martedì 31 maggio 2011

La vera Dottrina

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Oggi 1 giugno la Chiesa ricorda:

Giustino (+ca. 165), martire
Attorno all'anno 165, sotto l'imperatore Marco Aurelio, muore martire assieme a sei compagni Giustino, ricordato nella tradizione antica come «il Filosofo».
Nativo di Flavia Neapolis, l'antica Sichem, Giustino era di famiglia pagana. Egli ricevette un'educazione raffinata nell'ambiente ellenistico del suo tempo, e cercò la risposta ai suoi più profondi interrogativi esistenziali aderendo a diverse scuole filosofiche, senza tuttavia trovare la pace a cui anelava.
La sua vita cominciò a cambiare quando egli incontrò gli scritti dell'Antico Testamento, verosimilmente nell'interpretazione datane dai maestri ebrei di quell'epoca. Attraverso le Scritture ebraiche, Giustino approdò al cristianesimo, probabilmente a Efeso. Decisiva per la sua adesione alla fede cristiana fu la testimonianza di tutti coloro che per Cristo erano disposti a dare la vita fino al martirio.
A Efeso egli decise di vestire il pallio dei filosofi e di iniziare un ministero di predicazione itinerante di quella che era ormai per lui «la vera filosofia». Giunto a Roma sotto Antonino Pio, vi fondò una scuola per diffondere il cristianesimo.
Giustino passò alla storia per la passione e la coerenza con cui difese la fede cristiana dalle accuse dei detrattori. Ciò non gli impedì tuttavia di riconoscere i semi del Verbo presenti al di là dei confini della chiesa visibile, e in tal modo radicò l'annuncio della novità cristiana nella sapienza dei filosofi pagani e dei profeti di Israele.
Giustino morì in un luogo imprecisato, per essersi rifiutato di sacrificare agli dei, dopo aver raggiunto, non senza affrontare molte prove, quella serenità che era stata il fine di tutta la sua ricerca filosofica.

TRACCE DI LETTURA
Noi affermiamo che Cristo è nato centocinquant'anni fa sotto Cirino, e ci insegnò quello che noi diciamo, qualche tempo dopo, sotto Ponzio Pilato. Nessuno obietti che tutti gli uomini che vissero prima sarebbero irresponsabili.
Ci è stato insegnato che Cristo è il primogenito di Dio, e abbiamo dimostrato che egli è il Verbo di cui fu partecipe tutto il genere umano. Coloro che vissero secondo il Verbo sono cristiani, anche se furono giudicati atei, come tra i greci Socrate ed Eraclito, e tra i barbari Abramo, Anania, Azaria e Misaele e molti altri. Quanti sono vissuti e vivono secondo il Verbo, sono cristiani, e sono impavidi e imperturbabili
(Giustino, Apologie 1,46,1-4).

* * *
Dagli «Atti del martirio» dei santi Giustino e Compagni
(Cap. 1-5; cfr. PG 6, 1366-1371)

Ho aderito alla vera dottrina

Dopo il loro arresto, i santi furono condotti dal prefetto di Roma di nome Rustico. Comparsi davanti al tribunale, il prefetto Rustico disse a Giustino: «Anzitutto credi agli dèi e presta ossequio agli imperatori».
Giustino disse: «Di nulla si può biasimare o incolpare chi obbedisce ai comandamenti del Salvatore nostro Gesù Cristo».
Il prefetto Rustico disse: «Quale dottrina professi?». Giustino rispose: «Ho tentato di imparare tutte le filosofie, poi ho aderito alla vera dottrina, a quella dei cristiani, sebbene questa non trovi simpatia presso coloro che sono irretiti dall'errore».
Il prefetto Rustico disse: «E tu, miserabile, trovi gusto in quella dottrina?». Giustino rispose: «Sì, perché io la seguo con retta fede».
Il prefetto Rustico disse: «E qual è questa dottrina?». Giustino rispose: «Quella di adorare il Dio dei cristiani, che riteniamo unico creatore e artefice, fin da principio, di tutto l'universo, delle cose visibili e invisibili; e inoltre il Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, che fu preannunziato dai profeti come colui che doveva venire tra gli uomini araldo di salvezza e maestro di buone dottrine. E io, da semplice uomo, riconosco di dire ben poco di fronte alla sua infinita Deità. Riconosco che questa capacità è propria dei profeti che preannunziano costui che poco fa ho detto essere Figlio di Dio. So bene infatti che i profeti per divina ispirazione predissero la sua venuta tra gli uomini».
Rustico disse: «Sei dunque cristiano?». Giustino rispose: «Sì, sono cristiano».
Il prefetto disse a Giustino: «Ascolta, tu che sei ritenuto sapiente e credi di conoscere la vera dottrina; se dopo di essere stato flagellato sarai decapitato, ritieni di salire al cielo?». Giustino rispose: «Spero di entrare in quella dimora se soffrirò questo. Io so infatti che per tutti coloro che avranno vissuto santamente, è riservato il favore divino sino alla fine del mondo intero».
Il prefetto Rustico disse: «Tu dunque ti immagini di salire al cielo, per ricevere una degna ricompensa?». Rispose Giustino: «Non me l'immagino, ma lo so esattamente e ne sono sicurissimo».
Il prefetto Rustico disse: «Orsù torniamo al discorso che ci siamo proposti e che urge di più. Riunitevi insieme e sacrificate concordemente agli dèi». Giustino rispose: «Nessuno che sia sano di mente passerà dalla pietà all'empietà».
Il prefetto Rustico disse: «Se non ubbidirete ai miei ordini, sarete torturati senza misericordia». Giustino rispose: «Abbiamo fiducia di salvarci per nostro Signore Gesù Cristo se saremo sottoposti alla pena, perché questo ci darà salvezza e fiducia davanti al tribunale più temibile e universale del nostro Signore e Salvatore».
Altrettanto dissero anche tutti gli altri martiri: «Fa' quello che vuoi; noi siamo cristiani e non sacrifichiamo agli idoli».
Il prefetto Rustico pronunziò la sentenza dicendo: «Coloro che non hanno voluto sacrificare agli dei e ubbidire all'ordine dell'imperatore, dopo essere stati flagellati siano condotti via per essere decapitati a norma di legge».
I santi martiri glorificando Dio, giunti al luogo solito, furono decapitati e portarono a termine la testimonianza della loro professione di fede nel Salvatore.


PREGHIERA
O Dio nostro redentore,
che attraverso la follia della croce
hai insegnato al tuo martire Giustino
la sovraeminente conoscenza di Gesù Cristo,
allontana da noi ogni sorta di errore,
affinché anche noi possiamo
essere radicati saldamente nella fede,
e possiamo far conoscere a ogni popolo il tuo Nome.
Attraverso Gesù Cristo tuo Figlio, nostro Signore,
che vive e regna con te,
nell'unità dello Spirito santo,
un solo Dio, ora e sempre.

canto: Benedetta sei Tu, Maria (Kiko Arguello)



Nel giorno della festa della Visitazione della Vergine Maria a Elisabetta...

lunedì 30 maggio 2011

Grembi che danzano

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Visitazione della beata vergine Maria
La chiesa cattolica e la chiesa anglicana ricordano oggi 31 maggio  la Visitazione della beata vergine Maria.
Secondo l'Evangelo di Luca, Maria dopo aver ricevuto l'annuncio dall'angelo si mise in viaggio verso i monti della Giudea per rendere visita alla cugina Elisabetta, anch'essa in attesa di un figlio che sarà il Precursore del Messia.
Abitata dalla presenza di Dio, Maria porta «con l'esultanza del desiderio e nella fretta della sua gioia», come commenta Ambrogio, tale presenza al mondo, e in Giovanni, che trasale di gioia nel grembo di sua madre, riceve il riconoscimento dei profeti di Israele.
Una memoria della Visitazione ricorreva fin dal VI secolo nella chiesa latina alla terza domenica di Avvento. Come festa vera e propria essa fu dapprima introdotta dai francescani nel 1263, e poi estesa a tutta la chiesa d'occidente da papa Bonifacio IX nel 1389. In tale occasione, fu spostata al 2 luglio, ottava della nascita del Battista, per impetrare la fine del grande scisma d'occidente.
La data odierna, collocata fra l'Annunciazione e la nascita di Giovanni, è stata scelta dal nuovo calendario cattolico per segnare tra l'altro la conclusione del tradizionale mese mariano. Per le sue evidenti motivazioni bibliche, essa è stata adottata anche dalla Chiesa d'Inghilterra.

* * *

Propongo due testi bellissimi per la nostra preghiera:




Dalla "Omelia per la festa della assunzione della beata Maria" di Ambrogio Autperto.

