sabato 18 giugno 2011

Commenti al Pater: Guardini



Il Padre Nostro in Romano Guardini
 di Bernardina Marcianò

1. La vita
Romano Guardini è uno dei pensatori più importanti del Novecento. La sua ricerca abbraccia diversi
ambiti: la teologia, la filosofia, la letteratura e persino l’estetica. I suoi scritti possiedono un unico filo
conduttore: la meditazione di Dio e la figura di Gesù Cristo quale vera e unica essenza del Cristianesimo.
Come scrittore, Guardini adotta uno stile chiaro, dal ritmo ‘colloquiale’, la sua parola non cade mai
nel semplicismo, così come la ricchezza tematica mai si impiglia in forme retoriche stancanti.
Nasce a Verona il 17 febbraio 1885 e, pur essendo italiano di nascita, diviene tedesco d’adozione
trasferendosi nel 1886 a Magonza; lì convive con un ambiente protestante. Anno fondamentale è, per
Guardini, il 1905: si riavvicina al Cristianesimo e, dopo gli studi teologici e il conseguimento della sua
laurea in Teologia, discutendo una Tesi su san Bonaventura, viene ordinato sacerdote nel maggio 1910.
L’11 aprile 1923 viene istituita, appositamente per lui, la cattedra di Filosofia della Religione e di Weltanschauung
cattolica a Berlino. Sono anni difficili in quanto Guardini vive, in prima persona, sia la
prima che la seconda guerra mondiale, con uno sguardo sempre vigile ai conseguenti problemi sia materiali
che spirituali. Non tralascia mai i suoi studi teologici, filosofici, antropologici ed etici, improntati
allo sviluppo del ‘distintivo’ cristiano: egli è un grande teologo ed una delle più importanti figure nella
filosofia del suo tempo. Negli anni Cinquanta ottiene il Premio per la Pace, istituito dai librai tedeschi a
Francoforte. Nel 1956 Verona gli conferisce la cittadinanza onoraria; poco più tardi viene nominato
membro della Commissione Preparatoria Liturgica del Concilio Vaticano II; gli viene, inoltre, conferito
il premio Erasmo dal Principe Bernardo d’Olanda. Nel 1965 declina l’invito di Paolo VI che vorrebbe
nominarlo Cardinale. Continua le sue pubblicazioni. Muore il 1 ottobre 1968 a Monaco e viene sepolto
nella chiesa di Saint Ludwig Kirche sulla cui tomba è riportato il seguente epitaffio:

“Im Glauben an
Jesus Christus
Und seine Kirche
Im Vertrauen
Auf sein Gnädiges
Gericht”
 Traduzione italiana: “Nella fede in\ Gesù Cristo\ e la Sua Chiesa\ nella fiducia\ nel Suo Giudizio\ misericordioso.”

2. Analisi del testo: la riflessione di Romano Guardini sul Padre Nostro
La meditazione, da me analizzata, aveva originariamente la forma di un discorso e porta il titolo di
“Preghiera e Verità. Meditazioni sul Padre Nostro”. Esso è stato scelto con cura per non dimenticare
che la preghiera non deve procedere da un sentimento imprevedibilmente mutevole, ma dalla luce della
verità e dal profondo del cuore. La parola ‘verità’ significa qui non solo l’autenticità della conoscenza,
ma anche la consistenza dell’essere. Guardini vuole mettere in evidenza come sia inscindibile il nesso
parola-verità.
Nucleo fondamentale della sua analisi, infatti, diviene la Parola, in quanto Dio crea attraverso il
Logos. Egli chiama l’uomo attraverso questa Parola e gliela consegna affinché l’uomo possa raggiungere
la Verità; Parola che si fa carne in Gesù Cristo, venuto sulla terra per la salvezza di tutti gli uomini, ai
quali consegna la preghiera per rivolgersi al Padre.
Come nasce la preghiera del “Padre Nostro”. La ritroviamo tramandata nel Nuovo Testamento e chi ne
racconta la prima origine è Luca: i discepoli chiedono a Gesù di insegnare loro a pregare. Questa di Luca
è una preghiera che nasce da una domanda: “Insegna anche a noi!”. In quanto al racconto di Matteo,
la preghiera del Signore è inserita nella relazione del primo insegnamento di Gesù, che noi conosciamo
sotto il nome di “Discorso della Montagna” e ne occupa la parte centrale. Questa seconda forma risalirebbe
alla metà del I secolo e sarebbe divenuta la preghiera del Signore ufficialmente accettata.
