giovedì 30 giugno 2011

Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù





Ti supplico, che la mitezza della tua carità ridia coraggio al mio cuore.

Per grazia, le viscere della tua misericordia si commuovano in mio favore,

perché purtroppo, numerosi sono i miei demeriti, nulli i miei meriti.

E donami, o caro Gesù, di amare te solo, in ogni cosa e al di sopra di tutto,

di attaccarmi a te con fervore,

di sperare in te,

e di non mettere alla mia speranza nessun limite.



Santa Geltrude di Elfta


Di seguito il Vangelo di oggi 1 luglio, Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, con due brevi testi per la meditazione. Buona festa!



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Mt 11, 25-30




In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te.
Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare». Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero».


IL COMMENTO
Le parole oranti del Signore che si rivolgono al Padre in un'estatica benedizione ci schiudono oggi una finestra sui sentimenti più intimi di Dio. Possiamo avventurarci nel cuore del Padre e conoscere quello di cui si compiace. La relazione di profonda comunione tra Padre e Figlio, la conoscenza reciproca che è, secondo il linguaggio della Scrittura, un'unione profonda e indissolubile. Il Padre e il Figlio uniti nell'esultanza e nella gioia di fronte al Mistero rivelato ai piccoli. Mistero nel mistero.

I piccoli, gli infanti secondo la traduzione in latino della Vulgata, colui che non ha ancora l'uso della parola (in-fa-ns, dove –fa proviene dalla radice di un verbo for/faris che indica il saper parlare, quindi l’infante è colui che non sa parlare) che traduce il greco originale dove si ha Νήπιος (colui che non sa parlare, e per estensione, siccome colui che non sa parlare è il fanciullo, significa appunto, bambino/lattante). Dio rivela il Suo cuore a chi ancora non sa parlare.

Le Sue parole sono per chi non ha parole. E invece noi siamo imbottiti di parole. Parole spesso vuote a cercare di razionalizzare pensieri irrazionali. Non abbiamo posto per le parole di Dio. La sapienza e l'intelligenza mondane, figlie del principe di questo mondo, affogano il nostro cuore e strozzano la nostra mente. Siamo impermeabili alla Parola fatta carne. Ci crediamo adulti perchè presumiamo di condurre le nostre esistenze attraverso le parole. Chiacchiere, per giustificare, per legare, per sciogliere, per ingannare, per sedurre, per vincere, per vendicare, per uccidere.

La Scrittura infatti mette in guardia dal troppo e dal vano parlare: "Le parole della bocca dell'uomo sono acqua profonda... con la bocca l'uomo sazia il suo stomaco, egli si sazia con il prodotto delle sue labbra. Morte e vita sono in potere della lingua, e chi l'accarezza ne mangerà i frutti" (Pr. 18, 4. 20-21). C'è come un'ingordigia nelle nostre parole, non ce diamo conto, le accarezziamo credendo di trovarne beneficio, ne gustiamo gli amari frutti. Divisioni, liti, invidie, passioni. Un laccio è la nostra lingua e ci tiene imprigionati. E' questa una delle radici più profonde della nostra infelicità, siamo schiavi delle nostre parole. Ma il Signore viene anche oggi al nostro incontro, la Sua preghiera illumina la nostra tenebra, e ci chiama a conversione.

Ci prende per mano come ha fatto con Giobbe, intrappolato anch'egli nella rete delle sue troppe parole e nei lacci delle insensate parole dei suoi amici pseudo-sapienti. Il Signore ci prende per mano e ci conduce in un cammino di verità. Ci rivela i misteri del Regno, ci fa conoscere Suo Padre, ci mostra la Croce. La verità, l'amore inaudito di Dio. Eccoci, sotto la Croce.



Contempliamo oggi il cuore di Dio, "l'uomo dei dolori", l'Agnello senza macchia. Contempliamo il Suo amore per riconoscere i nostri peccati. Come Giobbe mettiamo la mano sulla bocca, impariamo il silenzio stupito dell'infante. E' tutto troppo più grande di noi. Non sappiamo. Non conosciamo. Non capiamo. Accettiamolo. Conosciamo Dio per sentito dire, impariamo a conoscerlo attraverso gli occhi di un cuore puro, piccolo, infante. Rimaniamo nel Suo amore come Maria, ad imparare ascoltando le Sue Parole. Lasciamo che la vita e la storia che il Padre traccia per noi distrugga le sicurezze, gli schemi, i criteri. Lasciamo che la Croce che oggi ci accoglie sia il crogiuolo dove bruciare quello che di noi appartiene alla carne a al mondo. Lasciamoci purificare. Lasciamo che Dio ci faccia piccoli. Chiediamo con il Salmo che Dio metta una sentinella alla porta delle nostre labbra, che il Suo Spirito ci difenda da inutili parole.

