mercoledì 16 febbraio 2011

Tale padre, tale figlio...

Oggi 16 febbraio la Chiesa ricorda il beato Giuseppe Allamano, il fondatore dei Missionari della Consolata nonchè l'"inventore" della Giornata Missionaria Mondiale. Allievo nonchè figlio spirituale di san Giovanni Bosco e nipote di san Giuseppe Cafasso...

allamano
Castelnuovo d'Asti (oggi Castelnuovo Don Bosco) è un paese essenzialmente agricolo, arroccato sulle pendici di un colle, a 30 chilometri da Torino. Distese di vigneti sulle alture assolate, campi di cereali e foraggi nelle valli umide e brumose. Nella parte bassa del paese, un vicoletto si snoda dalla strada principale per arrestarsi dinanzi a un portone. Dietro il portone un cortile e una casa: qui nacque, il 21 gennaio 1851, Giuseppe Allamano.
Castelnuovo è terra di personaggi e santi. Nel 1811 vi nacque S. Giuseppe Cafasso, il formatore del clero torinese, definito da Pio XI "la perla del clero italiano". Sua sorella Maria Anna è la mamma di Giuseppe Allamano.
Cinque anni più tardi venne alla luce in frazione Becchi un'altra eccelsa figura: S.Giovanni Bosco.
A ridosso della piazza centrale del paese c'è la casa natale di un altro personaggio: il Cardinale Giovanni Cagliero, pioniere delle missioni salesiane in Patagonia.
A sette chilometri da Castelnuovo si affaccia sulla cima di un colle Piovà Massaia. È il paese natale di Guglielmo Massaia, il grande evangelizzatore dell'Etiopia dell'ottocento.
Vicino a Castelnuovo è pure Riva di Chieri, dove nacque S. Domenico Savio.
Quarto di cinque figli, Giuseppe Allamano perse il padre quando aveva appena tre anni e la conduzione della famiglia pesò sulle spalle della mamma. Animata da grande carità verso i poveri, donna forte e di grande fede, ebbe sul figlio l'influsso che mamma Margherita esercitò su Don Bosco. Due donne che evidenziano il valore dell'educazione familiare.
Undicenne, Giuseppe Allamano approda a Torino, per entrare nell'oratorio di Don Bosco. Vi compie gli studi ginnasiali, sotto la guida del santo educatore, al quale - confessa - rivela tutto. Don Bosco, a sua volta, vede in lui la stoffa di un ottimo salesiano e lo esorta a diventarlo. Ma Giuseppe non si sente chiamato per quella strada. E al termine degli studi lascia l'oratorio insalutato ospite.
"Me l'hai fatta grossa!", gli dirà più tardi Don Bosco.
Tornato a casa continua a studiare e matura la defintiva decisione: entrare in seminario per essere sacerdote della diocesi torinese. I fratell ipongono qualche resistenza, invitandolo ad attendere. Ma egli risolve definitivamente la questione, dicendo:"Il Signore mi chiama oggi. Non so se mi chiamerà tra due o tre anni!". Ed entra in seminario.
Gracile di costituzione, già al primo anno una grave malattia lo riduce in fin di vita. Le conseguenza si faranno sentire per tutta la vita. Più volte giungerà alle soglie della morte. Ma la tempra spirituale è robusta. Attende con passione allo studio e alla preghiera. Emergono dai suoi propositi di questi anni i lineamenti della sua personalità. "Voglio farmi santo, presto santo, grande santo... Fare, non attendere". Carattare volitivo, intende impegnare tutte le energie per essere sacerdote all'altezza del suo compito.
Il 20 settembre 1873 è ordinato sacerdote. Ha 22 anni. Alla festa manca anche la mamma, morta dopo lunga malattia che l'aveva resa immobile e cieca.Il dolore del figlio prediletto fu cocente. Non potè rivederla neppure morta. Chi doveva recargli la notizia se ne era dimenticato!
Attività in diocesi
Divenuto sacerdote, aspirava ad esercitare il ministero parrocchiale. Ma il Vescovo ha altri piani. Gli chiede di ritornare in seminario per attendere alla formazione dei seminaristi.
- "La mia intenzione era di andar vicecurato e poi magari parroco in qualche paesello", obietta il giovane sacerdote.