Il Padre di cui Gesù parla è –visto dal mondo- il ‘Dio sconosciuto’ del quale nessuno sa, tranne che
Egli stesso non dica il Suo nome; in Matteo (11,27) leggiamo: “Nessuno…conosce il Padre se non il
Figlio e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo”. Perveniamo, dunque, a Dio soltanto dando la mano a
Gesù Cristo, il quale consegna a noi (uomini) le parole per rivolgerci al Padre, attraverso la preghiera
del Padre Nostro che noi dobbiamo recitare nel Suo Spirito e con la nostra mano nella Sua.
Padre Nostro che sei nei cieli. Il Padre, cui si rivolge la preghiera del Signore è il Dio nascosto,
sconosciuto in sé, che si manifesta solo attraverso la Rivelazione: Dio è Padre in se stesso. Infatti il Prologo
del Vangelo di Giovanni così inizia: “In principio era il Verbo; e il Verbo era presso Dio; e il Verbo
era Dio(stesso). Egli era in principio presso Dio”; ancora, a conclusione del Prologo si legge: “Nessuno
ha mai visto Dio. L’Unigenito, che nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato”(1,18). In queste parole
emerge il fondamento della fede cristiana, la Rivelazione della vita intima di Dio, poiché Egli è sia Padre
che Figlio. Il Verbo di cui parla Giovanni, nella prima frase indica il Padre, nella seconda frase indica
il Figlio, l’Unigenito; il Figlio è “nel seno”, nel cuore del Padre e sia il Padre che il Figlio sono una
cosa sola nello ‘Spirito Santo’. Allora, quando a Lui ci rivolgiamo, attraverso questa preghiera, dobbiamo
cercare il Suo volto in un movimento che non è solo di andata, ma è anche di ritorno, poiché è
anche Dio che si volge a noi amorevolmente. Leggiamo, infatti, nei Salmi: “Il Tuo volto, Iavhè, io cerco”(26,8) e subito “Fa risplendere il Tuo volto sul Tuo servitore”(118,135).
Dobbiamo quindi raccoglierci per cercare il volto del Padre ‘che è nei cieli’. Questo ‘essere nei cieli’
indica due movimenti fondamentali: il primo è verso l’alto, al di sopra di noi; ricordiamo che
l’Antico Testamento vede la terra come disco piatto al centro dell’universo, sovrastato da una sostanza
preziosa ed eterna e al di sopra di tutto si leva il trono regale di Dio. Scrive Guardini: “La maestà di Dio
si china verso di noi e la nostra parola ha libero accesso presso di Lui”. L’altro movimento cui Guardini
si riferisce, è l’interiorità, quella zona invisibile di raccoglimento, all’interno della quale Dio abita
per mezzo di Cristo e attua nel credente la vita nuova; afferma Guardini: “Oppure può agire dal profondo
più intimo, da là dove l’uomo sta ai confini del ruscello e Dio lo sorregge; allora avviene un’ascesa
nell’intimo e di nuovo il risultato è una vicinanza(…)”. Anche qua non è solo Dio che va verso l’uomo,
ma anche l’uomo deve uscire dal proprio cerchio, liberarsi dai mille legami di famiglia, cosa pubblica,
Stato e così via (i cosiddetti ‘faraoni’ per gli ebrei) ed entrare così nell’immensità di Dio e nella realtà
autentica di se stesso.
Sia santificato il Tuo nome. Dio ha un nome? Ricordiamo un passo importante della Sacra Scrittura
nel quale Dio, attraverso l’Angelo del Signore (cioè Egli stesso) comanda a Mosè di condurre fuori
dall’Egitto Israele. Mosè, dopo un attimo di spavento, accetta l’ordine, ma prima chiede all’Angelo del
Signore: “Se i figli d’Israele mi domandano qual è il suo nome cosa risponderò?” Dio risponde a Mosè-
“Sono colui che sono” -e aggiunge- “Ai figli d’Israele dirai: IO SONO mi ha mandato a voi”(Ex.3,13s).
