sabato 23 luglio 2011

Brigida di Svezia: Le "Rivelazioni" (4)


Ciò che disse Cristo a santa Brigida. Le rivelazioni


Le Rivelazioni Celesti di Santa Brigida di Svezia - Libro Sesto

Benignamente Cristo rimprovera la sposa d'una certa impazienza commessa, istruendola a non farlo più e di non rispondere nulla ai provocatori, finché non sia placata l'agitazione dell'anima, cercando di trar profitto dalle sue parole.

Capitolo Sesto

Io sono il tuo Creatore e il tuo Sposo. Tu, mia sposa novella, con la tua ira hai commesso quattro peccati. Primo, perché fosti nel tuo cuore impaziente con le parole. Mentre io sopportai per te i flagelli e non risposi verbo davanti al giudice. Secondo, rispondesti peggio e alzasti troppo la voce nel rimproverare. Mentre io, piagato con i chiodi, non aprivo bocca. Terzo, perché disprezzasti me, per il quale avresti dovuto tutto pazientemente sopportare. Quarto, perché non giovasti al tuo prossimo, mentre con la tua pazienza avresti dovuto incoraggiare gli erranti a migliorare.

Per cui voglio che tu non ti adiri più. Quando perciò sei provocata all'ira da qualcuno, finché l'ira non sia in te placata, non rispondergli. Ma, passata l'agitazione dell'animo e riflettuto bene al motivo dell'agitazione, parla con mansuetudine. Se poi si trattasse di cosa, che parlandone non giova a nulla e, tacendola, non v'è peccato, è meglio tacere con merito.



È condannata da Cristo l'anima d'un certo defunto per i gravi peccati, perché non si dolse dei dolori e delle piaghe della Passione di Cristo e quell'anima è paragonata a un figlio abortivo e condannato. Indica poi quelli che seguirono maliziosamente Cristo nella predicazione e quelli che lo crocifissero e ne custodirono il sepolcro.

Capitolo Ventottesimo

Si vedeva un grande esercito davanti a Dio, al quale Egli diceva: Ecco, quell'anima non è mia. Della piaga del mio costato e del mio cuore, infatti, s'è così poco curata come se avessero colpito lo scudo di un suo nemico. Si curò delle piaghe delle mie mani come per lo strappo d'uno straccio e delle piaghe dei miei piedi, così sopportabili per essa, come se avesse visto aprire un tenero pomo.

Allora Dio le diceva: Spesso nella tua vita chiedesti perché Dio fosse morto nel corpo. Ora io chiedo a te: perché tu, misera anima, sei morta? Ella rispose: perché non ti amai. E il Signore all'anima: Tu – disse – fosti per me come un figlio abortito dalla madre sua, per il quale non patì meno dolore di quello avuto per il figlio uscito vivo dal suo seno. Così, con tanto prezzo e tanta amarezza, come per ognuno dei miei Santi, io ti ho redenta, sebbene tu abbia avuto così poca cura di me. Però, come il figlio abortito, non gusta la dolcezza del seno materno, né la consolazione delle parole, né il calore del petto, così tu non gusterai mai la dolcezza ineffabile dei miei eletti, giacché piacque a te la tua dolcezza. Non ascolterai mai le mie parole per il tuo progresso, perché ti piacquero le tue parole e quelle del mondo, mentre le mie ti erano amare. Non proverai mai la carità e bontà mia, perché sei fredda e quasi ghiaccio per ogni bene. Va dunque dove sogliono essere gettati gli aborti, ove vivrai la tua morte in eterno, perché non volesti vivere nella luce e nella vita mia.

Poi Dio diceva all'esercito: O amici miei, se tutte le stelle e i pianeti si trasformassero in lingue e mi pregassero tutti i Santi, non le farei misericordia, perché dev'essere condannata per dovere di giustizia. Quell'anima fu simile a tre cose. Per prima, fu simile a quelli che mi seguivano nella predicazione, per malizia, per prendere dalle mie parole e dalle mie azioni motivi per accusarmi e tradirmi. Essi videro le mie opere buone e i miracoli, che nessuno poteva fare se non Dio. Udirono la mia sapienza e approvarono la mia ammirabile vita e per questo mi invidiarono e arsero d'ira contro di me. Ma perché mai? Perché le mie opere erano buone e le loro cattive, e perché non acconsentii ai loro peccati, ma li rimproverai aspramente.

Così quell'anima mi seguiva sì col corpo suo, non per divina carità, ma per apparire davanti agli uomini; ascoltava il racconto delle mie opere e le vedeva con gli occhi, ma se ne indispettiva; udiva i miei comandamenti e li derideva. Sentiva la bontà mia e non credeva. Vedeva gli amici miei progredire nel bene e li calunniava. E perché? Perché le mie parole e quelle dei miei eletti erano contrarie alla sua malizia; e i miei comandi e avvisi contro la sua voluttà; e la carità mia e l'obbedienza, contro la sua volontà. E tuttavia la coscienza le diceva di onorar me a preferenza degli altri; dal moto degli astri arguiva ch'io ero il Creatore di tutto; dai frutti della terra e dalla disposizione delle altre cose sapeva di me, Creatore; ma pur sapendolo, s'indispettiva alle mie parole, perché riprendevo le sue cattive azioni.