- "Se è per questo, risponde il Vescovo, ti dò la parrocchia più insigne della diocesi, il seminario.
- "Ma sono ancora giovane e con molti seminaristi ci diamo del tu!
- "E' vero, ma ti vogliono bene!".
Seppe conquistarsi l'affetto e la fiducia dei seminaristi, rivelando doti di vero educatore. Sapeva conciliare la severità nell'esigere il rispetto della disciplina con la comprensione dell'animo giovanile.
Dopo sette anni passati in seminario, nel 1880 è nuovamente chiamato dal Vescovo, che gli dice:
"Ti ho fatto venire per comunicarti che ti ho nominato Rettore del santuario della Consolata".
Era certamente un atto di fiducia. Ma non solo. La situazione alla Consolata era delicata e intricata. Il santuario, da secoli cuore spirituale di Torino, versava in condizioni penose. L'annesso convitto ecclesiastico per la formazione dei giovani sacerdoti era chiuso,a causa di aspre controversie sull'insegnamento della Morale. In compenso vi erano confluite altre opere: un Ospizio per sacerdoti anziani e un pensionato universitario. La convivenza sembrava impossibile. L'Allamano si rese conto che l'Arcivescovo non aveva trovato nessuno disposto ad accettare l'incarico. Tenta la carta della giovane età, appena ventinove anni!
- "Sono troppo giovane per dirigere i vecchi!"
- "L'essere giovane - ribatte il vescovo - è un difetto che si perde col tempo"
L'Allamano obbedisce. Commentando il fatto dirà: "Quando andai alla Consolata, avevo la febbre addosso; vi andai solo per fare l'obbedienza". E vi rimase fino alla morte, per 46 anni.
Si sceglie il primo collaboratore, il sacerdote Giacomo Camisassa. Tra i due si instaura una santa cordiale amicizia. Resteranno insieme,rettore e vicerettore della Consolata, per più di quarant'anni. Insieme si mettono subito al lavoro per ridare dignità al cadente santuario e rinnovarne il funzionamento religioso. Poco per volta il santuario riprende vita fino a diventare centro propulsore delle iniziative pastorali della diocesi, nel nome della Madonna. L'edificio stesso subisce una ingente opera di restauro e di ampliamento, trasformandosi nel più fastoso e animato tempio di Torino
L'Allamano si sente anzitutto sacerdote. Trascorre lunghe ore al confessionale. E' consigliere di vescovi, sacerdoti, laici impegnati, comunità religiose. A lui accorrono quanto sono afflitti da qualche pena e ne trovano conforto. Accorre al capezzale di malati e di morenti che per gli ultimi sacramenti vogliono solo lui. Promuove celebrazioni che attirarono alla Consolata folle di fedeli. Incrementa il legame con la Madonna di varie categorie di persone, mediante associazioni di aristocratici, operai, erbivendole, sarte... Incoraggia l'attività dei cattolici in campi allora nuovi e per questo guardati con una certa diffidenza: l'azione cattolica, l'apostolato sociale. Non è giornalista, ma sente viva l'importanza del giornalismo. Incoraggia Giacomo Alberione a dar vita a una nuova forma di apostolato tanto necessaria: la stampa cattolica. Nel 1899 favorisce lui stesso la nascita del periodico "La Consolata", che dopo cinque anni ha già una tiratura di ventimila copie.
Chiede all'arcivescovo di riaprire il Convitto ecclesiastico e di porre fine a una lacerazione nella diocesi. La risposta è positiva. "fai pure. Di te mi fido!". Assicurò, così, l'esistenza di una istituzione che forgiò una schiera di santi sacerdoti. Nell'intento di offrire loro un modello a cui ispirarsi, riesumò la figura di Giuseppe Cafasso. Ne pubblicò gli scritti e la biografia, raccolse testimonianze su di lui, ne fece rivivere lo spirito tra il clero, ne avviò il processo di canonizzazione.
Con la nomina a Rettore del santuario e del convitto della Consolata, cade sulle spalle dell 'Allamano un'altra responsabilità: la direzione del santuario di Sant'Ignazio, presso Lanzo, divenuto centro per corsi di esercizi spirituali.
