martedì 25 gennaio 2011

Il battesimo delle lacrime


Ancora oggi i nostri fratelli ortodossi celebrano la festa di san Gregorio di Nazianzo, ca. 330-389/390, detto "il Teologo", padre della Chiesa e pastore.




Gregorio nacque ad Arianzo, in Cappadocia, verso il 330. Suo padre, dopo essersi convertito al cristianesimo, era divenuto vescovo della vicina diocesi di Nazianzo.
Compiuti gli studi in diverse grandi città dell'epoca, Gregorio ricevette il battesimo a Costantinopoli e raggiunse quindi l'amico Basilio ad Annesi per condividere con lui la ricerca di Dio nella solitudine. Nel 361, tuttavia, egli fu costretto ad abbandonare la quiete monastica per aiutare il padre nel governo della diocesi di Nazianzo.
Quando Basilio divenne vescovo, pensò a lui per la nuova diocesi di Sasima. Gregorio non fu affatto lieto della nomina episcopale, e non prese mai possesso della diocesi: rimase presso il padre, e alla morte di questi si ritirò in monastero.
Ma la sua vita cambiò ancora quando nel 379 fu eletto vescovo della piccola comunità ortodossa di Costantinopoli, città sotto il dominio degli ariani. Recatosi nella capitale, Gregorio vi aprì la chiesa dell'Anastasis e pronunciò discorsi di straordinario valore teologico e letterario, al punto da meritare l'appellativo di «teologo», che la chiesa bizantina riserva a pochissime persone.
All'apertura del concilio di Costantinopoli, Gregorio ne assunse la presidenza dei lavori, ma quando fu riesumato il suo antico rifiuto di recarsi a Sasima, abbandonò la città e tornò a Nazianzo, per concludere nella solitudine il proprio difficile pellegrinaggio terreno.
Morì nel 389/390, con il cuore spezzato e umiliato, ma con lo sguardo fisso nella contemplazione della Trinità, dopo esser divenuto, suo malgrado, un lottatore.

TRACCE DI LETTURA
Accanto alle forme di battesimo di cui ci parla la Scrittura, io ne conosco un'altra: l'immersione nelle lacrime. E' un battesimo impegnativo, perché colui che lo riceve giorno e notte bagna di lacrime il proprio giaciglio. E' il battesimo di chi procede dolente e rattristato e imita l'umiliazione dei Niniviti, la quale ottenne misericordia. Io, per mio conto, siccome confesso di essere uomo, cioè un animale mutevole, di natura fragile, accetto volentieri questo battesimo e adoro Colui che me lo ha concesso, e ne faccio parte anche agli altri e dono per primo la misericordia per ottenere misericordia. So, infatti, che anch'io sono circondato di debolezza e che sarò misurato con la stessa misura con cui io per primo ho misurato agli altri.
Gregorio di Nazianzo, dal Discorso 39
PREGHIERA
Signore Dio,
tu hai donato alla tua chiesa
Gregorio di Nazianzo
che ha cantato mirabilmente le tue lodi:
rinnova questa grazia
nella chiesa di oggi,
perché essa ti renda testimonianza
con vigore e sapienza.
Per Cristo nostro unico Signore.


Sempre e solo per chi ha un pò più di tempo, pubblico tre piccoli testi di san Gregorio Nazianzeno, il primo sulla teologia del corpo, il secondo è un'antologia breve tratta dalle sue "Orazioni", e il terzo è un bellissimo Inno Vespertino... Buona preghiera.



