lunedì 7 febbraio 2011

Eglise "en rose"?



Prima di pubblicare questa "notizia", faccio qualche considerazione...

Quando Gesù costituisce il gruppo dei Dodici, lo fa con un atto rituale e solenne ma al tempo stesso insindacabile e del tutto libero ("Quelli che volle Lui", nota san Marco). E sceglie soltanto uomini: non assegna un posto in quella schiera a nessuna donna.
Tutte le Chiese degne di questo nome, in Oriente e in Occidente, hanno ritenuto fin dalle origini che il comportamento di Cristo in una circostanza di tanto rilievo fosse esemplare e anzi normativo: il carisma-ministero apostolico è sempre stato conferito perciò a candidati di sesso maschile, con il convincimento che non fosse in loro potere alterare questa prassi stabilita dal Fondatore. (1)
Oggi invece c'è chi sembra supporre che Gesù si sia attenuto a questa linea di azione perchè condizionato dalla cultura maschilista del suo tempo. Ma è un'ipotesi che non regge: il Figlio di Dio fatto uomo per la nostra salvezza è il Signore, non il servo della storia: non è condizionato dalla vicenda in atto, dalla mentalità dominante, dalle volubili ideologie delle varie epoche. E lo ha dimostrato con i fatti: affida ad una donna, Maria di Magdala, contro ogni consuetudine israelitica in materia di testimonianze, la responsabilità di essere la prima garante della risurrezione, proclama la perfetta indissolubilità del matrimonio, negata e violata sia nella società ebraica sia in quella greco-romana; propone come ideale desiderabile e possibile la verginità consacrata, ignota a tutto il mondo antico.
Possiamo pensare che, se per assurdo avesse chiesto il parere al nostro tempo, Gesù si sarebbe sentito suggerire di scegliere sei uomini e sei donne: ogni diversa distribuzione avrebbe contraddetto il principio delle pari opportunità tra i due sessi. Ma non si è preso la briga di chiederlo...
Su questo (come su ogni altro) argomento bisogna che ci decidiamo: o stiamo col "mondo" che ci intima di essere "politicamente corretti", oppure, senza preoccuparci affatto di essere "politicamente corretti", stiamo col nostro Maestro e Salvatore, senza dimenticarci mai di ciò che Egli ci ha detto: "Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde" (Mt.12,30; Lc.11,23).
Mi preme chiarire che in questo discorso non c'entrano affatto nè la questione della uguale dignità dei sessi nè il tema della promozione della donna: c'entra il progetto salvifico del Dio eterno.
Egli che ha chiamato una donna (e non un uomo) ad essere la creatura più alta e più pura, a collaborare nel modo più eccelso e decisivo all'opera della redenzione, a essere l'immagine, l'anticipazione, la madre dell'intera realtà ecclesiale, ha riservato agli uomini ( e non alle donne) il ministero apostolico. Tutto ciò obbedisce ad un disegno sovrumano (senza inseguire il mito di un'uguaglianza astratta), entro il quale si armonizzano i diversi valori, nell'ambito di un'unica multiforme comunione vivente.
Possiamo essere aiutati a comprendere tutto ciò, se ripensiamo a quanto è avvenuto nel giorno di Pentecoste.
Nell'ora storica e decisiva dell'effusione del Paraclito e della nascita della Chiesa, chi è la persona più rilevante e fondamentale in quell'umanità emozionata, multiforme, ma raccolta in unità dallo Spirito? Sul piano apostolico, magisteriale, disciplinare, è Pietro: è lui a parlare, a testimoniare pubblicamente l'avvenimento della Pasqua nuova ed eterna, ad esortare, ad avviare la vita sacramentale; ma sul piano interiore, misterico e più sostanziale è senza dubbio Maria, nella quale in nuce già viveva l'intera Chiesa: è lei a garantire la rinascita e l'espansione della fede, della speranza, della carità (virtù che solo nel suo cuore si erano conservate dopo il Venerdì Santo, come si conserva un seme) e a dare vita entro l'unica strategia redentiva del Padre al "principio femminile della salvezza". A ciascuno il suo. Segue la "notizia"...