Poi quell'anima fu simile a quelli che mi uccisero, dicendo fra loro: Uccidiamolo decisamente, tanto non risorgerà. Io invece avevo preannunziato ai miei discepoli che sarei risuscitato il terzo giorno. Ma i miei nemici, amatori del mondo, non credevano ch'io sarei veramente risorto, perché mi ritenevano soltanto un uomo e non vedevano la mia Divinità nascosta. Intanto baldanzosamente peccarono e realmente prevalsero, in quanto, se avessero saputo la verità, mai mi avrebbero ucciso. Così pure quest'anima dice: Io faccio la mia volontà, come mi aggrada; l'ucciderò di sicuro con la mia volontà e con le opere, che preferisco compiere; che me ne viene di male e perché astenermene? Non risusciterà certamente per giudicare. Non giudicherà secondo le opere fatte. Se facesse ciò, non avrebbe redento l'uomo tanto rigorosamente e se gli fosse così odioso il peccato, non sopporterebbe con tanta pazienza i peccatori.

Infine quell'anima fu simile a quelli che custodivano il mio sepolcro; si armarono e lo difesero con i custodi, perché io non risorgessi, dicendo: Vegliamo diligentemente che non risusciti e ci sottometta. Così faceva quell'anima: s'armò con la durezza di cuore, vegliò con diligenza al sepolcro, cioè al rapporto con i miei eletti, nei quali riposo; attese con sollecitudine a che le mie parole e i loro avvertimenti non lo raggiungessero, pensando fra sé: Mi guarderò da loro per non fare quello che dicono, per non cominciare a lasciare il piacere intrapreso, sospinto da qualche buon pensiero divino; per non udire quel che dispiace alla mia volontà. E così si separò per malizia da quelli con i quali avrebbe dovuto associarsi.

Dichiarazione.

Costui era un Nobile, non curante di Dio a tavola, bestemmiatore dei Santi, che morì con uno sternuto, senza Sacramenti. L'anima sua fu vista mentre era giudicata. Il Giudice le disse: Tu hai detto tutto quel che hai voluto e hai fatto tutto quel che hai potuto, perciò ti conviene ora tacere. Rispondimi, però ora che mi ascolti, benché io sappia già tutto. Non udisti ciò che avevo detto: Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta a me? Come mai dunque non sei tornata a me, mentre potevi? Rispose l'anima: Ho udito sì, ma non me ne curai. Disse ancora il Giudice: Non dissi: Andate, maledetti, nel fuoco e venite, benedetti? Perché non ti affrettasti dunque alla benedizione? E l'anima: Ho udito sì, ma non credetti. E il Giudice ancora: Non udisti anche che io, Dio, son giusto e son Giudice terribile ed eterno; perché dunque non temesti il mio futuro giudizio?

Ho udito sì – diceva l'anima – ma ho amato me stessa e chiusi le orecchie per non udire il giudizio; indurii il cuore per non pensarci.

E il Giudice a lei: È dunque ora giusto che la tribolazione e la vergogna t'aprano la mente, perché non volesti capire quando potevi capire. Allora gridava l'anima dimessa dal giudizio: Ahimé, quale condanna, e quando mai finirà?

E si udì subito una voce che diceva: Come lo stesso primo Principio di tutto non ha più fine, così per te non ci sarà mai fine.



Cristo dice alla sposa che sono due gli spiriti, quello buono e quello cattivo. I segni dello Spirito Santo sono la dolcezza della mente e la gloria; quelli del cattivo spirito sono l'ansietà e l'inquietudine, che provengono dalla cupidigia o dall'ira.

Capitolo Trentottesimo

Il Figlio parla alla sposa, dicendo: Lo Spirito buono è nel cuore dei credenti e cos'è questo Spirito buono se non Dio? E che è Dio, se non la gloria e la dolcezza dei Santi? Dio stesso è in loro e hanno allora ogni bene, avendo Dio, senza il quale non v'è alcun bene. Chi ha perciò lo Spirito di Dio, ha Dio stesso e tutto l'esercito celeste e ogni bene.

Ugualmente, chi ha lo spirito cattivo, ha in sé ogni male. Cos'è infatti lo spirito cattivo se non il Demonio? E che è il Demonio, se non la pena e ogni male. Chi ha dunque il Demonio, ha in sé la pena e ogni male.

Come poi l'uomo buono non s'accorge di dove e come si effonda nella sua mente la dolcezza dello Spirito Santo, né la può perfettamente gustare al presente, ma solo in parte, così il cattivo, quando è sconvolto dalla cupidigia e sospira ambizioni ed è morso dall'ira o è contaminato dalla lussuria e dagli altri vizi. È la pena del Demonio e l'indizio dell'eterna inquietudine, la quale al presente non si può ancora soffrire, ma guai a quelli che aderiscono a codesto spirito!



Vedeva la sposa che il Demonio presentava sette libri al divino giudizio contro l'anima d'un certo soldato morto; mentre il buon Angelo presentava per quella un solo libro. Ma l'anima non era condannata eternamente, perché il Demonio ignorava che s'era infine pentita internamente. Veniva però condannata per i peccati a nove pene da sopportare nel Purgatorio fino al giorno del giudizio, poiché fino allora aveva desiderato di vivere nel corpo. Cristo però rivela tre rimedi, per mezzo dei quali potrà esser liberata: le saranno immediatamente rimesse quelle pene per le preghiere della Vergine e dei Santi. La supplica invece del buon Angelo non è subito esaudita, ma differita a suo tempo e messa da Cristo in delibera.

