sabato 15 gennaio 2011

Gioia mia, Cristo è risorto!

Oggi, 15 gennaio la Chiesa russa ricorda nella liturgia il ritrovamento delle reliquie di san serafino di Sarov (1759-1833), monaco, carissimo alla tradizione orientale e non solo...
Le icone di Bose - sitle russo - tempera all’uovo cm 32x40 - icona di GIOVANNI RAFFA












Nel 1759 nasce a Kursk, in Russia, Prochor Mošnin, diventato più tardi uno dei più amati monaci russi e canonizzato dal Patriarcato di Mosca il 19 luglio del 1903 con il nome di Serafim di Sarov.
Recatosi diciottenne in pellegrinaggio alle Grotte di Kiev, Prochor fu indirizzato dallo starec Dositeo al romitaggio di Sarov, dove intraprese con tale convinzione la vita monastica da ricevere alla professione il nome di Serafim, «l'ardente».
Per vivere con maggiore profondità la ricerca dell'umiltà evangelica, egli ottenne nel 1794 il permesso di ritirarsi nella vicina foresta, dove coltivò nella preghiera e nell'ascolto delle Scritture il proprio desiderio di comunione con Dio; Serafim visse così, salvo brevi interruzioni, fino al 1810 nel silenzio e nell'isolamento più totali.
Ricevuto però l'ordine di rientrare nel monastero, dopo altri cinque anni vissuti da recluso nella sua piccola cella a Sarov, Serafim aprì la porta, per cominciare a offrire consigli spirituali, frutto dei suoi trentasette anni di vita di solitudine e preghiera, dedicati a quello che per il monaco di Sarov è il fine della vita cristiana: l'acquisizione dello Spirito santo.
Profondamente pacificato dalla grande intimità con Dio raggiunta a prezzo di tanti sacrifici, Serafim era ormai divenuto un uomo radioso, pasquale, uno starec capace di guidare tantissime persone nella vita spirituale.
Fondata una comunità femminile poco lontano da Sarov, Serafim passò gli ultimi anni della sua vita alternando la preghiera alla sollecitudine paterna verso tutti coloro che gli chiedevano una parola. Morì il 1° gennaio 1833, ed è ricordato anche nel calendario anglicano.

TRACCE DI LETTURA
La preghiera, il digiuno, le veglie e tutti quanti gli altri precetti cristiani, per quanto di per se stessi possano essere buoni, tuttavia non nel loro semplice adempimento consiste per noi il fine della vita cristiana, anche se pure essi servono quali mezzi indispensabili per raggiungere tale fine. Il fine autentico della nostra vita cristiana consiste, invece, nel conseguimento dello Spirito santo di Dio.
E soltanto le buone azioni compiute unicamente per amore di Cristo ci recano i frutti dello Spirito santo.

Serafim di Sarov, dal Colloquio con Motovilov
PREGHIERA
Signore Dio,
che hai dato a Serafim di Sarov
un cuore fiammeggiante
della gioia del Cristo risorto
e lo hai reso portatore dello Spirito
in mezzo ai fratelli e alle sorelle,
concedici di acquisire
il dono dello Spirito santo
per il discernimento di ogni pensiero,
la lotta contro il tentatore
e la pace del cuore.
Per Cristo nostro unico Signore.

* * *

Davvero un regalo prezioso per i lettori di questo blog: la vita, il testo del "Colloquio con Motovilov, gli scritti spirituali, e il canone della preghiera.



SAN SERAFIM DI SAROV: UNA VITA DI SANTITA’
Alla fine del XVIII secolo, un monaco andò a stabilirsi in un isba nel mezzo delle impenetrabili foreste che accerchiavano l'eremo di Sarov. Aveva circa quarant'anni, era di statura alta e imponente. Sebbene avesse passato lunghi anni nell'ascesi più rigorosa, aveva conservato un volto fresco e gradevole. Gli occhi blu, dallo sguardo profondo, erano nascosti da fitte sopracciglia. Una lunga capigliatura bionda gli cadeva sulle spalle e una folta barba gli circondava la faccia. Tutto denotava in lui un grande vigore fisico e intellettuale.
La sua isba si trovava nel cuore di un bosco di pini, ai piedi di una collina, sul bordo della Sarovka. Era costruita con tronchi messi insieme e contava un solo locale rischiarato da due piccole lucerne; l'unico mobile era una stufa. Ci volevano più di due ore all'eremita per raggiungere il monastero, per uno stretto sentiero che aveva dovuto aprirsi attraverso le macchie di conifere. In inverno la tempesta e il grande silenzio bianco lo tagliavano dal mondo esterno.
Con pazienza e assiduità l'eremita spese le sue energie per salire, tappa dopo tappa, le rudi vette dell'ascesi cristiana. Come un nuovo Simeone lo Stilita, per tre anni passò quasi tutto il suo tempo, più di mille giorni e notti, in preghiera, inginocchiato su un grosso sasso preso dal ruscello. Con le braccia levate al cielo, mormorava incessantemente con le labbra e dal fondo dell'anima:

« Signore, abbi pietà di me, peccatore! »
Questo eremita era lo ieromonaco Serafim, il cavaliere di Dio. « Dialoga con gli angeli », è la «forza della Chiesa e la gioia dei credenti »: con queste parole la Chiesa ortodossa celebra colui che resta la figura più perfetta, la più radiosa della santità russa.
Serafim, il cui vero nome era Prochor, nacque il 19 luglio 1759 a Kursk. Su di lui vegliava la provvidenza: a sette anni cadde dall'alto di un campanile e non si fece alcun male. Tre mesi più tardi fu colpito da una grave malattia; vide allora in sogno la Madre di Dio che gli prometteva la guarigione. Non amava affatto mescolarsi ai giochi dei ragazzi della sua età e preferiva restare solo e dedicarsi alla lettura della Scrittura e delle vite dei santi. Anche l'ufficio divino lo attirava in modo del tutto particolare.
Proveniente da una famiglia di commercianti, non provava però alcun gusto per gli affari; tuttavia, nella sua vita di starets, durante i colloqui gli capitava spesso di utilizzarne il vocabolario per meglio far cogliere ai suoi discepoli il suo pensiero. Non conservò altre tracce della sua breve iniziazione commerciale. All'età di 18 anni lasciò sua madre e si recò in pellegrinaggio a Kiev, in quell'epoca frequentata ogni anno da migliaia di fedeli che visitavano gli eremiti, gli abitanti delle grotte. In una delle più piccole viveva lo starets Dositeo che possedeva il dono della profezia. Prochor lo implorò di benedire la sua vocazione monastica.
« Figlio mio, gli disse lo starets, va' al monastero di Sarov e non ripartirne più. Quel luogo sarà la tua salvezza. Lì, con la grazia di Dio, concluderai il tuo pellegrinaggio terreno.
Sforzati solo di restare sempre unito a Dio ripetendo senza sosta questa preghiera:

« Signore Gesù Cristo Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore"
.