Notizia (!): “Chiesa 2011: una svolta necessaria”. Questo il titolo di un memorandum diffuso lo scorso 4 febbraio e sottoscritto da 150 professori di teologia di facoltà teologiche tedesche, austriache e svizzere, in cui si chiedono riforme generali nella Chiesa cattolica. Partendo dal recente scandalo degli abusi nella Chiesa cattolica, i teologi chiedono riforme in tutti i settori della vita ecclesiastica. “Le sfide concrete che la Chiesa deve affrontare non sono nuove”, scrivono i professori, che chiedono riforme nelle strutture di partecipazione, nella vita parrocchiale, nella cultura giuridica ecclesiastica e nelle forme delle celebrazioni. Nel memorandum si chiede inoltre una “maggior fiducia nella capacità di decisione e di responsabilità delle persone”, soprattutto per quanto attiene alle decisioni personali di vita. Pur senza mettere in discussione l’importanza attribuita dalla Chiesa al matrimonio, il documento invita a non escludere coppie omosessuali e divorziati risposati.




(1): Nelle cristianità originate dalla Riforma protestante (o ad esse assimilate), che hanno smarrito l'idea e la realtà della successione apostolica, e di conseguenza il sacerdozio ministeriale, il problema non si pone neppure...


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A commento, da "La Bussola Quotidiana" di Andrea Tornielli:


Era dal tempo della dichiarazione di Colonia, cioè da più di vent’anni, che un cartello così numeroso di teologi non si mettevano insieme per produrre un documento contro il centralismo romano chiedendo riforme per la Chiesa.

Centoquarantatrè professori delle facoltà teologiche tedesche, svizzere e austriache hanno reso noto nei giorni scorsi un testo intitolato «Chiesa 2011 – una svolta necessaria». Che cosa chiedono? Ovviamente «profonde riforme», come ad esempio l’abolizione celibato obbligatorio per i preti di rito latino e dunque l’apertura all’ordinazione di uomini sposati, l’adozione di «strutture più sinodali a tutti i livelli della Chiesa», il coinvolgimento dei fedeli processo selezione dei parroci e dei vescovi, l’apertura alle donne «nel ministero della Chiesa», l’accoglienza delle coppie gay e dei divorziati risposati.

I firmatari ritengono che solo aprendosi a queste riforme, per l’appunto «una svolta necessaria», la Chiesa potrà riprendere vigore e tornare a parlare agli uomini e alle donne del ventunesimo secolo. L’elenco non appare affatto sorprendente. Quelle che i teologi firmatari dell’appello ritengono essere svolte necessarie sono infatti proposte arcinote e dibattute da decenni.

Alcune di queste appaiono molto autoreferenziali e clericali. È vero, ad esempio, che il calo delle vocazioni comincia a essere un problema anche in Occidente, ed è vero che proprio in Germania e Austria ci sono molti casi di preti che convivono con donne e non lo nascondono, ma davvero l’abolizione della regola del celibato è la risposta a questa situazione? Ancora, davvero la risposta alla crisi della fede è l’apertura alle donne nel ministero della Chiesa? Davvero pensiamo che un cambiamento nella dottrina sull’omosessualità porterebbe a riempire nuovamente le chiese semivuote?

Basta guardare a ciò che è avvenuto nella Chiesa anglicana per rendersi conto che la risposta alla secolarizzazione non può essere un’altra secolarizzazione, come dimostra la costante emorragia di fedeli nonostante le svolte sempre più liberal (dal sacerdozio fino all’episcopato femminile e all’apertura ai preti gay conviventi). Ciò che colpisce nell’iniziativa dei 143 teologi è il fatto che ciclicamente si riaprano questioni senza prendere in considerazione il fatto che su queste questioni il magistero ha riflettuto ed è intervenuto più volte.

Eppure, nonostante pronunciamenti, encicliche, lettere pastorali, interventi papali, è come se ogni volta si ripartisse da zero. Dei temi proposti nel documento c’è uno soltanto che ha a davvero a che fare con l’esperienza di un numero purtroppo sempre maggiore di persone, ed è quello riguardante l’atteggiamento nei confronti dei divorziati risposati e il problema dell’accesso al sacramento dell’eucaristia.