Capitolo Trentanovesimo

Un Demonio apparve nel giudizio di Dio e aveva un'anima tremante, come un cuore che trepida, per un certo defunto. Questo demonio disse al Giudice: Ecco la preda. Il tuo Angelo e io seguivamo quell'anima dal principio alla fine, egli per custodirla, io per nuocerle ed entrambi eravamo alla caccia sua come cacciatori. Ma alla fine ella è caduta nelle mie mani. Per possederla io sono così bramoso e violento come un torrente che precipita e cui nient'altro resiste che un piccolo spuntone: la tua giustizia, e perciò, finché nulla è provato contro quest'anima, non posso ancora con sicurezza possederla. Io la desidero così fervidamente come un animale affamato che per fame azzanna perfino se stesso.

Ordunque il Giudice giusto (disse): Perché è caduta nelle tue mani? e perché gli eri più vicino dell'Angelo mio? Rispose il demonio: Perché i suoi peccati furono più numerosi delle opere buone. Disse il Giudice: Mostramele. E il demonio: Ne ho un libro pieno. E il Giudice: Come si chiama questo libro? Disobbedienza – rispose il demonio – ma contiene altri sette libri, ognuno con tre colonne; ogni colonna contiene più di mille parole, mai meno di mille, ma qualcuna anche di più.

Riprese il Giudice: Dimmi il nome di codesti libri, poiché, sebbene io sappia già tutto, voglio tuttavia che si conosca la tua volontà e la Bontà mia. Rispose il demonio: Il nome del primo libro è la Superbia e in questo sono tre colonne. La prima colonna contiene la superbia spirituale nella sua coscienza, per la quale si gloriava della sua vita, da lui creduta migliore di quella degli altri. Si vantava anche della sua intelligenza e d'una coscienza più sapiente di quella altrui. La seconda colonna dimostra che si vantava dei beni a lui dati e dei servi, delle vesti e di altre cose. La terza, espone che era superbo per la bellezza fisica e per la nobiltà della stirpe e per le sue opere. In queste tre colonne vi sono tantissime cose, come tu sai.

Il secondo libro è la Cupidigia sua, con tre colonne. La prima è spirituale, perché pensò che i peccati suoi non fossero così gravi, come gli si diceva e desiderò il Regno di Dio indegnamente, mentre non è concesso che a chi è perfettamente puro. La seconda, perché nel mondo desiderò più del necessario e pensò soltanto all'esaltazione del suo nome e della sua stirpe, tanto da allevare i suoi eredi non al tuo onore, ma a quello del mondo e alla gloria. La terza colonna perché desiderava l'onore mondano e d'essere sopra gli altri, come a te è ben noto, e sono innumerevoli le parole con cui cercava favori e benefici, anche temporali.

Il terzo libro è l'Invidia e ha tre colonne. La prima è quella della mente, per cui invidiava in segreto quelli che possedevano e prosperavano più di lui. La seconda, perché possedette per invidia le cose di quelli che avevano meno di lui e ne avevano più bisogno. La terza, perché per invidia nocque segretamente al prossimo con i suoi consigli e anche pubblicamente a parole e a fatti, sia direttamente, che per mezzo dei suoi e di altri, spinti a far lo stesso.

Il quarto libro è l'Avarizia, con tre colonne. La prima è l'avarizia della mente, perché non volle comunicare quello che sapeva, affinché gli altri non ne ricevessero consolazione e profitto, così pensando: Che me ne viene se al tale o tal altro darò questo consiglio? Quale compenso è per me, se gioverò a lui con quel consiglio o parola? E così il povero se ne allontanava sconsolato, non confortato o istruito, mentre ben avrebbe potuto farlo, se avesse voluto. La seconda colonna diceva che potendo rappacificare i discordi, non volle farlo e pur potendo consolare gli afflitti non se ne curò. La terza colonna era l'avarizia dei suoi beni, poiché se doveva dare un danaro per il tuo Nome, se ne angustiava e gli pesava, mentre per l'onore del mondo ne avrebbe dati cento. In queste colonne ci sono infinite parole, come meglio sai tu. Tu sai infatti tutto e niente ti può essere nascosto, ma mi costringi a parlare perché sia di giovamento agli altri.

Il quinto libro è l'Accidia e anche questo ha tre colonne. Prima colonna: fu accidioso nelle opere, nel bene da fare in tuo onore, cioè nei tuoi comandamenti. Difatti perdette il suo tempo per il riposo del copro: gli erano infatti carissimi l'utile del suo corpo e la voluttà. Seconda colonna: era accidioso nel pensiero. Quando infatti il tuo buon Spirito gli infuse compunzione nel cuore o altra spirituale intelligenza, gli sembrava troppo distante e allontanava la mente dal pensiero spirituale e parve a lui dilettevole e soave ogni godimento mondano. Terza colonna: era accidioso nella bocca; cioè nella preghiera e nel parlare di cose utili agli altri o al tuo onore, pronto invece alle scurrilità e come sono le parole di questa colonna e quanto innumerevoli, tu solo lo sai.