Sii sempre fedele a questo esercizio e resta vigilante. Quando cammini,
quando ti siedi, al lavoro, in chiesa, in ogni momento, questa preghiera resti viva nelle tue labbra e nel tuo cuore. Vi troverai la pace; essa ti darà la purezza dell'anima e del corpo. E lo Spirito santo, che è la fonte della salvezza, sarà su di te e ti custodirà sul cammino della santità ».
Dopo un'ultima preghiera davanti alle reliquie dei santi dei monasteri di Kiev, il giovane Prochor si mise immediatamente in viaggio per Sarov, dove avrebbe rivelato agli occhi del mondo « la meraviglia delle meraviglie » di un'autentica vita cristiana.
I monaci del recente eremo di Sarov vivevano nell'obbedienza di una regola molto stretta, sotto la guida di eremiti stimati quali lo starets Nazario, detto « il candido », e lo starets Josif.
Al termine di otto anni di noviziato, sotto la guida dello starets Josif, Prochor ricevette l'abito monastico e poco dopo fu ordinato ierodiacono. Il Padre Pacomio, abate del monastero, avendo potuto apprezzare la sua fede ardente e « serafica », al momento della sua professione gli diede il nome di Serafim.
Poco prima della cerimonia Serafim fu colpito da idropisia. Vedendolo in uno stato disperato l'abate voleva chiamare il medico, ma il malato si oppose: « Mi sono messo nelle mani del Signore che è il vero medico del corpo e dell'anima e anche in quelle della sua santissima Madre. Se ne avete la benevolenza, somministrate ora a me, povero malato, la medicina celeste, nel nome del Signore». Si era allora confessato e aveva ricevuto la santa Eucarestia. Molti anni dopo, poco prima della morte, Serafim raccontò ad un monaco la visione concessagli al momento di quella Comunione. La santissima vergine Maria gli apparve in una luce soprannaturale, con al fianco gli apostoli Pietro e Giovanni. Essa si rivolse all'apostolo Giovanni e gli disse: « Lui è della nostra razza ». Dicendo ciò pose la mano sulla testa del moribondo e l'acqua che gonfiava il suo corpo fuoriuscì da una piaga sul fianco destro, piaga di cui conservò sempre la cicatrice.
Dopo la guarigione, Serafim passò lunghe notti in fervente preghiera davanti alla Madre di Dio, alla quale sempre avrebbe testimoniato una devozione molto fervida.
Nella sua qualità di ierodiacono, celebrava la liturgia quasi quotidianamente. Il tempo rimanente meditava nella sua cella la Sacra Scrittura e i Padri della Chiesa.
Durante questi anni ebbe la grazia di una nuova visione. Si era nella Settimana Santa, un Giovedì santo, durante l'ufficio liturgico del mattino. Come d'abitudine, Padre Pacomio celebrava con Serafim. Nella sua qualità di diacono, Serafim avanzò davanti alla « porta regale » e pronunciò la formula: « Signore, salva i tuoi fedeli ed esaudiscici! » Secondo il rito, doveva contemporaneamente presentare l'Orarion all'assemblea. Ma gli fu impossibile sollevare la mano; il suo volto si irrigidì e nessuna parola uscì dalle sue labbra. Tutti capirono che aveva una visione. Due ierodiaconi lo presero per le braccia e lo portarono all'altare.
Per tre ore Serafim non poté pronunciare neppure una sillaba. Ritornatagli la parola, raccontò umilmente all'abate quello che gli era successo: « Quando io, povero come sono, ho detto la preghiera: Signore, salva i tuoi fedeli ed esaudiscici" e stavo per sollevare l'Orarion, ho improvvisamente scorto davanti a me una luce splendente come il sole. In questa luce ho visto nostro Signore Gesù Cristo nel suo aspetto umano, in tutto lo splendore della sua gloria, circondato da angeli ed arcangeli, cherubini, serafini, come da uno scintillante sciame di api. Il Signore si spostava nell'aria dalla porta ovest della chiesa verso la tribuna e, con le mani alzate, ha benedetto i preti e i fedeli in preghiera. Poi è entrato nell'icona a destra della «porta regale" e lì l'ho visto come trasfigurato. Io, che sono cenere e polvere, ho potuto contemplare il Signore Gesù Cristo, egli mi ha ancora benedetto e il mio cuore ha gustato in pienezza la dolcezza del suo amore ».
Il vescovo della diocesi, Teofilo, anch'egli asceta austero e promotore del monachesimo, aveva sentito parlare della pietà del monaco Serafim e per il bene della Chiesa lo ordinò ieromonaco il 2 settembre 1793. Dopo aver ricevuto la grazia del sacerdozio, Serafim continuò a condurre la sua vita ascetica. Alla morte del vecchio abate Pacomio, decise di lasciare il monastero e di ritirarsi nella solitudine perfetta. In un gelido giorno d'inverno, alla fine del 1794, s'incamminò per un faticoso viaggio attraverso la spessa coltre di neve e decise di cercare asilo in una piccola capanna nel cuore della foresta. Non aveva con sé nient'altro che le Sacre Scritture e i vasi sacri per la Liturgia.
Motto presto i fedeli, sia per curiosità che per bisogno di consigli, cominciarono a disturbare la sua solitudine. Vennero anche numerose donne a importunarlo con i più svariati problemi; Serafim, distratto dall'obiettivo prefissosi a causa di questi indesiderati visitatori, pregò Dio con tutta l'anima di benedire i suoi disegni e, se tale era la sua volontà, di restituire il silenzio al suo romitaggio. Chiese un segno dal cielo: che i rami dei pini si piegassero e chiudessero completamente il sentiero, così da nascondere la sua casetta...
Quando arrivarono le feste di Natale, ritornò alla chiesa dell'eremo per gli uffici; poi, dopo aver ricevuto la santa Eucarestia, riprese la strada del ritorno. Si accorse allora che i fitti rami dei pini si abbassavano fino a terra e chiudevano l'accesso al suo rifugio. Seppe così che Dio aveva benedetto la sua nuova vita e 10 ringraziò in ginocchio per questa testimonianza della sua grazia. L'indomani, secondo giorno dell'Ottava di Natale, giorno in cui la Chiesa ortodossa celebra la santissima Madre di Dio, Padre Serafim ritornò al monastero per l'ufficio. Quando si terminò di cantare « l'inno dei Cherubini », si avvicinò umilmente al celebrante e gli disse: « Padre abate, dammi la tua benedizione, perché nessuna donna venga più a presentarsi davanti a me». L'abate rispose con tono severo: « questo il momento per una richiesta di tal genere, padre Serafim? » « Si, Padre », supplicò Serafim, tanto umile quanto perseverante. « E come potrei vedere dal monastero che non si avvicini più neppure una donna al tuo eremo? » « Pronuncia solo questa benedizione, Padre abate, e sarà così »
L'abate prese l'icona della festa, l'icona della santissima Madre chiamata « Corpo beato » e con essa benedì l'eremita Serafim: « Ti dò la mia benedizione, nessuna donna troverà ormai la strada della tua collina. Quanto a te, sii vigilante! »
Serafim baciò la santa icona e ricevette ancora il Pane consacrato.
Cominciò allora veramente la sua vita di eremita. Rinunciò all'abito monastico nero per una cocolla bianca e dei sandali di corteccia. Sul petto aveva la croce benedetta da sua madre e sulla spalla un tascapane contenente alcune pietre, il Vangelo e i Padri della Chiesa. Sotto la camicia portava delle croci di ferro che pesavano qualcosa come otto libbre, attorno alle reni una cintura di ferro. D'inverno tagliava legna nella foresta per la sua stufa, nella quale però si accontentava di avere, dato il grande freddo, solo il fuoco necessario per intiepidire un po' la sua capanna. D'estate coltivava in un piccolo orto le verdure che gli servivano da cibo.
« Oh solitudine! Oh cuore della dottrina, scuola del celeste e divino sapere, in cui Dio è tutto ciò che possiamo apprendere!
Oh deserto, paradiso di dolcezza, in cui i fiori profumati della carità ora risplendono in una luce di fuoco, ora brillano del candore della neve. In quest'asilo ritirato, risparmiato dai venti, regnano la pace e il riposo.
S'innalza l'incenso della mortificazione della carne, ma anche quello ancor più meritorio della mortificazione della volontà. E
nell'incensiere della preghiera perpetua crepita il fuoco ardente
e dolce, la fiamma immortale dell'amore di Dio! »
Così parlava san Basilio il Grande, così Serafim celebrava a sua volta la solitudine. Nel cuore dei suoi compiti monastici alza verso il cielo le preghiere, i salmi e i tropari che sa quasi interamente a memoria. Ama in modo del tutto speciale gli inni in onore della Madre di Dio. Ogni giorno legge pagine del Vangelo, delle Epistole o testi dei Padri che hanno esaltato la solitudine. La principale sorgente della sua ascesi è la preghiera. Le sue preghiere del mattino e della sera sono lunghe e gli ispirano nello stesso tempo l'umiltà, la penitenza davanti al Signore e la fede della sua Gloria. Di frequente rilegge la preghiera di penitenza di sant'Efrem il Siro, prescritta per le settimane di Quaresima.
« Signore e Padrone della mia vita, non darmi uno spirito di ozio, di abbattimento, d'ambizione e di vane parole. Ma fa' grazia, a me tuo servo, di uno spirito di castità, di umiltà, di pazienza e di carità.
Signore, mio Re, fa' ch'io veda i miei peccati e che non giudichi il mio fratello, perché tu sei benedetto nei secoli dei secoli... »
Durante la prima settimana di Quaresima, Serafim osservava un digiuno totale; solo il sabato, dopo aver ricevuto la santa Eucarestia, prendeva il pane consacrato, la prosfora.
Durante questo periodo di vita eremitica per due anni si cibò solo di una specie di cipolla selvatica che mangiava cotta nell'acqua, fresca d'estate e seccata d'inverno.
Gli capitava di raccontare agli altri startsi le tentazioni che il demonio gli faceva subire: spesso, nel mezzo della sua preghiera notturna, vedeva crollare le pareti della sua capanna e le bestie selvagge precipitarsi urlando su di lui. Un monaco gli chiese un giorno a questo proposito: « Padre, e' vero che hai visto gli spiriti cattivi? » « Sono spaventosi, disse semplicemente l'eremita con un sorriso. Come è impossibile ai peccatori sopportare la luce degli angeli, così gli spiriti del male sono spaventosi da vedere ».
In questi anni successe un fatto grazie al quale Dio offrì all'eremita l'occasione di testimoniare la sua carità verso il prossimo.
Un giorno d'autunno del 1804 Padre Serafim tagliava, come al solito, la legna nella foresta. Tre uomini vestiti da contadini si avvicinarono a lui ed esigettero brutalmente che consegnasse loro i suoi soldi. Quando rispose che non ne aveva affatto, grande fu la loro collera e uno di loro gli assestò dei colpi d'ascia sulla testa e sul corpo. Perdendo sangue dalla bocca e dalle orecchie lo starets cadde a terra. Serafim, pur avendo anche lui una scure in mano e pur essendo abbastanza robusto per difendersi contro i briganti, non aveva voluto opporre loro resistenza con la violenza. Gli uomini frugarono la sua capanna e se ne andarono senza aver trovato nulla.
Per buona parte della notte l'eremita restò a terra, privo di conoscenza. Sul far del giorno si presentò tutto insanguinato al monastero durante l'ufficio divino. Cedette alle insistenze dell'abate che voleva farlo curare da un medico. Ma era così sfinito e debole per tutto il sangue perso che si addormentò prima dell'arrivo dei dottori. Ebbe un sogno sorprendente: vide venire da destra verso di lui la Madre di Dio che portava una corona regale. Aveva al suo fianco gli apostoli Giovanni e Pietro, come al tempo della sua prima visione. La Regina del cielo si voltò verso il luogo in cui più tardi avrebbero dovuto trovarsi i medici e, indicando l'eremita coperto di piaghe, chiese: « Perché inquietarvi? »; poi, rivolgendosi agli apostoli, ripeté quello che aveva dichiarato la prima volta: « Lui è della nostra razza». A quel punto il ferito si svegliò. Nessuno aveva notato che aveva avuto una visione. Solo molto tempo dopo l'avrebbe rivelato.
L'abate gli raccomandò di lasciarsi esaminare dai medici. Serafim rifiutò e rispose solo, tra lo stupore dei presenti, che si metteva nelle mani di Dio e della santissima Madre di Dio.
Per quattro ore lo starets giacque in una debolezza estrema, ma il suo cuore era nella gioia e nella pace; poi si alzò, prese un po' di pane, come pasto della sera, e si mise in preghiera. Dovette restare in una cella per molte settimane, poi la sua robusta costituzione ebbe la meglio, ma, segnata da quelle ferite, la sua alta figura si curvò ed egli, da quel momento in poi, poté camminare solo appoggiandosi ad un bastone.
Nel giro di cinque mesi l'eremita tornò al suo romitaggio. Dando l'addio all'abate dell'eremo, chiese che nel caso in cui i briganti fossero scoperti non venissero puniti e ricordò le parole della Scrittura: « Non temete nulla da coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l'anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire nella Geenna sia l'anima che il corpo » (Mt 10,28).
Quando un anno più tardi morì l'abate del monastero e i monaci di Sarov vollero dargli Serafim come successore, egli rifiutò questa carica. Volle al contrario farsi carico di un nuovo compito ascetico: il silenzio. « Il silenzio è il nostro più bell'ornamento, aveva l'abitudine di dire ai visitatori; sant'Ambrogio di Milano non ha forse detto che aveva visto molti uomini operare la loro salvezza nel silenzio, mai nessuno nelle chiacchiere? »
Per tre anni si sottomise al silenzio più totale. Non rivolgeva la parola a nessuno, neppure ai monaci che gli portavano il pane. Cercava addirittura di nascondersi il volto, coprendolo, quando si avvicinavano a lui.
« Se manteniamo il silenzio, spiegava Serafim, Satana, il nostro nemico non ha presa su di noi. Il silenzio dev'essere nel cuore e nel pensiero. E il silenzio che assicura all'anima i vari doni dello Spirito. Dalla solitudine e dal silenzio ci vengono pietà e dolcezza; quest'ultima agisce nel cuore umano come l'acqua di Siloe che rappacificava e guariva ».
« Restare nella propria cella praticando il silenzio, la preghiera e la meditazione della Sacra Scrittura notte e giorno: ecco cosa rende la nostra anima fedele a Dio. I santi Padri dicono che la cella del monaco assomiglia alla fornace di
Babilonia in cui i tre fanciulli hanno visto il Figlio di Dio. Il silenzio avvicina l'uomo a Dio e lo rende sulla terra simile agli angeli. Nella tua cella sii vigilante e perseverante nel silenzio, ricerca con tutte le tue forze l'unione con il Signore; allora il Signore farà di te, che sei un uomo, un angelo sulla terra ».
Il silenzio totale che si era imposto rappresentava solo una tappa verso la purificazione dell'ascesi. La sera dell'8 maggio 1810 Serafim tornò per la prima volta all'eremo e si recò subito all'ufficio della sera; di lì raggiunse in silenzio la sua cella. L'indomani - era la festa di san Nicola il Taumaturgo - lo starets assistette alla liturgia del mattino, ricevette la santa Eucarestia, poi la benedizione dell'abate, dopo di che ritornò nella sua cella e vi si rinchiuse.
Così Serafim inaugurò il suo nuovo stato monastico: la vita di reclusione.
Passò anni interi nella sua cella non riscaldata, debolmente rischiarata solo dalla lampada dell'icona della Madre di Dio. Nei primi tempi dormiva seduto su un mucchio di legna; poi passò la notte coricato su una bara ch'egli stesso aveva fabbricato con le sue mani, in modo da aver sempre davanti a sé il pensiero della morte.
Come nella sua capanna della foresta, s'infliggeva la pena di portare la cintura e la croce di ferro. Per imporsi una fatica ancor maggiore, spostava costantemente il suo mucchio di legna da una parte all'altra della cella.
Pregava in piedi e in ginocchio, con il massimo raccoglimento. Leggeva spesso a voce alta le Sacre Scritture, un Vangelo al giorno, e anche le Lettere e gli Atti degli Apostoli. Passava la notte separato dal mondo, dopo aver fatto ritorno in se stesso, nella preghiera e nella custodia del cuore. Si ritiene che durante questo periodo abbia avuto la grazia di numerose visioni delle quali solo qualcuna ci è nota. Celebrava solo gli uffici divini impostigli dalla regola del monastero. La domenica e le feste riceveva l'Eucarestia che gli veniva somministrata, con il permesso dell'abate, dopo la liturgia del mattino attraverso una piccola finestrella aperta nella porta della sua cella. Non riceveva mai visite. Così il vescovo della diocesi, che visitava un giorno l'eremo di Sarov, si presentò alla porta della sua cella, ma si vide rifiutare il permesso di entrarvi.
Solo dopo dieci anni Serafim accettò occasionalmente alcuni visitatori: in silenzio impartiva loro la benedizione. Dopo altri cinque anni accettò di mettere termine alla sua reclusione. Questa era durata quindici anni e sei mesi. Terminò il 25 novembre 1825. Incominciò allora per lui l'apostolato dello starcvestvo.
Riallacciati i contatti con il mondo esterno, Serafim ricevette tutti i visitatori con una bontà e una sollecitudine sempre uguali Poveri o ricchi, nobili o contadini, uomini o donne: accoglieva tutti con lo stesso riguardo. Per le visite lo starets portava la cocolla con 1'Epitraklion e le Epimanichies , come segno della sua dignità sacerdotale.
Nei suoi colloqui e nei suoi insegnamenti raccomandava la preghiera regolare, insistendo particolarmente sui benefici procurati dal pensiero costante di Dio e dalla pratica della preghiera spirituale.
« Questo deve essere l'oggetto di ogni vostra sollecitudine, spiegava. Sia che camminiate, o che riposiate, sia che siate al lavoro o in chiesa, prima dell'ufficio divino custodite questa preghiera nella vostra anima e nel vostro cuore.
Invocate il nome di Dio e troverete riposo; lo Spirito santo, fonte della salvezza, riposerà su di voi e custodirà nel timore di Dio e nella purezza la vostra anima e il vostro corpo ».
Spesso, nel corso di questi colloqui, lo starets posava l'Epitraklion sulla testa del suo penitente, pronunciava la preghiera dell'assoluzione, praticava l'unzione della fronte con l'olio della lampada. Faceva bere un po' d'acqua benedetta e come addio dava il bacio di pace, pronunciando le parole del saluto pasquale: «O mia gioia, Cristo è risorto!».
Gli ultimi otto anni della sua vita, che Serafim consacrò allo starcestvo, furono come una catena senza fine di amore e di preghiera.
Fin dall'inizio della giornata, dopo la liturgia del mattino, in cui aveva attinto la forza vivificante dello Spirito nei sacri doni di Dio, i gruppi di visitatori si presentavano davanti alla sua porta. Molti hanno rivelato più tardi il profitto spirituale che avevano ricavato da queste visite. Dopo essersi intrattenuti con lo starets si erano sentiti completamente trasformati; in essi il cuore e la ragione avevano cessato di combattersi; avevano ritrovato la pace interiore; era come se una fiamma avesse illuminato tutta la loro vita. Molti amici e discepoli, in ogni parte del paese, che non avevano avuto la possibilità di andare a rendergli visita, gli scrivevano per domandargli consiglio; a volte impartiva loro i più utili insegnamenti senza aver neppure aperto le lettere: dopo la sua morte furono infatti trovati nella sua cella un gran numero di plichi ancora chiusi e ai quali già da molto tempo aveva dato risposta.
« Tu accogli davvero troppa gente, osservavano a volte dei vecchi monaci con risentimento; non fai abbastanza differenza tra di loro ».
Il santo starets si accontentava di rispondere: « Cosa dirò al Signore se mi chiede di alcuni che avevano sete di luce e che sono ripartiti senza che io li avessi dissetati? »
«Ce ne sono però che se ne vanno scontenti! », replicavano i censori.
« Ebbene, non mi sembra una cosa grave, visto che accanto a qualcuno scontento ce ne sono molti consolati ».
Poco prima della fine della sua reclusione, quando lo starets aveva nuovamente autorizzato le visite nella sua cella, arrivò un giorno a Sarov un proprietario terriero di nome Michail Mansurov. Soffriva da molti anni di una dolorosa paralisi degli arti inferiori che gli rendeva impossibile camminare. I medici non gli avevano lasciato alcuna speranza e rifiutavano persino di curarlo. Su consiglio della sua famiglia aveva preso la decisione di farsi portare a Sarov, da Padre Serafim. Quando il suo servo l'ebbe condotto nella cella dello starets, questi gli disse con sollecitudine: « Perché vuoi vedere il povero Serafim? » Mansurov si lasciò cadere a terra in lacrime e pregò lo starets di intercedere per la sua guarigione.
« Credi in Dio? », chiese lo starets.
Il malato affermò di avere la fede.
« O mia gioia, poiché tu credi così fermamente, allora credi anche che un vero credente può attendere tutto da Dio. Credi dunque che il Signore ti guarirà e io, povero Serafim, pregherò per te ».
Detto ciò, lo starets si ritirò per un attimo nella stanza vicina. Quando ritornò chiese a Mansurov di scoprire i piedi malati e vi fece un'unzione con l'olio santo che era andato a prendere... « Per la grazia che il Signore mi ha accordato, io ti guarisco e tu sei il primo a beneficiare di questo dono ». Copri poi i piedi unti con una fasciatura di tela grezza e comandò a Mansurov di alzarsi e camminare. Questi ci provò e, pieno di stupore, poi di indicibile gioia, verificò che poteva stare saldamente in piedi e che era di nuovo capace di camminare. Traboccante di riconoscenza si gettò in ginocchio davanti allo starets e voleva baciargli i piedi. Ma Serafim lo rialzò e gli disse severamente:
« Credi forse che Serafim abbia il potere di dare la vita e la morte, di gettare qualcuno all'inferno e di liberarlo? A cosa pensi mai? Tutto questo è opera del Signore. Lui solo realizza i desideri di quanti lo temono ed esaudisce le loro preghiere. Rendi dunque grazie solo al Dio onnipotente e alla sua santissima Madre ».
Passò un po' di tempo e Mansurov si chiedeva come poter esprimere la propria gratitudine. Si recò nuovamente pieno di venerazione dallo starets.
« O mia gioia, disse Serafim non appena entrò. Così hai promesso al Signore di ringraziarlo per aver ridato vita alle tue membra? Hai ragione ».
Mansurov fu sorpreso nel vedere che lo starets indovinava i suoi sentimenti. « Cosa mi consigliate di fare? », chiese.
« Ecco, amico mio, disse Serafim, dà al Signore tutto quello che possiedi e scegli la povertà! »
Il gentiluomo rimase sconcertato. Non si aspettava una proposta del genere. E subito gli venne in mente il giovane del Vangelo al quale il Signore aveva detto: « Vendi i tuoi beni e dà tutto ai poveri ». Ma pensò alla sua giovane moglie che l'aspettava a casa e si chiese come sopravvivere se avesse distribuito tutti i suoi beni.
« Lascia tutto, disse lo starets, e non tormentarti per quello che ora ti viene in mente. Il Signore non ti abbandonerà né in questo mondo né nell'altro; non sarai più ricco, ma il pane di ogni giorno non ti mancherà mai».
Ricevuta la benedizione del pio starets, Mansurov ebbe il coraggio di vendere tutti i suoi beni di lasciare liberi i suoi contadini e acquistò un pezzetto di terra nel villaggio di Sarov. Il denaro ricavato dalla vendita fu più tardi devoluto al monastero femminile fondato da Serafim. Come egli stesso aveva deciso, dopo la sua morte la piccola proprietà andò alle monache.
Un giorno la principessa Koloncakov rese visita al santo starets per riceverne la benedizione. Era il 24 settembre 1824. Aveva un fratello nel corpo di spedizione che stava combattendo all'estremo limite del Caucaso; senza sue notizie da molto tempo, le era venuta l'ispirazione di andare ad interrogare lo starets al riguardo. Non aveva ancora manifestato l'oggetto della sua visita che Serafim le disse: « Non rattristarti, ogni famiglia ha la sua parte di lutto ». Tre mesi più tardi la principessa ricevette dall'autorità militare la notizia che il fratello era morto in combattimento.
Due sorelle si recarono pellegrine a Sarov e, mentre una aveva portato dei doni, l'altra arrivò a mani vuote. Pregò dunque sua sorella di cederle qualcosa. Quando, giunte dallo starets, la seconda tese a Serafim un boccettino d'olio per il lumino dell'icona, sentì queste parole: « La prossima volta che mi porti qualcosa, sia qualcosa di tuo ». Vedendo la visitatrice estremamente turbata, aggiunse con un sorriso: « Non hai sulla tua terra numerosi alveari? Devi solo far fabbricare un cero con un po' della loro cera e portarlo come dono per l'icona ».
La moglie di un fattore di nome Vorotilov era gravemente malata. Già molte volte l'uomo era stato a trovare Padre Serafim che lo conosceva come un cristiano di gran fede. Una sera le condizioni della malata si aggravarono pericolosamente. Folle d'angoscia, il fattore si mise in viaggio e, quando arrivò alla capanna dello starets, era quasi mezzanotte. Con sua grande sorpresa scorse Padre Serafim seduto sulla soglia, come se aspettasse qualcuno.
« O mia gioia, gridò lo starets, perché vieni a quest'ora dal povero Serafim? » Il contadino gli disse che sua moglie stava morendo e implorò la sua intercessione. Ma lo starets gli disse di non poter far niente per lei. Allora Vorotilov scoppiò in singhiozzi e supplicò l'eremita di ottenere da Dio la guarigione di sua moglie. Davanti a quel dolore, Serafim chiuse gli occhi e si mise a pregare con grande fervore. Dopo qualche istante, rialzò la testa e guardò il fattore: « Vedi, o mia gioia, il Signore ridarà la salute a tua moglie. Ritorna in pace a casa tua ». Al suo arrivo alla fattoria Vorotilov apprese che sua moglie verso mezzanotte aveva avuto un improvviso miglioramento. Poco tempo dopo era completamente ristabilita.
L'8 settembre 1830 fu consacrata nel monastero di Diveevo la nuova chiesa, che era stato possibile erigere grazie ai doni del ricco proprietario Mansurov; fu dedicata alla Natività della Vergine.
« Dopo la consacrazione, raccontò più tardi il prete di questa chiesa, il Padre Vasilij Sadovskij, l'archimandrita Joakim, che aveva consacrato la chiesa, Mansurov il benefattore ed io abbiamo voluto render visita a Padre Serafim a Sarov.
A quel tempo stava in una capanna in piena foresta. Lo starets ci salutò con grande gioia e rivolgendosi al Padre archimandrita disse: «Padre, come posso accogliervi? Non offrirvi niente in un simile giorno di festa non è possibile! Ho dunque preparato per voi un piccolo rinfresco a modo mio". Con queste parole mi prese per mano e mi portò verso una pianta di lamponi come non avevo mai visto: del resto nessun arbusto di quel genere era mai spuntato in quel posto. Mi mostrò tre lamponi molto grossi e maturi al punto giusto. Tieni, mi disse, prendili e portali ai miei ospiti". Rimasi li stupefatto e, senza capire nulla, colsi i bei frutti. Il santo starets fece un sorriso: «Fatemi il piacere di assaggiarli, assaggiateli! Così il povero Serafim potrà rallegrarsi di aver qualcosa da offrirvi!... E 'la Regina del cielo che ha voluto farmene dono, padri miei!" » « Non ho mai mangiato lamponi così deliziosi, soprattutto in settembre »: con queste parole Padre Sadovskij concluse il suo racconto.
Nei giorni della Rivoluzione polacca, nel 1831, una compagnia di soldati passò per Sarov. Il comandante del distaccamento, un uomo molto pio, ordinò una sosta per ottenere una benedizione per i suoi soldati. Lo starets accondiscese alla sua richiesta e, tutto ad un tratto, annunciò che nessuno di quegli uomini avrebbe perso la vita in combattimento. E in realtà quel gruppo, che prese parte alla campagna polacca e persino all'assalto contro Varsavia, fu completamente risparmiato. Tutti i soldati ritornarono sani e salvi alle loro guarnigioni.
Una donna narrò il seguente racconto, a gloria dello starets: « In quei tempi, avevo circa dodici anni, mi recai in visita dallo starets Serafim con mia madre. Incontrammo per strada un uomo che ci sembrava davvero in necessità. Avemmo pietà di lui e io gli diedi un mezzo rublo; era tutto ciò che avevo con me. Quando entrammo nella cella dello starets mi benedisse ed esclamò: E bene, eccellenza, aver consegnato mezzo rublo a quel povero". Mia madre sprofondò nel più grande stupore al sentire queste parole, non solo perché Padre Serafim conosceva il mio gesto, ma soprattutto a causa del titolo che mi aveva dato. Solo molti anni dopo ne compresi la ragione, quando sposai un generale».
La moglie di Mansurov era tedesca, originaria dell'Estonia; egli l'aveva sposata in quel paese mentre compiva il servizio militare. Non sapeva leggere il russo e di questa lingua conosceva pochissime parole. Sovente rendeva visita allo starets, verso il quale provava un profondo rispetto. Questi spesso le ripeteva: « Figlia mia, leggi la vita di santa Matriona e imitane l'esempio »
«Padre Serafim, rispose un giorno, sa bene che non so leggere lo slavo ecclesiastico ».
« Non ha importanza, leggila », ripeteva Serafim.
« La cosa più prodigiosa - avrebbe più tardi raccontato la moglie di Mansurov - è che io, tedesca, che non conoscevo nessun'altra lingua al di fuori di quella materna, presi allora quel libro e fui in grado di leggerne e comprenderne il testo ».
Un giorno fu portato nella cella di Padre Serafim un malato. Lo starets si voltò ed esclamò: « O gioia mia, prega intensamente e anch'io pregherò per te, ma bada di restare li saggiamente coricato, senza voltarti ».
Dopo qualche tempo di raccoglimento, l'impazienza e la curiosità del malato furono troppo forti, egli si permise di voltarsi.
Scorse allora il santo starets sollevato da terra mentre pregava. Non potendosi trattenere a tal vista, gettò un grido di sorpresa.
Ma Serafim terminò la sua preghiera, poi ritornò verso il malato:
« E ora, te ne andrai a gridare sui tetti che Serafim è un santo, che prega sollevato a mezz'aria. Dio te ne guardi... Tu, rimani in silenzio e non parlare a nessuno di quello che hai visto. Non dir nulla fino alla mia morte, altrimenti il male che ti ha appena lasciato potrebbe ricolpirti! » Solo dopo la morte di Serafim il malato guarito dalle sue preghiere rivelò ciò che aveva visto con i suoi occhi. Tre monache del monastero di Diveevo furono testimoni dello stesso spettacolo. Mentre attraversavano la foresta videro Padre Serafim venire avanti nell'aria sopra un prato tutto in fiore, non lontano dalla sua capanna. Era un anno prima della sua morte.
Nel settembre 1831 venne a Sarov il giudice Nicolaj Motovilov, uomo molto pio, che sarebbe diventato uno dei migliori amici dello starets. Per tre anni era dovuto restare a letto, colpito da una paralisi generale del corpo ridotto ormai tutto a una piaga. Nelle note che ha lasciato, si legge questo: Il 5 settembre 1831 venni trasportato a Sarov. Il 7 e 8 settembre, festa della Natività della Madre di Dio, lo starets Serafin ebbe la bontà di parlare con me due volte, al mattino e pomeriggio, nella sua cella. Il 9 settembre cinque persone mi accompagnarono per portarmi nella capanna della foresta per un'altra visita. Lo starets era allora in conversazione con un gruppo di visitatori. Fui deposto a terra, sotto un pino molto alto, che esiste ancor oggi. Poiché lo pregavo di aver la bontà di aiutarmi, Padre Serafim rispose: « Non sono un medico:
quando si è malati è al medico che bisogna rivolgersi »
Gli raccontai allora tutto quello che avevo tentato; ero ricorso alle cure dei migliori medici di Kazan, dopo di che avevo consultato un discepolo del celebre omeopatista Hahnemann e tutto si era rivelato inutile. Aggiunsi che sentivo che Dio solo poteva venire in aiuto di me, peccatore com'ero.
« Credi nel Signore Gesù Cristo? chiese lo starets. Credi che è Dio fatto uomo? Credi alla sua santissima Madre, la Vergine purissima? »
Io risposi: « Sì, credo! »
« E credi che il Signore durante la sua vita ha guarito in un istante ogni sorta di malattia, con una sola parola, con un semplice gesto e che anche oggi, altrettanto facilmente e velocemente, può ancora
guarire uno che lo implora?... E credi che talora anche noi possiamo a nostra volta, per la sua parola e per l'aiuto della Madre di Dio, guarire un malato con una sola parola? »
Risposi « Sì, lo credo veramente, con tutto il mio cuore e la mia anima. Se non lo credessi non avrei chiesto di essere portato fin qui da lei».
« Se hai la fede, sei già guarito! », disse.
« Com'è possibile? Guarito? Lei e i miei amici dovete ancora sorreggermi per le braccia ».
« No. Sei guarito in tutto il corpo e ti è restituita la salute ».
Detto ciò lo starets comandò alle persone che mi sorreggevano davanti a lui di spostarsi. Mi prese lui stesso sotto le spalle mi sollevò da terra, mi mise in piedi e disse:
« Resta in piedi ora! Appoggiati bene sui piedi... Ecco... Ecco, non aver paura, sei completamente ristabilito ». E aggiunse: « Andiamo, vediamo come sei capace di restare in piedi! »
Risposi: « Si, ma è perché lei mi sorregge così bene » « No, disse. Ora puoi camminare senza di me e continuerai a farlo. La Madre di Dio stessa ti ha raccomandato al Signore e Lui ti ha completamente restituito le tue forze. Andiamo, cammina! »
E fu come se un vigore completamente nuovo fosse penetrato nelle mie membra. Feci qualche passo, ma lo starets mi fermò: « Per oggi basta. I tuoi tre anni di sofferenza ti hanno molto indebolito: bisogna ricominciare lentamente a camminare risparmiando le forze; la tua salute è ormai un dono prezioso del Signore, abbine cura. Il Signore ti ha liberato e purificato da tutto ciò che era peccato. Vedi che miracolo ha compiuto in te. E ora, credi sempre, con una fede senza incrinatura, nel suo divino amore per te».
Dopo la benedizione dello starets, sono ritornato alla mia vettura, aiutato dal mio servitore e sotto gli occhi meravigliati di numerosi testimoni.
In seguito, ho reso frequenti visite allo starets e abbiamo avuto lunghi e gravi colloqui. L'ultimo consiglio che mi diede risale al novembre 1831, quando ebbi il dono di andare a rivederlo, in perfetta salute, e ascoltare le sue parole nella radura. Mi ha predetto in quell'occasione molti eventi della storia della Russia.
(Tratto da IGOR SMOLITSCH, Santità e preghiera, ed. Gribaudi, a cui rimandiamo vivamente per l'approfondimento).
COLLOQUIO CON MOTOVILOV
Era un giovedì. Il cielo era grigio. La terra era coperta di neve. Spessi fiocchi continuavano a turbinare nell’aria quando Padre Seraphim iniziò a conversare con me in una radura vicina al suo "piccolo eremitaggio" di fronte al fiume Sarovka che scorreva ai piedi della collina. Mi fece sedere sul ceppo d’un albero da poco abbattuto mentre lui si rannicchiò di fronte a me.
Il Signore mi ha rivelato disse il grande starez che dalla vostra infanzia avete sempre desiderato sapere quale sia il fine della vita cristiana. Per questo avete interrogato diverse persone alcune dei quali ricoprivano anche alte cariche ecclesiastiche.
Devo dire che dall’età di dodici anni ero perseguitato da quest’idea e che, per questo, avevo rivolto tale domanda a parecchie personalità ecclesiastiche senza mai aver ricevuto una risposta soddisfacente. Lo starez avrebbe dovuto ignorare tutto questo.
Ma nessuno continuò Padre Seraphim vi ha mai detto niente di preciso. Vi consigliarono di andare in chiesa, di pregare, di vivere secondo i comandamenti di Dio, di fare del bene. Tale, vi dissero, era lo scopo della vita cristiana. Alcuni giunsero pure a disapprovare la vostra curiosità, trovandola fuori posto ed empia. Essi avevano torto. Quanto a me, miserabile Seraphim, ora vi spiegherò in che consiste realmente questo fine.
La preghiera, il digiuno, le veglie e le altre attività cristiane, per quanto possano parere buone, non costituiscono il fine della vita cristiana ma sono il mezzo attraverso il quale vi si può pervenire. Il vero fine della vita cristiana consiste nell’acquisire lo Spirito Santo. Per quel che riguarda la preghiera, il digiuno, le veglie, l’elemosina ed ogni altro tipo di buona azione fatta in nome di Cristo, non sono che dei mezzi per acquisire lo stesso Spirito.