Che Dio faccia oggi, e ogni giorno, il miracoli di ricrearci piccoli, infanti appena divezzati in braccio alla madre, abbandonati nelle viscere di misericordia del Padre. E lì, tra le Sue braccia, tranquilli e sereni senza aspirare a cose troppo alte, senza pretendere nulla, saziarci delle Sue Parole, miele dolcissimo, le uniche parole di vita.

E Lui ci chiama. Per imparare. La mitezza e l'umiltà, il cuore di Cristo. Ascoltare e andare. E' questa la volontà di Dio per noi. Oggi e sempre. Sino all'ultima chiamata, quella per le nozze eterne. Andare e fermarsi presso di Lui. Vedere dove Lui abita, stare con Lui, imparare. L'orecchio aperto come un discepolo. Ai suoi piedi, cercando e desiderando l'unica cosa buona, la Sua Parola, la Sua vita, il Suo amore. In questo atteggiamento del cuore, e solo in esso, troveremo ristoro, riposo per il nostro intimo, per le nostre anime. Entrare nel Suo riposo, nello shabbat preparato per noi, con un cuore docile. Se oggi ascoltiamo non induriamoci, lasciamoci sedurre dalla Sua misericordia.

Il Suo Giogo, la Croce d'ogni giorno, è il cammino al riposo. Andare al Signore è già imparare ad essere miti e umili di cuore. Il mite possiede infatti la terra. Il mite, l'umile, come Mosè, conosce la propria debolezza, non se ne scandalizza, si lascia condurre. E' mite chi ha imparato che la lotta d'ogni giorno non è contro le creature di carne, contro suocere o mariti o mogli o figli o colleghi di lavoro o coinquilini di condominio. La lotta è contro il demonio, il padre della menzogna e dell'orgoglio. In questa lotta occorre imbracciare le armi della fede, la spada dello Spirito che è la sua Parola, lo zelo per il Vangelo, il Suo amore infinito. La fede, la speranza e la carità, i doni del Cielo riservati a chi reclina il proprio capo sul petto di Gesù. La nostra mente nel cuore di Gesù. E' questa la fonte della mitezza e dell'umiltà, la porta al riposo e alla pace.

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Santa Geltrude di Elfta (1256-1301), monaca benedettina
Esercizi, 7 ; SC 127, 285


« Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi »



Tu che hai fatto per me tante cose grandissime e bellissime da obbligarmi al tuo servizio per sempre, che cosa ti renderò per tanti tuoi benefici? Quali lodi e quali azioni di grazie potrei mai offrirti, se anche mi ci prodigassi mille volte senza risparmiarmi ? Chi sono io, povera creatura, in confronto a te, mia abbondante redenzione? Dunque ti offrirò tutta intera la mia anima , che tu hai riscattato; ti farò omaggio dell'amore del mio cuore. Sì, trasporta la mia vita in te, portami tutta in te e, rinchiudendomi in te, fa che io sia una sola cosa con te.

O Amore, il tuo divino ardore ha aperto per me il cuore dolcissimo del mio Gesù. O cuore fonte di mitezza, cuore traboccante di bontà, cuore sovrabbondante di carità, cuore da cui cola goccia a goccia la benevolenza, cuore pieno di misericordia..., cuore carissimo, ti prego di assorbire il mio cuore interamente in te. Perla carissima del mio cuore, invitami ai tuoi festini che danno la vita; versa per me i vini della tua consolazione... affinché la rovina del mio spirito sia riempita della tua carità divina, e che l'abbondanza del tuo amore supplisca alla povertà e alla miseria della mia anima.

O cuore amato al di sopra di tutto..., abbi pietà di me. Ti supplico, che la mitezza della tua carità ridia coraggio al mio cuore. Per grazia, le viscere della tua misericordia si commuovano in mio favore, perché purtroppo, numerosi sono i miei demeriti, nulli i miei meriti. Mio Gesù, il merito della tua preziosa morte, che solo ha avuto il potere di condonare il debito universale, mi rimetta tutto il male che ho fatto...; mi attiri a te così potentemente che, trasformata interamente dalla forza del tuo amore divino, io trovi grazia ai tuoi occhi... E donami, o caro Gesù, di amare te solo, in ogni cosa e al di sopra di tutto, di attaccarmi a te con fervore, di sperare in te, e di non mettere alla mia speranza nessun limite.
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San Giovanni Eudes (1601-1680), sacerdote, predicatore, fondatore di istituti religiosi
L'ammirabile cuore di Gesù, libro 12 ; 8, 350-352


« In questo sta l'amore : non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo unigenito Figlio » (1Gv 4,10)

Il Cuore del nostro Salvatore è un fuoco di amore per noi : di amore purificante, di amore illuminante, di amore santificante, di amore trasformante, di amore deificante. Di amore purificante nel quale i cuori sono purificati più perfettamente dell'oro nel fuoco. Di amore illuminante, che scaccia le tenebre dell'inferno che ricoprono la terra, e che ci fa entrare nell'ammirabile luce del cielo : « Ci ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce » (1 Pt 2,9). Di amore santificante, che distrugge il peccato nelle nostre anime, per stabilirvi il regno della grazia. Di amore trasformante, che trasforma i serpenti in colombe, i lupi in agnelli, le bestie in angeli, i figli del diavolo in figli di Dio, i figli dell'ira e della maledizione in figli della grazia e della benedizione. Di amore deificante, che da uomini fa dèi rendendoli partecipi della santità di Dio, della sua misericordia, della sua pazienza, della sua bontà, del suo amore, della sua carità e delle altre divine perfezioni. : « partecipi della natura divina » (2 Pt 1,4).