Il sesto libro è l'Ira, con le sue tre colonne. La prima, adirandosi col prossimo suo per tutto quello che non era di propria utilità. La seconda, danneggiando il prossimo con la sua ira, talvolta anche perdendo nell'ira le cose proprie. La terza, turbando con essa il prossimo.

Il settimo libro era la sua Voluttà, che pure aveva tre colonne. La prima, perché indebitamente e disordinatamente spargeva il suo seme. Sebbene infatti fosse coniugato e alieno dal macchiarsi con altre donne, tuttavia per abbracci e vani discorsi o anche gesti impudichi spargeva indebitamente il suo seme. La seconda, perché troppo procace nei discorsi. Induceva infatti non soltanto sua moglie in maggior fuoco di libidine, ma indusse anche altri con le sue parole ad ascoltarlo e spesse volte a pensare colse sconce. La terza colonna era che nutriva troppo delicatamente il suo corpo, preparandosi molte e sontuose pietanze, per maggior diletto della carne e per averne lode dagli uomini, per essere chiamato grande. Più di mille parole vi sono in queste colonne: che si attardava a mensa più del dovuto, non aspettando il tempo stabilito, ciarlando di cose inutili e mangiando più di quello che la natura esigeva.

Ecco, o Giudice, il mio libro è completo e aggiudicami dunque quest'anima. Mentre il Giudice taceva, s'avvicinò la Madre della Misericordia, che sembrava fosse anche più lontana e disse: Figlio mio, io voglio discutere di giustizia con questo demonio. Il Figlio rispose: Carissima Madre, se non è negata a un demonio, come potrei negar giustizia a te, che sei la Madre mia e la Signora degli Angeli? Tu pure puoi e sai tutto in me; tuttavia parla per far conoscere la mia carità.

Allora la Madre diceva al diavolo: Diavolo, ti comando di rispondermi a tre cose e devi per ragione di giustizia rispondermi, poiché sono la tua Signora. Dimmi: forse tu conosci tutti i pensieri dell'uomo?

No – rispose il diavolo – ma soltanto i pensieri che dall'azione esterna dell'uomo e dalla sua disposizione io posso arguire o che io stesso gli ispiro, perché sebbene decaddi dalla mia dignità, mi rimase tuttavia tanto del mio acume e tanta sapienza che dalla disposizione dell'uomo posso capire lo stato d'animo; ma i suoi buoni pensieri non posso conoscerli. Allora continuò la pia Vergine: E anche se non vuoi, diavolo, dimmi qual è quella cosa, che può cancellare quel che è scritto nel tuo libro?

Niente può cancellarlo – rispose il diavolo – eccetto la carità di Dio. Chiunque, infatti, per quanto peccatore, avrà quella carità nel cuore, subito si cancella tutto quel che è scritto nel mio libro. E la Vergine replicò: E dimmi, diavolo, c'è mai qualche peccatore, così iniquo e così lontano dal Figlio mio, che non possa pentirsene mentre è in vita? E il diavolo: Non c'è alcun peccatore, che non possa convertirsi mentre è vivo, se vuole. Quando infatti qualcuno, per gran peccatore che sia, trasforma la sua volontà da cattiva in buona ed esprime nel suo cuore onore a Dio e vuole liberamente perseverare, neppure tutti i demoni potranno trattenerlo.

Udito tutto ciò, la Madre della Misericordia disse allora ai circostanti: Quest'anima alla fine della vita s'è convertita a me e disse: Tu sei la Madre della Misericordia e hai pietà dei miseri. Io sono indegno di pregare tuo Figlio, perché gravi e molti sono i miei peccati e l'ho molto provocato all'ira, amando più il piacere e il mondo che Dio mio Creatore. Ti prego, perciò, abbi pietà, perché tu a nessuno che t'invochi neghi la misericordia. Perciò mi converto a te e ti prometto che, se vivrò, voglio emendarmi e volgere la mia volontà al Figlio tuo e nient'altro amare che Lui. Soprattutto mi addoloro e gemo, perché non ho fatto niente di buono in onore del Figlio tuo, mio Creatore. Ti prego perciò, o piissima Signora, abbi pietà di me, perché a nessun altro che a te posso ricorrere. Con queste parole e questi pensieri venne a me quest'anima, e non dovevo ascoltarla? Chi mai non merita d'essere esaudito se prega un altro con tutto il cuore e con buona volontà di emendarsi? Tanto più io che sono la Madre della Misericordia devo esaudire quelli che gridano a me. Rispose il diavolo: Di questa volontà io non sapevo nulla: ma se così è, bisogna che tu lo provi esplicitamente. La Madre rispose: Tu non sei degno ch'io ti risponda. Ma giacché si fa questo a profitto di altri, come dimostrai, così ti risponderò. Tu miserabile hai detto poco fa che dal tuo libro non si può cancellare nulla, se non dalla carità di Dio. E allora, la Vergine rivolta al Giudice disse: Figlio mio, apra il suo libro il diavolo e guardi se è tutto ancora scritto o qualcosa per caso vi è cancellato.