Giunto al massimo splendore con il Cafasso era poi caduto in basso. L'Allamano gli ridà vita. Ne ristruttura e ingrandisce la sede, organizza egli stesso i corsi, sceglie di persona i predicatori, circonda di attenzioni gli ospiti. Il numero dei partecipanti ai corsi cresce di anno in anno. Sono sacerdoti e laici, tra i quali eminenti personalità di Torino e del Piemonte.
Sacerdote per il mondo
Tanta attività poteva bastare per un uomo, per di più debole di salute. Ma la Consolata ha un altro progetto da proporgli. Glielo ispira a poco a poco nel corso dei suoi lunghi colloqui con lei. Incontra giovani desiderosi di darsi all'apostolato missionario, ma che non si sentono di entrare negli Istituti esistenti. Egli stesso, da seminarista aveva sognato di andare in missione. Non avendo potuto realizzare il suo progetto a causa della debolezza fisica, intende aiutare chi sente la medesima vocazione. E comincia a pensare a una istituzione appropriata. I primi tentativi del 1891, incoraggiati da Propaganda Fide, non hanno esito. Qualcuno teme che la sua impresa sottragga sacerdoti validi alla diocesi e gli oppone resistenza."Per favorire un'opera del genere - dirà -bisogna sapersi elevare sopra le idee ristrette che fanno guardare soltanto alle proprie necessità. Occorre avere la capacità di guardare oltre i confini della propria diocesi e del proprio paese"
Il momento favorevole viene con la nomina ad Arcivescovo di Torino del Card. Agostino Richelmy, suo amico e compagno di scuola, che condive con lui l'amore alla Consolata e alle missioni. Tutto sembra orientarsi verso la giusta direzione. Ma l'Allamano, recatosi in una soffitta per assistere un'ammalata che lo trattiene al freddo gelido per lungo tempo, si ammala e giunge in punto di morte.
Alla Consolata e in tutta la diocesi si prega per lui, si chiede un miracolo alla Madonna. Il Cardinale, accorso al suo capezzale, gli dice:
- "Che facciamo?"
- "Andiamo in paradiso
- "E l'Istituto?"
- "Ci penserà un altro
- "No, non morrai. Si deve fondare l'Istituto e devi farlo tu!".
E il miracolo avviene. Il 29 gennaio 1900, il malato, ritenuto ormai morente, improvvisamente migliora. Egli ne vede un segno della Consolata. E rompendo ogni indugio, avvia la fondazione dell'Istituto Missioni Consolata, di cui il Card. Richelmy segna la data di nascita al 29 gennaio dell'anno successivo.
L'8 maggio 1902 partono già i primi quattro missionari, diretti al Kenya. Doveva essere per un periodo di transizione, in attesa di poter entrare in Etiopia, il campo che fu del Card. Massaia e di cui l'Allamano voleva riprendere l'apostolato. Invece vi rimangono, evangelizzando la regione del Kikuyu, che dopo appena quattro anni viene eretta in missione indipendente,e nel 1909 in Vicariato Apostolico. Mons. Filippo Peno, primo Vescovo dell'Istituto, riceve l'ordinazione episcopale al santuario della Consolata.

In aiuto ai missionari, l'Allamano pensa di poter dare Suore di Istituti esistenti. Trova risposta nel Cottolengo. Nell'aprile 1903, le prime otto suore Vincenzine del Cottolengo partono per il Kenya assieme ai Missionari della Consolata. Altre seguono, superando la cinquantina. Ma per l'incremento delle missioni, il Cottolengo non riesce più a soddisfare le richieste. L'Allamano riprende le ricerche presso altri Istituti, ma non trova altre suore per l'Africa. Nel 1909, nel corso di una Udienza, espone il problema al Papa 5. Pio X.
- "Bisogna che voi stesso diate principio ad un Istituto di suore missionarie", suggerisce il Papa.
- "Ma io, Santo Padre, non sento la vocazione di fondare suore
- "Se non l'avete ve la do io!"
Ancora una volta obbedisce e il 29 gennaio 1910 nasce in Torino l'Istituto delle Missionarie della Consolata.