 Dio rifiuta ogni nome della terra, Egli si chiama Iavhè, “Colui che qui è ed agisce”. Il nome di
Dio,dunque, è Dio stesso, è l’archetipo, il Signore dell’essere e l’uomo è immagine, riceve l’essere, perciò
è signore solo per grazia; il nostro nome è legato al nome di Dio. Ma nella preghiera del Padre diviene
fondamentale la santificazione del nome divino. Santità di Dio significa che nulla di comune, di
basso, di ignobile può esserGli attribuito poiché egli è il ‘Totalmente Altro’ da ciò che si chiama mondo.
La santificazione non è un fatto dell’uomo ma di Dio stesso. Così scrive Guardini: “Egli si manifesta
all’uomo come colui che è essenzialmente Santo e fa sì che questi si chini nel “tremore
dell’adorazione”“. L’uomo si salva solo nella santificazione del nome di Dio.
Venga il Tuo Regno. Regno di Dio indica un movimento in cui la realtà attuale va verso qualcosa
che deve venire. Il primo annunzio del Regno si trova nel Genesi, dove si narra l’origine di tutte le cose:
Dio crea l’uomo e gli affida il mondo. Purtroppo l’uomo rifiuta l’obbedienza a Dio e provoca il primo
fallimento del Regno. Ma il Signore attua un nuovo inizio, scegliendo un uomo semplice: Mosè. Egli
libera il popolo d’Israele dall’Egitto e conclude il misterioso patto sul Sinai: “esso deve essere il suo
popolo ed Egli il suo Dio”. Ma anche questo Regno non può svilupparsi poiché resiste per brevi periodi
(pensiamo a Samuele, Saul, Davide, Salomone) e poi sorge sempre una nuova ribellione: anche questa
volta la voce di Dio non viene ascoltata ed è in questa atmosfera di disorientamento che risuona la parola dei profeti; ricordiamo il profeta Isaia il quale annunzia un dominatore che deve venire ad erigere
il Regno di Dio nella purezza e libertà, il Messia, il quale non viene ricociuto come tale. Ma Gesù
continua a parlare continuamente del Regno, paragonandolo ad un mercante di gioielli, il quale per acquistare
una perla di una bellezza speciale, vende tutto quello che ha; così è il Regno di Dio: più prezioso di
tutto quello che può sembrare pregiato. Tuttavia scegliere il Regno implica sempre una decisione tra il
mondo e Dio, poiché se davvero scegliessimo Dio, Egli sarebbe il punto a cui tenderebbe il nostro moto
interiore, che procederebbe da Lui e a Lui ritornerebbe. Guardini afferma: “Preghiamo dunque che anche
noi ne sentiamo la bellezza, affinché il Regno di Dio divenga per noi una chiara realtà e noi possiamo
dare per essa quanto è richiesto. Dobbiamo sempre pregare: Signore fa che la verità sia in me”.
Sia fatta la Tua volontà come in cielo così in terra. Guardini preferisce partire dall’analisi delle ultime
due parole della frase, per poi riportare all’attenzione le prime. È in questa frase che si annunzia il
mistero della grazia nel suo rapporto con la libertà, poiché chiediamo che la volontà di Dio, che è Onnipotente,
si possa realizzare. È una volontà che si deve adempiere prima in cielo e poi in terra, poiché coloro
che per primi adempiono alla volontà di Dio, in maniera autentica, sono gli angeli, creati e messi
alla prova riguardo alla santa sovranità di Dio, che potevano o meno riconoscere; così anche nella loro
esistenza vi è una scelta morale. Questa figure sono fondamentali per l’uomo poiché, come dice Gesù
stesso, dietro un uomo, che è un io apparentemente solo, c’è chi lo aiuta, in quanto la persona non è se
stessa per le sue forze, ma in quanto vi è un essere che le è accanto e la esorta: questi è l’angelo. Ecco
che la volontà di Dio si realizza sulla terra. Come ho prima accennato, questa frase, nel Padre Nostro, è
preceduta da un’altra frase: “Sia fatta la Tua volontà”, come è possibile che noi, esseri finiti, rivolgiamo
una tale affermazione a Colui che è l’Onnipotente? Possiamo farlo in quanto Dio ha fatto una cosa
inaudita: ha affidato l’adempimento della Sua volontà alla libertà dell’uomo. Così facendo non possiamo
dire che la volontà di Dio “deve necessariamente”, ma che “dovrebbe” essere adempiuta e l’uomo
può anche rifiutare. È Gesù che ci parla della volontà del Padre e annunzia: “Non Colui che dice: Signore,
Signore! entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli”(Mt.7,21). Ecco
che la libertà dell’uomo significa giungere alla vera libertà che non consiste nell’evasione dell’uomo
dall’ambito del ‘governo divino’ per essere signore autonomo di se stesso, bensì si afferma nel raggiungimento della volontà divina, poiché questa volontà è il bene.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Gesù, che è pienamente consapevole della potenza e
dell’amore di Suo Padre ci esorterebbe, dicendo: “Andate da Lui e pregatelo di darvi ciò che vi occorre;
Egli ve lo darà”. Nella preghiera del Signore la nostra richiesta riguarda il ‘pane quotidiano’. Perché?