Questo deve essere il nostro desiderio: che la nostra anima magnifichi il Signore in ogni singola cosa, concepisca la Parola di Dio, lo generi e lo nutra, ricordi il santo scambio della nostra salvezza e il modo in cui è stata salvata dalla sua iniquità senza averlo meritato ed è stata redenta dal sangue di Cristo per sola e gratuita bontà di Dio. Dica: "L'anima mia magnifica il Signore (Lc.1,46). Il Vangelo dice: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il Suo Figlio Unigenito (Gv. 3,16) e l'Apostolo: "Egli non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per noi tutti" (Rm.8,32).
O manifestazione di straordinario amore! Inestimabile, ardente carità! Chi non resta stupito dinanzi alla ricchezza di tanto Amore? Chi mai avrebbe potuto sperare che Egli, nato da Dio prima dei secoli, sarebbe nato per gli uomini nel tempo e divenuto uomo da una donna? Perciò l'Apostolo ha scritto: "Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò Suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per redimere coloro che erano sotto la Legge, perchè ricevessimo l'adozione a figli (Gal. 4,4-5). Chi avrebbe potuto pensare che Colui che porta il mondo sarebbe stato portato dalle braccia di una donna? Che Colui che è il Pane degli angeli sarebbe stato nutrito? Che la potenza dei cieli sarebbe divenuta debole? Che la Vita sarebbe morta? Perciò in tutte queste cose l'anima di Maria magnifica il Signore e lo magnifichi anche la nostra!
Restiamo ammirati, rallegriamoci, amiamo, lodiamo, adoriamo, rendiamoGli grazie, perchè per la stessa morte del nostro Redentore, siamo stati chiamati dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita, dalla corruzione alla incorruttibilità, dall'esilio alla Patria, dal pianto alla gioia, dalla terra al Cielo."



Dal «Commento su san Luca» di san Beda il Venerabile, sacerdote
(1, 46-55; CCL 120, 37-39)

Magnificat
«E Maria disse: L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore» (Lc 1, 46). Dice: il Signore mi ha innalzato con un dono così grande e così inaudito che non è possibile esprimerlo con nessun linguaggio: a stento lo può comprendere il cuore nel profondo. Levo quindi un inno di ringraziamento con tutte le forze della mia anima e mi do, con tutto quello che vivo e sento e comprendo, alla contemplazione della grandezza senza fine di Dio, poiché il mio spirito si allieta della eterna divinità di quel medesimo Gesù, cioè del Salvatore, di cui il mio seno è reso fecondo con una concezione temporale.
«Perché ha fatto in me cose grandi l'Onnipotente, e santo è il suo nome» (cfr. Lc 1, 49). Si ripensi all'inizio del cantico dove è detto: «L'anima mia magnifica il Signore». Davvero solo quell'anima a cui il Signore si è degnato di fare grandi cose può magnificarlo con lode degna ed esortare quanti sono partecipi della medesima promessa e del medesimo disegno di salvezza: Magnificate con me il Signore, esaltiamo insieme il suo nome (cfr. Sal 33, 4). Chi trascurerà di magnificare, per quanto sta in lui, il Signore che ha conosciuto e di santificare il nome, «sarà considerato il minimo nel regno dei cieli» (Mt 5, 19).
Il suo nome poi è detto santo perché con il fastigio della sua singolare potenza trascende ogni creatura ed è di gran lunga al di là di tutto quello che ha fatto.
«Ha soccorso Israele suo servo, ricordandosi della sua misericordia» (Lc 1, 54). Assai bene dice Israele servo del Signore, cioè ubbidiente e umile, perché da lui fu accolto per essere salvato, secondo quanto dice Osea: Israele è mio servo e io l'ho amato (cfr. Os 11, 1). Colui infatti che disdegna di umiliarsi non può certo essere salvato né dire con il profeta: «Ecco, Dio è il mio aiuto, il Signore mi sostiene» (Sal 53, 6) e: Chiunque diventerà piccolo come un bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli (cfr. Mt 18, 4).
«Come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre» (Lc 1, 55). Si intende la discendenza spirituale, non carnale, di Abramo; sono compresi, cioè, non solo i generati secondo la carne, ma anche coloro che hanno seguito le orme della sua fede, sia nella circoncisione sia nell'incirconcisione. Anche lui credette quando non era circonciso, e gli fu ascritto a giustizia. La venuta del Salvatore fu promessa ad Abramo e alla sua discendenza, cioè ai figli della promessa, ai quali è detto: «Se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa» (Gal 3, 29).
E' da rilevare poi che le madri, quella del Signore e quella di Giovanni, prevengono profetando la nascita dei figli: e questo è bene perché come il peccato ebbe inizio da una donna, così da donne comincino anche i benefici, e come il mondo ebbe la morte per l'inganno di una donna, così da due donne, che a gara profetizzano, gli sia restituita la vita.
 * * *

TRACCE DI LETTURA
Ancora le era facile l'andare, al principio,
ma nella salita a volte lo avvertiva
il suo corpo miracoloso -
e si fermava, allora, respirando, sugli alti

monti di Giuda. Non la terra, ma per lei
la sua pienezza intorno era distesa;
andando lo sentì: questa grandezza
mai sarà varcata - questa, che ora percepiva.

E la spingeva a posare la mano
sul grembo dell'altra, già più largo.
E barcollarono le donne l'una verso l'altra,
e capelli e vesti si toccarono.

Ciascuna, colma del suo tempio,
nella compagna sua si riparava.
Ah, il Salvatore in lei - ancora un fiore;
ma il Battista in grembo alla cugina
ruppe la sua gioia dando guizzi
(Rainer Maria Rilke, Visitazione di Maria).

PREGHIERA
Signore Dio,
prima di venire alla luce
Giovanni il profeta nel seno di sua madre
ha ricevuto la grazia di riconoscere tuo Figlio
nel seno di Maria:
accorda a quelli che ti cercano senza conoscerti
di accogliere la tua parola
e di esultare di gioia
nell'attesa della luce promessa:
Gesù Cristo, nostro Signore.

