in mezzo alle preoccupazio­ni della terra e agli affanni della vita temporale (cf. Lc 21,34). Per sua natura, la preghiera rap­presenta un ritorno a Dio, una vera conversio­ne. Dio, un tempo, ha cacciato Adamo dalla sua presenza, ed ecco che ora ti chiama senza sosta, «tutto il giorno», a entrare alla sua presenza e a restare con lui. Una volta che sei entrato presso di lui mediante la preghiera, Dio desidera che tu non ne esca mai più. Perciò la preghiera autenti­ca, che è riuscita a rispondere al desiderio pieno di benevolenza di Dio, deve continuare segreta­mente in fondo al cuore, con uno scambio senza parole, anche dopo che hai lasciato il luogo della preghiera. Puoi allora andare alle tue diverse oc­cupazioni, ma intanto la preghiera non cessa il suo lavoro segreto all’interno del tuo cuore.

Le preoccupazioni:
come presentarle nella preghiera?

La preghiera non è l’occasione per domanda­re a Dio ciò che concerne la carne (cf. Rm 8,7; Gc 4,3), ciò che ottiene il benessere, che facilita il tuo lavoro e procura il successo alle tue inizia­tive temporali. La preghiera invece è l’occasione per lo spirito di accedere al regno, è la finestra luminosa attraverso la quale contempli già la vi­ta eterna, verso la quale sarai rapito dopo aver restituito il tuo corpo alla polvere, mentre tutti i tuoi lavori e tutte le tue attività saranno termi­nate per sempre. Tutto ciò che ti preoccupa sul­la terra è effimero, a differenza della preghiera. Ogni minuto trascorso in preghiera viene dall’e­ternità[3] e vi fa ritorno. Devi quindi presentare le tue preoccupazioni nella preghiera in una pro­spettiva spirituale. Vale a dire che tutte le tue necessità materiali, le attività, le responsabilità e le preoccupazioni devono da te essere presen­tate a Dio nella preghiera, affinché egli le spogli della loro forma mortale, effimera, e le rivesta di un carattere divino, rendendole conformi al suo disegno di benevolenza, e siano così santifi­cate. Nella preghiera non devi chiedere che i tuoi lavori siano prosperi, che le tue iniziative abbiano una buona riuscita e si accrescano, così da ricavarne una gloria terrena e una buona re­putazione oppure la tranquillità e il benessere materiali. Dovresti invece domandare a Dio che purifichi le tue attività dallo spirito di egoismo e di amor proprio, cioè da ciò che fa la gloria dell’«io» umano; che ti ispiri la rettitudine della mente e del cuore, affinché nel tuo operare non usi malizia, doppiezza, disonestà, inganno, men­zogna; che ti conceda la forza spirituale di non temere le minacce, di non tirarti indietro di fronte ai pericoli, di non fare preferenza di per­sone e di non lamentarti quando conosci l’in­successo o l’ingiustizia. Dovresti chiedergli di farti stimare i valori spirituali al di sopra di qualsiasi attività e iniziativa, affinché ti sia pos­sibile prendere la difesa dell’innocente, tessere l’elogio della rettitudine e dell’integrità, dona­re con generosità e preoccuparti di conservare la pazienza e la carità più di qualsiasi interesse materiale.
La preghiera diventa così per te l’occasione per trasformare i desideri della carne in desideri dello spirito (cf. Rm 8,6) e il mezzo per purifica­re le tue opere, i tuoi pensieri e le tue intenzioni dalle scorie del peccato. Le tue attività temporali saranno in tal modo santificate e, per quanto siano umili e comu­ni, diventeranno degne di essere offerte a Dio al pari dei più nobili servizi religiosi.






«TRASFORMATI
IN QUELLA MEDESIMA IMMAGINE»
(2Cor 3,18)



La preghiera ti trasforma
fin nel più profondo del tuo essere

La preghiera frequente, a cui ti dedichi nelle varie ore del giorno e della notte in cui la chiesa ti invita a pregare, come pure ogniqualvolta ti senti spinto dallo Spirito santo, è uno dei mezzi più efficaci che possiedi per rinnovarti trasfor­mando la tua mente (cf. Rm 12,2). Questa veri­tà è manifesta a chi è iniziato al mistero di Cri­sto. Se preghi spesso, di giorno e di notte, venti, trenta volte, ogniqualvolta lo Spirito ti ispira pa­role d’amore, fosse pure per soli cinque minuti o addirittura per un solo minuto, questa preghiera assidua opera, nel più profondo della tua men­talità, del tuo cuore, del tuo carattere e del tuo comportamento, un mutamento fondamentale. Tu stesso non ne prendi facilmente coscienza, ma chi ti è vicino può no tarlo senza difficoltà.
Quando volgi lo sguardo a Cristo con perse­veranza nella preghiera, la sua immagine mistica e invisibile si imprime segretamente nel tuo es­sere interiore. Ricevi allora le sue qualità, vale a dire il riflesso della sua infinita bontà e dolcez­za, e la «luce del suo volto» (Sal 4,7). È a pro­posito di questa trasformazione che Paolo di­ce: «Figlioli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché non sia formato Cristo in voi» (Gal 4,19).
La frequenza del tuo dialogo con Cristo nella preghiera fa sì che la sua immagine sublime si imprima segretamente in te senza che tu nem­meno lo sospetti. «E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore» (2Cor 3,18).
Questo fenomeno trova un suo corrisponden­te nel mondo materiale. Quando si espone un corpo inerte all’azione di un corpo radioattivo, esso ne riceve la radioattività in proporzione al tempo di esposizione. Quanto più sentiremo l’influsso noi, che ci avviciniamo alla sorgente di ogni luce che sia mai esistita nel mondo e di ogni energia che abbia mai animato sia i corpi celesti che i corpi terrestri: Gesù Cristo, luce del Padre e luce del mondo!
Cristo stesso esorta anche te a rimanere sem­pre accanto a lui, affinché le tenebre del mondo non ti sorprendano, non accechino la tua intelli­genza, e tu finisca per non riconoscere la verità divina: «Camminate mentre avete la luce, per­ché non vi sorprendano le tenebre» (Gv 12,35); «lo sono la luce del mondo: chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12).
Se trascuri deliberatamente la preghiera, ti al­lontani, tuo malgrado, dalla verità; cammini sul filo dell’abisso, ai limiti dell’incredulità, cioè delle «tenebre esteriori» (cf. Mt 22,13); ti espo­ni a bestemmiare, senza rendertene conto; la mi­nima prova può precipitarti nell’abisso della di­sperazione e dell’inimicizia nei confronti di Dio.
Ma è vero anche il contrario. Se sei assiduo nella preghiera fervente, acquisisci una fede più salda delle montagne, e tutto questo senza osten­tazione, senza vantartene con parole vane: è la tua vita, il tuo comportamento che attesta que­sta verità. La tua pazienza, la tua gioia in mezzo alle prove, la sopportazione di fronte alle soffe­renze e all’ingiustizia sono altrettanti segni che testimoniano la saldezza della tua fede. Allora non sarai sorpreso dalle tenebre, secondo la pro­messa del Signore (cf. Gv 12,35).
La frequenza della preghiera esercita dunque nel tuo intimo un’azione divina che ti porta in­fine a ricevere la potenza della grazia. E lì ha inizio l’unione mistica permanente con il Signore.