Allora il Giudice disse al diavolo: Dov'è il tuo libro? Rispose: Nel mio ventre. E qual è il tuo ventre? - soggiunse il Giudice. La mia memoria – rispose il diavolo. Come infatti nel ventre s'aduna ogni immondezza e fetore, così nella mia memoria v'è malizia e nequizia, che tramandano al tuo cospetto come un pessimo fetore. Quando infatti mi allontanai da te e dalla tua luce per la mia superbia, caddi in ogni malizia e s'offuscò la mia memoria per le cose buone di Dio; nella mia memoria c'è scritta ogni iniquità dei peccatori.

Allora disse il Giudice al diavolo: Io ti comando che tu guardi diligentemente e cerchi nel tuo libro che cosa vi è scritto e che cosa cancellato dei peccati di quest'anima; dillo pubblicamente.

Rispose il diavolo: Ecco nel mio libro, vedo scritto altre cose, che non sapevo. Vedo che quei sette sono cancellati e non rimane di loro che spazzatura.

Dopo di che il Giudice disse all'Angelo buono presente: Dove sono le buone opere di quest'anima? Rispose: Signore, tutto è nella tua prescienza e conoscenza, presente, passato e futuro. Noi tutto sappiamo e vediamo in te e tu in noi. Né è necessario parlarti, perché tutto sai. Ma giacché vuoi mostrare la tua carità, ispiri la tua volontà a quelli che a te piace. Io difatti da che quest'anima fu unita al corpo, fui sempre con essa. Io pure scrissi un libro delle sue cose buone. È in tua facoltà udire questo libro.

Rispose il Giudice: Non posso giudicare senza prima ascoltare e aver conosciuto il bene e il male. E tutto poi considerato, si deve giudicare come la giustizia esige, sia per la vita che per la morte. L'angelo rispose: Il mio libro è la sua obbedienza, con la quale obbedì a te. E in questo libro ci sono sette colonne. La prima è il Battesimo. La seconda, l'astinenza sua col digiuno e dalle azioni illecite e dai peccati e anche dalla voluttà e tentazione della sua carne. La terza colonna è l'orazione e il buon proposito che ebbe verso di te. La quarta colonna, le sue buone opere in elemosine e altre opere di misericordia. La quinta colonna è la sua speranza in te. Sesta, la fede ch'ebbe come cristiano. Settima, la carità di Dio.

Detto questo, il Giudice così parlò rivolto all'Angelo buono: Ov'è il tuo libro? Egli rispose: Nella tua visione e nella tua carità, mio Signore. Allora Maria, rimproverandolo disse al diavolo: Come avevi custodito il tuo libro e come mai vi si è cancellato quello che v'era scritto?

Disse allora il diavolo: Ahimé, mi hai ingannato. Poi disse il Giudice alla piissima Madre sua: Tu davvero hai ottenuto in questo giudizio una sentenza ragionevole e hai giustamente guadagnata quest'anima. Il diavolo quindi gridò: Io l'ho perduta, sono stato vinto! Ma dì un po', Giudice, fino a quando terrò quest'anima per via di quelle spazzature? Rispose il Giudice: Te lo dirò io. I libri sono stati aperti e letti; ma dimmi, diavolo, sebbene io tutto sappia, quest'anima secondo giustizia deve andare in cielo o no? Ti permetto di vederlo e saperlo ora, secondo la verità della giustizia

Rispose il diavolo: In te è la giustizia, cosicché, se qualcuno muore senza peccato mortale ed ebbe la divina carità, è degno di avere il cielo. Dunque, giacché quest'anima non morì in peccato mortale ed ebbe la divina carità, è degna per diritto di avere il cielo, dopo la sua purificazione.

Il Giudice rispose: Dunque, perché ora ti ho aperto l'intelletto e ti ho permesso di vedere il lume della verità e della giustizia, dì a quelli che ascoltano, come a me piace, quale debba essere la giustizia per quest'anima. Rispose il diavolo: Che sia purificata, che in lei non resti una macchia, perché anche per giustizia è tua. Però è ancora immonda e non può venire a te senza essere prima purificata. E come tu, Giudice, lo hai chiesto a me, così io ora chiedo a te per quanto deve essere purificata e fino a quando deve stare nelle mie mani.

Rispose il Giudice: Ti si comanda, diavolo, di non entrare in essa, né possederla, ma di purificarla fino a quando sarà pura e immacolata. Ella soffrirà infatti la pena secondo il modo della sua colpa. Peccò infatti tre volte con la vista, tre volte con l'udito, tre volte con il tatto. Perciò in tre modi dovrà essere punita nella vista: primo, deve vedere personalmente i peccati e le abominazioni sue; secondo, deve vedere te nella tua malizia; terzo, deve vedere le miserie e le pene terribili delle altre anime. E similmente tre volte deve essere punita nell'udito: primo, deve udire il « guai » orribile, perché volle udire la propria lode e le piacevolezze del mondo; secondo, deve udire gli orribili clamori e le irrisioni dei demoni; terzo, udrà insulti e insopportabili sventure, quanto più dilettoso e fervoroso fu il suo amore del mondo e non di Dio e quanto più servì al mondo e non a Dio. E anche in tre modi sia afflitta nel tatto. Primo, arda di fuoco interiore ed esteriore ardentissimo, da non restare in essa alcuna macchia, che non sia purgata nel fuoco; secondo, patisca il massimo freddo, perché ardendo di tanta sua cupidigia, era fredda nella mia carità; terzo, sarà nelle mani dei demoni affinché non ci sia nessun pensiero o parola, per quanto minimi, che non siano purgati, fin quando sia come oro, purificata al fuoco e al crogiolo, a piacere di chi lo possiede.