Anzitutto perché è la forma fondamentale del cibo; ma il significato è ancora più profondo: abbiamo bisogno
di pane poiché da semplice cibo sulla tavola domestica, giunge ad essere il simbolo del mistero
dell’eterna comunione con Dio. Gesù stesso dice: “Io sono il pane vivente disceso dal cielo; se uno
mangia di questo pane vivrà in eterno; e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo!”
(Io.6,51-60). Dicendo questo si vuole intendere: Egli sazia, conducendo al Padre, il vivo desiderio umano
della verità, appaga la sete del vero che è nell’uomo. A questo punto, diviene fondamentale, seguendo
sempre l’analisi che Guardini fa del Padre Nostro, una figura: quella della Provvidenza. Essa indica
lo stretto rapporto dell’uomo con Dio, lo sguardo vigilante di Dio sul mondo e quindi il porsi in sintonia
dell’uomo con Dio; a tale proposito egli scrive: “le tendenze del suo spirito e del suo animo devono divenire
una cosa sola con la santa volontà”. Allora l’insegnamento del Padre che spezza il pane ai suoi e
quello della Provvidenza dello stesso Padre si possono intrecciare solo se la volontà dell’uomo si congiunge
con quella di Dio; così l’uomo vuole ciò che Dio vuole e ne risulta un nuovo modo in cui gli
avvenimenti vengono ordinati: il Regno di Dio.
E rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori. Romano Guardini accosta
questa richiesta del Padre Nostro ad una profonda, ma severa parabola narrata da Matteo(18,35): la parabola
del re che volle fare i conti con i suoi servi. Il re è ricco e buono e condona al suo servo un ingente
debito, ma il servo non si comporta allo stesso modo con un suo debitore, rimanendo duro e pretendendo
i soldi. Il re, informato di ciò, revoca la sua clemenza e impone al servo tutta la rigorosità della
vecchia legge sui debiti.
Gesù conclude: “Così vi tratterà anche il Padre mio celeste se ognuno non perdona dal cuore al suo
fratello”. Possiamo ricollegare la frase del Padre Nostro a questa parabola e scinderla in due parti; la
prima dice: “Rimetti a noi i nostri debiti”. Dio ha creato il mondo, ha creato l’uomo, come atto d’amore,
al quale non ha affidato solo il mondo stesso, ma addirittura ha affidato se stesso, cioè ha suscitato
l’uomo come un ‘tu’ che rispondesse al Suo amore. Dio è Colui che, per l’umiltà dell’amore, attende
una risposta, ma ciò è esposto al rischio proprio dell’amore: non ricevere nessuna risposta, come avviene
nel Genesi dove l’uomo spezza la relazione con Dio, tradendo la Sua fiducia.
A questo punto, Dio avrebbe potuto abbandonare l’uomo, ma sulla base di quell’amore infinito che
costituisce la Sua essenza, decide di recuperare la relazione con l’uomo, attraverso il perdono. ‘Perdono’
che ha un significato profondo poiché Dio stesso si assume la nostra colpa in modo reale, facendosi
uno di noi: Dio si fa uomo. Così Cristo ha pagato il debito, che Gli è stato rimesso e, attraverso di Lui è
perdonato a noi, che l’abbiamo contratto; per questo dobbiamo continuamente invocare da Dio il perdono,
che Egli non si stanca mai di inviare. Da ciò evince la stretta relazione tra la prima e la seconda parte:
“ Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Ricordiamo la parabola , poc'anzi
 narrata, dove Gesù conclude: “Così vi tratterà anche il Padre mio celeste se ognuno non perdona
dal cuore il suo fratello”; soltanto nell’unione con Colui che ha riscattato le nostre colpe possiamo condonare quelle del prossimo.