1. Dovrò abbracciare il corpo come un amico

L’ascesi cristiana è un argomento fin troppo banalizzato, forse a causa di orientamenti errati ed eccessivi nei quali non è difficile scoprire uno sfondo dualistico. Nell’Ortodossia si benedice la creazione e la si accoglie come dono di Dio. Il corpo fa parte di essa, pur essendo fragile e soggetto alla caducità. Ne consegue un atteggiamento realistico nel quale il corpo non viene esaltato edonisticamente, come se fosse una realtà senza imperfezioni e della quale fruire indefinitamente. Se il corpo non è esaltato indebitamente, non è pure disprezzato perché è anch’esso chiamato a partecipare ad una pienezza che lo trascende e lo trasfigura. Ma per tutto ciò il corpo viene serenamente e pazientemente educato nell’ascesi affinché non sia più la persona a vivere per se stessa, ma Cristo in lei (Gal 2, 20).
Non conosco il modo con il quale io sia stato congiunto al corpo né come, allo stesso tempo, possa essere l’immagine di Dio e impastato di fango. Infatti, anche quando il corpo gode di una buona salute, tuttavia mi incalza e mi preme violentemente, provocandomi dolore. Io lo amo come un amico, ma lo odio come un nemico e un avversario; lo fuggo come una prigione, lo venero come mio coerede. Se tento di indebolirlo e di sconfiggerlo, non trovo più un compagno e un collaboratore del quale servirmi per le imprese più insigni, non ignorando certamente di essere stato creato, appunto, per questo motivo: per dover ascendere, cioè, con le mie azioni, fino a Dio. Se invece mi comportassi più docilmente nei confronti del corpo, cioè come collaboratore, non saprei più come fuggirne la violenza ribelle ed evitare di allontanarmi da Dio, sotto il peso di quei vincoli che mi trascinano a terra e mi ostacolano. Come nemico il corpo è blando, come amico è insidioso. Com’è straordinaria questa unione e contraddizione! Ciò che temo, lo abbraccio; ciò che amo, lo temo grandemente. Prima di fargli guerra, mi concilio con lui; prima di far pace, entro in dissidio con quello. Che sapienza è mai quella che vado così sperimentando? Che mistero è mai questo? Forse Dio consente questo affinché noi, essendo sua proprietà ed essendo venuti dall’alto, esaltandoci e insuperbendoci per la nostra dignità, non disprezziamo il Creatore e, a causa di quella lotta e di quell’inimicizia che intercorre fra noi e il corpo, mai distogliamo gli occhi da lui. Pertanto, quell’infermità che è stata unita a noi frena e coarta la nostra dignità; e ciò affinché noi comprendiamo di essere grandissimi e nello stesso tempo quanto mai abietti, terreni e celesti, caduchi e immortali, eredi della luce e del fuoco, oppure delle tenebre, a seconda che ci sia toccato di propendere verso l’una o l’altra condizione. Questa nostra mescolanza, per quanto io posso comprendere, avviene affinché, avendo l’immagine della dignità divina insuperbito i nostri animi, la polvere invece, li deprima e li raffreni... Ma ora (...) ciò che si deve fare, fratelli, è curare il corpo come un parente ed un amico. Sebbene, infatti io lo abbia accusato come un nemico a motivo di quelle perturbazioni ch’esso reca all’animo, ciò nondimeno, in considerazione di colui che tale unione ha stabilito e realizzato, dovrò abbracciare il corpo come un amico.



2. DALLE “ORAZIONI TEOLOGICHE

La presente antologia illustra il modo d’argomentare di Gregorio su alcuni temi che hanno un particolare interesse anche per il nostro tempo di grande grande grande confusione...


Conta di più il numero dei fedeli o la qualità della fede?
Dove sono allora quelli che ci rinfacciano la povertà e vanno superbi della loro ricchezza? Quelli che definiscono la Chiesa in base al numero delle persone, e disprezzano il “piccolo gregge”? Quelli che arrivano a misurare la divinità e a pesare sulla bilancia il popolo? Quelli che riconoscono valore alla sabbia e oltraggiano le luci del cielo, ammassano le pietruzze e disdegnano le pietre preziose? Non sanno, infatti, che se i granelli di sabbia sono più numerosi degli astri e i ciottoli lo sono più delle pietre lucenti, non sono, però, anche più puri e preziosi.
Ti irriti ancora? Vuoi ancora armarti? Insulti ancora? La nostra è una fede nuova? Trattieni per poco le minacce e io parlerò. Noi non vogliamo offendere, ma rimproverare; non minacciare, ma biasimare; non colpire, ma curare. Anche questo ti sembra degno d’insolenza? Che superbia! Ancora una volta consideri uno schiavo chi ti è pari in dignità? Se non è così, accetta la mia libertà di espressione. Anche un fratello rimprovera il proprio fratello, quando viene da lui offeso.
(Orazione 33, 1)

Credere rettamente nella Trinità
Ora il mio discorso si rivolge a voi, che siete il mio gregge. “Voi – dice san Paolo – siate per me gloria, gioia e corona di fierezza”, voi siate per me difesa da quelli che mi portano in giudizio, affinché, come quando si chiede conto a dei fabbri o a dei pittori, è sufficiente che essi mostrino la loro opera di costruzione o di pittura per liberarsi da ogni imbarazzo (l’opera, infatti, ha più valore di un discorso), e così anche io, mostrando voi, possa avere la meglio sulla maldicenza.
E come lo potrò? Prima di tutto, se voi manterrete stabile e fissa la vostra confessione nel Padre nel Figlio e nello Spirito Santo, senza niente aggiungere e niente sottrarre né rimpicciolire l’unica divinità, perché ciò che è diminuito implica una diminuzione del tutto. Quelli, invece, che pensano o che dicono qualcos’altro, che distruggono l’Uno o lo dividono introducendo differenze tra le varie nature, allontanateli come una sciagura per la Chiesa e un veleno per la verità, senza odiarli, ma avendo pietà per la loro caduta.
Secondariamente, se voi manterrete una condotta di vita conforme alla retta dottrina, così da eccellere nella virtù e non essere manchevole per eccesso o per difetto.
(Orazione 36, 10)