Allora disse di nuovo il diavolo: Fino a quando sarà in questa pena quest'anima? Rispose il Giudice: Fino a quando la sua volontà desiderava di vivere nel mondo. E siccome era tale che di buon grado avrebbe vissuto nel corpo sino alla fine del mondo, perciò codesta pena deve durare fino alla fine del mondo. Difatti è questa la mia giustizia: chiunque ha in sé la divina carità e mi desidera con ogni desiderio, volendo essere con me e staccarsi dal mondo, questi deve ottenere il cielo senza pena, perché l'esame nella vita presente è la sua purificazione. Chi poi teme la morte, per l'acerba pena che è e per l'acerba pena futura e vorrebbe vivere più a lungo per emendarsi, deve avere più leggera pena nel Purgatorio. Chi poi ha volontà di vivere fino al giorno del giudizio, anche senza peccare mortalmente, ma solo per desiderio di vivere in perpetuo, dovrà soffrire fino al giudizio. Rispondendo allora la piissima Madre, disse: Benedetto sii tu, Figlio mio, per la tua giustizia, che è con ogni misericordia. Sebbene infatti noi tutto vediamo e sappiamo in te, tuttavia perché lo sappiano anche gli altri, dicci qual rimedio debba essere usato per accorciare un così lungo tempo di pena, quale mezzo per estinguere un fuoco così ardente e come possa essere liberata quest'anima dalle mani del demonio.

Rispose il Figlio: Nulla si può negare a te, perché sei la Madre della Misericordia e cerchi e procuri misericordia per tutti. Son dunque tre i rimedi, che fan diminuire così lungo tempo di pena ed estinguere quel fuoco e liberare dalle mani dei demoni. Il primo è se da qualcuno si restituisce quel che da un altro è stato ingiustamente sottratto ed estorto, o doveva essere da lui giustamente dato: questa infatti è la giustizia con la quale l'anima è purificata o per le preghiere dei Santi, o con le elemosine, o per le opere degli amici, o per purificazione a ciò proporzionata. Il secondo è un'abbondante elemosina, con la quale difatti è cancellato il peccato, come con l'acqua è spento il fuoco. Il terzo è l'offerta del mio Corpo sull'Altare, in suo favore e con le preghiere degli amici. Son queste tre cose che lo libereranno da quelle tre pene. Chiese di nuovo la Madre della Misericordia: E a che gli giovano ora le opere buone da lui fatte per te? Rispose il Figlio: Non me lo chiedi perché non lo sai, mentre tutto sai e vedi in me, ma me lo chiedi per far conoscere agli altri la mia carità. Certamente, neppure la minima parola o il minimo pensiero, pensato in mio onore, rimarrà senza ricompensa, perché quel che ha fatto per me, ora è presso di lui a suo refrigerio e conforto; e perciò prova minor pena di quanta altrimenti sentirebbe.

Poi di nuovo parlava la Madre al Figlio dicendo: Perché e come mai quest'anima vive ed è però immobile, come chi non muove né piedi né mani contro i suoi nemici?

Rispose il Giudice: Il Profeta disse di me che io sarei stato muto come un agnello davanti al tosatore. E veramente io tacqui davanti ai miei nemici e perciò è giusto che siccome quest'anima non si curò della mia morte e la stimò così poco, così è ora, per giustizia, come un bambino che non è capace di reagire nelle mani degli uccisori.

Disse la Madre: Benedetto sii tu, dolcissimo Figlio mio, che niente fai senza giustizia. Tu dicesti prima, Figlio mio, che gli amici tuoi potrebbero aiutare quest'anima e tu ben sai che quest'anima mi ha in tre modi servita: primo, con l'astinenza, digiunando cioè alla vigilia delle mie feste e in esse astenendosi in mio nome; secondo, perché leggeva le mie Ore; terzo, perché cantava anche con la sua bocca in mio onore. Dunque, Figlio mio, giacché ascolti gli amici tuoi che gridano in terra, io ti prego anche che ti degni di ascoltare me. Rispose il Figlio: Chiunque ha un amore più ardente per Iddio, più presto trova esaudite le sue preghiere. E giacché tu mi sei soprattutto carissima, chiedi dunque ciò che vuoi e ti sarà concesso.

La Madre soggiunse: Quest'anima soffrì tre pene nella vista, tre nell'udito, tre nel tatto. Io ti prego, dunque, Figlio carissimo, che tu voglia diminuirne una nella vista, che non veda cioè gli orribili demoni e sopporti le altre due pene, perché così esige la tua giustizia, alla quale non posso contraddire secondo la giustizia della tua misericordia. Poi ti prego che le diminuisca una pena nell'udito, che non oda cioè la vergogna e la confusione sua. Infine ti prego, che anche nel tatto le diminuisca una pena, che cioè non senta il freddo, più freddo del gelo, del quale è degna perché era fredda nell'amor tuo. Rispose il Figlio: Benedetta sei tu, carissima Madre, niente ti si può negare, sia fatto secondo la tua volontà, come hai chiesto sia fatto.