E non ci indurre in tentazione. L’apostolo Giacomo afferma: “Nessuno quand’è tentato dica: -Sono
tentato da Dio-, poiché Dio non può essere tentato al male e Lui non tenta nessuno. Ciascuno invece è
tentato dalla propria concupiscenza ed adescato e sedotto”(1,13-14). La parola ‘tentazione’ ha radici
profonde, si ricollega alla storia raccontata dal I capitolo del Genesi: nel momento in cui l’uomo tradisce
Dio resta sempre un essere fatto meravigliosamente, ma interiormente sconvolto. Ciò potrebbe essere
paragonato a ciò che dimostra la psicologia: un atto sconcertante che avviene nell’uomo, specialmente
in età infantile, penetra talmente nelle radici dell’uomo stesso che ne provoca un disordine e una ferita
incancellabili. Così è diventata la vita dell’umanità dopo il peccato originale e ciò significa, poiché
l’uomo è libero, che ogni cosa che incontriamo, ogni avvenimento che ci tocca, ogni talento che portiamo
in noi, ogni forza che si muove in noi può diventare una ‘tentazione’. Ecco che questa richiesta del
Padre Nostro esorta noi uomini continuamente a ‘decidere’, coscienti della nostra fragilità, e ci mette in
guardia contro la sicurezza in noi stessi, insegnandoci a chiedere incessantemente a Dio di essere Lui a
guidarci, rendendoci vigilanti. Così scrive Guardini: “Più Dio diviene forte in me, quanto più perfettamente
la Sua volontà regna in me, tanto più veramente io sono me stesso, libero e forte delle mie responsabilità”.
 Ciò non è semplice per l’uomo, poiché spesso egli, per soddisfare le proprie intenzioni,
diventa cagione di male per il prossimo. Abbiamo il dovere di avvertire senso di responsabilità verso
l’altro, affinché la nostra risposta al prossimo e a Dio non sia quella di Caino, il quale, dopo aver ucciso
il fratello Abele, risponde a Dio con un’altra domanda: “Sono forse io il custode di mio fratello?”
(Gn.4,9).
Ma liberaci dal male. Il testo latino dice: “Libera nos a malo”, dove ‘malum’ sta per il greco
ponhron che indica, oltre a debolezza, malattia e infelicità anche il male morale e, addirittura, il ‘maligno’.
Ancora una volta torniamo all’origine del male che viene narrata nel Genesi: l’uomo tradisce la
fiducia di Dio, scatenando un turbamento profondo nella sua esistenza, che sfocia nel disordine e nella
sofferenza. Con ciò non si vuole intendere che Dio abbandoni l’uomo: tutt’altro! Egli si fa uomo in Gesù
Cristo, Suo Figlio, assumendo su di sé tutto il male, dalla povertà alla malattia, alle tenebre del peccato
e dell’errore, vivendo su di sé il peso delle calunnie, della solitudine terribile fino alla sofferenza
della Croce, alla quale succede il sole dell’alba pasquale. Gesù, infatti, durante la Sua esistenza terrena,
ha aiutato molte persone, non le ha guarite per respingere la malattia e vincerla, ma perché, nella riacquistata
salute del corpo, all’uomo fosse chiaro che cos’è la ‘salvezza’ e ‘guarigione’. Gesù, dunque,
esorta l’uomo ad accettare ciò che l’uomo stesso, con la sua colpa, ha attirato sopra di sé, elaborandolo
attraverso la propria vita e facendone un mezzo di purificazione. Affermando questo, Guardini non vuole
dire che l’uomo deve accettare passivamente il male, ma intende ricordargli che solo attraverso
l’unione con Gesù Cristo è possibile intraprendere la lotta contro il male morale e fisico, riuscendo anche
laddove la sua forza non è sufficiente. Allora si può affermare con Paolo: “Di tutto sono capace per
l’aiuto di Colui che mi rende forte”(Phil.4,13).