Ai confini del mondo la Parola

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Di seguito il testo del discorso che Papa Benedetto XVI ha pronunciato questo lunedì mattina 30 maggio  ricevendo in udienza i partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione.
* * *
Signori Cardinali,
Venerati fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Cari Fratelli e Sorelle,
quando lo scorso 28 giugno, ai Primi Vespri della Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo annunciai di voler istituire un Dicastero per la promozione della nuova evangelizzazione, davo uno sbocco operativo alla riflessione che avevo condotto da lungo tempo sulla necessità di offrire una risposta particolare al momento di crisi della vita cristiana, che si sta verificando in tanti Paesi, soprattutto di antica tradizione cristiana. Oggi, con questo incontro, posso costatare con piacere che il nuovo Pontificio Consiglio è diventato una realtà. Ringrazio Mons. Salvatore Fisichella per le parole che mi ha rivolto, introducendomi ai lavori della vostra prima Plenaria. Un saluto cordiale a tutti voi con l’incoraggiamento per il contributo che darete al lavoro del nuovo Dicastero, soprattutto in vista della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che, nell’ottobre 2012, affronterà proprio il tema Nuova evangelizzazione e trasmissione della fede cristiana.
Il termine "nuova evangelizzazione" richiama l’esigenza di una rinnovata modalità di annuncio, soprattutto per coloro che vivono in un contesto, come quello attuale, in cui gli sviluppi della secolarizzazione hanno lasciato pesanti tracce anche in Paesi di tradizione cristiana. Il Vangelo è il sempre nuovo annuncio della salvezza operata da Cristo per rendere l’umanità partecipe del mistero di Dio e della sua vita di amore e aprirla ad un futuro di speranza affidabile e forte. Sottolineare che in questo momento della storia la Chiesa è chiamata a compiere una nuova evangelizzazione, vuol dire intensificare l’azione missionaria per corrispondere pienamente al mandato del Signore. Il Concilio Vaticano II ricordava che "i gruppi in mezzo ai quali la Chiesa si trova, spesso, per varie ragioni, cambiano radicalmente, così che possono scaturire situazioni del tutto nuove" (Decr. Ad Gentes, 6). Con sguardo lungimirante, i Padri conciliari videro all’orizzonte il cambiamento culturale che oggi è facilmente verificabile. Proprio questa mutata situazione, che ha creato una condizione inaspettata per i credenti, richiede una particolare attenzione per l’annuncio del Vangelo, per rendere ragione della propria fede in situazioni differenti dal passato. La crisi che si sperimenta porta con sé i tratti dell’esclusione di Dio dalla vita delle persone, di una generalizzata indifferenza nei confronti della stessa fede cristiana, fino al tentativo di marginalizzarla dalla vita pubblica. Nei decenni passati era ancora possibile ritrovare un generale senso cristiano che unificava il comune sentire di intere generazioni, cresciute all’ombra della fede che aveva plasmato la cultura. Oggi, purtroppo, si assiste al dramma della frammentarietà che non consente più di avere un riferimento unificante; inoltre, si verifica spesso il fenomeno di persone che desiderano appartenere alla Chiesa, ma sono fortemente plasmate da una visione della vita in contrasto con la fede.
Annunciare Gesù Cristo unico Salvatore del mondo, oggi appare più complesso che nel passato; ma il nostro compito permane identico come agli albori della nostra storia. La missione non è mutata, così come non devono mutare l’entusiasmo e il coraggio che mossero gli Apostoli e i primi discepoli. Lo Spirito Santo che li spinse ad aprire le porte del cenacolo, costituendoli evangelizzatori (cfr At 2,1-4), è lo stesso Spirito che muove oggi la Chiesa per un rinnovato annuncio di speranza agli uomini del nostro tempo. Sant’Agostino afferma che non si deve pensare che la grazia dell’evangelizzazione si sia estesa fino agli Apostoli e con loro quella sorgente di grazia si sia esaurita, ma "questa sorgente si palesa quando fluisce, non quando cessa di versare. E fu in tal modo che la grazia tramite gli Apostoli raggiunse anche altri, che vennero inviati ad annunciare il Vangelo… anzi, ha continuato a chiamare fino a questi ultimi giorni l’intero corpo del suo Figlio Unigenito, cioè la sua Chiesa diffusa su tutta la terra" (Sermo 239,1). La grazia della missione ha sempre bisogno di nuovi evangelizzatori capaci di accoglierla, perché l’annuncio salvifico della Parola di Dio non venga mai meno, nelle mutevoli condizioni della storia.
Esiste una continuità dinamica tra l’annuncio dei primi discepoli e il nostro. Nel corso dei secoli la Chiesa non ha mai smesso di proclamare il mistero salvifico della morte e risurrezione di Gesù Cristo, ma quello stesso annuncio ha bisogno oggi di un rinnovato vigore per convincere l’uomo contemporaneo, spesso distratto e insensibile. La nuova evangelizzazione, per questo, dovrà farsi carico di trovare le vie per rendere maggiormente efficace l’annuncio della salvezza, senza del quale l’esistenza personale permane nella sua contraddittorietà e priva dell’essenziale. Anche in chi resta legato alle radici cristiane, ma vive il difficile rapporto con la modernità, è importante far comprendere che l’essere cristiano non è una specie di abito da vestire in privato o in particolari occasioni, ma è qualcosa di vivo e totalizzante, capace di assumere tutto ciò che di buono vi è nella modernità. Mi auguro che nel lavoro di questi giorni possiate delineare un progetto in grado di aiutare tutta la Chiesa e le differenti Chiese particolari, nell’impegno della nuova evangelizzazione; un progetto dove l’urgenza per un rinnovato annuncio si faccia carico della formazione, in particolare per le nuove generazioni, e sia coniugato con la proposta di segni concreti in grado di rendere evidente la risposta che la Chiesa intende offrire in questo peculiare momento. Se, da una parte, l’intera comunità è chiamata a rinvigorire lo spirito missionario per dare l’annuncio nuovo che gli uomini del nostro tempo attendono, non si potrà dimenticare che lo stile di vita dei credenti ha bisogno di una genuina credibilità, tanto più convincente quanto più drammatica è la condizione di coloro a cui si rivolgono. E’ per questo che vogliamo fare nostre le parole del Servo di Dio Papa Paolo VI, quando, a proposito dell’evangelizzazione, affermava: "È mediante la sua condotta, mediante la sua vita, che la Chiesa evangelizzerà innanzitutto il mondo, vale a dire mediante la sua testimonianza vissuta di fedeltà al Signore Gesù, di povertà e di distacco, di libertà di fronte ai poteri di questo mondo, in una parola, di santità" (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 41).
Cari amici, invocando l’intercessione di Maria, Stella dell’evangelizzazione, perché accompagni i portatori del Vangelo e apra i cuori di coloro che ascoltano, vi assicuro la mia preghiera per il vostro servizio ecclesiale e imparto su tutti voi la Benedizione Apostolica.