Concluse la Madre: Benedetto sei tu, Figlio mio dolcissimo, per ogni tua carità e misericordia. Allora in quel punto si vide uno dei Santi che disse: Lode a te, o Signore Dio, Creatore e Giudice di tutti. Quest'anima devota mi servì nella sua vita: per me digiunò, mi onorò assieme agli altri miei amici col suo saluto, perciò – da parte loro e mia – ti prego: Abbi pietà di quest'anima e per le nostre preghiere donale il refrigerio in una pena soltanto, che cioè i demoni non possano offuscarne la coscienza: essi infatti lo farebbero per loro malizia, se non ne sono frenati, al punto che ella – con la coscienza così offuscata – mai spererebbe la fine della sua miseria e l'ingresso nella gloria, se non quando piacerebbe a te riguardarla con la tua grazia; e questo è il maggior tormento in ogni supplizio. Perciò, mio Signore, concedile – per le nostre preghiere – che in qualunque pena sia, abbia per certo che quella pena finisce e che perverrà alla gloria eterna.

Rispose il Giudice: In effetti questa è la vera giustizia che cioè quell'anima, che tante volte allontanò la coscienza dai pensieri spirituali e dall'intelligenza delle corporali e volle offuscarla e non temette di agire contro di me, ora sia giustamente ottenebrata dai demoni. Ma, giacché voi, carissimi amici miei, avete ascoltato le mie parole e le avete messe in pratica, non posso negarvi niente e farò dunque quello che volete. Allora risposero i Santi tutti: Benedetto sii tu, Dio, in ogni tua giustizia; tu che giudichi giustamente e niente lasci di impunito.

Di poi l'Angelo buono, custode di quell'anima, disse al Giudice: Dal principio della mia missione con l'anima e il corpo di questa persona, io sono stato con lei e la seguivo per la provvidenza della tua carità, ed essa faceva talvolta la mia volontà: perciò, te ne prego, Signore, abbi pietà di lei.

Rispose allora il Signore: Su questo vogliamo deliberare. E la visione scomparve.

Dichiarazione.

Costui fu un soldato, cortese e amante dei poveri, la moglie del quale fece abbondantissime elemosine per lui e morì a Roma, come fu di lei predetto nello Spirito di Dio, e come risulta dal libro III, al cap. 12, F.



Quattro anni dopo questa visione, in cui una certa anima fu condannata al Purgatorio fino al giorno del giudizio, vide ancora la stessa anima presentata dall'Angelo al divin Giudizio quasi già tutta rivestita. Per essa l'Angelo con tutta la milizia celeste pregava Dio e Cristo, che allora la liberò dalle pene e la trasferì nella gloria come una fulgida stella, per le preghiere degli Angeli e dei Santi e le lagrime e i suffragi degli Amici viventi.

Capitolo Quarantesimo

Quattro anni dopo questo fatto, vidi di nuovo un giovane splendidissimo (l'Angelo) con l'anima suddetta, già quasi vestita, ma non del tutto.

Al Giudice, che sedeva in trono, mentre lo assistevano una infinita moltitudine e l'adoravano per la sua pazienza e carità, egli disse: O Giudice, questa è quell'anima per la quale io pregavo e tu rispondesti che volevi deliberare. Noi tutti qui presenti dunque di nuovo ti chiediamo per essa la tua misericordia. E anche se noi sappiamo tutto nella tua carità, tuttavia per la sposa tua, che ci ascolta e vede spiritualmente, parliamo a modo umano, anche se non ci sono persone umane fra noi.

Rispose il Giudice: Se ci fosse un carro pieno di spighe e vi fossero molti uomini a prenderne una dopo l'altra, se ne diminuirebbero il numero e il peso; così è adesso. Infatti molte lagrime e molte opere di carità arrivarono a me per quest'anima ed è giusto perciò che venga in tua custodia e tu la trasferisca nel riposo, che né occhio può vedere né orecchio udire, né la stessa anima può nel corpo pensare; dove non c'è cielo sopra né terra di sotto; dov'è immisurabile l'altezza e immensa la lunghezza; dove la larghezza è mirabile e incomprensibile la profondità; dove Dio è sopra e fuori e oltre tutte le cose e regge e contiene tutto, né da alcuno è contenuto. Dopo ciò fu vista quell'anima salire al cielo, splendente come una stella fulgidissima nella sua luce.

E allora disse il Giudice: Verrà presto il tempo, quando pronunzierò i miei giudizi e farò giustizia contro la progenie del defunto, del quale è quest'anima, perché si sono alzati in superbia. Ma avranno la ricompensa della superbia.



La Madre di Dio compiacendosi della sollecitudine avuta nel piacere a Dio, dice di non elogiare se stessa così facendo, ma di parlare a gloria e onore di Dio. E dal Figlio chiede per la sposa le celestiali vesti delle virtù, il sacro cibo del Corpo suo e uno spirito più fervoroso. E il Figlio acconsente, se la sposa è umile, timorosa e riconoscente.

Capitolo Quarantaduesimo

Dice la Madre: Io fin dalla giovinezza pensai sempre all'onore del Figlio mio e fui sempre sollecita del modo come piacergli. Sebbene poi ogni elogio diminuisca sulla propria bocca, tuttavia io non parlo a modo di quelli che cercano la propria lode, ma ad onore del Figlio mio, Dio e Signore mio, il quale formò il sole dalla polvere e dal secco accese il fuoco incombusto e produsse, senza umori, frutto degnissimo e dolcissimo. Poi voltatasi al Figlio, disse: Benedetto sii tu, Figlio mio. Io son come quella donna esaudita dal Signore, che chiedeva pietà per i misteri e gli impotenti. Così io ti prego per la figlia mia, cioè per la tua sposa, la cui anima redimesti col tuo Sangue e illuminasti con la tua carità e incoraggiasti con la tua bontà e che nella tua misericordia a te sposasti.