L’unità in Dio proviene dalla sua unica natura alla quale appartengono le tre divine Persone (ipostasi)
“Per noi uno solo è Dio, il Padre, da cui sono tutte le cose, e uno solo è il Signore Gesù Cristo, per mezzo del quale sono tutte le cose”, e uno solo lo Spirito Santo, nel quale sono tutte le cose. Le espressioni “dal quale”, “per mezzo del quale” e “nel quale” non indicano una divisione delle nature – altrimenti non potrebbero mai cambiare le preposizioni né l’ordine delle parole –, ma caratterizzano le peculiarità di una sola natura non confusa. E questo risulta chiaro da quelle preposizioni che si riferiscono, al contrario, a un solo oggetto, se si legge con attenzione il testo dello stesso Apostolo, quando afferma: “Da Lui e per mezzo di Lui e a Lui sono tutte le cose: a Lui la gloria nei secoli, amen”. Il Padre è padre, e senza inizio: infatti, non proviene da alcuno. Il Figlio è figlio, e non privo di inizio: infatti, proviene dal Padre. Se, però, tu intendi l’origine come temporale, allora Egli è privo di inizio, perché è Lui che ha creato il tempo e non è sottomesso al tempo. Lo Spirito è veramente Spirito Santo, che procede dal Padre, ma non come il Figlio: infatti, non proviene per generazione, ma per processione, se mi è consentito introdurre termini nuovi per esigenza di chiarezza. Il Padre non cessa di essere non generato, per il fatto che ha generato, né il Figlio cessa di essere generato, perché proviene da un Essere non generato – come lo potrebbe, infatti? –, e lo Spirito non si trasforma nel Padre o nel Figlio, solo per il fatto che procede dal Padre e che è Dio, anche se questi empi non lo accettano: infatti, la peculiarità è immobile. Come potrebbe rimanere peculiarità se si muovesse e si trasformasse? Quelli, poi, che considerano la condizione di non generato e di generato come delle nature di dèi che hanno lo stesso nome, forse renderanno estranei l’uno all’altro, in base alla loro natura, anche Adamo da Seth, perché il primo non è nato dalla carne, ma è plasmato da Dio, il secondo è nato da Adamo e da Eva!
Uno solo, allora, è Dio in tre Esseri, e i tre Esseri sono uno solo, come abbiamo detto.
(Orazione 39, 12)

Perché il battesimo sia efficace, ad esso deve congiungersi la retta confessione di fede
Oltre a tutte queste cose e prima di tutte, conservami il buon deposito, per il quale vivo e per il quale sono cittadino, e che correi prendere con me quando partirò da questa vita; con esso io sopporto tutti i dolori e disprezzo tutti i diletti. Esso consiste nella confessione di fede nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo. Io ti affido oggi questa confessione, con questa io ti battezzerò (immergerò) e ti solleverò in alto. Io te la consegno come compagna di tutta la vita e tua protettrice: è l’unica divinità, l’unica potenza, che si ritrova unitamente nelle tre Persone e riunisce in maniera distinta i tre Esseri. [...] Affrettiamo la nostra salvezza, leviamoci incontro al battesimo: lo Spirito palpita, colui che ti deve rendere perfetto è pronto, il dono è a tua disposizione. Se, invece, sei ancora incerto e non accogli la perfezione della divinità, e di fare di te un morto proprio nel momento della rigenerazione, in modo che tu non abbia né la grazia né la speranza della grazia, facendo naufragare in breve tempo la tua salvezza. Infatti, qualunque delle tre parti tu abbia sottratto alla natura divina, avrai distrutto tutto il complesso e, per te stesso, la perfezione.
(Orazioni, 40, 44)