Nel nome di Cristo
Ricordate che solo una buona azione fatta nel nome di Cristo ci procura i frutti dello Spirito Santo. Tutto quanto non è fatto in suo nome, fosse pure il bene, non ci può ottenere alcuna ricompensa, né nel secolo futuro, né in questa vita mentre su questa terra non ci dona la Grazia divina. E’ per questo che Gesù Cristo diceva:
"Colui che non accumula con me disperde" (Lc 11, 23).
Pertanto, si è obbligati a chiamare una buona azione "cumulo" o "raccolta", perché essa resta buona anche se non è fatta in Nome di Cristo. La Scrittura dice: "In ogni nazione colui che teme Dio e pratica la giustizia gli è accetto" (At 10, 35). Il centurione Cornelio, che temeva Dio e agiva secondo giustizia, fu visitato mentre pregava da un angelo del Signore che gli disse: "Manda dunque due uomini a Ioppe e fa’ venire un certo Simone soprannominato Pietro. Da lui ascolterai della parole di vita eterna con le quali sarai salvato con tutta la tua casa" (At 10, 5).
Vediamo, dunque, che il Signore utilizza i suoi mezzi divini per permettere a un simile uomo di non essere privato nell’eternità della ricompensa che gli è dovuta. Per ottenerla è necessario che si cominci già da ora a credere in Nostro Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio disceso sulla terra per salvare i peccatori e per far acquisire loro la Grazia dello Spirito Santo che introduce i nostri cuori nel Regno di Dio e ci apre la via della beatitudine nella prossima vita. Non va oltre a ciò la soddisfazione arrecata a Dio dalle buone azioni compiute indipendentemente dal Nome di Cristo. Il Signore ci dona i mezzi per perfezionarle. Sta all’uomo approfittarne o meno. E’ per questo che il Signore dice ai giudei: "Se voi foste ciechi, sareste senza peccato ma voi stessi dite: ‘Noi vediamo!’ Perciò il vostro peccato rimane (Gv 9, 41). Quando un uomo come Cornelio le cui opere non erano fatte nel Nome di Cristo, ma erano gradite a Dio, comincia a credere nel Suo Figlio, queste opere gli sono attribuite come se fossero fatte nel nome di Cristo a causa della sua fede in Lui. (Ebr 11, 6). In caso contrario, l’uomo non ha il diritto di contestare se il bene compiuto non gli è servito a nulla. Questo non succede mai quando una buona azione viene fatta nel Nome di Cristo, perché il bene compiuto in suo Nome non porta solo una corona di gloria nel secolo venturo, ma già ora riempie l’uomo della grazia dello Spirito Santo, com’è stato detto: "Dio dona lo Spirito senza misura. Il Padre ama i Figli; Egli ha posto tutto nelle loro mani" (Gv 3, 34-35).