Amare i nemici perchè diventino fratelli

 Concludiamo la giornata con questo testo di Agostino sull'amore al nemico.
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 Dai "Trattati sulla prima lettera di Giovanni" di sant'Agostino, vescovo.
                                                                                                          (1, 9-12)
In questo lo conosciamo se osserveremo i suoi comandamenti. Quali comandamenti? Chi dice di conoscerlo e non osserva i suoi comandamenti è menzognero e in lui non c'è verità. Ma tu torni a chiedere: quali comandamenti? Giovanni ti dice: Chi osserverà la sua parola, veramente in lui è perfetto l'amore di Dio (1 Gv 2, 3-5). Vediamo se questo comandamento non sia l'amore. Ci domandavamo quali fossero questi comandamenti e Giovanni ci risponde: Chi osserverà la sua parola, veramente in lui è perfetto l'amore di Dio. Esamina il Vangelo e vedi se non è questo precisamente quel comandamento. Dice il Signore: Vi dò un comandamento nuovo, che vi amiate a vicenda (Gv 13, 34). A questo segno noi conosciamo di essere in lui, se in lui saremo perfetti (1 Gv 2, 5). Egli parla di perfetti nell'amore. Ma qual'è la perfezione dell'amore? E' amare anche i nemici ed amarli perché diventino fratelli. Il nostro amore infatti non deve essere carnale. E' buona cosa chiedere per un altro la salute del corpo; ma se questa mancasse, non deve scapitarne la salute dell'anima. Se auguri al tuo amico la vita, fai bene. Se ti rallegri per la morte del tuo nemico, fai male. Forse la vita che auguri all'amico è inutile, mentre quella morte del nemico di cui ti rallegri, può essere a lui utile. Non è certo se questa nostra vita sia utile o inutile, mentre è indubbiamente utile la vita presso Dio. Ama i tuoi nemici con l'intento di renderli fratelli; amali fino a farli entrare nella tua cerchia. Cosí ha amato colui che, pendendo sulla croce, disse: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno (Lc 23, 34). Non che abbia detto: Padre, costoro abbiano una vita lunga; loro che mi uccidono abbiano a vivere; ma ha detto: Perdona loro perché non sanno quello che fanno. Egli li volle preservare da una morte perpetua con una preghiera piena di misericordia e di forza. Molti tra essi credettero e fu loro perdonato di aver versato il sangue di Cristo. Quando si mostrarono crudeli, versarono quel sangue; quando credettero, lo bevvero. In questo noi conosciamo che siamo in lui, se in lui saremo perfetti. Il Signore ci ammonisce ad essere perfetti quando ci parla del dovere di amare i nemici: Siate dunque perfetti, come è perfetto il vostro Padre celeste (Mt 5, 48). Chi dunque dice di rimanere in lui, deve camminare come lui camminò (1 Gv 2, 6). In quale modo, o fratelli? Che ammonizione è questa? Colui che dice di rimanere in lui - cioè in Cristo - deve camminare come lui camminò. Che ci ammonisca forse di camminare sul mare? No, evidentemente. Ci ammonisce invece di camminare nella via della giustizia. Quale via? L'ho ricordato. Egli, quando era inchiodato alla croce, camminava proprio su questa via, che è la strada della carità. Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno. Se dunque imparerai a pregare per il tuo nemico, camminerai sulla strada del Signore.
[E' il comandamento nuovo, perché riguarda l'uomo nuovo.]
 Dilettissimi, non vi scrivo un comandamento nuovo, ma un comandamento antico, che avevate fin dall'inizio. Quale antico comandamento intende ricordare? Quello che avevate fin dall'inizio. Esso è vecchio in quanto già l'avevate udito. Altrimenti sarebbe in contraddizione col Signore che disse: Vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate a vicenda. Ma perché lo chiama comandamento vecchio? Non perché riguarda il vecchio uomo. Perché allora? Perché è: Quello che avevate fin dall'inizio. Il comandamento vecchio è la parola che avete udito (1 Gv 2, 7). Vecchio dunque perché già l'udiste. Ma Giovanni ci mostra che si tratta anche di un comandamento nuovo, quando dice: Ancora vi scrivo un comandamento nuovo. Non un altro comandamento ma quel medesimo che chiamò vecchio ed è ad un tempo vecchio e nuovo. Perché? Ciò si è verificato in lui ed in voi. Avete udito perché esso viene detto vecchio: perché già lo conoscevate. Perché allora viene detto nuovo? Perché: le tenebre se ne sono andate ed ormai splende la luce vera (1 Gv 2, 8; cf. Gv 13, 34). Da ciò deriva che si tratta di un comandamento nuovo: le tenebre riguardano l'uomo vecchio, la luce l'uomo nuovo. Che dice l'apostolo Paolo? Spogliatevi dell'uomo vecchio e rivestitevi dell'uomo nuovo (Col 3, 9-10). Che dice ancora? Un tempo voi foste tenebre, ora siete luce nel Signore (Ef 5, 8).
[Amare il fratello è camminare nella luce, cioè in Cristo.]
 Chi dice di essere nella luce - ecco che si rivela tutto il suo pensiero - chi dice di essere nella luce ed odia il fratello è ancora nelle tenebre (1 Gv 2, 9). Ahimé, o fratelli, fin quando vi dovremo dire: Amate i nemici (Mt 5, 44)? Guardatevi almeno dall'odiare il fratello, che è cosa peggiore. Se voi amate soltanto i fratelli, perfetti non sarete, ma se li odiate, che siete mai? Dove siete? Ciascuno guardi nel suo cuore; non tenga odio contro il fratello, per qualche dura parola che ha ricevuto; per litigi terreni, non dobbiamo diventare terra. Chi odia il fratello, non può dire di camminare nella luce. Anzi, non dica di camminare in Cristo. Chi dice di essere nella luce e odia il suo fratello è ancora avvolto nelle tenebre. Poniamo che un pagano diventi cristiano. Capitemi: quando era pagano, era nelle tenebre; ora è diventato cristiano. Sia lode al Signore, dicono tutti, e si congratulano e ripetono le parole augurali dell'Apostolo: Un giorno foste nelle tenebre; ora invece siete nella luce del Signore. Colui che adorava gli idoli, ora adora Dio; adorava cose da lui fatte, adora adesso chi fece lui. E' cambiato. Sia lode a Dio; tutti i cristiani se ne rallegrano. Perché? Perché adesso egli è adoratore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e detesta i demoni e gli idoli. Giovanni prende a cuore questo individuo e, nonostante la festa che tutti gli fanno, nutre qualche preoccupazione per lui. O fratelli, accettiamo volentieri questa sollecitudine materna. Non senza motivo nostra madre ha delle apprensioni per noi, anche quando gli altri si congratulano con noi e questa madre è la carità. Essa è nel cuore di Giovanni, quando fa queste raccomandazioni. E perché le fa se non perché teme per qualcosa che è in noi, pur se gli altri ci fanno congratulazioni? Che cosa teme? Chi dice di essere nella luce. Che significano queste parole? Significano: colui che dice di essere cristiano e odia suo fratello, è ancora nelle tenebre. Qui non occorrono spiegazioni, ma c'è da gioire se la cosa non s'avvera, c'è da piangere se essa si avvera.
[Se possederai la carità, non potrai separarti né da Cristo né dalla Chiesa.]
 Chi ama il suo fratello, resta nella luce, e in lui non c'è scandalo (1 Gv 2, 10; cf. Gv 13, 34). Vi scongiuro in nome di Cristo: è Dio che ci nutre, ristoreremo i nostri corpi in nome di Cristo, come già abbiamo fatto un poco, ed ancora faremo; che la mente abbia il suo cibo. Questo affermo, non perché debba ancora parlare a lungo; il testo della lettura sta per finire: ma facciamo in modo che il tedio non diminuisca la nostra attenzione per queste cose che hanno grandissima importanza. Chi ama suo fratello, resta nella luce ed in lui non c'è scandalo. Chi sono coloro che patiscono o danno scandalo? Coloro che trovano motivo di scandalo in Cristo e nella Chiesa. Chi trova motivo di scandalo in Cristo, è come colui che viene scottato dal sole, mentre colui che trova motivo di scandalo nella Chiesa, è come colui che viene scottato dalla luna. Dice il salmo: Di giorno il sole non ti brucerà né di notte la luna (Sal 120, 6) e significa: se avrai mantenuto la carità, non soffrirai scandalo né a motivo di Cristo, né a motivo della Chiesa. Non abbandonerai Cristo né la Chiesa. Chi abbandona la Chiesa, come può essere nel Cristo, se non appartiene alle sue membra? Come può essere nel Cristo, se non fa parte del suo corpo? Subiscono lo scandalo dunque quelli che abbandonano o Cristo o la Chiesa. Da che cosa desumiamo che il salmo dicendo: Di giorno il sole non ti brucerà, né di notte la luna, vuole che nel termine "bruciatura" si veda indicato lo scandalo? Innanzi tutto fai attenzione alla similitudine; come colui che viene scottato dice: non riesco a tollerare, non sopporto, e perciò si allontana; cosí coloro che non sopportano alcune cose nella Chiesa e si allontanano dal nome di Cristo o della Chiesa, patiscono scandalo. Osservate infatti quale scandalo hanno subito, come scottati dal sole, quegli uomini carnali ai quali Cristo predicava di dare la sua carne dicendo: Chi non mangerà la carne del Figlio dell'uomo e non berrà il suo sangue, non avrà in sé la vita. Circa una settantina di persone dissero: Che discorso duro è questo? e si allontanarono da lui; rimasero i dodici. Quelli furono tutti scottati dal sole e se ne andarono, non riuscendo a sopportare la forza della parola di Cristo. Rimasero dunque i dodici. E perché non credessero di fare un favore a Cristo credendo in lui, quando invece era Cristo a compiere per loro un beneficio, ai dodici rimasti il Signore disse: Volete andare anche voi? Sappiate infatti che non voi siete indispensabili per me, ma io per voi. Ma essi, che non erano stati scottati dal sole, risposero per bocca di Pietro: Signore, tu hai parole di vita eterna: dove potremo noi andare? (Gv 6, 54 61 68 69). E chi sono quelli che vengono scottati dalla Chiesa, come dalla luna nel corso della notte? Quelli che han fatto scisma. Ascoltate la parola stessa dell'Apostolo: Chi è ammalato e non lo sono anch'io? Chi patisce scandalo e io non ne brucio? (2 Cor 11, 29). Come avviene che non c'è scandalo in colui che ama i fratelli? Perché chi ama i fratelli sopporta tutto per l'unità, perché l'amore fraterno consiste nell'unità della carità. Supponiamo che ti offenda uno qualunque che è cattivo, o che tu giudichi cattivo o anche soltanto immagini tale: abbandoni forse per questo tanti altri che sono buoni? Ma che carità fraterna è quella che si mostra in questi Donatisti? Accusano i Cristiani di Africa e perciò abbandonano l'universa terra. Non c'è forse santo alcuno nel mondo? E questi, senza neanche essere ascoltati, furono da voi abbandonati. Ma se amate i fratelli, non ci sarebbe scandalo in voi. Ascolta la voce del salmo: Quanta pace a chi ama la tua legge e non c'è scandalo per lui (Sal 118, 165). Annunzia gran pace a coloro che amano la legge di Dio e perciò soggiunge che non c'è scandalo per loro. Coloro infatti che si scandalizzano perdono la pace. E chi (è detto nel salmo) non patisce scandalo o non lo fa? Chi ama la legge di Dio. Ecco, esso è nella carità. Obietterà qualcuno: si tratta di chi ama la legge di Dio e non di chi ama i fratelli. Ascolta allora ciò che dice il Signore: Un comando nuovo io vi dò, di amarvi gli uni e gli altri. La legge non è forse un comando? E come non si patisce scandalo se non sopportandosi scambievolmente? Dice l'apostolo Paolo: Ci sopportiamo l'un l'altro nell'amore, cercando di mantenere l'unità di spirito in un legame di pace (Ef 4, 2-3). E che questa sia la legge di Cristo lo si deduce dalle parole stesse dell'Apostolo che questa legge raccomanda: Portate, dice, l'uno il peso dell'altro e cosí adempirete la legge di Cristo (Gal 6, 2).

Canto: Non ti adirare (salmo 36) Kiko Arguello

domenica 29 maggio 2011

La vocazione della Chiesa è l'evangelizzazione

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Sono le parole di Benedetto XVI pronunciate questa mattina introducendo la preghiera mariana del Regina Coeli.