Amen. È una parola che ritroviamo sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento ed indica ‘conferma’.
È una conferma decisa che noi ripetiamo ogni volta a conclusione della preghiera del Signore, una conferma
che indica l’inizio di una responsabilità e di un impegno volti ad attuare le parole appena pronunciate,
coscienti che a guidarci è sempre la Grazia, quella Grazia che Dio ci ha donato attraverso Gesù Cristo.

3. La preghiera: relazione etica ed evento linguistico
La preghiera è un entrare in relazione con Dio, e ciò vale, in particolare, per questa preghiera, che
alterna l’invocazione (Padre Nostro), la lode (Sia santificato il tuo nome), la richiesta (Venga il tuo Regno,
Dacci oggi il nostro pane quotidiano). Ciò da cui dobbiamo partire è il fatto che Dio è un Dio che
ascolta: Gesù ci esorta a chiederGli tutto ciò di cui abbiamo bisogno poiché Egli ci ascolta e, seppur non
si è esauditi, siamo certi che Dio mantiene la relazione, risponde alla domanda attraverso l’ascolto. La
preghiera è una dimensione religiosa in cui si ha la certezza di essere ascoltati e, se si è ascoltati, siamo
convinti che c’è una risposta, anche se non era quella che ci aspettavamo. Nella preghiera del Signore,
ci rivolgiamo a Dio, chiamandolo Padre, stabilendo, quindi da subito, un’intimità profonda e avanzando,
tra le tante richieste, quella del ‘pane quotidiano’; richiesta che solo ad un genitore, intendendo
quella persona più vicina e più intima, è possibile porre, in quanto chiediamo che ogni giorno Egli ci
doni ciò di cui abbiamo bisogno, ciò che è fondamentale per la nostra esistenza anche materiale, come il
pane. Allora, attraverso la preghiera, si apre un orizzonte di senso che struttura l’esperienza del credente
e la definisce. Questa esperienza, che abita la vita stessa della persona che è nel mondo, viene vissuta
dal credente non solo come ‘singolo’, ma come persona in relazione con ‘gli altri’. Così, questa preghiera
può essere letta a livello filosofico come esperienza di eticità, intendendo per Etica la prospettiva di
vita entro cui ci si muove, lo scenario valoriale entro il quale l’uomo cresce, si matura, si fortifica. Alla
base di questa relazione etica, filosofica, intersoggettiva ci deve essere la dimensione del riconoscimento:
il credente si pone davanti a Dio, riconoscendoLo come Padre, non solo suo, ma di tutti i credenti
(Padre Nostro), e dobbiamo verificare, sul piano etico, che Dio riconosca noi come creature, come Suoi
figli. Questa relazione sembra partire da un’asimmetria poiché, in primo luogo, Dio è Colui che per
primo mi riconosce come creatura, inoltre il richiedente è l’uomo, un essere finito che si rivolge a Dio,
che è l’Onnipotente, Colui che tutto può; ma, durante la preghiera del Padre Nostro, si riacquista la
simmetria poiché non è solo il Padre che mi deve ascoltare e deve agire secondo le mie richieste, ma
sono anche io che devo ascoltare il Padre e rispondere alle Sue richieste. Quando dico “Venga il tuo
Regno” o “Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra”, sono io che devo impegnarmi in prima
persona affinché ciò si realizzi; infatti il fallimento del Regno è avvenuto per una mancanza di ascolto
da parte dell’uomo, e non di Dio che ha anzi cercato sempre di recuperare la relazione con l’uomo, mettendosi
in gioco Egli stesso, facendosi uomo in Gesù. A tale proposito potremmo parlare di relazione di
dipendenza, basata sull’amore, di una dipendenza che, in particolare nella preghiera del Padre Nostro,
non esclude l’assoluto da parte di Dio. Tuttavia, proprio perché è una dipendenza che nasce dall’amore
infinito di Dio per l’uomo, è Dio stesso che per primo si consegna affinché si possa realizzare il Regno
non solo di Dio, ma di tutti gli uomini in Dio. Questa relazione, che emerge dalla preghiera del Signore,
si esprime attraverso le parole, attraverso il linguaggio, costituito da segni, che racchiude all’interno di
sé il senso.