L'acquisizione dello Spirito Santo
Acquisire lo Spirito di Dio è dunque il vero fine della nostra vita cristiana al punto che la preghiera, le veglie, il digiuno, l’elemosina e le altre azioni virtuose fatte in Nome di Cristo non sono che dei mezzi per tal fine.
Che significa acquisirlo? Domandai a Padre Seraphim. Non ne capisco bene il significato.
Acquisire, ha lo stesso significato di ottenere. Sapete cosa vuol dire acquisire del denaro? Per quanto riguarda lo Spirito Santo è la stessa cosa. Il fine della vita delle persone comuni consiste nell’acquisire denaro, nel fare un guadagno. I nobili, inoltre, desiderano ottenere onori, titoli di distinzione e altre ricompense che lo Stato accorda loro per determinati servizi. L’acquisizione dello Spirito Santo è anche un capitale, ma un capitale eterno, dispensatore di grazie; è molto simile ai capitali temporali e si ottiene con gli stessi procedimenti. Nostro Signore Gesù Cristo, Dio-Uomo, paragona la nostra vita ad un mercato e la nostra attività sulla terra ad un commercio. Egli ci raccomanda: "Negoziate prima ch’io ritorni economizzando il tempo perché i giorni sono incerti" (Lc 19, 12-13; Ep 5,15-16), il che vuol dire: "Sbrigatevi ad ottenere dei beni celesti negoziando i prodotti terreni". Questi prodotti terreni non sono altro che le azioni virtuose fatte in Nome di Cristo le quali ci ottengono la Grazia dello Spirito Santo.