La preghiera di comunione,
di unione con il Signore

La preghiera, all’inizio, è la porta attraverso la quale hai accesso al Signore, e il Signore vie­ne verso di te per risvegliare e correggere la tua coscienza e per esortarti a riceverlo nella tua vita e ad aderire a lui per sempre, per una vita eterna.
Perciò, all’inizio, la preghiera richiede uno sforzo notevole contro la natura della carne e dell’«io» terreno, che non vogliono perdere nes­suno dei piaceri di questo mondo in vista di un’altra vita che non procurerà loro alcun van­taggio.
Se la tua preghiera è perseverante e arriva a sottomettere allo spirito la natura della carne in modo tale che ogni tentativo da parte di quest’ultima di sfuggire, di sottrarsi per pigrizia, di differire o di resistere all’appello dello Spirito sia completamente spezzato dalla preghiera, ciò testimonia sicuramente la vittoria dello spirito e il completo dominio di Dio sull’anima. La pre­ghiera diventa allora il segno evidente che si è realizzata con successo una comunione con il Si­gnore e l’inizio di un’unione con lui, sul piano della sua volontà, del suo desiderio e della sua obbedienza totale al Padre. E questo si manife­sta con un amore che disprezza le sofferenze, fi­no alla morte.
La preghiera di comunione o di unione con il Signore non fa parte delle opere di questo mon­do. E il tempo che le consacri non fa parte delle ore di questo mondo. Sono dei bagliori fugaci durante i quali puoi godere già del regno di Dio in anticipo. Avvertirai interiormente con certez­za la presenza spirituale del Signore Gesù, come una vita eterna che si riversa in tutto il tuo esse­re, come una luce che risplende nel mezzo del­le tenebre, le tenebre delle passioni, delle tenta­zioni del mondo, della malvagità dell’uomo e dell’impero del demonio.
Tali momenti spirituali sono, in realtà, 1’ora divina della quale Gesù ha detto: «Viene 1’ora, ed è questa, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l’avranno ascoltata vi­vranno» (Gv 5,25). Dicendo «viene l’ora», egli indica il tempo escatologico dell’eternità, in cui si trovano conservate per te le grazie eterne di Dio, cioè la vita eterna, da cui ti separa attual­mente il velo oscuro del peccato. E aggiungendo «ed è questa», indica chiaramente che durante la preghiera la vita eterna squarcia questo velo e invade la tua esistenza temporale: la luce di Cri­sto si riversa nel tuo cuore, a dispetto del mondo e dello spirito delle tenebre e dell’opposizione della carne.
Tale è in verità la preghiera della risurrezione, la preghiera dell’eternità, significata dall’«ora» di Cristo e praticata dai suoi figli, iniziati al suo mistero, da coloro che, quando odono la sua vo­ce, non induriscono il cuore, ma si levano subito per la preghiera e la lode, in ogni momento, sen­za stancarsi.

La preghiera è più potente del peccato

Il peccato distrugge le tue forze fisiche e mo­rali, ma non può distruggere la potenza della mi­sericordia e dell’amore di Dio. «Dio è più forte degli uomini» (1Cor 1,25). Dio continua sem­pre ad amarti, prima, durante e dopo il peccato.
La preghiera, in quanto relazione fra te e Dio, ti mette in relazione con la sua misericordia che rimette anche le colpe più gravi. Per sua natura, la preghiera è una manifestazione di pentimento e di ritorno a Dio. E Dio è sempre disposto ad accogliere chi ritorna a lui, poiché egli non desi­dera la morte del peccatore, ma che si converta e viva (cf. Ez 18,23).
Se è vero che il peccato distrugge gran parte della forza acquisita mediante la preghiera, non può tuttavia sradicare completamente quanto hai ottenuto nella preghiera. Se dopo aver pregato soccombi, qualunque sia il tipo di peccato, con­servi però sempre in te un resto della potenza acquisita attraverso la preghiera. E questa poten­za finisce per prendere di nuovo il sopravvento. Anche dopo le colpe più grandi resta sempre nel tuo cuore e nella tua coscienza un fondo di po­tenza spirituale, che si è formato in te mediante la preghiera offerta a Dio con un cuore sincero e una coscienza che rifiuta il peccato.
Con la preghiera assidua tu acquisisci progres­sivamente un tesoro di potenza spirituale che al­la fine arriva non solo ad annullare ogni pecca­to, ma anche a purificare la tua coscienza dal senso di malessere causato dal peccato. La gioia della remissione e della salvezza viene a sosti­tuirsi all’afflizione e al dolore causati dal pecca­to. La preghiera si rivela cos1 come la piena gua­rigione dell’anima.
Tutto questo, però, non si compie in un gior­no, e neppure in un anno. È solo nel corso di lunghi anni che la preghiera realizza la sua opera di maturazione, lenta ma continua, che mira a distruggere il desiderio del peccato e a purifi­care progressivamente la coscienza. Quando la vita di preghiera è sufficientemente matura, la luce della salvezza comincia a brillate in un mo­do intenso e inatteso all’interno dell’anima, con una gioia indicibile che si estende a tutto il tuo essere interiore. Questa luce interiore, che ap­pare soltanto più tardi e che sembra qualcosa di improvviso, è in realtà il risultato di lunghi an­ni, il frutto di migliaia di preghiere.