* * *
Cari fratelli e sorelle!
Nel libro degli Atti degli Apostoli si riferisce che, dopo una prima violenta persecuzione, la comunità cristiana di Gerusalemme, eccettuati gli apostoli, si disperse nelle regioni circostanti e Filippo, uno dei diaconi, raggiunse una città della Samaria. Là predicò Cristo risorto, e il suo annuncio fu accompagnato da numerose guarigioni, così che la conclusione dell’episodio è molto significativa: "E vi fu grande gioia in quella città" (At 8,8). Ogni volta ci colpisce questa espressione, che nella sua essenzialità ci comunica un senso di speranza; come dicesse: è possibile! E’ possibile che l’umanità conosca la vera gioia, perché là dove arriva il Vangelo, fiorisce la vita; come un terreno arido che, irrigato dalla pioggia, subito rinverdisce. Filippo e gli altri discepoli, con la forza dello Spirito Santo, fecero nei villaggi della Palestina ciò che aveva fatto Gesù: predicarono la Buona Notizia e operarono segni prodigiosi. Era il Signore che agiva per mezzo loro. Come Gesù annunciava la venuta del Regno di Dio, così i discepoli annunciarono Gesù risorto, professando che Egli è il Cristo, il Figlio di Dio, battezzando nel suo nome e scacciando ogni malattia del corpo e dello spirito.
"E vi fu grande gioia in quella città". Leggendo questo brano, viene spontaneo pensare alla forza risanatrice del Vangelo, che nel corso dei secoli ha "irrigato", come fiume benefico, tante popolazioni. Alcuni grandi Santi e Sante hanno portato speranza e pace ad intere città – pensiamo a san Carlo Borromeo a Milano, al tempo della peste; alla beata Madre Teresa a Calcutta; e a tanti missionari, il cui nome è noto a Dio, che hanno dato la vita per portare l’annuncio di Cristo e far fiorire tra gli uomini la gioia profonda. Mentre i potenti di questo mondo cercavano di conquistare nuovi territori per interessi politici ed economici, i messaggeri di Cristo andavano dappertutto con lo scopo di portare Cristo agli uomini e gli uomini a Cristo, sapendo che solo Lui può dare la vera libertà e la vita eterna. Anche oggi la vocazione della Chiesa è l’evangelizzazione: sia verso le popolazioni che non sono state ancora "irrigate" dall’acqua viva del Vangelo; sia verso quelle che, pur avendo antiche radici cristiane, hanno bisogno di nuova linfa per portare nuovi frutti, e riscoprire la bellezza e la gioia della fede.
Cari amici, il beato Giovanni Paolo II è stato un grande missionario, come documenta anche una mostra allestita in questo periodo a Roma. Egli ha rilanciato la missione ad gentes e, al tempo stesso, ha promosso la nuova evangelizzazione. Affidiamo l’una e l’altra all’intercessione di Maria Santissima. La Madre di Cristo accompagni sempre e dovunque l’annuncio del Vangelo, affinché si moltiplichino e si allarghino nel mondo gli spazi in cui gli uomini ritrovano la gioia di vivere come figli di Dio.

La ragione della Speranza del cristiano



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Il cammino pasquale ci porta alla perfezione dell'amore vissuto e praticato nei comandamenti divenuti giogo dolce, perché liberati dal giogo severo e impietoso del peccato. Che l'esperienza pasquale appaia gloriosa in noi. Buona domenica. Pb. Vito Valente.




VI Domenica di Pasqua
Anno A


Antifona d'Ingresso  Cf Is 48,20

Con voce di giubilo date il grande annunzio,

fatelo giungere ai confini del mondo:
il Signore ha liberato il suo popolo. Alleluia.


Colletta

Dio onnipotente, fa' che viviamo con rinnovato impegno questi giorni di letizia in onore del Cristo risorto, per testimoniare nelle opere il memoriale della Pasqua che celebriamo nella fede. Per il nostro Signore...


Oppure: 

O Dio, che ci hai redenti nel Cristo tuo Figlio messo a morte per i nostri peccati e risuscitato alla vita immortale, confermaci con il tuo Spirito di verità, perché nella gioia che viene da te, siamo pronti a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi. Per il nostro Signore...


LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura  At 8, 5-8. 14-17
Imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo.

Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, Filippo, sceso in una città della Samarìa, predicava loro il Cristo. E le folle, unanimi, prestavano attenzione alle parole di Filippo, sentendolo parlare e vedendo i segni che egli compiva. Infatti da molti indemoniati uscivano spiriti impuri, emettendo alte grida, e molti paralitici e storpi furono guariti. E vi fu grande gioia in quella città.
Frattanto gli apostoli, a Gerusalemme, seppero che la Samarìa aveva accolto la parola di Dio e inviarono a loro Pietro e Giovanni. Essi scesero e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo; non era infatti ancora disceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo.

Salmo Responsoriale   Dal Salmo 65
Acclamate Dio, voi tutti della terra. 
Oppure:  Alleluia, alleluia, alleluia.

Acclamate Dio, voi tutti della terra,
cantate la gloria del suo nome,
dategli gloria con la lode.
Dite a Dio: «Terribili sono le tue opere!

A te si prostri tutta la terra,
a te canti inni, canti al tuo nome».
Venite e vedete le opere di Dio,
terribile nel suo agire sugli uomini.

Egli cambiò il mare in terraferma;
passarono a piedi il fiume:
per questo in lui esultiamo di gioia.
Con la sua forza domina in eterno.

Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio,
e narrerò quanto per me ha fatto.
Sia benedetto Dio,
che non ha respinto la mia preghiera,
non mi ha negato la sua misericordia. 
   
Seconda Lettura  1 Pt 3, 15-18
Messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito.

Dalla prima lettera di san Pietro apostolo
Carissimi, adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi.
Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo.
Se questa infatti è la volontà di Dio, è meglio soffrire operando il bene che facendo il male, perché anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito.
Canto al Vangelo  Gv 14,23
Alleluia, alleluia.
Se uno mi ama, osserva la mia parola, dice il Signore,
e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui.
Alleluia.

  

Vangelo  Gv 14, 15-21

Pregherò il Padre che egli vi darà un altro Consolatore.


Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi.
Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.
Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».  Parola del Signore.

* * * 

Commento a cura della Congregazione per il Clero.



  
Le letture di questa sesta domenica di Pasqua ci permettono di proporre alcune considerazioni sulla “vita cristiana” nella quale anche noi, in quanto discepoli del Risorto, siamo chiamati a “rimanere” (Cfr. Gv 14,16).

Il brano degli Atti degli Apostoli ci suggerisce anzitutto di “prestare attenzione alle parole” che la Chiesa ci annuncia, essendo questo il primo passo necessario per entrare a far parte del corpo mistico di Cristo: è un’azione che implica, come viene poi specificato, non solo “l’ascolto”, ma soprattutto la vista dei “segni” che rendono evidente il contenuto del messaggio cristiano (Cfr. At 8,6). Si tratta dunque di una “porta” che, varcata una volta per sempre attraverso il Battesimo, ha però bisogno di essere attraversata ogni giorno, nella “riscoperta” di cosa significhi veramente essere discepoli.
È per questo che Pietro e Giovanni decidono di dirigersi in Samarìa per imporre le mani ai discepoli di Filippo, affinché potessero ricevere lo Spirito Santo (Cfr. At 8,17) e dunque quella forza che sola può rendere capace l’uomo di “dare il grande annunzio” e di “farlo giungere ai confini del mondo”, come ci invita Isaia, nell’antifona d’ingresso (Cfr. Is 48,20).
Le parole del profeta ci introducono, però, ad un altro elemento essenziale perché l’esistenza di un uomo possa essere riconosciuta come “vita cristiana”. L’Apostolo Pietro lo indica quando afferma che dobbiamo essere «pronti sempre a rispondere a chiunque domandi ragione della speranza» che è in noi (1Pt 3,15) «con dolcezza e rispetto» (1Pt 3,16).
L’uso di termini come “bisogna” e “dovere”, usati fino a questo momento, necessita a questo punto di una spiegazione: il cristianesimo non è l’applicazione di una morale del dovere! Il cristianesimo è, piuttosto, la comunione di coloro che sono innamorati di Cristo: è rimanendo nel suo amore, “osservando i suoi comandamenti” (Cfr. Gv 14,21) che il credente si ritrova a compiere gesti che altrimenti sarebbero inspiegabili, umanamente parlando.
Il cristiano, lo capiamo molto bene dalla lettura del Vangelo, non è un uomo che deve sforzarsi di mettere in pratica precetti e comportamenti devoti: se uno ama, allora è portato quasi naturalmente a vivere quanto Gesù ha indicato. Riscoprire il proprio Battesimo, attraverso la guida dello Spirito di verità, significa dunque cercare di conoscere ogni giorno di più la vita di Cristo –attraverso la lettura, la preghiera, i sacramenti, la vita di comunità–, perché sia più facile l’innamorarsi di Lui!
Da tutto il percorso proposto finora, dunque, emerge che nessuna obiezione ad una tale “vita” è reale, neppure il fatto che non si possa vedere Gesù in carne ed ossa. Ed è ancora il Vangelo di Giovanni a farcelo capire: «Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete» (Gv 14,19). L’alternativa fra “voi” e il “mondo” non corrisponde ad una divisione di tipo morale o etnica: si tratta invece di una alternativa che alberga nel cuore di ciascuno di noi!
Se seguiamo, dunque, la mentalità del mondo, non riusciremo mai a vedere il Risorto; ma se cominciamo a fidarci della Chiesa, nostra madre, e ad ascoltare ciò che essa ci insegna e ci suggerisce, allora scopriremo che in verità il Signore si vede ed è una Presenza così eccezionale e reale da suscitare in noi un fascino irresistibile, il solo e vero motore della “vita cristiana”.

venerdì 27 maggio 2011

Folle per Cristo


Oggi 28 maggio ricordiamo:


Andrea il Folle (X sec.?), testimone
La venerazione di un santo è determinata soprattutto dall'ideale evangelico che attraverso la sua figura viene trasmesso di generazione in generazione. Solo così si può comprendere la straordinaria importanza di Andrea, primo folle per Cristo della chiesa bizantina.