La parabola delle vergini
Nella parabola delle vergini sagge e delle vergini stolte (Mt. 25, 1-13) quando quest’ultime finiscono l’olio viene detto loro: "Andate a comperarlo al mercato". Tornando esse trovano la porta della camera nuziale chiusa e non possono entrare. Alcuni pensano che la mancanza d’olio delle vergini stolte simbolizzi l’insufficienza di azioni virtuose nel corso della loro vita. Tale interpretazione non è esatta. Quale mancanza d’azioni virtuose potevano avere, visto che vengono chiamate comunque vergini, anche se stolte? La verginità è una grande virtù, uno stato quasi angelico che può sostituire tutte le altre virtù. Io, miserabile, penso che mancasse loro proprio lo Spirito Santo di Dio. Praticando le virtù, queste vergini spiritualmente ignoranti, credevano che la vita cristiana consistesse in tali pratiche. Ci siamo comportate in maniera virtuosa, abbiamo fatto delle opere pie — pensavano loro — senza preoccuparsi se avessero ricevuto o no la Grazia dello Spirito Santo. Su questo genere di vita, basato unicamente sulla pratica delle virtù morali senza alcun esame minuzioso per sapere se esse ci rendono — e in quale quantità — la Grazia dello Spirito di Dio, è stato detto: "Alcune vie che paiono inizialmente buone conducono all’abisso infernale" (Pr 14,12)
Parlando di queste vergini, nelle sue Epistole ai Monaci Antonio il Grande dice:
"Parecchi tra i monaci e le vergini ignorano completamente la differenza che esiste tra le tre volontà che agiscono dentro l’uomo. La prima è la volontà di Dio, perfetta e salvatrice; la seconda è la nostra volontà umana, che per se stessa non e ne rovinosa né salvatrice; la terza — quella diabolica — è decisamente nefasta. E’ questa terza nemica volontà che obbliga l’uomo a non praticare assolutamente la virtù o a praticarla per vanità o unicamente per il "bene" e non per Cristo. La nostra seconda volontà ci incita a soddisfare i nostri istinti malvagi o, come quella del nemico, c’insegna a fare il "bene" in nome del bene, senza preoccuparsi della grazia che possiamo acquisire. Quanto alla terza volontà, quella salvatrice di Dio, essa ci insegna a fare il bene unicamente per il fine di acquisire lo Spirito Santo, tesoro eterno ed inestimabile, che non può essere uguagliato con nulla al mondo".
E’ proprio la Grazia dello Spirito Santo simbolizzata dall’olio che mancava alle vergini stolte. Esse sono chiamate "stolte" perché non si preoccupano del frutto indispensabile della virtù cioè la Grazia dello Spirito Santo senza la quale nessuno può essere salvato perché "ogni anima è vivificata dallo Spirito Santo per essere illuminata dal sacro mistero dell’Unità Trinitaria" (Prima Antifona al Vangelo del Mattutino). Lo stesso Spirito Santo viene ad abitare nelle nostre anime e questa presenza dell’Onnipotente in noi, questa coesistenza della sua Unità Trinitaria con il nostro spirito non ci è donata che a condizione di lavorare con tutti i mezzi a nostra disposizione per ottenere lo Spirito Santo il quale prepara in noi un luogo degno per quest’incontro, secondo l’immutabile parola di Dio: "Io verrò e abiterò in essi. Sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo" (Ap 3, 20; Gv 14, 23). E’ questo l’olio che le vergini sagge avevano nelle loro lampade, olio in grado di bruciare per molto tempo diffondendo una luce forte e chiara per poter permettere l’attesa dello Sposo a mezzanotte ed entrare con lui nella camera nuziale dell’eterna gioia.
Quanto alle vergini stolte, vedendo che le loro lampade rischiavano di spegnersi, esse si recarono al mercato ma non poterono tornare prima della chiusura della porta. Il mercato è la nostra vita. La porta della camera nuziale, chiusa per impedire di raggiungere lo Sposo, è la nostra morte umana; le vergini, sia quelle sagge che quelle stolte, sono le anime dei cristiani. L’olio non simbolizza le nostre azioni, ma la Grazia attraverso la quale lo Spirito Santo riempie il nostro essere trasformandoci da corrotti ad incorrotti. Così la Grazia trasforma la morte fisica in vita spirituale, le tenebre in luce, la schiavitù verso le passioni alle quali è incatenato il nostro corpo in tempio di Dio, cioè in camera nuziale dove incontriamo Nostro Signore, Creatore e Salvatore, Sposo delle nostre anime. Grande è la compassione che Dio ha verso la nostra disgrazia. E la nostra disgrazia non è altro che la nostra negligenza verso la sua sollecitudine. Egli dice: "Io sono alla porta e busso..." (Ap 3, 20), intendendo per "porta" la nostra vita presente non ancora conclusa con la morte.

La preghiera
Oh! Quanto vorrei, amico di Dio, che in questa vita voi siate sempre con lo Spirito Santo. "Vi giudicherò nella situazione in cui vi troverete" dice il Signore (Mt 24, 42; Mc 13, 33-37; Lc 19, 12 e seguenti). E’ una disgrazia veramente grande se egli ci trova appesantiti dalle preoccupazioni e dalle pene della terra perché Egli potrebbe adirarsi nel qual caso chi gli potrebbe resistere? E’ per questo che è stato detto: "Vegliate e pregate per non essere indotti in tentazione" (Mt 26, 41), il che comporta non essere privati dallo Spirito di Dio visto che le veglie e la preghiera ci donano la Sua Grazia.
Sicuramente ogni buona azione fatta in Nome di Cristo dona la Grazia dello Spirito Santo, ma è soprattutto la preghiera che ottiene ciò al di sopra d’ogni altro mezzo, essendo essa sempre nelle nostre possibilità. Ad esempio, voi avete il desiderio di recarvi in chiesa, ma essa è troppo distante o la liturgia è finita; avete il desiderio di fare l’elemosina, ma non vedete alcun povero o non avete il denaro; volete rimanere vergini ma non avete sufficiente forza per esserlo a causa della vostra costituzione o a causa degli attacchi del nemico davanti ai quali non potete resistere per la debolezza della vostra carne; vorreste fare una buona azione nel Nome di Cristo ma non avete sufficiente forza per eseguirla oppure l’occasione non si presenta. Per quel che riguarda la preghiera nulla la impedisce: ognuno ha la possibilità di pregare, il ricco e il povero, l’uomo benestante e quello indigente, il forte e il debole, il sano e il malato, il virtuoso e il peccatore.
Possiamo constatare la potenza della preghiera se osserviamo che essa ottiene i suoi risultati pure se è fatta da un peccatore, basta che sia sincera, come nell’esempio seguente riportato dalla Santa Tradizione. Una prostituta toccata dalla disgrazia d’una madre che stava per perdere il suo unico figlio vedendone la disperazione osò gridare verso il Signore benché fosse ancora insozzata dal suo peccato: "Non per me, orribile peccatrice, ma per le lacrime di questa madre che piange il suo figlio credendo fermamente nella tua misericordia e nella tua Onnipotenza, risuscitaglielo, oh Signore!" E il Signore la esaudì (cfr. Lc 7, 11-15).
Questa, amico di Dio, è la potenza della preghiera. Al di sopra d’ogni altra cosa essa ci dona la grazia dello Spirito di Dio ed essa rientra sempre nelle nostre possibilità. Beati saremo noi se Dio ci troverà vigilanti nella pienezza dei doni del suo Santo Spirito. Potremo allora sperare d’essere rapiti al di sopra delle nuvole per incontrare Nostro Signore rivestito di potenza e di gloria il quale giudicherà i vivi e i morti dando a ciascuno il dovuto. [...]