La preghiera, scambio d’amore con Dio

La preghiera, quale che ne sia l’aspetto di afflizione e di compunzione, e quale che sia il sentimento che avverti della tua mediocrità e dell’indegnità di intrattenerti con Dio, a causa dei tuoi sbagli e dei numerosi peccati, la pre­ghiera è, al di sopra di tutto ciò, l’espressione di un amore profondo che intercorre tra te e Dio: l’amore di Dio vi si è manifestato nell’atti­rare il tuo cuore a pregare alla sua presenza, e il tuo amore è consistito nel presentare a Dio il tuo cuore, fosse pure unicamente sotto l’aspetto dell’afflizione e della compunzione. La preghie­ra è una manifestazione d’amore, timida all’ini­zio, così che non riesci a esprimerla con parole d’amore, ma piuttosto con parole di rincresci­mento, di pentimento e di contrizione. La matu­rità della preghiera è il segno manifesto della maturità dell’amore. Allora non incontrerai più difficoltà a esprimere il tuo amore con parole d’amore.
Dio è amore, solo amore. Egli è l’origine e la sorgente di ogni amore. Se il tuo cuore non si apre all’amore divino, resta lontano da Dio, pri­vato dei favori della sua natura radiosa.
Il primo segno che il tuo cuore è stato tocca­to dall’amore di Dio è un’aspirazione a diriger ti verso Dio per intrattenerti con lui: esattamente questo è la preghiera. La preghiera è dunque la prima manifestazione dell’effusione dell’amore divino nel tuo cuore.
Se è vero che all’inizio della tua esperienza di preghiera sei portato soprattutto ad accusare il tuo peccato, è per il semplice motivo che l’amo­re divino – che ha invitato e attirato il tuo cuore alla preghiera – è un amore estremamente puro, che non può venire a compromessi con il pecca­to. Perciò il primo effetto di questo amore è una preghiera di pentimento e di conversione, al fine di purificare il cuore per prepararlo allo scambio d’amore con Dio. La preghiera di compunzione e di afflizione, che spezza il cuore, è quindi a un tempo un primo effetto dell’amore divino e una preparazione del cuore a ricevere il Diletto In persona.
Cristo Gesù nell’evangelo ci esorta a conver­tirci per essere degni del regno dei cieli (cf. Mt 4,17). Nella preghiera, a motivo della presenza di Cristo in persona, il regno dei cieli si fa vici­nissimo a te. Perciò il desiderio di conversione aumenta durante la preghiera, al punto che arri­vi a essere disposto a sacrificare tutto, persino la tua vita, in riparazione dei tuoi peccati. L’im­pulso misterioso che ti spinge è la potenza d’a­more che Cristo riversa segretamente nel tuo cuore durante la preghiera. Questa potenza d’a­more ha il potere di ravvivare oltre misura l’ar­dore della tua preghiera. Il Cantico può dire al­lora con ragione che «l’amore è forte come la morte» (Ct 8,6).
La preghiera è l’occasione per Dio di riversare il suo Spirito d’amore nel tuo cuore. Una vol­ta riversato, questo Spirito agisce nel cuore e vi produce i suoi molteplici effetti: comincia con lo svelare il peccato, quindi lo condanna, e in­fine lo rimette. Nel ricevere questi effetti del­lo Spirito durante la preghiera, tu ricevi l’amore divino. La preghiera è così il mezzo per acqui­sire lo Spirito d’amore e sottometterti alla sua azione purificatrice.

La preghiera, atto di obbedienza

Questa sottomissione allo Spirito d’amore e alla sua azione purificatrice all’interno del cuore durante la preghiera è la prima e la più impor­tante manifestazione di obbedienza a Dio, di obbedienza al suo amore.
La docilità pronta al primo invito alla preghie­ra che avverti nel cuore rappresenta di fatto la risposta generosa di un’obbedienza sollecita alla voce dell’amore divino: l’amore ti invita alla pre­ghiera, e il tuo cuore obbedisce a questo invito. Il criterio di sincerità della preghiera, in quan­to obbedienza a questo richiamo d’amore, è che essa sia contrassegnata da sentimenti di penti­mento e di conversione per ogni peccato com­messo, per quanto insignificante esso sia, poi­ché la conversione è il primo effetto dell’amore divino.
La preghiera sincera è di per se stessa un atto di obbedienza a Dio. L’assiduità alla preghiera, la sollecitudine nell’osservare i tempi che le so­no consacrati e tutte le sue esigenze, rappresen­tano davvero la fedeltà dell’obbedienza a Dio.
Se ti sforzi ogni giorno di pregare con mag­gior fedeltà, scoprirai di essere più fedele nella tua obbedienza a Dio.