Con verità, al termine della vita poteva dire: "Se il Signore benedì tante opere a cui posi me, il segreto è che ho sempre cercato di fare l'obbedienza, manifestatami attraverso la voce dei Superiori"
Padre e maestro
Con la fondazione dei due Istituti missionari, pur continuando i consueti impegni in diocesi, si dedicò con particolare cura alla nuova opera, con un occhio a Torino e uno in Africa.
Egli segue i suoi missionari con l'affetto e la trepidazione di un padre. Li sprona al sacrificio, ma nello tesso tempo si preoccupa che non manchino del necessario e tengano alto l'entusiasmo per il lavoro missionario. "Il bene delle anine - scrive loro - deve stare in cima a tutte le vostre aspirazioni"
"Ci vuole fuco per essere apostoli". Fuoco di amore, perchè solamente ai veri amanti Dio affida le anime. Segue i primi passi del lavoro di evangelizzazione. Raccomanda loro di calarsi nelle realtà locali. Per conoscerle, avvicinare la gente, farsi amare, approva il metodo da essi adottato della visita sistematica ai villaggi. Si parte al mattino e si trascorre l'intera giornata passando da un villaggio all'altro, da una capanna all'altra, curando gli ammalati, aiutando i bisognosi, fraternizzando con la gente. Così si diventa amici e nello stesso tempo i missionari penetrano in un mondo tanto diverso da quello da cui provengono. Imparano la lingua; conoscono la cultura, gli usi e costumi della gente; si fanno un' idea del pensiero religioso e morale. L'Allamano raccomanda di prestare attenzione a tutto, grande rispetto per le tradizioni, molta prudenza nel giudicarle o riprovarle. Altro principio ispiratore del metodo missionario dell'Allamano è la promozione umana. Spuntano scuole, laboratori di falegnameria e meccanica, campi sperimentali, fattorie agricole. Padri, fratelli, suore, ciascuno secondo il proprio compito, si trasformano in promotori di sviluppo. Ed essi stessi danno il loro contributo con il lavoro manuale. I missionari sono uomini del vangelo e del lavoro: hanno le credenziali delle mani callose. "I missionari - dice loro l'Allamano - devono lavorare. La vostra non è una vita di estasi, ma di lavoro. Lavorare per mantenere se stessi e per poter beneficare gli altri, cooperando anche così alla salvezza delle anime”. La Santa Sede, dando l'approvazione pontificia all'Istituto, indicò nel decreto questa caratteristica, dicendo che "i missionari non si limitano a introdurre la religione, amministrare i sacramenti, accogliere i bambini abbandonati, ma con lo splendore della fede portano la luce della civiltà, ammaestrando nell'agricoltura, allevamento di bestiame, esercizio delle arti più usuali". E proseguiva con un concetto caro all'Allamano: "Bisogna degli indigeni farne tanti uomini laboriosi per poi poterli fare cristiani. Mostrare loro i benefici della civiltà per tirarli all'amore della fede; ameranno una religione che, oltre le promesse dell'altra vita, li rende più felici su questa terra.
Da questa intensa opera di evangelizzazione unita alla promozione umana, le missioni si svilupparono grandemente, facendo sorgere in Kenya le attuali cinque diocesi di Nyeri, Meru, Murang'a, Embu, Marsabit.
Nel 1913 poi venne affidata all'Istituto la zona a cui aveva anzitutto mirato il Fondatore: la Prefettura del Kaffa in Etipia. Successivamente, lui vivente, l'impegno missionario si estese alla Somalia, al Tanzania, al Mozambico. In seguito, i missionari e le Missionarie della Consolata allargarono il loro raggio di azione ad altri Paesi dell'Africa: Zaire, Uganda, Liberia, Libia, Sud Africa; dell'America Latina :Colombia, Ecuador, Venezuela, Brasile, Argentina. L'anno scorso hanno iniziato la loro presenza anche in Asia, nella Corea del Sud.
Già l'Allamano si stupiva dello sviluppo dell'Istituto: "Questa è proprio opera del Signore! Chi l'avrebbe detto che da quel granellino di sabbia sarebbe venuto sù un edificio così grande?".