Vedere Dio
— Padre, gli dissi, voi parlate sempre dell’acquisizione della Grazia dello Spirito Santo come il fine della vita cristiana. Ma come la posso riconoscere? Le buone azioni sono visibili. Ma lo Spirito Santo può essere visto? Come posso sapere se Egli è in me oppure no?
— Nell’epoca nella quale viviamo, rispose lo starez, si è giunti ad una tale tiepidezza nella fede, a una tale insensibilità nei riguardi della comunione con Dio che ci siamo praticamente distanziati quasi totalmente dalla vera vita cristiana. Oggi alcuni passi della Santa Scrittura ci paiono strani. Ad esempio quello in cui lo Spirito Santo, attraverso la bocca di Mosé, dice: "Adamo vedeva Dio mentre passeggiava nel paradiso" (Gn 3, 8), o quando leggiamo nelle lettere di San Paolo che l’Apostolo viene impedito dallo Spirito Santo a proclamare la parola in Asia e invece lo accompagna in Macedonia (At 16, 6-9). In molti altri passi della Sacra Scrittura si ritrovano simili temi sull’apparizione di Dio agli uomini. [...]
Devo ancora io, miserabile Seraphim, spiegarvi, amico di Dio, in che consiste la differenza tra l’azione dello Spirito Santo mentre prende misteriosamente possesso dei cuori di coloro che credono in nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo e l’azione tenebrosa del peccato che viene come un ladro sotto l’istigazione del Demonio.
Lo Spirito Santo ci ricorda le parole di Cristo e lavora assieme a Lui, guidando i nostri passi solennemente e gioiosamente nella via della pace. L’agitazione prodotta dallo spirito diabolico che si oppone a Cristo ci incita, invece, alla rivolta e ci rende schiavi della lussuria, della vanità e dell’orgoglio.
"In verità, in verità vi dico, colui che crede in me non morirà mai" (Gv 6, 47). Colui che per la sua fede in Cristo e in possesso dello Spirito Santo, pure dopo aver commesso per debolezza umana qualsiasi peccato che causa la morte dell’anima, non morirà per sempre, ma sarà resuscitato per la Grazia di Nostro Signore Gesù Cristo il quale ha preso su di sé i peccati del mondo donando gratuitamente grazia su grazia.
E’ proprio parlando di questa Grazia manifestata all’intero mondo e al nostro genere umano dall’Uomo-Dio che il Vangelo dice: "Di ogni essere egli era la vita e la vita era la luce degli uomini" aggiungendo: "la luce illumina le tenebre ma le tenebre non hanno voluto accoglierla" (Gv 1, 4-5). Questo significa che la Grazia dello Spirito Santo ricevuta con il battesimo nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, malgrado le cadute peccaminose, malgrado le tenebre che circondano la nostra anima continua a brillare nel nostro cuore della sua eterna luce divina per gli inestimabili meriti di Cristo. Di fronte ad un peccatore abituale, questa luce di Cristo dice al Padre: "Abbà, Padre, non si infiammi la tua collera contro questo indurimento". Ed in seguito, quando il peccatore si sarà pentito, essa cancellerà completamente le tracce dei crimini commessi, rivestendo l’antico peccatore d’un vestito incorruttibile intessuto con la grazia dello Spirito Santo della cui acquisizione sto continuamente parlando.