Ovviamente sta a colui che parla intercettare il senso a cui si riferisce quel segno, così, ad esempio,
all’interno del Padre Nostro parliamo di ‘pane quotidiano’ intendendo una molteplicità di sensi materiali
e spirituali, inerenti a questo segno; quindi è un linguaggio da intendere come orizzonte di comprensione,
infatti cardine fondamentale attorno al quale ruota l’analisi di Guardini è la Parola. Dobbiamo
comprendere la parola nella sua reale origine, che è divina. Nel I versetto del Genesi, leggiamo: “In
principio era il Verbo (Logos)”, intendendo la Parola come principio di tutto, che crea il mondo e
l’uomo, chiamandolo come un ‘tu’ che risponda a questa Parola; infatti, la creazione può essere definita
un ‘discorso vivente’, poiché l’uomo viene chiamato da Dio ad essere nel mondo attraverso la Sua Parola.
Quindi, a livello etico, possiamo dire che l’uomo è dall’origine relazionato a Dio: ecco che diviene
fondamentale il nesso parola -preghiera; infatti, come emerge anche dalla preghiera del Padre Nostro, è
Dio stesso che viene all’uomo e gli insegna la parola, attraverso la quale è possibile rivolgersi a Lui, per
mezzo di Gesù Cristo. A tale proposito assume pregnante importanza ciò che dice Giovanni nel “Prologo”
a proposito del Logos, intendendo per Logos quella Parola che era in principio e in forza della quale
tutto emerse dal nulla; inoltre attraverso questo Logos si annuncia la Parola che si è fatta carne nel Cristo.
E ancora una volta Dio insegna la Sua Parola all’uomo attraverso il Figlio, in quanto Cristo diviene
Parola incarnata, che porta il divino infinitamente vicino all’uomo, affidando all’uomo stesso la preghiera
per rivolgersi al Padre, attraverso la parola del Padre Nostro. È, dunque, importante consegnare
al senso la parola affinché diventi evento linguistico, attraverso il quale può esprimersi la relazione,
quella relazione fondamentale che nel Padre Nostro instauriamo con Dio, ma coimplica la relazione con
l’altro uomo; infatti non diciamo mai “Padre mio”, ma “Padre Nostro”, proprio ad indicare la relazione
forte, espressa dalla fratellanza che ci accomuna. A tale proposito, diventa emblematica la frase “Rimetti
a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”, richiesta che ci invita a rimettere i debiti,
a perdonare i peccati all’altro uomo, al nostro fratello, così come l’altro deve agire verso di me: qui
abbiamo un rapporto di simmetria. Solo dopo che ciò è avvenuto, Dio può perdonare i miei peccati
‘come’ io li ho perdonati al mio prossimo: qui abbiamo sia un rapporto di simmetria dato da quel COME,
sia un rapporto di asimmetria poiché Dio può perdonarmi solo dopo che io, a mia volta, ho perdonato
qui ed ora, i peccati al mio fratello.
Ecco che la preghiera del Padre Nostro diventa un percepire l’altro che mi chiede di essere perdonato
ed un lasciarsi percepire come peccatore pentito, fiducioso della mano misericordiosa di Dio, che ascolta
la voce del mio bisogno, aiutandomi a non cadere in tentazione, affinché si compia il Suo Regno.
Sono certa che oggi, più che mai, ci sia il bisogno, la necessità, l’urgenza di invocare il Padre, attraverso
la preghiera del Padre Nostro, cogliendone, richiesta dopo richiesta, il significato più profondo,
affinché davvero possa attuarsi il Regno di Dio. Il nucleo centrale della preghiera del Signore è proprio
la venuta di questo Regno e ognuno di noi è chiamato, attraverso piccoli gesti, ad impegnarsi affinché,
come direbbe Walter Benjamin, possa aprirsi quella “piccola porta” dalla quale potrà entrare il Messia .

 * * *

Il saggio qui proposto costituisce il testo di una delle relazioni che alcuni studenti del biennio di Laurea specialistica
in Filosofia Contemporanea presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Messina hanno
presentato nell’amb ito di un seminario afferente al Corso di Etica e Grandi Religioni, tenuto nell’a.a. 2005-2006
dalla prof. Paola Ricci Sindoni, dal titolo Legge del pensare e legge del pregare. La struttura etica della preghiera
nella tradizione ebraica e cristiana.