Le notizie storiche su di lui sono contraddittorie, fino a far dubitare della sua esistenza. Egli fu forse originario della Scizia, ed era uno schiavo. Secondo il suo agiografo, un certo Niceforo presbitero di Santa Sofia, fu educato dal suo padrone che lo volle suo segretario. Poi, ancora giovanissimo e in maniera improvvisa, Andrea diede chiari segni di follia. Il padrone lo fece incatenare presso la chiesa di Sant'Anastasia, ma inutilmente: era ormai inziata la vicenda del più amato folle per Cristo di Costantinopoli. Da quel momento, egli vivrà simulando un tale degrado esteriore da far ribrezzo persino agli animali; faceva questo, secondo la tradizione, per poter servire gli uomini nell'umiltà e nel nascondimento.
Visionario, affascinato dal futuro ultimo dell'uomo, Andrea esprime con la vita e con numerosi dialoghi la sua attesa del regno e il giudizio che il compiersi dei tempi profetizzato nelle Scritture proietta sulla storia. Lo accompagna spesso come interlocutore Epifanio, personaggio ben dotato di senno, che diverrà patriarca di Costantinopoli. A differenza del suo predecessore di Emesa, Simeone il Folle, Andrea non simula tanto la follia per smascherare i peccati di quanti incontra, ma dedica piuttosto tutta la sua vita a indicare un mondo invisibile, una sapienza «altra». Forse per questo è molto amato dai monaci bizantini, che gli dedicheranno una miriade di piccole chiese ubicate nei luoghi più impensabili.
Nella chiesa russa la memoria di Andrea è legata alla festa della Protezione della Madre di Dio, da lui profetizzata in una delle sue più celebri visioni. (1)

TRACCE DI LETTURA
Alcuni devoti gli offrivano denaro di loro volontà e non perché egli ne chiedesse. Egli accettava di buon grado, pregando per i donatori. In una giornata poteva ricevere dai venti ai trenta oboli. Ora, Andrea conosceva un nascondiglio dove si radunavano i mendicanti; accostatosi, come per gioco, si sedette in mezzo a loro e cominciò a giocare con gli oboli, perché la sua attività spirituale non fosse riconosciuta. Quando un povero cercò di prenderglieli, gli diede uno schiaffo: allora gli altri, per vendicare il loro compagno, lo presero a bastonate. Simulando la fuga egli gettò via tutti gli oboli. Così, quello che un mendicante riusciva a trovare era suo guadagno (Niceforo, dalla Vita di Andrea il Folle)
PREGHIERA
Tu hai scelto la follia per amore di Cristo
e hai mostrato la stoltezza dei sapienti.
Sei stato perseverante
nella tua lotta in questo mondo,
e Cristo ti ha portato in paradiso.
Intercedi presso di lui, o Andrea,
per coloro che onorano la tua memoria.



* * *

(1):La visione di sant'Andrea il Folle

Sant'Andrea il Folle (seminudo sulla sinistra dell'immagine) brillò per l'innocenza dei costumi, lo spirito di preghiera e di penitenza in mezzo alla Bisanzio del secolo X. Il racconto della sua vita, scritto poco tempo dopo la morte, presenta garanzie certe di autenticità. Di origine scita e di nazionalità slava, era schiavo presso la casa di un uomo ricco, imparò il greco e fu elevato all'incarico di notaio.Presto diede segni di demenza. Il suo padrone lo fece rinchiudere nella chiesa di Sant'Anastasia. Dopo tre mesi, non essendo migliorato, venne abbandonato alla vita errante. Ebbe momenti di amnesia involontaria o simulata per il desiderio di umiliazione, si consacrò alla preghiera e alle opere di carità, prodigò i suoi consigli ai piccoli e ai grandi.
Una notte, mentre stava per terminare la dossologia a Blacherne, all'improvviso Andrea fu rapito in estasi in mezzo alla folla:
 Vide chiaramente coi suoi occhi una Signora, di statura molto alta, avanzare dalle porte regali, circondata da un corteo armonioso. A destra e a sinistra, il venerabile Prodromo (il Precursore Giovanni Battista) e il Figlio del tuono (Giovanni l'evangelista) la sostenevano con le loro mani; una processione numerosa di santi, vestiti di bianco, l'accompagnava... Quando il corteo raggiunse l'ambone, Andrea si rivolse al suo discepolo Epifanio domandandogli: «Vedi la Padrona e Signora dell'universo?». Questi rispose: «Sì, vedo, padre mio spirituale»E davanti ai loro occhi, piegando a lungo le ginocchia, la Signora pregò, lasciando scorrere lacrime sul suo viso d'aspetto divino e immacolato. Terminata la preghiera, si avvicinò al santuario, cominciando di nuovo a pregare per il popolo che la circondava. Allora si tolse il velo scintillante e, allargandolo con imponente maestà, lo mantenne steso con le sue mani pure e ne coprì tutto il popolo che stava al di sotto. Durante un tempo considerevole, quei veggenti straordinari lo contemplarono steso sopra la folla e irradiante tutt'intorno una gloria divina.



*  *  *
Martiri cristiani di Romania (XX sec.)
Il 28 maggio del 1970 si spegne a Bucarest il vescovo greco-cattolico Iuliu Hossu, testimone tra i più eloquenti delle persecuzioni patite da centinaia di migliaia di cristiani romeni sotto i regimi totalitari e nazionalisti del XX secolo.

Fin dall'ascesa al potere del regime comunista, la Romania conobbe infatti ripetuti tentativi di «nazionalizzazione» delle chiese, attuati per soggiogarle pienamente al controllo del regime. Tutte le confessioni cristiane furono sottoposte a persecuzioni, arresti di massa, privazione delle libertà fondamentali; migliaia furono i confessori che morirono di fame in prigione.
Tra coloro che più pagarono in termini di vittime e di privazioni vi fu a partire dal 1° dicembre del 1948 la Chiesa Greco-cattolica romena, soppressa per decreto dello Stato e brutalmente repressa sino alla fine degli anni '80.
Accanto all'arcivescovo di Cluj Iuliu Hossu, vescovi come l'ausiliare di Blaj Vasile Aftenie e l'amministratore apostolico della medesima sede Ioan Suciu furono condotti in prigione tra il 1948 e il 1950. Tutti rifiutarono di rinnegare la loro comunione con Roma: Aftenie fu ucciso dopo un anno di cella d'isolamento, Suciu morì in prigione nel 1953; Hossu, invece, resistette per più di vent'anni a ripetuti periodi di detenzione e di molestie. Un anno prima di morire, fu creato cardinale in pectore da Paolo VI.
I loro nomi, accanto a quelli di padre Daniil Sandu Tudor, monaco ortodosso, e a moltissimi personaggi più o meno in vista delle giurisdizioni greco-cattoliche, ortodosse, latine e protestanti di Romania, costituiscono quel patrimonio comune di martiri su cui le chiese cristiane in quella terra sono chiamate a edificare il difficile cammino dell'unità tra i cristiani, superando divisioni e lacerazioni che da secoli sfigurano il volto della chiesa.

TRACCE DI LETTURA
Per la Chiesa Romena Unita è arrivato il Venerdì santo! Adesso, cari fedeli, abbiamo l'occasione di mostrare se apparteniamo a Cristo o se siamo dalla parte di Giuda. Non lasciatevi ingannare da parole vane, da promesse, da menzogne, ma restate saldi nella fede per la quale i vostri genitori e i vostri avi hanno versato il loro sangue. Non possiamo vendere né Cristo né la chiesa.