La grazia dello Spirito Santo è Luce
Egli fu trasfigurato davanti a loro e i suoi vestiti divennero bianchi come la neve... (Mt 17, 2)
Bisogna ancora che vi dica qualcosa in più affinché comprendiate meglio cosa si intende quando si parla di Grazia divina, come la si può riconoscere, com’è ch’essa si manifesta agli uomini che vengono da essa illuminati poiché la Grazia dello Spirito Santo è Luce.
Tutta la Sacra Scrittura ne parla. Davide, l’antenato dell’Uomo-Dio dice: "Un lampo sotto i miei piedi, la tua parola, una luce sulla mia strada" (Ps 118, 105). In altri termini, la Grazia dello Spirito Santo che la legge rivela sotto la forma dei comandamenti divini è il mio faro, la mia luce. E’ questa la Grazia dello Spirito Santo "che con tanta pena mi sforzo di acquisire, cercando sette volte al giorno la Sua verità" (Ps 118, 164). Come potrò trovare in me, tra le numerose preoccupazioni della mia situazione, una sola scintilla di luce per schiarire il mio cammino ottenebrato dall’odio dei miei nemici?
Effettivamente il Signore ha mostrato spesso, davanti a numerosi testimoni, l’azione della Grazia dello Spirito Santo sugli uomini che aveva illuminato e istruito attraverso grandiosi avvenimenti. Ricordate Mosé dopo che si era incontrato con Dio sul Monte Sinai (Es 34, 30-35). Gli uomini non potevano guardarlo perché il suo volto brillava d’una luce straordinaria. Egli fu obbligato a mostrarsi al popolo con il viso coperto da un velo. Ricordate la trasfigurazione del Signore sul monte Tabor: "Egli fu trasfigurato davanti a loro; i suoi vestiti divennero bianchi come la neve.., i discepoli spaventati caddero con il viso a terra mentre Mosé ed Elia apparvero rivestiti della medesima luce. Allora una nube li ricoprì in modo ch’essi non divenissero ciechi". (Mt 17, 1-8 ; Mc 9, 2-8 ; Lc 9, 28-37). E’ così la Grazia dello Spirito Santo appare come una luce ineffabile a coloro a cui Dio manifesta la sua azione.
— Allora, domandai a padre Seraphim, come potrò riconoscere in me la grazia dello Spirito Santo?
— E’ semplicissimo, mi rispose il santo. Dio dice: "Tutto è semplice per coloro che acquisiscono la saggezza" (Pr 14, 6). La nostra sfortuna sta nel fatto che noi non la ricerchiamo proprio, questa Saggezza divina la quale, non essendo di questo mondo, non è presuntuosa. Essa è piena d’amore per Dio e per il prossimo e spinge l’uomo alla propria salvezza. Parlando di questa saggezza il Signore dice:
"Dio vuole che tutti siano salvati e giungano alla Saggezza della verità" (1 Tm 2, 4). Ai suoi apostoli ai quali mancava questa Saggezza Egli disse: "Come siete privi di Saggezza! Non avete letto le Sacre Scritture? " (Lc 24, 25-27). Il Vangelo aggiunge "Aprì loro l’intelligenza affinché potessero comprendere le Scritture". Avendo acquisito questa Saggezza, gli Apostoli sapevano sempre se lo Spirito di Dio era con loro oppure no e, pieni di questo Spirito, affermavano che il loro operato era santo e gradito a Dio. E’ per questo che potevano scrivere nelle loro epistole: "E’ piaciuto allo Spirito Santo e a noi..." (At 15, 28). Essi inviavano i loro messaggi solo dopo che erano persuasi dalla sua presenza sensibile. Allora, amico di Dio, vedete com’è semplice?
— Tuttavia io non comprendo come posso essere assolutamente sicuro di trovarmi nello Spirito Santo. Come posso scoprire in me la sua manifestazione?
Il Padre Seraphim mi disse:
— Vi ho già detto che è estremamente semplice e ve l’ho spiegato in dettaglio com’è che gli uomini si trovano nello Spirito Santo e come bisogna comprendere la sua manifestazione in noi... Che ci vuole ancora?
— Occorre, risposi io, che lo capisca veramente bene Risposi.
Allora Padre Seraphim mi prese le spalle e, stringendole molto forte, aggiunse:
— Siamo tutti e due, tu ed io, nella pienezza dello Spirito Santo. Perché non mi guardi?
— Non posso guardarvi, Padre. Dei fulmini lampeggiano dai vostri occhi. Il vostro viso è divenuto più luminoso del sole. Ho male agli occhi...
Il Padre Seraphim disse:
— Non abbiate paura, amico di Dio. Siete diventato anche voi altrettanto luminoso perché anche voi ora siete nella pienezza dello Spirito Santo, altrimenti non avreste potuto vedermi così.
Inclinando la sua testa al mio orecchio aggiunse:
Ringraziate il Signore di averci donato questa grazia indicibile. Non ho nemmeno fatto il segno della croce. In cuore ho semplicemente pensato e pregato "Signore, rendilo degno di vedere chiaramente, con gli occhi della carne, la discesa dello Spirito Santo, come ai tuoi eletti servitori quando tu ti sei degnato di apparire loro nella magnificenza della tua gloria!" Ed immediatamente Dio ha esaudito l’umile preghiera del miserabile Seraphim. Come non ringraziarlo per questo dono straordinario che ci ha accordato? Non sempre Dio manifesta in tal modo la sua grazia ai grandi eremiti. Come una madre amorevole, questa grazia ha consolato il vostro cuore desolato, con la preghiera della stessa Madre di Dio... Ma perché non osate guardarmi negli occhi? Osate farlo senza paura, Dio è con noi.
Dopo queste parole sollevai i miei occhi sul suo viso e una paura ancor più grande si impossessò di me. Immaginatevi di vedere al centro del sole, mentre l’astro risplende con i suoi raggi più luminosi del mezzogiorno, il viso d’un uomo che vi parla. Vedete il movimento delle sue labbra, l’espressione cangiante dei suoi occhi, sentite il suono della sua voce, avvertite la pressione delle sue mani sulle vostre spalle ma, allo stesso tempo, non scorgete né le sue mani, né il suo corpo, né il vostro. Non vedete altro che una luce splendente che si propaga tutt’intorno ad una distanza di parecchi metri. Così tale luce era in grado di schiarire la neve che ricopriva il prato e di riflettersi sul grande starez e su me stesso. Si potrebbe mai descrivere bene la situazione nella quale mi trovai allora?
Cosa sentite ora? Domandò Padre Seraphim.
— Mi sento straordinariamente bene.
— Come "bene"? Cosa volete dire per "bene"?
— La mia anima è piena d’un silenzio e d’una pace inesprimibili.
— Amico di Dio, questa è la pace di cui parla il Signore quando dice ai suoi discepoli: "Io vi dono la pace ma non come la lascia il mondo. Sono io che ve la dono. Se voi foste di questo mondo il mondo vi amerebbe. Ma io vi ho eletti e il mondo vi odia. Comunque non abbiate timore perché io ho vinto il mondo" (Gv 14, 27 ; 15, 19, 16, 33). E’ proprio a questi uomini eletti da Dio ma odiati dal mondo che Dio dona la pace da voi sperimentata in questo momento. "Questa pace — dice l’Apostolo — sorpassa ogni comprensione" (Fil 4, 7). L’Apostolo la chiama così perché nessuna parola può esprimere il ben essere dello spirito ch’essa fa nascere nei cuori degli uomini quando il Signore la concede. Lui stesso la chiama "la mia pace" (Gv 14, 27). Essa è frutto della generosità di Cristo e non di questo mondo; nessuna felicità terrena la può dare. Inviata dall’alto, dallo stesso Dio, essa è la pace "di Dio"... Cosa sentite ancora?
— Una dolcezza straordinaria.
— E’ la dolcezza di cui parlano le Scritture: "Essi berranno la bevanda della tua casa e tu li colmerai con il torrente della tua dolcezza" (Ps 35, 9). Tale dolcezza trabocca dai nostri cuori, scorre nelle nostre vene, procura una sensazione e una delizia inesprimibile... Cosa sentite ancora?
— Una straordinaria gioia in tutto il cuore.
Quando lo Spirito Santo scende sull’uomo con la pienezza dei suoi doni, l’animo umano è riempito d’una gioia indescrivibile; lo Spirito Santo ricrea nella gioia tutto quanto sfiora. E’ di questa gioia che il Signore parla nel Vangelo quando dice: "Una donna quando giunge la sua ora partorisce nel dolore; ma dopo che ha fatto nascere un bimbo non si ricorda più i suoi dolori, tant’è grande la sua gioia. Anche voi avrete da soffrire in questo mondo, ma quando vi visiterò i vostri cuori saranno nella gioia, una gioia che nessuno potrà rapirvi" (Gv 16, 21-22).
Per quanto grande e consolante sia la gioia che sperimentate in questo momento, essa non è nulla se paragonata a quella accennata dal Signore attraverso il suo Apostolo: "La gioia che Dio riserva a coloro che lo amano è al di là di ogni cosa che può essere vista, intesa e sentita dal cuore umano in questo mondo" (1 Cor 2, 9). Quanto ci viene concesso al momento presente non è altro che un acconto di questa gioia suprema. E se, in questo momento, sentiamo dolcezza, giubilo, ben essere, cosa diremo di quell’altra gioia che ci è riservata in cielo, dopo aver pianto su questa terra? Voi avete già abbastanza pianto nella vostra vita e vedete quale consolazione nella gioia via abbia donato il Signore. Ora tocca a noi, amico di Dio, lavorare con tutte le nostre forze per salire di gloria in gloria al fine di "costituire quest’Uomo perfetto, nella forza dell’età, che realizza la pienezza del Cristo" (Ef 4, 13). "Coloro che sperano nel Signore rinnovano le loro forze, hanno le ali delle aquile, corrono senza stancarsi e marciano senza fatica" (Is 40, 31). "Essi procederanno da altezza in altezza e Dio apparirà loro in Sion" (Ps 83, 8). E’ allora che la nostra attuale gioia, piccola e breve, si manifesterà in tutta la sua pienezza e nessuno potrà rapircela, dato che saremo riempiti di voluttà celesti... Cosa sentite ancora, amico di Dio?
— Uno straordinario calore.
— Come un calore? Non siamo forse nella foresta in pieno inverno? La neve e sotto i nostri piedi, noi ne siamo coperti ed essa continua a cadere... Di quale caldo si tratta?
— D’un caldo simile a quello dei bagni a vapore.
— E l’odore è come è come quello del bagno?
— Oh no! Nulla sulla terra può essere simile a questo profumo. Quando mia madre viveva ancora amavo ballare e, andando a divertirmi, mi cospargevo del profumo ch’essa comperava nei migliori negozi di Kazan pagandolo molto caro. Il suo odore non era per niente simile a questo sublime aroma.
Il padre Seraphim sorrise.
Lo conosco, amico mio, lo conosco altrettanto bene come voi ed è per questo che ve l’ho chiesto. E’ proprio vero. Nessun profumo sulla terra può essere comparato al buon odore che respiriamo in questo momento, il buon profumo dello Spirito Santo. Sulla terra cosa può assomigliargli? Avete appena detto di sentire caldo come in un bagno. Osservate! La neve che ci sta coprendo non si scioglie al pari di quella che sta sotto i nostri piedi. Il caldo non è dunque nell’aria ma dentro di noi. E’ quel caldo che lo Spirito Santo ci fa chiedere nella preghiera:
"Che il tuo Santo Spirito ci riscaldi!" Con tale calore gli eremiti, uomini e donne, potevano permettersi di sfidare il freddo dell’inverno, circondati com’erano d’un manto di pelliccia, d’un vestito intessuto dallo Spirito Santo.
In realtà è così che la Grazia divina abita nel più profondo della nostra anima e nel nostro cuore. Il Signore ha detto "Il Regno dei Cieli è dentro di voi" (Lc 17, 21). Per "Regno dei Cieli" Egli intende la Grazia dello Spirito Santo. Questo Regno di Dio ora è in noi. Lo Spirito Santo ci illumina e ci riscalda. Egli riempie l’aria con diverse profumazioni, fa gioire i nostri sensi e abbevera i nostri cuori con una gioia indicibile. Il nostro attuale stato è simile a quello di cui parla l’Apostolo Paolo "Il Regno dei Cieli non è questione di cibo o di bevanda ma di giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo" (Rm 14, 17). La nostra fede non si appoggia su parole di saggezza terrena ma sulla manifestazione della potenza dello Spirito. Lo stato nel quale ci troviamo in questo momento è quello che il Signore aveva visto quando disse: "In verità vi dico, alcuni tra coloro che sono qui non moriranno prima d’aver visto il Regno di Dio venire con potenza" (Mc 9, 1).
Ecco, amico di Dio, quale gioia incomparabile il Signore si è degnato di accordarci. Ecco cosa vuol dire essere "nella pienezza dello Spirito Santo". E’ questo che intendeva san Macario l’egiziano quando scriveva: "Io stesso fui nella pienezza dello Spirito Santo". Da umili che siamo il Signore ci ha riempiti con la pienezza del suo Spirito. Mi sembra che a partire da questo momento voi non avrete più bisogno d’interrogarmi sul modo in cui si manifesta nell’uomo la presenza della Grazia dello Spirito Santo.

Diffusione del messaggio
— Questa manifestazione resterà per sempre incisa nella vostra memoria?
— Non lo so, Padre, se Dio mi renderà degno di ricordare sempre questi fatti con la precisione di questo momento.
— Ma io, mi rispose lo starez, penso che Dio vi aiuterà a conservare queste cose per sempre. Altrimenti non sarebbe stato così velocemente toccato dall’umile preghiera del miserabile Seraphim e non avrebbe esaudito così velocemente il suo desiderio. D’altra parte non è solamente a voi che è stato concesso vedere la manifestazione d’una tale grazia, ma attraverso voi, al mondo intero. Fatevi forza perché sarete utile ad altri.