La preghiera, scuola di obbedienza

Se desideri imparare a obbedire alla voce di Dio, in modo concreto, nella tua vita, devi co­minciare con una pronta docilità allo Spirito della preghiera, fin dal momento in cui il richia­mo di Dio si fa sentire nel tuo cuore. In questo modo l’obbedienza a Dio diventa lieve per te, pur nelle circostanze più dure e più difficili.
Se non hai imparato, per prima cosa, a ob­bedire a Dio attraverso la preghiera continua, non puoi, nelle circostanze difficili, improvvisa­re un’obbedienza pronta, facile e serena. L’ob­bedienza a Dio, mediante la preghiera del cuo­re continua, offre l’occasione al tuo spirito di diventare più forte e di prevalere sulle tentazio­ni, sui piaceri e sulle sollecitudini della carne. A poco a poco la carne perde tutto il suo potere su di te e tu diventi estremamente docile all’appel­lo divino.
Se non impari a essere docile a Dio mediante la preghiera, ti illudi di poter obbedire in qual­siasi occasione; ma non appena Dio ti chiamerà al dono di te e al sacrificio, ti troverai preso alla sprovvista di fronte alla ribellione della carne, che s’impenna e avanza sempre mille falsi prete­sti per sfuggire all’appello di Dio. In definitiva, sarai ridotto a sottometterti alla carne, perden­do la grazia, e dovrai ritirarti tutto triste, con il capo chino.
L’obbedienza a Dio è una delle esigenze più difficili della relazione fra l’uomo e Dio. Persi­no alcuni fra i più grandi profeti e santi vi han­no trovato talora un’occasione di caduta. Ma se ti eserciti ogni giorno alla sottomissione alla vo­ce di Dio mediante la preghiera, arriverai facil­mente ad acquisire lo spirito di obbedienza con una spontaneità serena. Perché con la preghiera acquisti progressivamente lo spirito di abbando­no, vale a dire la disposizione a consegnare l’in­tera tua vita al progetto di Dio e al disegno del­la grazia. L’obbedienza diventerà così una par­te integrante del tuo modo di pensare, dei tuoi sentimenti e della tua volontà, e questo traspari­rà nel tuo comportamento.
Cristo stesso ha imparato l’obbedienza, come sta scritto: «Pur essendo Figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì» (Eb 5,8). Lui, il Figlio di Dio, il Signore della gloria (cf. 1Cor 2,8)!
Mediante la preghiera puoi acquisire, come già ti ho detto, lo spirito di abbandono a Dio. Poi­ché desidera renderti perfetto nell’obbedienza, Dio ti sottomette alla sofferenza. E tu, accet­tando la sofferenza alla quale Dio ti espone, ma­nifesti la pienezza della tua obbedienza a Dio, e questo è il segno del compimento della tua sal­vezza. Cristo, «pur essendo Figlio, imparò tut­tavia l’obbedienza dalle cose che patì e, reso per­fetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (Eb 5,8–9). È la pre­ghiera il mezzo per acquistare lo spirito di obbe­dienza e di abbandono a Dio. La sofferenza ac­cettata con gioia è infatti la perfezione dell’ob­bedienza, ed è anch’essa frutto della preghiera.
Se ami la preghiera e ti dedichi ad essa con fedeltà, sarai in grado di accettare la sofferenza con amore. Ma se hai in odio la preghiera, odie­rai necessariamente anche la sofferenza. Mostri così di essere totalmente estraneo allo spirito di obbedienza e, di conseguenza, anche all’amore divino, e di essere insensibile ai richiami di que­sto amore.

La preghiera,
capacità di abbandono alla volontà di Dio

Lo spirito di abbandono che ricevi durante la preghiera è in realtà un abdicare alla tua volon­tà. Perciò non ci puoi arrivare facilmente, ma solo al termine di un lungo conflitto fra l’«io» umano con le sue false speranze – sia religiose che temporali – e la volontà divina, che non de­sidera altro che la tua salvezza. La volontà pro­pria – l’«io» – viene distrutta solo per mezzo delle contrarietà inviate da Dio per turbare la falsa quiete dell’«io» e abbattere i monumenti d’illusione che questi innalza a propria gloria di­nanzi agli uomini. Se durante questo conflitto tu smetti di pregare, perdi il tuo attaccamento e la tua sottomissione alla volontà divina e non discerni più lo scopo della lotta e della vita spiri­tuale, che è unicamente la tua salvezza. Ti schie­rerai allora dalla parte della tua volontà, del tuo «io», e comincerai a mormorare contro le prove che Dio ti manda per la tua salvezza. Rifiuterai le contrarietà e gli oltraggi che Dio, nella sua somma sapienza e provvidenza, dispone per te al fine di liberarti dalla vanagloria. Troverai il colmo dell’amarezza, al punto di desiderare la morte piuttosto di vederti così umiliato dinanzi agli uomini e al mondo, perché il tuo «io» assu­merà ai tuoi occhi un’importanza maggiore che non Dio stesso, il Signore della vita!
Se invece trovi rifugio nella preghiera e vi ade­risci, vedrai nelle sofferenze, nelle contrarietà e nelle umiliazioni una condiscendenza di Dio che si degna di intervenire nella tua vita per cor­reggerti e per completare in te il miracolo dell’u­miltà. Mediante la perseveranza nella preghiera riceverai finalmente lo spirito di abbandono e di sottomissione alla volontà di Dio; la grazia rischiarerà la tua intelligenza per farti vedere quanto la tua salvezza dipenda in realtà dal mo­do in cui ti disponi ad accettare le sofferenze, le contrarietà, le malattie e ogni sorta di umilia­zioni. Ti schiererai sempre più dalla parte del­la volontà divina, fino alla totale sottomissione della tua volontà, fino alla soppressione di ogni tuo desiderio. Tutta la tua felicità consisterà or­mai nel compiere la volontà di Dio; vi troverai la tua gioia più grande, pur nelle circostanze più difficili.
La preghiera è quindi in grado di conferirti la capacità di aderire alla volontà di Dio e di ab­bandonarti in lui con gioia.


Il sacrificio, pienezza dell’obbedienza

Il progresso nella preghiera determina il pro­gresso nell’obbedienza. E la pienezza dell’ob­bedienza è in se stessa la pienezza dell’amore. Quando il cuore diventa sensibile all’amore di Cristo, quando ne è toccato e vi risponde con docilità, diventa degno di essere iniziato al suo mistero. Il sacrificio è il mistero dell’amore di Cristo.
In altre parole, quando ami la preghiera e tro­vi in essa il tuo equilibrio spirituale, entri in co­munione spirituale con Cristo: cominci a com­patire con lui la miseria dei peccatori, degli op­pressi e dei poveri; il tuo cuore diviene simile a quello di Cristo. La preghiera perseverante e fe­dele comporta quindi una comunione reale alla vita di Cristo e una partecipazione alla sua mis­sione essenziale. Se sei assiduo alla preghiera, non tarderai a ricevere nel tuo cuore il fuoco di Cristo e la sua missione propria, cioè il deside­rio ardente della salvezza degli uomini, l’amore per i peccatori, il dono di sé per sollevare gli al­tri, l’impoverimento volontario per arricchire i fratelli e la scelta generosa della croce come se­gno di amore autentico.
Nella preghiera, dunque, cominci con l’incon­trare Cristo, poi lo ami ed entri in comunione con lui, infine partecipi realmente alla sua vita e alla sua croce.
Se desideri far tua la missione di Cristo, an­nunciare le sue sofferenze e la sua croce, devi quindi cominciare con il dedicarti alla preghiera con tutto il cuore, allo scopo di impregnarti del­la volontà di Cristo, prima di abbracciare la mis­sione.







