lunedì 28 febbraio 2011

L'Annuncio del Vangelo 2: le certezze dei cristiani

http://angeloinvolo.ilcannocchiale.it/mediamanager/sys.user/63636/andateedevangelizzate.jpg

La missione della Chiesa ha alle sue origini una "rivelazione", cioè la comunicazione di una verità. Non è dunque qualcosa di puramente pragmatico - come le missioni commerciali, scientifiche, assistenziali ecc., che si propongono solo determinati traguardi operativi - ma è prima di tutto l'irradiazione di una luce; una luce che senza dubbio deve diventare in chi ne è raggiuinto principio di una vita nuova e anzi di un essere nuovo, ma che primariamente è e deve essere luce, cioè acquisizione di verità. Un annuncio che non nascesse dalla convinzione di dover offrire una verità a chi ancora non la possiede, sarebbe una deprecabile manovra ideologica, mirante a dominare per qualche aspetto gli uomini e a condurli a essere quello che noi vogliamo. La missione evangelica invece nasce dal desiderio che tutti, evangelizzatori ed evangelizzati, si ritrovino raggiunti sempre più compiutamente, dominati e profondamente trasformati dalla luce di verità che, con la venuta tra noi del Verbo di Dio, ha finalmente squarciato la notte opprimente della nostra storia.
La certezza che i cristiani hanno di essere stati raggiunti dalla luce misericordiosa di Dio e di essere perciò essi stessi "luce del mondo" (cfr. Mt.5,14) e depositari di una conoscenza salvifica ai nostri giorni è talvolta oggetto di ironia e di riprovazione. Il senso del valore assoluto, primario, sacro e salvifico della verità è molto insidiato nella cultura contemporanea e si è molto indebolito anche nella mentalità cristiana. Paradossalmente si arriva perfino a ritenere contraria allo spirito del Concilio Vaticano II la riproposizione di tutte le verità di fede, sicchè si definisce "integralista" o "preconciliare" chi non rinuncia ad asserire e a difendere le certezze di sempre, quasi che nelle intenzioni del Concilio ci fosse stata una specie di suicidio spirituale della Chiesa e un rinnegamento della sua più intima essenza.
Viviamo in una società che sembra privilegiare il dubbio (la società del "pensiero debole"): secondo qualcuno esso sarebbe il segno di una mente libera e aperta a tutti i valori, mentre le certezze esprimerebbero angustia, dogmatismo, intolleranza, chiusura a ogni dialogo. Purtroppo anche i cristiani talvolta, dimostrando una notevole mancanza di capacità critica, si lasciano contagiare da queste opinioni, a tutto danno della chiarezza dell'annuncio. Sarà utile a questo proposito qualche semplicissima riflessione. La certezza è per se stessa una qualità positiva della conoscenza, non un suo difetto: lo studente interrogato che, rispondendo giusto, risponde anche senza tentennamenti, merita un voto migliore di quello che è insicuro e dimostra di non sapere che pesci pigliare. Naturalmente questo vale in riferimento a una conoscenza vera, dal momento che una conoscenza erronea non è propriamente una conoscenza. Il dubbio invece è di per sè una impurità della conoscenza, della quale non c'è alcuna ragione di vantarsi; è uno stato morboso da cui l'uomo, che è fatto per la verità, deve sempre tentare di uscire. La certezza - è ovvio - non ha niente a che vedere con l'ostinazione, che è la difesa immotivata di opinioni senza fondamento; e il dubbio, dal canto suo, non ha niente a che vedere con la giusta e lodevole instancabilità nell'esplorare sempre nuovi approfondimenti e nuove implicazioni di ciò che già si conosce.(1)
Anche se sul piano psicologico può sembrare il contrario, l'indagine, ildialogo, la stessa attitudine a comunicare con gli altri, sono possibili solo in virtù della presenza nella mente di un gruppo di certezze iniziali; senza un minimo di certezze ogni vita intellettuale e ogni relazione risulterebbe impraticabile. Sul piano esistenziale, poi, non è difficile rendersi conto, se si fa un pò di attenzione, che quanti accusano gli altri di avere delle certezze e quasi li colpevolizzano, hanno sempre essi stessi delle convinzioni che ritengono indiscutibili. Sicchè ci si avvede che non si tratta tanto di critica ragionata delle certezze come tali, quanto di antipatia e di insofferenza verso le certezze altrui. Le certezze cristiane hanno migliori probabilità di essere dei valori spirituali e non delle pure ostinazioni, se chi le ospita nel suo animo le percepisce e si sforza di possederle non come idee sue proprie, ma come piena e personale comunione con la grande certezza della Chiesa, che a lei è stata donata dallo Spirito di verità; certezza che resta inalienabile patrimonio della Sposa del Signore lungo tutti i secoli della sua storia. Mentre le certezze "mondane" sono spesso atti di individualismo o al massimo adesioni a sistemi di pensiero recentemente formulati e legati ad una determinata cultura, le vere certezze cristiane possiedono un'indole "cattolica", cioè universale; vale a dire, possiedono una delle caratteristiche proprie della verità.
Penso sia utile proporre una piccola silloge di certezze che possiamo ritenere per noi indispensabili e "vitali":