Se prenderanno le vostre chiese, pregate il Signore come fecero i primi cristiani quando gli imperatori pagani distruggevano i loro luoghi di preghiera e bruciavano i loro libri santi (Joan Suciu, dalle Lettere ai fedeli).

PREGHIERA
Ricordati, Dio che ami la vita,
di tutti i nostri fratelli e sorelle ortodossi, cattolici, protestanti
che in molte nazioni d'Europa sotto i regimi atei e totalitari
hanno subìto con pazienza la persecuzione, il carcere,
la tortura, il disprezzo e la morte,
per la causa del Vangelo e per la fedeltà alla loro tradizione cristiana,
pregando spesso per i loro persecutori;
essi hanno conosciuto la beatitudine della tua povertà
e per questo sono degni del tuo Regno.
Sia benedetta la loro memoria ora e sempre.

La carne è debole, ma proprio tanto...


Continuo con questo post la presentazione della dottrina cattolica della grazia. Il post precedente è quello dal titolo: "L'opera della grazia in noi è la memoria di Cristo presente", pubblicato il 24 maggio scorso.

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Quando, all'inizio del 1993, è stato pubblicato, con una introduzione dell'allora cardinal Joseph Ratzinger, il libro Un avvenimento di vita, cioè una storia, in cui venivano raccolti interventi e interviste di don Luigi Giusssani a partire dal 1978, il cardinal Jean -Jerome Hamer scrisse personalmente una lettera all'autore in cui gli  confidava il suo interesse per il fatto che don Giussani definiva il cristianesimo un avvenimento. A commento del canone 21 del Concilio di Orange, che chiarisce in maniera limpida e semplice il rapporto tra natura e grazia, riporto alcune delle osservazioni di Hamer.

"Affermare l'avvenimento significa riconoscere il carattere radicalmente nuovo e sovrano del cristianesimo. Secondo i dizionari "avvenimento" è un fatto importante, che marca un momento della storia. Giussani non si limita a questa definizione ma sviluppa l'idea che l'avvenimento è un fatto fondamentalmente nuovo. Nella linea di Charles Peguy: "Non prevedibile, non previsto, non conseguenza di fattori antecedenti". Quindi un qualcosa che sorprende, che fa "irruzione" nella storia. Anche nella storia della singola persona. L'approccio di don Giussani permette di mostrare qual'è il senso esatto del pensiero della Chiesa sul rapporto tra "attesa" e "compimento", tra "profezia" e "realizzazione", tra "legge antica" e "legge nuova". In ciascuno di questi binomi c'è una reale continuità e una radicale discontinuità. Cristo è la risposta adeguata ai desideri più profondi dell'uomo. Ma il compimento NON è lo sviluppo naturale e progressivo dell'attesa umana. Il compimento non sta al desiderio come la pianta al seme. Non è una evoluzione, un processo naturale, lineare. L'attesa riceve una risposta che supera di molto la domanda posta.
Anche la religiosità naturale è una situazione di attesa, in funzione di un compimento. Giussani, raccontando della amicizia con alcuni monaci buddhisti, dice che il vertice del senso religioso naturale è "una attesa dolorosa".
Il primato dell'avvenimento rispetto allo stesso senso religioso è una delle novità più importanti nel pensiero di don Giussani: "Il cuore della nostra proposta è l'annuncio di un avvenimento accaduto, che sorprende gli uomini allo stesso modo in cui 2000 anni fa l'annuncio degli angeli a Betlemme sorprese dei poveri pastori. Un avvenimento che accade PRIMA di ogni considerazione sull'uomo religioso o non religioso...". Entra qui la polemica antipelagiana di Giussani, una polemica che appartiene alla Tradizione della Chiesa. Da Agostino a Tommaso... Svalutazione del momento del dialogo? No, il dialogo è importante a tutti i livelli, cominciando dal livello politico.  In quanto pone fine ad una ostilità, e crea un clima di fiducia. "Si deve sempre negoziare", diceva il cardinal Richelieu. Nella sua forma più vera anche il dialogo è comunicazione dell'avvenimento, strumento di un incontro".
J.J. Hamer, "Oltre ogni attesa", Roma 1994.

Concilio di Orange del 529

La natura e la grazia.

Canone 21. La natura e la grazia. Come a coloro che, volendo trovare la loro giustificazione nella legge, sono decaduti dalla grazia, con tutta verità l'Apostolo dice: "Se la giustizia viene dalla legge, allora Cristo è morto per nulla" (Gal. 2, 21); così, a quelli che pensano che la grazia, che la fede di Cristo riconosce e riceve, sia la natura, con tutta verità si può dire: se la giustizia proviene dalla natura, "allora Cristo è morto per nulla". Infatti la legge già c'era, e non giustificava; già c'era anche la natura, e non giustificava. Perciò Cristo non è morto per nulla, ma perchè la legge trovasse compimento per mezzo di Lui che ha detto: "Non sono venuto per abolire la legge, ma per darle compimento" (Mt. 5, 17); e perchè la natura, ferita a causa di Adamo, fosse restaurata per mezzo di Lui che ha detto di essere venuto "a cercare e a salvare ciò che era andato perduto" (Lc. 19,10).

giovedì 26 maggio 2011

Preferisco il Paradiso.



Abbiamo celebrato oggi la memoria di san Filippo Neri... Bello pensare al Paradiso,
prima di dormire.

Sostenere fattivamente la famiglia, innanzi tutto...

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 E' vero che Dio ha detto «Andate e moltiplicatevi», ma è un’esortazione che risale a quando la terra era abitata da solo due persone.                                                                                                           (Anonimo)


