venerdì 29 aprile 2011

Meditatio mortis: gli apoftegmi dei Padri - 5

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Il pensiero della morte viene spesso strettamente unito al timore del giudizio e dell’eventuale castigo finale. Riporto qui di seguito i detti che esprimono in modo più significativo questo legame:

“Il padre Elia disse: ‘Io ho timore di tre cose: di quando l’anima uscirà dal corpo, di quando m’incontrerò con Dio, di quando la sentenza sarà proferita contro di me ’”.

“Disse ancora (Agatone): ‘Bisogna che l’uomo sia sempre intento al giudizio di Dio.

“Un giorno il padre Silvano, mentre sedeva con dei fratelli, andò in estasi e cadde con la faccia a terra. Quando, dopo molto tempo, si alzò, piangeva. I fratelli lo pregavano: ‘Che hai, padre?’ Ma egli taceva e piangeva. Poiché lo costringevano a parlare, disse: ‘Sono stato rapito e portato innanzi al giudizio. E ho visto molti di noi andare al castigo, e molti laici entrare nel regno’. L’anziano entrò in stato di lutto e non voleva più uscire dalla sua cella (…)”.

In un lungo detto, Teofilo, arcivescovo di Alessandria, descrive il momento drammatico del giudizio finale.

“Lo stesso padre Teofilo disse: ‘Con quanto timore, tremore e angustia dobbiamo pensare al momento in cui il corpo si separerà dall’anima".

“(...) Se subisci queste cose tu che sei peccatore, ricordati del castigo futuro e del fuoco eterno e delle pene che il giudizio comporta, e non perderti d’animo di fronte alle cose presenti.”.

“Disse anche: ‘Nel mondo, se commettiamo un fallo anche senza volere, siamo gettati in prigione; e noi, imprigioniamo dunque noi stessi a causa dei nostri peccati, affinché questo atto volontario della memoria allontani il castigo futuro’”.

Nell’ultimo detto che analizzo stasera, ritroviamo il legame tra il pensiero della morte e l’attenzione che già abbiamo visto presente in altri testi della tradizione filosofica e monastica.

“Un fratello chiese al padre Ammone: ‘Dimmi una parola’. L’anziano gli disse: ‘Ecco, poniti in mente ciò che pensano i malfattori in prigione: essi domandano sempre a tutti dov’è il giudice e quando verrà, e piangono nell’attesa del castigo. Allo stesso modo il monaco deve sempre essere attento, e accusare l’anima sua dicendo: ‘Guai a me, come potrò presentarmi al tribunale di Cristo? Come potrò giustificarmi dinanzi a lui?’ Se tu ripeti questo incessantemente, potrai salvarti’”.