SCRITTI SPIRITUALI E INSEGNAMENTI
Dio è un fuoco che riscalda e infiamma il cuore e la carne. Quando nei nostri cuori sentiamo il gelo di Satana, poichè Satana è il gelo incarnato, allora gridiamo al Signore. Il Signore viene e riscalda le nostre anime con un amore perfetto non solo per lui ma anche per tutti i nostri fratelli. E colui che incarna il gelo spirituale, non appena
vede il riflesso in noi di questo fuoco d'amore, scompare all'istante perché non può che odiare il bene.
Lì dov'è Dio, il Male non ha più spazio. Tutto ciò che viene da Dio è salutare e utile all'anima umana; tutto ciò che viene da Dio la conduce ad un rigoroso giudizio su se stessa e la porta così all'umiltà.
Dio ci rivela il suo amore; non soltanto quando facciamo il bene, ma anche quando lo offendiamo e lo irritiamo con i nostri errori. Con
quanta pazienza sopporta le nostre mancanze. E quando castiga, con quanta misericordia lo fa!
Il nostro primo dovere è quello di credere in Dio, « credere che esiste e che ricompensa quelli che lo cercano » (Eh 11,6). La fede è il primo legame che ci unisce a Dio. Chiunque ha la vera fede è una pietra d'angolo nel tempio di Dio. E' predestinato nel cielo all'opera di Dio Padre, per la potenza di Gesù Cristo e prima di tutto per la sua morte sulla croce; è innalzato verso Dio con l'aiuto della grazia dello Spirito santo.
« Come il corpo senza l'anima è morto, così la fede senza le opere è morta » (Gc 2,26). Le opere della fede sono: carità, pace, pazienza, misericordia, umiltà, accettazione della croce e vita in unione con lo Spirito santo. La vera fede, la fede autentica non può esistere senza le opere buone; chiunque crede con sincerità, deve anche compiere opere di bene.
Tutti coloro che vivono con una salda speranza in Dio sono innalzati fino a lui ed è elargito loro lo splendore della luce eterna. La speranza vera cerca soltanto il Regno di Dio e sa che la Provvidenza provvederà sempre a tutte le necessità della vita temporale. Il cuore dell'uomo non troverà mai riposo se non può fissarsi e vivere in questa speranza.
Chiunque conosce il perfetto amore di Dio non ha più legami con la vita terrena; per lui essa ha cessato di esistere. Le cose visibili gli sono diventate estranee e pazientemente aspira all'invisibile. L'amore di Dio lo trasfigura e lascia perdere dietro a lui tutto quello che tenta di incatenano.
Chiunque ama se stesso non può amare Dio. Ama Dio solo chi, per amore verso Dio, non ama più se stesso. Chiunque ama Dio nella verità si considera come uno straniero, un pellegrino in questa terra, perchè nella sua fretta di andare verso Dio, nella sua anima e nel suo spirito non vede null'altro all'infuori di Dio. L'anima che in tal modo conosce la pienezza dell'amore di Dio, nel momento in cui lascia il corpo non teme il principe dell'aria (Satana), ma s'innalza, accompagnata dagli angeli, come se da una terra straniera raggiungesse la sua patria.
L'uomo deciso a seguire la via della santa temperanza deve prima di tutto essere animato dal timore di Dio, che è inizio di ogni sapienza. E bene che nel suo spirito restino impresse le parole profetiche: « Servite Dio con timore, baciate i suoi piedi con tremore »(Sai 2,11-12). Avanzi e progredisca con la massima prudenza e il più profondo rispetto per tutto ciò che è santo, senza mai allentare il suo sforzo. Altrimenti potrebbe correre il rischio di vedere compiere in lui ciò che Sta scritto: «Maledetto colui che compie fiaccamente l'opera del Signore » (Ger 48,10).
Ci sono due specie di timore; se non vuoi fare il male, temi il Signore e fuggi il male. Ma se vuoi fare il bene, temi il Signore e fa' il bene.
Nessuno può giungere al timore di Dio senza liberarsi prima da ogni preoccupazione temporale. Solo quando il nostro spirito è distaccato da tutte le preoccupazioni di quaggiù, il timore di Dio può animano e lo guida all'amore della grazia del Signore.
Acquisisce la grazia di Dio solo l'uomo che si sottrae totalmente al mondo, che concentra tutti i suoi pensieri e i suoi sentimenti per sprofondarsi nella contemplazione di Dio e nell'estasi della pace promessa ai santi di Dio.
Non si può assolutamente rinunciare al mondo e conoscere la contemplazione spirituale se si resta nel mondo, perché finché le passioni non sono state calmate, l'anima non può trovare la pace. Ora, le passioni non vengono per nulla meno finché ci lasciamo assalire da tutto quello che le eccita.
Per ottenere la piena libertà nei confronti delle passioni, perché l'anima si ritiri completamente in se stessa, è indispensabile esercitarsi costantemente al raccoglimento dello spirito e alla preghiera.
Questo rientrare dell'anima in se stessa è una croce sulla quale l'uomo deve stendersi con le sue passioni e i suoi desideri.
Per ricevere e sentire in sé la luce del Signore, bisogna sottrarsi il più possibile a tutte le cose visibili. Quando, in una fede intensa nel Crocifisso, si è riusciti a purificare la propria anima con la penitenza e le opere buone, bisogna chiudere i propri occhi di carne, far scendere la mente nel cuore e invocare incessantemente il Nome di nostro Signore Gesù Cristo: « Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me! » Allora, a seconda della misura del proprio slancio e del proprio amore
per il Diletto, nell'invocazione del suo Nome l'uomo trova un rapimento che suscita in lui la volontà di ricercare l'illuminazione suprema.
Quando per molto tempo la meditazione si applica a questi sforzi e quando il cuore ha trovato il silenzio, allora la luce di Cristo comincia a brillare e rischiara il tempio dell'anima, come a nome di Dio ha scritto il profeta Malachia: « Per voi che temete il mio Nome si leverà il sole di giustizia ».
Questa luce è la vita: « Di ogni essere essa era la vita e la vita era la luce degli uomini » (Gv 1,4).
Quando l'uomo contempla in sé la luce eterna, il suo spirito èpuro e distaccato da ogni immagine terrena. Immerso nella visione dei beni increati, dimentica tutto l'universo sensibile, si augurerebbe di non vedere più se stesso, ma di perdersi profondamente nel cuore dell'universo, per conservare per sempre l'immagine di Dio sua unica salvezza.
Per gli ultimi otto anni di padre Serafim si ha qualche perplessità nell'usare il termine di starcestvo. Da molto tempo aveva sorpassato i limiti stessi di quell'universo di carità e dedizione di cui aveva intessuto la sua esistenza. Ormai era l'incarnazione del Giusto, di colui che, sulle soglie dell'indicibile mistero, getta un ponte tra la terra e l'al di là.
Per i fedeli non era già più un uomo come gli altri, ma un santo del cielo trattenutosi nella sua dimora corporea per amore dei peccatori. E quando compresero che il santo starets si preparava alla beatitudine eterna, non provarono alcun dolore, ma piuttosto una gioia sconfinata, sicuri com'erano di trovare in lui un intercessore presso il trono di Dio. La sua morte non era una conclusione, una fine. Fino all'ultimo, diede loro la testimonianza tangibile dei suoi doni miracolosi, dispensati così largamente nel corso della sua vita. Fino all'ultimo, malati e afflitti andarono a pregarlo di aiutarli e ricevettero i suoi benefici.
Per più di un mezzo secolo, il santo starets aveva operato per la gloria di Dio. Ora aveva 72 anni. Le sue forze, prodigate senza risparmio, declinavano lentamente. Solo il suo spirito manteneva in lui, viva, la fiamma dell'amore di Dio. Solo di rado la­sciava il monastero per ritirarsi nella sua capanna della foresta, lontano dai supplicanti le cui visite gli pesavano sempre di più. Riceveva solo i malati, che guarì ancora in gran numero.
Più volte gli capitò di annunciare la sua prossima fine.
« Sono alla fine, dovrete imparare a fare a meno di me». Voleva impiegare i pochi giorni rimastigli per restare solo davanti a Dio. Passava la maggior parte del tempo in preghiera. Il viso luminoso, le mani alzate: perduto in una preghiera silenziosa, sembrava appartenere a un altro mondo.
« Quale gioia, quale estasi si impadronisce dell'anima quando, lasciato il corpo, gli angeli le vengono incontro per portarla davanti al volto dell'Altissimo. Quando sarò morto, venite sulla mia piccola tomba. Venite solo quando ne avrete il tempo, ma il più spesso possibile. Qualsiasi peso avrete nel cuore, se sarete malati o afflitti, venite da me e portate la vostra pena sulla mia povera tomba. Inginocchiatevi e raccontatemi tutto, come se fossi ancora tra di voi. Vi ascolterò e la vostra preoccupazione sparirà subito, vedrete. Per voi vivrò ancora, per voi vivrò per sempre ». Così parlava allora il pio starets.
Il primo giorno dell'anno 1833, una domenica, assistette per l'ultima volta alla santa liturgia. Per tutta la giornata lo si sentì cantare nella sua cella inni pasquali. Per tre volte tornò al piccolo angolo di terra che aveva scelto per la sua tomba. L'indomani, all'ora della liturgia dell'alba, fu trovato nella sua cella davanti all'icona della Madre di Dio detta della « Tenerezza ». Era come se fosse caduto a terra, in ginocchio con le braccia incrociate sul cuore e il volto luminoso. Gli occhi erano chiusi come se si fosse addormentato profondamente.
Il pio starets era ormai entrato nella vita eterna.
Con la Chiesa ridiciamo questa preghiera al santo starets:
« Beato Serafim, tu che fin dalla giovinezza sei vissuto in Cristo, tu la cui anima ebbe il solo desiderio di servire Lui, l'Unico, nelle tue sofferenze e nelle tue costanti preghiere; tu che hai operato per noi; tu che hai saputo accendere nei cuori pentiti l'amore di Cristo; tu che sei stato l'eletto che la Madre di Dio prediligeva; per questo noi ti supplichiamo, o santo padre Serafim: ottienici con le tue preghiere la salvezza eterna ».

Canone di preghiera


Ogni cristiano, appena alzato, reciti in piedi, davanti alle icone,
- la preghiera domenicale del «Padre Nostro» per tre volte, in onore della Santa Trinità;
- poi l'inno alla Vergine: «Rallegrati, o Vergine, Madre di Dio»[1] pure questo tre volte;
- infine il Credo, una volta sola.

Dopo aver pregato in questo modo, ciascuno si occupi di quanto deve fare. Durante il lavoro, in casa, per strada, in viaggio, ripeta sottovoce: «Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore», e se non è da solo, dica interiormente: « Signore, pietà », e vada avanti così fino a mezzogiorno.

Prima di mangiare, ripeta le preghiere del mattino.
Nel pomeriggio ogni cristiano, occupato nelle proprie faccende, dica sottovoce: «Santa Madre di Dio, salva me, peccatore», oppure: «Signore Gesù Cristo, per l'intercessione della tua Santa Madre, abbi pietà di me, peccatore».
E continui così fino a sera.

Prima di coricarsi, ogni cristiano reciti ancora una volta le stesse preghiere del mattino; poi, dopo aver fatto il segno della croce, si addormenti.

Seguendo questa norma - diceva lo staretz - si può giungere alla perfezione cristiana, perché le tre preghiere che la compongono sono il fondamento stesso del cristianesimo. La prima è stata data dal Signore stesso e serve da modello a tutte le altre; la seconda è un canto portato dal cielo dall'Arcangelo per salutare la Vergine Maria, Madre di Dio; quanto al Credo, contiene in sintesi tutti i dogmi della fede cristiana.

A coloro che non avevano neanche la possibilità di recitare queste preghiere davanti alle icone, lo staretz permetteva di recitarle a letto, in cammino, lavorando, poichè sta scritto: «Chiunque invocherà il Nome del Signore, sarà salvato» (Rom 10, 13). Quelli poi che hanno a disposizione più tempo di quello necessario per recitare queste preghiere e sono istruiti, possono aggiungervi altre preghiere, o la lettura di canoni, di acatisti, di salmi, dei Vangeli o delle Epistole.

Paragonando questo canone di preghiera con quello dato un tempo dallo staretz alle monache di Divejevo, ci si rende conto che non vi è una grossa differenza. Il Padre Nostro, l'Ave Maria e il Credo ne costituiscono la base. La cosa più difficile è comune a entrambi: «conservare» durante tutta la giornata la preghiera interiore nel proprio spirito unito al cuore. E' l'invincibile vittoria, «la stella che ci guida suI cammino del Regno».

Lo staretz consigliava sia ai laici che ai monaci e alle monache la comunione frequente, il più spesso possibile
. «Colui che si comunica non solo una volta all'anno, ma spesso, sarà benedetto già sulla terra. Sono convinto che la grazia si diffonde anche sulla discendenza di colui che si comunica. Davanti a Dio un giusto conta più di un gran numero di empi».

Dobbiamo affrettarci ad aggiungere che il canone quotidiano di preghiera seguito dallo staretz non era così semplice né così breve. Comprendeva un gran numero di preghiere, invocazioni, tropari, kondak, katismi[2] che evitiamo di tradurre. Si possono trovare riassunti nel libro di N. Levitsky (pp. 643-646), oppure in V. I. Ilyn, San Serafino di Sarov, YMCA Press, Parigi 1930 (in russo), pp. 193-198.

Qui vorremmo citare solo una preghiera penitenziale - quella di Efrem il Siro - che i fedeli recitano con amor e compunzione durante la Quaresima, e che lo staretz aveva incluso nel proprio canone quotidiano a motivo della sua grande bellezza e dell'intima corrispondenza con lo spirito dell'ortodossia.


Dio mio e Signore della mia vita,
liberami dallo spirito dell'ozio
dallo scoraggiamento
dalla volontà propria
e dalle parole inutili.
(Metania)

Ma lo spirito di castità
di umiltà
di pazienza
e di amore
concedilo al tuo servitore.
(Metania)

O mio Dio e mio Re,
fà che io veda i miei peccati
e che non giudichi il mio prossimo
perché Tu sei benedetto
nei secoli dei secoli.
(Metania)

Amen.

[1] Equivalente dell'Ave Maria.
[2] Tropari, kondak, katisrni sono inni che fanno parte del ciclo liturgico della Chiesa Ortodossa.