ROMA, giovedì, 26 maggio 2011. - Riporto di seguito il discorso pronunciato oggi pomeriggio da  Benedetto XVI nel presiedere la recita del Santo Rosario nella Basilica papale di Santa Maria Maggiore, insieme con i Vescovi italiani riuniti in Assemblea generale, per ribadire il vincolo particolare con l’Italia, rinnovandone l’affidamento alla Vergine Maria nel 150° dell’unità politica del Paese.
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Venerati e cari Confratelli,
siete convenuti in questa splendida Basilica - luogo nel quale spiritualità e arte si fondono in un connubio secolare - per condividere un intenso momento di preghiera, con il quale affidare alla protezione materna di Maria, Mater unitatis, l’intero popolo italiano, a centocinquant’anni dall’unità politica del Paese. È significativo che questa iniziativa sia stata preparata da analoghi incontri nelle diocesi: anche in questo modo esprimete la premura della Chiesa nel farsi prossima alle sorti di questa amata Nazione. A nostra volta, ci sentiamo in comunione con ogni comunità, anche con la più piccola, in cui rimane viva la tradizione che dedica il mese di maggio alla devozione mariana. Essa trova espressione in tanti segni: santuari, chiesette, opere d’arte e, soprattutto, nella preghiera del Santo Rosario, con cui il Popolo di Dio ringrazia per il bene che incessantemente riceve dal Signore, attraverso l’intercessione di Maria Santissima, e lo supplica per le sue molteplici necessità. La preghiera – che ha il suo vertice nella liturgia, la cui forma è custodita dalla vivente tradizione della Chiesa – è sempre un fare spazio a Dio: la sua azione ci rende partecipi della storia della salvezza. Questa sera, in particolare, alla scuola di Maria siamo stati invitati a condividere i passi di Gesù: a scendere con Lui al fiume Giordano, perché lo Spirito confermi in noi la grazia del Battesimo; a sederci al banchetto di Cana, per ricevere da Lui il "vino buono" della festa; ad entrare nella sinagoga di Nazaret, come poveri ai quali è rivolto il lieto messaggio del Regno di Dio; ancora, a salire sul Monte Tabor, per vivere la croce nella luce pasquale; e, infine, a partecipare nel Cenacolo al nuovo ed eterno sacrificio, che, anticipando i cieli nuovi e la terra nuova, rigenera tutta la creazione.
Questa Basilica è la prima in Occidente dedicata alla Vergine Madre di Dio. Nell’entrarvi, il mio pensiero è tornato al primo giorno dell’anno 2000, quando il Beato Giovanni Paolo II ne aprì la Porta Santa, affidando l’Anno giubilare a Maria, perché vegliasse sul cammino di quanti si riconoscevano pellegrini di grazia e di misericordia. Noi stessi oggi non esitiamo a sentirci tali, desiderosi di varcare la soglia di quella "Porta" Santissima che è Cristo e vogliamo chiedere alla Vergine Maria di sostenere il nostro cammino ed intercedere per noi. In quanto Figlio di Dio, Cristo è forma dell’uomo: ne è la verità più profonda, la linfa che feconda una storia altrimenti irrimediabilmente compromessa. La preghiera ci aiuta a riconoscere in Lui il centro della nostra vita, a rimanere alla sua presenza, a conformare la nostra volontà alla sua, a fare "qualsiasi cosa ci dica" (Gv 2,5), certi della sua fedeltà. Questo è il compito essenziale della Chiesa, da Lui incoronata quale mistica sposa, come la contempliamo nello splendore del catino absidale. Maria ne costituisce il modello: è colei che ci porge lo specchio, in cui siamo invitati a riconoscere la nostra identità. La sua vita è un appello a ricondurre ciò che siamo all’ascolto e all’accoglienza della Parola, giungendo nella fede a magnificare il Signore, davanti al quale l’unica nostra possibile grandezza è quella che si esprime nell’obbedienza filiale: "Avvenga per me secondo la tua parola" (Lc 1,38). Maria si è fidata: lei è la "benedetta" (cfr Lc 1,42), che è tale per aver creduto (cfr Lc 1,45), fino ad essersi così rivestita di Cristo da entrare nel "settimo giorno", partecipe del riposo di Dio. Le disposizioni del suo cuore – l’ascolto, l’accoglienza, l’umiltà, la fedeltà, la lode e l’attesa – corrispondono agli atteggiamenti interiori e ai gesti che plasmano la vita cristiana. Di essi si nutre la Chiesa, consapevole che esprimono ciò che Dio attende da lei.
Sul bronzo della Porta Santa di questa Basilica è incisa la raffigurazione del Concilio di Efeso. L’edificio stesso, risalente nel nucleo originario al V secolo, è legato a quell’assise ecumenica, celebrata nell’anno 431. A Efeso la Chiesa unita difese e confermò per Maria il titolo di Theotókos, Madre di Dio: titolo dal contenuto cristologico, che rinvia al mistero dell’incarnazione ed esprime nel Figlio l’unità della natura umana con quella divina. Del resto, è la persona e la vicenda di Gesù di Nazaret a illuminare l’Antico Testamento e il volto stesso di Maria. In lei si coglie in filigrana il disegno unitario che intreccia i due Testamenti. Nella sua vicenda personale c’è la sintesi della storia di un intero popolo, che pone la Chiesa in continuità con l’antico Israele. All’interno di questa prospettiva ricevono senso le singole storie, a partire da quelle delle grandi donne dell’Antica Alleanza, nella cui vita è rappresentato un popolo umiliato, sconfitto e deportato. Sono anche le stesse, però, che ne impersonano la speranza; sono il "resto santo", segno che il progetto di Dio non rimane un’idea astratta, ma trova corrispondenza in una risposta pura, in una libertà che si dona senza nulla trattenere, in un sì che è accoglienza piena e dono perfetto. Maria ne è l’espressione più alta. Su di lei, vergine, discende la potenza creatrice dello Spirito Santo, lo stesso che "in principio" aleggiava sull’abisso informe (cfr Gen 1,1) e grazie al quale Dio chiamò l’essere dal nulla; lo Spirito che feconda e plasma la creazione. Aprendosi alla sua azione, Maria genera il Figlio, presenza del Dio che viene ad abitare la storia e la apre a un nuovo e definitivo inizio, che è possibilità per ogni uomo di rinascere dall’alto, di vivere nella volontà di Dio e quindi di realizzarsi pienamente.
La fede, infatti, non è alienazione: sono altre le esperienze che inquinano la dignità dell’uomo e la qualità della convivenza sociale! In ogni stagione storica l’incontro con la parola sempre nuova del Vangelo è stato sorgente di civiltà, ha costruito ponti fra i popoli e ha arricchito il tessuto delle nostre città, esprimendosi nella cultura, nelle arti e, non da ultimo, nelle mille forme della carità. A ragione l’Italia, celebrando i centocinquant’anni della sua unità politica, può essere orgogliosa della presenza e dell’azione della Chiesa. La Chiesa non persegue privilegi né intende sostituirsi alle responsabilità delle istituzioni politiche; rispettosa della legittima laicità dello Stato, è attenta a sostenere i diritti fondamentali dell’uomo. Fra questi vi sono anzitutto le istanze etiche e quindi l’apertura alla trascendenza, che costituiscono valori previi a qualsiasi giurisdizione statale, in quanto inscritti nella natura stessa della persona umana. In questa prospettiva, la Chiesa – forte di una riflessione collegiale e dell’esperienza diretta sul territorio – continua a offrire il proprio contributo alla costruzione del bene comune, richiamando ciascuno al dovere di promuovere e tutelare la vita umana in tutte le sue fasi e di sostenere fattivamente la famiglia; questa rimane, infatti, la prima realtà nella quale possono crescere persone libere e responsabili, formate a quei valori profondi che aprono alla fraternità e che consentono di affrontare anche le avversità della vita. Non ultima fra queste, c’è oggi la difficoltà ad accedere ad una piena e dignitosa occupazione: mi unisco, perciò, a quanti chiedono alla politica e al mondo imprenditoriale di compiere ogni sforzo per superare il diffuso precariato lavorativo, che nei giovani compromette la serenità di un progetto di vita familiare, con grave danno per uno sviluppo autentico e armonico della società.
Cari Confratelli, l’anniversario dell’evento fondativo dello Stato unitario vi ha trovati puntuali nel richiamare i tasselli di una memoria condivisa e sensibili nell’additare gli elementi di una prospettiva futura. Non esitate a stimolare i fedeli laici a vincere ogni spirito di chiusura, distrazione e indifferenza, e a partecipare in prima persona alla vita pubblica. Incoraggiate le iniziative di formazione ispirate alla dottrina sociale della Chiesa, affinché chi è chiamato a responsabilità politiche e amministrative non rimanga vittima della tentazione di sfruttare la propria posizione per interessi personali o per sete di potere. Sostenete la vasta rete di aggregazioni e di associazioni che promuovono opere di carattere culturale, sociale e caritativo. Rinnovate le occasioni di incontro, nel segno della reciprocità, tra Settentrione e Mezzogiorno. Aiutate il Nord a recuperare le motivazioni originarie di quel vasto movimento cooperativistico di ispirazione cristiana che è stato animatore di una cultura della solidarietà e dello sviluppo economico. Similmente, provocate il Sud a mettere in circolo, a beneficio di tutti, le risorse e le qualità di cui dispone e quei tratti di accoglienza e di ospitalità che lo caratterizzano. Continuate a coltivare uno spirito di sincera e leale collaborazione con lo Stato, sapendo che tale relazione è benefica tanto per la Chiesa quanto per il Paese intero. La vostra parola e la vostra azione siano di incoraggiamento e di sprone per quanti sono chiamati a gestire la complessità che caratterizza il tempo presente. In una stagione, nella quale emerge con sempre maggior forza la richiesta di solidi riferimenti spirituali, sappiate porgere a tutti ciò che è peculiare dell’esperienza cristiana: la vittoria di Dio sul male e sulla morte, quale orizzonte che getta una luce di speranza sul presente. Assumendo l’educazione come filo conduttore dell’impegno pastorale di questo decennio, avete voluto esprimere la certezza che l’esistenza cristiana – la vita buona del Vangelo – è proprio la dimostrazione di una vita realizzata. Su questa strada voi assicurate un servizio non solo religioso o ecclesiale, ma anche sociale, contribuendo a costruire la città dell’uomo. Coraggio, dunque! Nonostante tutte le difficoltà, "nulla è impossibile a Dio" (Lc 1,37), a Colui che continua a fare "grandi cose" (Lc 1,49) attraverso quanti, come Maria, sanno consegnarsi a lui con disponibilità incondizionata.
Sotto la protezione della Mater unitatis poniamo tutto il popolo italiano, perché il Signore gli conceda i doni inestimabili della pace e della fraternità e, quindi, dello sviluppo solidale. Aiuti le forze politiche a vivere anche l’anniversario dell’Unità come occasione per rinsaldare il vincolo nazionale e superare ogni pregiudiziale contrapposizione: le diverse e legittime sensibilità, esperienze e prospettive possano ricomporsi in un quadro più ampio per cercare insieme ciò che veramente giova al bene del Paese. L’esempio di Maria apra la via a una società più giusta, matura e responsabile, capace di riscoprire i valori profondi del cuore umano. La Madre di Dio incoraggi i giovani, sostenga le famiglie, conforti gli ammalati, implori su ciascuno una rinnovata effusione dello Spirito, aiutandoci a riconoscere e a seguire anche in questo tempo il Signore, che è il vero bene della vita, perché è la vita stessa.
Di cuore benedico voi e le vostre comunità. Amen.