L’INTERCESSIONE



La preghiera, fonte di potenza per gli altri

Quando avverti in te la gioia della comunione con Cristo durante la preghiera e sei giudicato degno di portare la sua croce, non vuol dire che la tua preghiera sia giunta al termine. Al contra­rio, è un invito per te a cominciare l’iniziazione al mistero della preghiera che supera l’intelletto umano: scopri allora che le tue preghiere diven­tano per gli altri una sorgente di potenza spiri­tuale.
Colui al quale Cristo affida i segreti del suo cuore e la sua missione verso i peccatori riceve dallo stesso Cristo la potenza di portare a com­pimento la sua opera e di vivere il suo amore.
Colui che ama i peccatori come Cristo li ama, che compatisce la sofferenza dei poveri e dei malati, e che è disposto a spendere le proprie energie per loro, è proprio chi è capace di prega­re per loro e di ottenere la loro guarigione, la lo­ro consolazione e il loro conforto.
Se la tua preghiera s’innalza al livello dell’a­more divino mediante un’obbedienza assidua al­lo Spirito e si dilata in comunione con Cristo, essa diventa allora potente ed efficace, al punto di essere per gli altri una fonte di assistenza spi­rituale, di conforto e di consolazione: diventa persino capace di ottenere per gli altri la remis­sione dei peccati. Se infatti ti unisci a Cristo mediante la preghiera, diventi capace di metter­ti al posto del peccatore, in quanto disposto a prendere su di te il suo peccato e tutta la sua de­bolezza, e a sopportare al posto suo ogni corre­zione e ogni castigo. Diventi allora, proprio in virtù di questa disposizione e della tua unione a Cristo, capace di domandare per gli altri il per­dono dei loro peccati, e di ottenerlo.
La tua preghiera comincia ad avere un ruolo estremamente importante per la salvezza degli altri, per il perdono dei loro peccati e la manife­stazione della misericordia divina in coloro che sono lontani da Dio per indifferenza o per igno­ranza. Essa diventa così il saldo fondamento del­la predicazione; la forza misteriosa che precede la Parola e prepara i cuori a ricevere la remissio­ne e la salvezza. Ricordati che un solo cristia­no che prega con fervore, nella sua camera, nel segreto, può, mediante la sua unione a Cristo, procurare la salvezza di migliaia di persone.

Dio si serve delle tue preghiere
per la salvezza degli altri

Devi sapere che, quando Dio ti attira alla pre­ghiera, non prende in considerazione unicamen­te la tua salvezza, ma desidera servirsi delle tue preghiere anche per la salvezza degli altri. Per­ciò la preghiera è una delle opere più preziose e fondamentali agli occhi di Dio.
Se ti applichi nella vita di preghiera e pro­gredisci rapidamente nello spirito di abbandono e di obbedienza alla volontà di Dio, diventerai «un buon soldato di Cristo Gesù» (2Tm 2,3). Il Signore stesso ti chiama tutti i giorni a stare alla sua presenza e ti esercita a intercedere a favore degli altri, fino a essere esaudito. Riceverai ben presto dal Signore la capacità di salvare numero­se persone e di ricondurle dalla via della morte verso il seno di Dio.
Il progresso della tua vita di preghiera dipen­de dal fervore del tuo amore. E un tale fervore è la conseguenza diretta sia della gioia che prova Dio nei tuoi riguardi, nella sua condiscendenza verso la tua debolezza, sia dell’ampiezza dell’o­rizzonte della tua umanità[4]. Questa ampiezza corrisponde alla coscienza che hai del tuo dovere­ assoluto nei confronti degli altri, della tua re­sponsabilità spirituale nei riguardi dei peccatori e di coloro la cui fede o la cui carità sono fragili, di coloro che soffrono o sono oppressi, di coloro che predicano e annunciano la Parola.
I gradi superiori della preghiera, in cui essa si slancia verso la perfezione, sono contrassegna­ti dalla supplica fervente accompagnata dalle la­crime in favore degli altri. È come se il progres­so nella vita di preghiera ti fosse in realtà accor­dato a vantaggio dei tuoi fratelli deboli che non sanno pregare. «Pregate gli uni per gli altri, per essere guariti» (Gc 5,16).
E quando Giacomo ingiunge di chiamare «i presbiteri della chiesa» perché preghino sul ma­lato che soffre, allo scopo di guarirlo, è perché si suppone che il prete sia più avanzato degli altri uomini nella vita di preghiera, vi abbia ricevuto maggiori grazie e sia così stato messo a parte perché si consacri a pregare per gli altri.
Il progresso nei gradi della preghiera, l’acqui­sizione di un’autentica parresia davanti a Dio e il dono delle lacrime dipendono unicamente dal progresso della tua compassione verso coloro che soffrono e sono oltraggiati (dagli altri uomini o dal peccato): «Ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere, e di quelli che soffrono, essendo anche voi in un corpo morta­le» (Eb 13,3).
In altre parole, il progresso della tua intimità con Dio, che trova il suo centro nella preghiera, dipende fondamentalmente dal progresso della tua conoscenza dei fardelli degli uomini e dalla tua disponibilità a portarli insieme con loro con sempre maggiore generosità.


La comunione con Cristo
e la condivisione delle sofferenze degli uomini

La capacità di prender parte alle sofferenze di coloro che soffrono, che sono malati o tribolati, e di condividere i loro pesi, non ti viene da una semplice filantropia umana, da una compassio­ne passeggera o dal desiderio di essere benvisto o di ricevere elogi: una tale compassione infatti sarebbe votata a diminuire ben presto, e poi a scomparire. Ma è attraverso la preghiera perse­verante, pura, sincera, che puoi ricevere questi sentimenti, come un dono di Dio che ti rende capace non solo di perseverare in tale comunio­ne con i più deboli, ma anche di progredirvi a tal punto da non poter più vivere senza di loro (cf. 1Ts 3,8) e da non trovare riposo se non nella condivisione delle loro pene e delle loro soffe­renze. Il segreto di questo carisma sta nella tua comunione con Cristo, nella tua partecipazione alla sua natura e alle sue qualità divine, così che è lui ormai che suscita in te il volere e l’operare (cf. Fil 2,13). Così la condivisione delle soffe­renze degli uomini e la comunione con Cristo dipendono strettamente l’una dall’altra; cosic­ché portare la croce di Cristo significa già di per sé prendere parte alla croce degli uomini, senza riserve, fino in fondo.
Quando diminuisce l’intimità del tuo rappor­to con Cristo nella preghiera, è il sintomo che una grave malattia ha colpito la preghiera nella sua stessa essenza. Se operi per gli altri, se sei al loro servizio e preghi per loro, questo significa una perdita grave, un insuccesso sicuro: comin­cerai allora a intiepidirti, a sentire stanchezza; solo con sforzo riuscirai a compiere quei doveri che prima ti erano così cari; in seguito arriverai a trascurar li e a desiderare di evitarli, e infine ad astenertene e a rifiutarti di compierli. Perché senza Cristo è impossibile continuare a servire gli altri con un’azione feconda, sostenuta ed ef­ficace; e Cristo, non lo raggiungi se non nella preghiera.