Tacere su Dio è lodevole segno di umiltà
Secondo me, umile non è colui che parla con misura di Dio: colui che sa dire alcune cose, trattenersi su altre, ammettere la sua ignoranza su certi temi; colui che cede la parola a chi ne ha il compito, che ammette che ci sia qualcuno più ispirato di lui dallo Spirito Santo e più progredito nella contemplazione. È vergognoso rifiutare un modo di vestire e un tenore di vita più elevato e assumerne uno più semplice, fare mostra di umiltà e di consapevolezza della propria debolezza con calli alle ginocchia, lacrime a fiotti,e, ancora, digiuni, veglie, sonni fatti a terra, fatiche a tutti i tipi di pena, ed essere poi dei tiranni autoritari quando si parla di Dio, non cedere il posto assolutamente a nessuno, essere superbo più di un dottore della legge. In questo campo l’umiltà comporta, insieme, con la gloria anche la sicurezza. [...] Io non ti esorto a tacere, uomo sapientissimo, ma a non comportarti in modo rissoso; non ti invito a nascondere la verità, ma a non insegnarla in contrasto con la legge.
“Se hai una parola di intelligenza, rispondi” – dice la Scrittura – “e nessuno te lo impedirà; altrimenti metti un laccio alle tue labbra”. Quanto meglio questo testo si adatta a quelli che sono pronti a insegnare! Infatti, se è il momento giusto, allora insegna, se no, frena la lingua e apri le orecchie. Occupati delle cose divine, ma rimanendo entro i limiti. Pronuncia le parole dello Spirito e, se è possibile, niente altro; pronunciale più spesso di quanto prendi fiato – infatti, è bello e divino essere sempre spronati a Dio ricordandosi delle cose divine –, ma pensando alle cose che ti sono state prescritte. Non ti occupare eccessivamente della natura del Padre, dell’esistenza dell’Unigenito, della gloria e della potenza dello Spirito, della divinità e dello splendore delle tre Persone, della natura indivisibile, della confessione, della gloria e della speranza dei fedeli. Tienti stretto alle parole con le quali sei stato nutrito: il discorso sia dei più saggi. [...] La tua prontezza arrivi fino alla confessione di fede, se mai ti viene richiesta; per ciò che è al di là di essa, sii più timido.
(Orazioni 32, 19-21)


3. INNO VESPERTINO


Questo è forse il migliore carme di Gregorio. La fine del giorno suggerisce al poeta l’idea e il fascino della luce, che domina tutto il testo. Cristo è la Luce: egli illuminò il cosmo nella creazione; egli plasmò l’uomo nella più sublime luce dell’intelletto e nell’immagine di Dio, affinché l’uomo diventi tutto luce, divinizzandosi con la fede e con le opere gradite a Dio e raggiunga il giorno eterno, che non conosce notte. Delicatissimi gli ultimi tocchi; san Gerolamo dice che per il santo anche il sonno è preghiera. Il poeta vuole che il suo sonno sia breve, per non mancare troppo a lungo di far eco al coro perenne degli angeli inneggianti a Dio; anzi, vuole che anche quando il suo corpo dorme, la sua anima vegli a conversare con il Padre e con il Figlio e con il Santo Spirito Dio.

Te, anche ora, noi benediciamo,
o Cristo, Parola del mio Dio,
luce da luce che non ha principio,
e dispensatore dello Spirito,
triplice luce che in unico
splendor s’aduna.
Tu dissipasti le tenebre
e stabilisti la luce;
e nella luce creasti ogni cosa,
e fissasti l’instabile materia
nelle forme del cosmo
e nel presente bell’ordine.
Tu illuminasti la mente dell’uomo
con la ragione e la sapienza,
offrendo anche quaggiù un’immagine
dello splendor dell’alto,
affinché con la luce l’uomo veda la luce,
e diventi tutto luce.
Con lumi vari
illuminasti il cielo.
Alla notte e al giorno
comandasti d’alternarsi in pace,
rendendo onore alla legge
del fraterno amore.
Con la notte dai tregua alle fatiche
della molto travagliata carne;
e col giorno svegli al lavoro
e all’opere a te gradite,
affinché, fuggendo le tenebre,
ci affrettiamo verso il giorno,
quel giorno che mai non dissipa
oscura notte.
Tu fa’ che scenda leggero
il sonno sulle mie palpebre,
affinché non troppo a lungo
giaccia la lingua senza lodarti;
e cessi di far eco al coro degli angeli
la tua creatura.
Insieme a te il letto induca
a pie meditazioni;
non rimproveri la notte
qualche sozzura del giorno;
né vani sogni mi turbino,
scherzi della notte.
La mente, invece, pur senza il corpo,
con te parli, o Dio,
e con il Padre e con il Figlio
e col Santo Spirito,
cui sia onore, potenza e gloria
per i secoli. Amìn.



da: Carmi autobiografici, XXXII, in MG, XXXVII, 511-513.