Consolidamento dell'Istituto in patria
Dopo la partenza per il Kenya dei primi quattro missionari, inspiegabilmente la casa di Torino si svuota. L'Allamano non si turba. E' sicuro che l'opera è voluta da Dio e non fallirà. Chiude la casa e ne porta le chiavi davanti al quadro della Consolata, dicendole:"L'opera è tua. Pensaci tu!". E, infatti, le vocazioni ripresero subito ad affluire. Dapprima vi erano accolti sacerdoti e seminaristi; poi l'Allamano dà l'avvio anche al suo seminario. Si accorse di non poter contare solamente su personale proveniente dal clero o dai seminari diocesani.
Si precisa anche la fisionomia dell'Istituto. Sorto a carattere regionale, per persone provenienti dal Piemonte, si apre poi a tutte le regioni d'Italia. E diventerà poi internazionale. Così, le Costituzioni stilate dal Fondatore e approvate definitivamente nel 1923 ne sanciscono la natura di Congregazione religiosa. Suo fine esclusivo è l'evangelizzazione dei non cristiani Situazioni bisognose di evangelizzazione si trovano ovunque. Ma la tipica vocazione missionaria è quella di chi varca i confini della propria patria per andare ai più poveri, nei luoghi più difficili e periferici. Questo ideale, che risponde al comando di Cristo di andare in tutto il mondo per evangelizzare tutti i popoli, pervade totalmente la vita dell'Istituto:strutture, organizzazione, scelte, spiritualità, formazione. Ogni suo membro, secondo l'Allamano, deve essere missionario nella testa, sulla bocca, nel cuore
La missione, però, non riguarda soltanto loro. Con la sua azione, l'Allamano ha suscitato la responsabilità della sua Chiesa nell'annuncio del vangelo. Questo compito appartiene a tutta la Chiesa, che "per sua natura è missionaria", ribadirà il Concilio Vaticano Il. Ma al tempo dell'Allamano la mentalità generale era piuttosto chiusa al discorso missionario. Ciò lo convinse che era necessario sensibilizzare la comunità cristiana alla dimensione missionaria. Lo fece attraverso gli articoli della rivista "La Consolata", divenuta una delle prime riviste missionarie; attraverso le conferenze dei suoi missionari al loro ritorno dalle missioni. Ma non si accontentò dì questo. Intravide il valore di un intervento dall'alto. E si fece promotore di una lettera collettiva dei Superiori degli Istituti Missionari Italiani al Papa Pio X, chiedendo un documento papale sulle missioni e "la celebrazione di una giornata missionaria annuale". La petizione allora non conseguì risultati concreti. I tempi non erano ancora maturi.Ma verranno in seguito le encicliche missionarie: "Maxumum illud" di Benedetto XV e "Rerum Ecclesiae" di Pio XI. Nel 1926, poi, un decreto di Propaganda Fide istituisce la Giornata Missionaria Mondiale. Era il sogno dell'Allamano. Egli non ebbe il conforto di vederne la realizzazione: il documento uscì due mesi dopo la sua morte. Ma a lui va riconosciuto il merito di averne intuito la necessità e di averlo promosso.
A Torino, l'Allamano intensifica il contatto con gli aspiranti missionari, perché si formino secondo il suo spirito. Oltre agli incontri personali e alle visite occasionali, ogni domenica vi è un appuntamento fisso. Raccoglie attorno a sè i sacerdoti e gli studenti e trasmette loro il suo pensiero sullo spirito dell'Istituto, sulle virtù e atteggiamenti del missionario, sulla vita spirituale, sui voti.
Poi passa dalle suore per un analogo incontro formativo. Così, ogni domenica, finché le forze glielo permisero. Gli sta a cuore, soprattutto, che i suoi figli siano guidati da forti convinzioni. Esse permetteranno loro di sostenersi, anche allo sbaraglio e alla solitudine della vita missionaria.
Eccone i punti fondamentali:
- Grande stima per la vocazione missionaria. Per Giuseppe Allamano, sacerdote diocesano, è la vocazione più eccellente, perché fa partecipi del piano stesso di Dio, che vuole salvi tutti gli uomini.
"Che cosa volete di più onorifico? Di più grande? Il Signore per voi ha come esaurito il suo infinito amore in fatto di vocazione. Non saprebbe e non potrebbe darvene una più eccellente, perché vi ha dato la sua stessa missione: come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi"
- La santità al prino posto. Inviato di Dio, il missionario deve rappresentare al vivo la divinità,con il suo esempio. Perciò, l'Allamano ripete come un ritornello che "prima bisogna essere santi, poi missionari".
