sabato 7 maggio 2011

L'Esodo ci coinvolge.

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Nella Pasqua ebraica si dice: “In ogni generazione ciascuno ha il dovere di considerare se stesso come se egli fosse uscito dall'Egitto”.
Non si potrebbe esprimere meglio non solo il significato permanente dell'Esodo,ma il senso dell'Antico Testamento e della Bibbia intera, e più in generale il carattere della fede ebraica e cristiana: la storia come sacramento, il “sacramento della storia”. Non si tratta di una storia filosofica che produce, inghiotte e giustifica eventi, ma di quella storia che cominciò come cronaca familiare di Abramo, proseguì come tradizione di dodici tribù e di un popolo, e, rimanendo sempre tale, è in ogni tempo la storia personale di chi si sottomette all'esperienza di Abramo e di Mosè.
“Per la fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì...e partì senza sapere dove andava... per la fede, Mosè, fattosi grande, rifiutò di essere chiamato figlio della figlia di un Faraone... e per la fede abbandonò l'Egitto (cf. Eb.11). Abramo e Mosè erano ministri, mediatori, cioè servitori della promessa. Invece Israele era il destinatario, e per questo l'uscita dall'Egitto è per la Bibbia una partenza in cui la grazia prevale sulla fede e dà all'evento il carattere perennemente liberatore che ha
la Pasqua; e Dio è “Colui che ci trasse dalla schiavitù alla libertà, dal dolore alla letizia, dal lutto alla festa, dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita”, come è detto nella liturgia della cena pasquale. Questa liturgia insiste molto sul carattere notturno in cui avvengono i prodigi, e lo stesso motivo percorre il Preconio o Exultet della Veglia pasquale.
Forse non ne abbiamo piena coscienza, ma questo linguaggio simbolico vuole appunto aiutarci a considerare noi stessi come usciti dall'Egitto. Non importa tanto mettersi nelle condizioni psicologiche di rivivere il fatto o la scena, con la tecnica insegnata dagli Esercizi Spirituali di sant'Ignazio. Importa riconoscere che l'Esodo ci coinvolge. La frase di Paolo: Se Cristo non è risorto, vana è la nostra predicazione e vana è pure la vostra fede” (1Cor. 15,14), si deve applicare anche all'uscita dall'Egitto.
L'entrata di Dio nella storia è una irruzione inaudita e trasformante: così come l'Incarnazione, così come la Pentecoste. Non stupisce che gli ateniesi, abituati ad un dio diverso, rispondessero a Paolo: “Su questo ti ascolteremo un'altra volta” (At. 17,32).
L'esperienza pasquale è infatti del tutto insensata come valore religioso se uno non vi si pone dentro, secondo l'insegnamento della cena ebraica.
(Paolo De Benedetti, La morte di Mosè e altri esempi, Milano 1971, pp.163-165)