- l'esistenza di un Dio che è Padre, e dunque non solo ha creato, ma si interessa e si appassiona alle sue creature, vedi per esempio la prima lettura della messa di ieri, domenica 27 febbraio. (2)
- la venuta tra noi di Gesù, l'Unigenito Figlio di Dio, morto in croce e risorto per la nostra salvezza;
- la presenza nella Chiesa dello Spirito Santo, che è Spirito di Verità e perciò garantisce che la Verità venga infallibilmente custodita e si mantenga attiva nel popolo di Dio;
- la possibilità di sapere in ogni momento quando si è in reale e totale comunione con la Chiesa, attraverso il ministero apostolico dei vescovi e il carisma di guida certa e unificante di Pietro;
- l'intramontabile valore della legge morale, sempre sostanzialmente identica a se stessa, riassunta e animata dal precetto evangelico della carità;
- l'itinerario sacramentale, come strada sicura disposta dal Fondatore della Chiesa perchè tutti i credenti possano arrivare agevolmente a realizzare in maniera progressiva la conformità a Cristo, modello e archetipo di ogni uomo;
- il giudizio definitivo che concluderà ogni umana avventura e assegnerà ad ogni uomo il suo eterno valore in faccia a Dio;
- la vita risorta e la felicità eterna come ultima meta che dà senso a tutto lo scorrere dei giorni terreni.

Ecco una brece e sommaria rassegna delle verità necessarie a vivere con significanza, delle quali il cristiano è infallibilmente certo. Ecco, nei suoi contenuti più semplici e forti, la "coscienza di verità" che sorregge e vivifica la nostra missione nel mondo. A ciascuno di noi è stata data una sola vita da vivere: non la possiamo aggrappare ai punti interrogativi. Abbiamo bisogno, per vivere ragionevolmente, di verità indiscutibili sulle quali appoggiare la nostra esistenza. Solo la certezza che c'è un Dio all'origine di ogni cosa; la certezza del Suo desiderio di farci felici; le certezze della venuta tra noi del suo Unico Figlio e della fondazione della Chiesa come sacramento universale di salvezza, ci consentono di sconfiggere ogni assurdità e ogni disperazione che tenti di avvelenare i nostri giorni. E poichè di queste verità ha bisogno l'umanità intera, allora si impone per ogni cristiano l'urgenza della missione.

* * *

(1): Va notato, a questo proposito, che il "dubbio" che si oppone alla certezza, non ha niente a che vedere neppure con la "difficoltà" a capire adeguatamente una verità che - essendo di origine divina - fatica a farsi accogliere da una mente finita come la nostra. La "difficoltà" è un fenomeno normale, che diventa anche positivo in quanto stimola la ricerca e la contemplazione.

(2): Is 49, 14-15.

Sion ha detto: «Il Signore mi ha abbandonato,
il Signore mi ha dimenticato».
Si dimentica forse una donna del suo bambino,
così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se costoro si dimenticassero,
io invece non ti dimenticherò mai.