La santità che egli predilige è quella che si raggiunge attraverso le cose ordinarie della vita di ogni giorno, ma compiute in modo straordinario, con perfezione."Non basta fare il bene, bisogna farlo bene. I Santi sono santi non perché hanno fatto miracoli, ma perchè hanno fatto tutto bene. Queste tre parole: Beneomniafecfflt (ha fatto tutto bene) bisognerebbe che alla nostra morte si potessero scrivere sul nostro sepolcro. Non scrivere: Ha fatto miracoli, ma semplicemente: Ha fatto bene ogni cosa."
- La preghiera. Tutte le volte che i missionari partono, l'Allamano, onsegnando loro il crocifisso, lascia come ricordo:
"Siate uomini di preghiera! Non abbiate mai paura di pregare troppo!". E aggiunge:"Per prima cosa si crede che per essere missionario si esiga una grande attività. Ma questa attività deve partire dal Signore. Quindi per prima cosa è necessaria la virtù dell'orazione... Che pensare, che dire di quei missionari che credono di adempiere l'ufficio di apostoli col girare, lavorare, fare molte cose e molto rumore, lasciando o diminuendo gli esercizi di pietà con la scusa del molto lavoro? Gesù non la pensa così. Egli aveva più da fare di noi. Eppure si ritira e prega".
- Amore all'Eucaristia. Nella spiritualità dell'Allamano, Gesù nel tabernacolo è il centro, il sole, il direttore vero della casa, da cui tutto parte e a cui tutto converge. E noi dobbiamo aggirarci attorno a lui come le farfalle alla luce, le api al miele; vivere la presenza eucaristica come due cuori che si donano,due sguardi che siincontrano,due fiamme che si consumano. E "la Messa è il tempo più bello della vita". Ai missionari diceva: "Vi voglio sacramentini. Gesù nell'eucaristia vi formerà a tutte le virtù e accenderà in voi quel fuoco che è venuto a portare sulla terra, e che per mezzo vostro vuole accendere nelle anime."
- Maria, la Consolata, è l'ispiratrice della vocazione e dell'apostolato missionario. "Il desiderio proprio della Madonna è di salvare anime, cooperare perché il sangue del suo Divin Figlio non sia sparso invano. Ella ha voluto dare il suo nome al nostro Istituto, perché sì salvino più anime che è possibile". Per questo l'Allamano non voleva essere chiamato Fondatore. "Fondatrice è la Madonna, madre nostra tenerissima, che ci ama come la pupilla dei suoi occhi, che ideò il nostro Istituto, lo sostenne spiritualmente e materialmente ed è sempre pronta a tutti i nostri bisogni". Il programma di vita proposto ai missionari è:"Fate tutto per Gesù; niente senza Maria". A lei essi sì ispirano. Come Maria, riempita di gioia dalla presenza in lei del Cristo, diventa Consolatrice, così essi portano nel mondo la gioia e la consolazione, cioè: il vangelo e il sollievo di ogni umana sofferenza.
- Dolcezza e mansuetudine. Propone ancora l'atteggiamento di Gesù che chiama se stesso "dolce e mite di cuore". "Nessuno dica: tanto devo andare solo in Africa! Forse che gli africani non sono uomini come noi? Forse che non sanno comprendere e distinguere fra chi è educato e chi è grossolano? Sotto la pelle nera hanno un cuore buono e un sentire delicato. Io vorrei cheproprio perché andate in Africa foste più educati e delicati". Perciò, scriveva ai missionari, a riguardo del loro comportamento con gli Africani."Amateli, trattateli con bei modi, non perdendo la pazienza quando per ignoranza non corrispondono ai vostri desideri"
- Spirito di famiglia. Altro punto che occupa grande spazio nell'insegnamento dell 'Allamano, riguarda le relazioni interpersonali. Egli ha fondato l'Istituto per dare ai missionari una famiglia. Perciò, ribadisce che "non è un collegio, neppure un seminario, ma una famiglia. Siete tutti fratelli; dovete vivere assieme, prepararvi assieme, per poi lavorare assieme tutta la vita. Nell'Istituto dobbiamo formare una cosa sola, una pasta sola".