La ricerca di te stesso nella preghiera la contamina

La preghiera giunge al suo grado di purezza autentica quando in essa dimentichi totalmen­te te stesso, quando cioè smetti deliberatamente di interessarti di te stesso e preferisci occuparti unicamente dei bisogni, delle ansie e della sal­vezza degli altri. Il grado di purezza perfetta del­la preghiera corrisponde al grado dell’amore per­fetto. Ora, l’amore è veramente autentico solo quando «non cerca il proprio interesse» (1Cor 13,5). Interessarti di te stesso, dei tuoi bisogni – siano essi spirituali oppure materiali – deno­ta un’imperfezione dell’amore e, di conseguen­za, un’imperfezione della preghiera. La causa di tutto ciò sta nell’imperfezione della tua cono­scenza interiore di Cristo e della tua unione con lui. Cristo ha detto: «Non cerco la mia volon­tà...» (Gv 5,30). «Non v’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13). «Chi ama la propria vita la perde» (Gv 12,25). «Amate i vostri nemici, pregate per i vo­stri persecutori» (Mt 5,44).
L’oblio di te stesso comincia con uno sforzo della volontà. Ma quando vi perseveri con sin­cerità dinanzi a Dio, Dio te lo concede come un dono gratuito. È con spontaneità, allora, che non ricercherai più il tuo interesse, ma penserai piuttosto a quello degli altri (cf. Fil 2,4).
Se nella preghiera trascuri deliberatamente i tuoi bisogni e trovi la gioia unicamente nel do­mandare, nel supplicare e nel prodigarti a van­taggio degli altri, allora Dio stesso comincerà a occuparsi di te e a farsi carico di tutta la tua vi­ta, sia sul piano materiale che su quello spiritua­le, fin nei minimi dettagli. In altri termini, quan­do ti occupi degli altri, Dio si occupa di te; e quando ti limiti a pregare e a supplicare per i bi­sogni degli altri, Dio soddisfa i tuoi bisogni sen­za che tu glielo chieda. In questo modo si realiz­za, per mezzo della preghiera, il disegno salvifi­co di Dio, a proposito del quale Cristo disse ai suoi apostoli: «Andate, fate discepole tutte le nazioni» (Mt 28,19).
Se il tuo cuore si è aperto a Dio, Dio ti basta: non devi più chiedere nulla per te. Se, invece, il tuo cuore non si è ancora aperto a Dio, hai biso­gno di cuori amici che si effondano dinanzi a Dio in tuo favore, affinché Dio ti esaudisca per la preghiera fervente dei tuoi fratelli.
Se hai conosciuto e amato Dio, allora sei re­sponsabile dinanzi a Dio del fratello il cui cuore non si è ancora aperto a Dio. Attraverso la pre­ghiera di coloro che lo amano e che gli sono vici­ni Dio raggiunge i peccatori che si sono sperduti lontano da lui.
Coloro che hanno amato Cristo e che gli sono fedeli diventano sulla terra autentici ambascia­tori di Cristo. Con le loro preghiere e con la loro disposizione a prodigarsi per gli altri essi ricon­ciliano Dio con gli uomini e gli uomini con Dio: «Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cri­sto... Vi supplichiamo in nome di Cristo: lascia­tevi riconciliare con Dio» (2Cor 5,20).
In tanti casi, ti pare impossibile entrare in rapporto con i peccatori e gli sbandati, sia a cau­sa della loro ostilità, sia per la vergogna che es­si provano a parlarti. Ma con la preghiera puoi scavalcare questi ostacoli che ti separano da lo­ro: superi la loro ostilità ed eviti la loro vergo­gna; mediante la preghiera infatti puoi avvici­narti segretamente alloro cuore, puoi introdur­ti nel loro intimo senza che essi se ne rendano conto e ivi gemere identificandoti con loro, co­me se fossi tu stesso peccatore e sbandato. E tutto questo prima ancora che essi ti conoscano e ti parlino. Se dunque, dal fondo del loro cuo­re, tu preghi e gridi verso Dio portando il pe­so dei loro errori e del loro smarrimento, Dio li ode tramite te, e, nonostante il loro recalcitrare, il pentimento assale la loro coscienza e l’appello a ritornare si fa così pressante che essi si dirigo­no ben presto verso Dio e verso di te chiedendo il tuo aiuto.
La preghiera è una forza d’attrazione in virtù della quale puoi attirare il fratello grazie all’a­zione dello Spirito santo; infatti è per mezzo dello Spirito che Cristo attira tutti a sé (cf. Gv 12,32) e trasforma in se stesso la dualità in uni­tà (cf. Ef 2,14).