Benedetto XVI, nell’omelia pronunciata sabato per l’ordinazione di cinque nuovi vescovi, ha detto: «Il pastore non deve essere una canna di palude che si piega secondo il soffio del vento, un servo dello spirito del tempo. L’essere intrepido, il coraggio di opporsi alle correnti del momento appartiene in modo essenziale al compito del pastore. Non deve essere una canna di palude, bensì — secondo l’immagine del Salmo primo — deve essere come un albero che ha radici profonde nelle quali sta saldo e ben fondato. Ciò non ha niente a che fare con la rigidità o l’inflessibilità. Solo dove c’è stabilità c’è anche crescita».

Certo, il Papa parlava dei vescovi, non dei teologi. Ma queste parole offrono uno spunto di riflessione per tutti. Siamo davvero sicuri che la «svolta necessaria» per rinvigorire la fede nella società secolarizzata e scristianizzata debba avere a che fare con ministeri ecclesiali, disciplina del celibato, etc.?

L’11 maggio 2010, a Lisbona, il Papa disse: «Si è messa una fiducia forse eccessiva nelle strutture e nei programmi ecclesiali, nella distribuzione di poteri e di funzioni; ma che cosa accadrà se il sale diventa insipido?».

Due giorni dopo, a Fatima, aggiunse: «Quando, nel sentire di molti, la fede cattolica non è più patrimonio comune della società e, spesso, si vede come un seme insidiato e offuscato da “divinità” e signori di questo mondo, molto difficilmente essa potrà toccare i cuori mediante semplici discorsi o richiami morali, e meno ancora attraverso generici richiami ai valori cristiani… Ciò che affascina è soprattutto l’incontro con persone credenti che, mediante la loro fede, attirano verso la grazia di Cristo, rendendo testimonianza di Lui».

Ancora a commento, ancora da "La Bussola Quotidiana", di Vittorio Messori:

Ho ripetuto spesso che una delle conseguenze peggiori dell’invecchiare è la noia. Andrea Tornielli nell’editoriale odierno su La Bussola, parla del documento firmato ormai da un terzo dei professori universitari di teologia di lingua tedesca, che parlano di «svolta necessaria» nella Chiesa ed elencano una serie di proposte che qui non sto a ripetere.

Vi lascio immaginare quale sia la mia reazione di fronte al riproporsi di questo mantra che da quarantadue anni, cioè dai tempi del mitico ’68 e dalla nascita del clericale «adulto», periodicamente ci sottopone i contenuti del teologicamente corretto. L’unica novità dell’ultimo ventennio, rispetto alle proposte originali, è rappresentato dalla richiesta dell’accettazione delle coppie omosessuali. Ricordo, tra l’altro, che il ’68, predicava non solo la più totale libertà sessuale, ma anche l’iniziazione erotica dei giovanissimi, propagandata da coloro che oggi s’indignano per lo scandalo della pedofilia.

Tornando ai nostri teologi, non si sa se ridere o piangere leggendo che vogliono «l’apertura di un dibattito» su questi temi. Sì, perché ciò che chiedono – dall’abolizione del celibato all’apertura dei ministeri alle donne e al cambiamento delle regole morali – è stato già ampiamente sviscerato, dibattito, studiato. È stato affrontato durante tutti i pontificati succedutisi dal ’68 in poi, è stato oggetto di commissioni, di interventi, di Sinodi, di documenti delle congregazioni romane, di encicliche, di lettere pastorali, di convegni.

Allora, cari teologi, permettete la domanda: ma che c’è ancora ancora da dibattere? Che razza di professori siete se ignorate il magistero e i dibattiti che già sono avvenuti? Talvolta, da laico, arrivo a dire che considero un dono della Provvidenza la crisi delle vocazioni sacerdotali in Occidente, perché ogni prete in più rischia di essere un problema in più. Ovviamente è solo una provocazione, e di certo sbagliata. Ma la tentazione è forte…

Ricordo che un giorno mi trovai seduto accanto a un pastore protestante durante una conferenza stampa di presentazione di un libro di Hans Küng (attenzione a chiamarlo sempre professore, e mai don Küng, perché sennò si arrabbia). A un certo punto il pastore protestante si alzò e disse: «Professor Küng, le novità che lei chiede per la Chiesa cattolica noi protestanti le abbiamo da decenni, eppure i nostri templi sono vuoti. Abbiamo aspettato invano che si riempissero con quei fedeli che attendevano da noi atteggiamenti in accordo con lo spirito del tempo». È proprio vero che le ideologie, soprattutto le ideologie clericali, hanno un grande nemico: la realtà dei fatti.