Il Cuore di Gesù è un fuoco che diffonde le sue fiamme da ogni parte, in cielo, sulla terra, e in tutto l'universo ; fuoco e fiamme che infiammano i cuori dei serafini, e infiammerebbero tutti i cuori della terra se il ghiaccio del peccato non vi si opponesse.

Egli ha un amore straordinario per gli uomini, sia per i buoni e per i suoi amici, che per i cattivi e i suoi nemici, per i quali ha una carità così ardente che tutti i torrenti delle acque dei loro peccati non sono capaci di spegnerlo.

La Grazia della coerenza.



Ancora una volta ritorno sulla presentazione della dottrina della Grazia (l'ultimo post a riguardo è quello del 21 giugno dal titolo: Jurassic Paradise) e lo faccio con un piccolo brano tratto da: Luigi Giussani, "Tu" (o dell'amicizia), B.U.R., Milano 2003, p. 171:

Don Gius, la preferenza che sbaraglia ostilità e indifferenza è un fenomeno umano... eppure accade come un miracolo!
Secondo me accade come miracolo in quanto è una sorpresa quasi come è un miracolo la sorpresa di se stessi, della propria natura. Quando l'uomo si accorge di quello che è, originalmente, è proprio un miracolo. E' sorpreso come un miracolo, ed è giusto: è un miracolo perchè non si fa mica da sè. Però la continuità di questo miracolo iniziale è continuamente un altro miracolo, perchè all'uomo si chiudono gli occhi, come se avesse sonno.
Comunque, nel nuovo Catechismo c'è una frase - sono contento che l'abbiano messa (l'hanno messa per ultimo!) - che consacra la frase più rischiosa che io abbia mai detto: la coerenza è un miracolo. Vuol dire che fare bene è miracolo, non è nostro: la coerenza è miracolo. E il Catechismo dice che fare il bene è grazia,la coerenza è un miracolo (*).

Che bello che l'abbiano messo!
Che terribile se non l'avessero messa!

Però in tanti Padri della Chiesa c'è questa cosa.
Però nella Chiesa c'è sempre tutta questa cosa qui. Cos'è altrimenti? Cos'è la Chiesa se non l'alleluja, il canto di contentezza, sempre più ricco di implicazioni, perchè un Altro mi salva?

(*): "...così che i meriti delle opere buonedevono essere attribuiti innanzi tutto alla grazia di Dio, poi al fedele" (Catechismo della Chiesa Cattolica, L.E.V., Città del Vaticano 1992, parte III, cap. III, art. II, § 2008, p. 500).


Concilio di Orange del 529. Conclusione di Cesario, vescovo di Arles.

"Per grazia voi siete stati salvati per mezzo della fede, e ciò non viene da voi, poichè è dono di Dio" (Ef. 2, 8).

E questa grazia (la grazia della fede), anche dopo la venuta del Signore, noi sappiamo e insieme crediamo che per tutti coloro che desiderano essere battezzati non sta nel libero arbitrio, ma è concessa per largizione di Cristo, secondo quanto è stato già più volte detto, e l'apostolo Paolo afferma: "A voi è stato donato in forza di Cristo non solo di credere in Lui, ma anche di soffrire per Lui" (Fil. 1, 29); e anche: "Dio, che ha iniziato in voi quest'opera buona, la porterà a compimento fino al giorno del nostro Signore" (Fil. 1, 6); e ancora: "Per grazia voi siete stati salvati per mezzo della fede, e ciò non viene da voi, poichè è dono di Dio" (Ef. 2, 8); e quanto dice di se stesso l'Apostolo: "Ho ottenuto misericordia, affinchè fossi fedele" (1Cor. 7, 25; 1Tm. 1, 13); non disse: "perchè ero", ma "affinchè fossi". E il passo: "Che cosa hai tu, che non l'abbia ricevuto?" (1Cor. 4,7). E ancora: "Ogni bene concesso e ogni dono perfetto viene dall'alto e discende dal Padre della Luce" (Gc. 1, 17). E il passo: "Nessuno ha qualcosa, se non gli è stato dato dal cielo" (Gv. 3, 27). Innumerevoli sono le testimonianze delle Sante Scritture che potrebbero essere presentate per provare la grazia, ma per brevità sono state omesse,perchè, in realtà, a chi non basta il poco, non gioverà il molto.