Anche tu hai un grande bisogno che si preghi per te

Non sono solo i peccatori e gli sbandati che hanno bisogno che si preghi per loro, affinché si convertano e giungano alla conoscenza di Dio; ma anche tu, come anch’io del resto, hai bi­sogno delle preghiere degli altri. Perché trop­po spesso trascuriamo di esaminare la nostra co­scienza e lasciamo che vi si trascinino gravi col­pe: per lunghi anni omettiamo di accusarcene, e queste contribuiscono a indebolire la nostra vita spirituale. Per questo motivo la nostra ani­ma si trova sprovvista della potenza di Dio e dell’azione manifesta della grazia. Noi parliamo dei peccati degli uomini, preghiamo per gli altri, e intanto il peccato cova nelle nostre membra, contamina i nostri pensieri e alimenta le nostre passioni.
Abbiamo un estremo bisogno che si preghi per noi con fervore, affinché lo Spirito ci sveli i peccati che si trascinano e si nascondono nel nostro cuore, e la nostra coscienza sia presa dal pentimento e si converta. Potremo allora riceve­re in noi la potenza di Dio, e le nostre preghiere e tutte le nostre azioni saranno ravvivate dal di­namismo della grazia.
Le preghiere degli altri, quando sono dirette verso di te con forza e discernimento, risveglia­no il tuo essere interiore. Diventano come rag­gi infuocati, sfavillanti, che ti illuminano la co­scienza e infiammano il cuore, affinché tu cer­chi la conversione e la salvezza. Le preghiere degli altri, quando sono ferventi, diventano per te uno dei fattori più importanti per rinnovare la tua vita e acquisire maggiore energia spirituale.
Anche i santi, i profeti e gli apostoli aveva­no bisogno delle preghiere degli altri. Se Cristo non avesse pregato per lui, Pietro con il suo rin­negamento si sarebbe perduto per sempre e la sua fede sarebbe venuta meno senza possibilità di ritorno (cf. Lc 22,32). Ugualmente, se non ci fosse stata la preghiera instancabile della chiesa per lui, egli avrebbe terminato la sua vita in pri­gione, al tempo di Erode (cf. At 12,5). Anche Paolo aveva una coscienza acuta dell’importanza della preghiera degli altri perché gli fosse dato di «aprire la bocca» per annunciare il messaggio dello Spirito e per poter perseverare nel proprio ministero. Perciò non cessava mai di chiedere a ogni chiesa di pregare per lui (cf. Ef 6,19; Col 4,3; Rm 15,30; eccetera).
Al santo, al profeta, all’apostolo, dunque, non può bastare la preghiera che egli fa per se stesso o per il proprio ministero: egli ha un vivo bi­sogno che gli altri preghino per lui, perché sia maggiormente riempito della potenza divina e perché la grazia susciti in lui nuove energie.
E così la preghiera degli altri diventa, per te che agisci o predichi, una sorgente insostituibile di energia spirituale. Nella misura in cui le pre­ghiere degli altri per te si fanno più ferventi, la tua azione diventa più efficace; e fintantoché qualcuno persevera a piegare le ginocchia per te dinanzi al Signore, persiste anche l’ardore della tua azione, e le tue parole ricevono la potenza e l’efficacia dello Spirito santo.

La preghiera per gli altri è una grave responsabilità

La necessità della preghiera viene sentita in tre gradi diversi: all’inizio, avverti tale necessità come un atto di fedeltà, la fedeltà del servo nei confronti del suo padrone o del suo creatore. Gli rendi grazie, lo lodi e lo glorifichi in risposta ai benefici che hai ricevuto da lui. Senti che è dalla sua mano che ricevi ogni cosa e che è a lui che devi ridare tutto (cf. 1Cr 29,14). È per que­sto che è grave smettere di pregare. Il servo può forse smettere di essere fedele e restare ancora nella casa del padrone?
Se progredisci nella preghiera, ne percepisci meglio l’essenza stessa, in quanto essa esprime la relazione vivificante che ti unisce al tuo Si­gnore. Se preghi, tu vivi della vita di Dio, se in­vece trascuri la preghiera, non vivi più che per te stesso e non ricevi in te i segni manifesti del­la vita divina. Se all’inizio, dunque, la preghiera esprime la fedeltà del servo, in seguito essa di­venta un segno di vita eterna.
Se poi continui a progredire nella preghiera, scoprirai una nuova dimensione importante: la preghiera diviene il canale attraverso il quale passa la tua relazione con i fratelli. Sperimente­rai infatti che la tua preghiera ha cominciato a diventare anche per gli altri una sorgente di vi­ta e di potenza. «Se uno vede il proprio fratello commettere un peccato..., preghi e gli darà la vi­ta» (1Gv 5,16). Se dunque preghi per gli altri, rialzerai e farai rivivere anime morte o moribon­de, secondo la parola del Signore: «Risuscitate i morti» (Mt 10,8).
E qui la preghiera comincia a diventare una grave responsabilità: perché, se per un motivo qualsiasi, tu smetti di pregare per i peccatori che vivono attorno a te e tralasci di supplicare in loro favore, essi moriranno nel loro peccato. Qui la negligenza nella preghiera raggiunge il suo culmine e provoca le più gravi conseguenze. Il peccatore muore nel proprio peccato per non aver avuto l’anima risvegliata, rianimata dalla preghiera degli altri. Come potrai giustificarti, allora, se avrai trascurato di pregare per lui e l’a­vrai così privato della sorgente di vita di cui Dio ti ha reso responsabile? Vedi quale gravità ha la preghiera?
Se, dunque, all’inizio della vita spirituale la preghiera sembra essere necessaria, poi essa si rivela, per coloro che vi progrediscono, come essenziale alla vita dello Spirito, e diventa infi­ne, per coloro che sono stati iniziati al mistero della preghiera per gli altri, una delle più gravi responsabilità che Dio abbia mai affidato agli uomini.
Se avverti la necessità della preghiera per i peccatori e trascuri di pregare per loro, ti carichi di una colpa grave e diventi responsabile della loro morte.
«Chi dunque sa fare il bene e non lo compie, commette peccato» (Gc 4,17).
«Quanto a me, non sia mai che io pecchi con­tro il Signore, tralasciando di supplicare per voi» (1Sam 12,23).
Se hai ricevuto la potenza di far rivivere un morto e non lo fai rivivere, ti rendi responsabile di quella morte. La preghiera è una capacità di ricondurre dalla morte alla vita, poiché il pecca­to è la morte dell’anima e la preghiera è il mezzo per ottenere la remissione del peccato.
«La preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati» (Gc 5,15).
Sei dunque chiamato a pregare per i peccato­ri, non soltanto per salvarli dalla morte del pec­cato, ma anche per non morire tu stesso a causa loro. La preghiera che innalzi per loro, con in­sistenza, con suppliche e lacrime, ti libera dalla responsabilità del loro sangue e ti impedisce di morire per causa loro (cf. Ez 3,19; 33,1–9).
La tua preghiera d’intercessione per i pecca­tori ti rende responsabile della salvezza del fra­tello aumentando casi la proporzione dei mem­bri attivi all’interno della famiglia umana. «Pi­glio dell’uomo, ti ho posto per sentinella alla ca­sa d’Israele» (Ez 3,16). E così, se riversi la tua anima nella preghiera per i peccatori, sei costi­tuito apostolo del messaggio di salvezza per tut­ti i peccatori, vicini o lontani, che hai incontra­to nella tua vita o che non hai mai conosciu­to. «Andate, fate discepole tutte le nazioni» (Mt 28,19).
Mediante la preghiera tu diventi sacerdote, nel senso che sei responsabile della salvezza de­gli altri e capace – nell’amore, nel dono di te stesso e nella partecipazione al sacrificio e al sa­cerdozio di Cristo – di liberarli dalla condanna a morte dovuta al peccato.
Facendoti carico del peccato degli altri, ge­mendo dal fondo del cuore sotto quel peso e facendo penitenza, tu diventi capace, facendoti peccatore al posto loro, di domandare perdono per loro e di ottenerlo.
«Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: Coraggio, figlio, ti sono rimessi i tuoi peccati» (Mt 9,2).






L’ADORAZIONE PURA
DEGLI ESSERI SPIRITUALI




La preghiera di lode, di adorazione
e di contemplazione del volto glorioso di Cristo

La preghiera è l’occasione di scoprire le quali­tà e la vita stessa di Dio.
«Il Signore sarà con voi, se voi sarete con lui; se lo ricercherete, si lascerà trovare da voi, ma se lo abbandonerete, vi abbandonerà» (2Cr 15,2).
«Di questo il Signore ha parlato quando ha detto: A chi si avvicina a me mi mostrerò santo» (Lv 10,3).
«Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e an­ch’io lo amerò e mi manifesterò a lui» (Gv 14,21).
Perciò, quando il tuo cuore si interessa delle qualità trascendenti di Dio e si avvicina a lui mediante la preghiera, tu cominci a gustare il sa­pore divino. Ogni volta che ti viene rivelata una nuova qualità divina, ne ricevi qualcosa; perché Dio non ti si manifesta attraverso una conoscen­za teorica, bensì attraverso la comunicazione mi­steriosa di una potenza divina.
Durante la preghiera Dio libera il tuo cuore dal fitto velo della ragione umana e ti rivela il suo disegno, l’economia secondo la quale egli guida la creazione intera e la tua stessa vita at­traverso i vari avvenimenti e il succedersi degli anni. Ne riceverai allora una chiara percezione delle qualità di Dio, ma mediante un’intuizione interiore accompagnata da una comunicazione di potenza. Allora tu gusti Dio e lo assapori, co­sì come puoi assaporare un favo di miele.
Se il miele, che pur è deperibile, ha la pro­prietà di rianimare il corpo, quanto più Dio non infiammerà il tuo essere interiore? Sentirai allo­ra il fuoco di Dio ardere in te, ora per purificar­ti, ora per consolarti e rallegrarti, ora per susci­tare in te un desiderio ardente del regno, ora per spingerti all’azione e al dono di te stesso. Ma, quali che siano i sentimenti suscitati in te dal fuoco divino, la tua preghiera, in virtù dell’e­sperienza che ne hai fatto, si innalza sempre a un grado supremo di lode e di glorificazione delle qualità indicibili di Dio. Né la lingua, né l’intelligenza, né il corpo si stancano di lodare e di esaltare il Nome di Dio e le sue qualità. Que­sta preghiera infuocata che non fa altro che lo­dare e glorificare le virtù divine è simile alla preghiera dei cherubini. Sta scritto che i cheru­bini sono «pieni di occhi» (Ez 10,12), come se­gno della contemplazione intensissima con cui essi percepiscono la natura di Dio. Ma tale per­cezione della natura divina non si opera in essi mediante la ragione, su un piano teorico, bensì attraverso una comunicazione di potenza. Per­ciò è ugualmente detto che essi sono» ardenti come torce» (Ez 1,13), per significare che sono vivamente influenzati dalla natura di Dio. La re­lazione fra le due espressioni: «pieni di occhi» e «ardenti come torce» è una relazione fondamen­tale nella creazione spiritual[5], poiché la chia­ra percezione di Dio nella preghiera conduce necessariamente a una certa partecipazione alla natura di fuoco di Dio.
«Il nostro Dio è un fuoco divoratore» (Eb 12,29). «Egli fa i suoi angeli pari ai venti, e i suoi ministri come fiamma di fuoco» (Eb 1,7).
Sappiamo, d’altronde, che la preghiera dei cherubini e dei serafini consiste nel proclamare incessantemente, con voce infaticabile e con labbra che non si stancano mai, la lode e la glo­ria di Dio: «Santo, santo, santo...» (cf. 1s 6,3; Ap 4,8). La natura di Dio è infatti infinitamen­te gloriosa, e a ogni creatura che ne ha percepito la gloria diventa impossibile cessare di lodarla, fosse pure anche per un solo istante.
Perciò, quando nella preghiera rivolgi a più riprese lo sguardo con amore verso il volto di Gesù Cristo, senza avere altro intento che quel­lo di amare Dio e di rendere a lui gloria, allora la tua anima si trova liberata dal fitto velo della ra­gione, e tu afferri la gloria della natura divina in Cristo. «Dio rifulse nei nostri cuori, per far ri­splendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo» (2Cor 4,6). Allora hai accesso alla preghiera di adorazione degli es­ser! spirituali...
È così che, durante la preghiera di contem­plazione di Cristo, Dio ti dà innumerevoli occhi di cherubino perché «risplenda nel tuo cuore la conoscenza della gloria di Dio». Allora il tuo cuore si trova così infiammato dal fuoco divino che tu diventi incapace, in quelle ore benedette, di fare altra cosa che non sia quella di glorificare Dio senza interruzione.


[1] Secondo la formula di san Cirillo di Alessandria.
[2] Citazione del tropario dell’ora di Terza. Il testo copto di questa preghiera allo Spirito santo è leggermente diverso dal greco: «Re celeste e Consolatore, Spirito di verità presente in ogni luogo, tu che riempi tutto l’universo, Tesoro di tutti i beni e Sorgente della vita, degnati di ve­ntre a dimorare in noi, purificaci da ogni macchia, o Buono, e salva le no­stre anime».

[3] In quanto è partecipazione alla preghiera eterna di Cristo. Cf. su­pra, «La preghiera e il tempo».
[4] Con questa espressione l’autore vuole indicare la coscienza che ab­biamo di non essere dei semplici individui isolati gli uni dagli altri, ma di essere membra della stessa natura umana [N.d.T.].
[5] Con «creazione spirituale» l’autore indica sia il mondo angelico che la nuova creazione: «Se uno è in Cristo, è una creatura nuova» (2Cor 5,17) [N.d.T.].