Ti prego, o Figlio, dàlle tre cose: Dapprima, le vesti più preziose, perché figlia e sposa del Re dei re. Se difatti la sposa non ha veste regale, è solamente disprezzata; se poi è scoperta men che decorosa, è solamente di obbrobrio. Dàlle perciò non le vesti della terra, ma quelle del cielo; non quelle costose di fuori, ma splendenti di dentro per la carità e la castità. Dà a lei l'abito delle virtù, affinché non mendichi cose esteriori, ma abbia interiore abbondanza e che possa risplendere anche fra gli altri per l'abito. Di più, dàlle il cibo più delicato, abituata com'è la tua sposa ai cibi grossolani, ora s'abitui al tuo cibo. Esso infatti è un cibo che si tocca, ma non si vede; si possiede, ma non si sente; sostenta, ma è sconosciuto al senso; viene, ma è già dovunque; questo è il Corpo tuo degnissimo, preconizzato dall'Angelo arrostito, ch'è adempiuto mirabilmente dalla tua Umanità da me assunta. Questo compimento è felicemente mostrato ogni giorno dalla Divinità con l'Umanità. Questo cibo, Figlio mio, dà alla tua sposa, perché senza di esso viene del tutto a mancare, come il bambino deperisce senza il latte, e, con esso e per esso, si rinnovella per ogni bene, come un malato col cibo. Infine, dàlle, o Figlio mio, uno spirito più fervoroso: questo infatti è il fuoco, che acceso non si spegne, che svilisce tutto ciò che diletta al vedersi e fa sperare le cose future; questo spirito, Figlio mio, dà a lei.

Allora il Figlio rispose, dicendo: Madre carissima, le tue parole sono dolci, ma tu sai che chi chiede cose sublimi, deve prima comportarsi fortemente ed esercitarsi nell'umiltà. Perciò tre cose le sono necessarie: la prima, l'umiltà; per essa infatti s'ottiene ciò che è sublime, sappia cioè che i beni li ha non per merito suo ma per la grazia. La seconda, il dovuto rendimento di grazie da rendersi a chi glieli dà. La terza, il timore, per non perdere la grazia concessa.

Ordunque per ottenere e possedere le tre cose da te chieste, non trascuri quest'altre tre. A nulla serve infatti aver ottenuto, se non si sa conservare ciò che s'è ottenuto ed è più brutto perdere il già posseduto che il non averlo mai avuto e posseduto.



Cristo dice alla sua sposa, ch'Egli è come il Vasaio, il quale, benché molti vasi si spezzino, non cessa per questo di formarne altri, cioè anime, fino a quando il Coro angelico nel cielo non sia al completo; e si paragona a un'ape, perché si sceglie un'altra nuova erba. Infatti convertirà i Pagani, donde trarrà grande dolcezza, cioè molte anime da riempirne l'alveare del Regno dei cieli.

Capitolo Quarantaquattresimo

Io sono come un buon vasaio, che con il fango fa molti vasi! benché molti si rompano, egli non cessa di farne dei nuovi, fino al numero stabilito. Così faccio io, che da ignobile materia traggo una nobile creatura, cioè l'uomo e, anche se molti si allontanano da me, non cesso per questo di formarne altri, fino a che sia ripieno il Coro Angelico e i posti vuoti in cielo.

Io sono anche come un'ape che, uscendo dal suo alveare, vola verso la bellissima erba avvistata da lontano, e fra di essa cerca un fiore bellissimo, profumatissimo ed elegante. Ma quando s'avvicina trova un fiore secco, senza più odore, annientato, e sfumata ogni soavità. Allora cerca un'altra erbe e ne trova una un po' aspra, con un fiore piccolo e non molto profumato, gradevole, anche se poco attraente. In quest'erba fissa il piede e ne estrae dolcezza, che porta all'alveare fino a che esso si riempia. Quest'ape sono io, Creatore di tutte le cose e Signore, che uscii dall'alveare, quando prendendo forma umana, mi resi in essa visibile. Cercai allora l'erba bella, cioè assunsi i popoli cristiani. Essi erano belli per la fede, dolci per la carità, fruttiferi per la buona vita. Ma ora, degradati dallo stato di prima, sembrano belli di nome, ma sono di vita corrotta; portano frutti al mondo e alla carne, ma sono sterili a Dio e all'anima. Dolci per se stessi, sono a me amarissimi, perciò cadranno e saranno annientati. Io, come l'ape, mi sceglierò un'altra erba, un po' asprigna, cioè i Pagani, dai costumi abbastanza lontani, alcuni dei quali portano un piccolo fiore e poca dolcezza, ossia una volontà per cui volentieri si convertirebbero e mi servirebbero, se conoscessero il modo e l'annunzio.

Da quest'erba estrarrò tanta dolcezza da riempire l'alveare e tanto voglio accostarmici che non manchi la bellezza né l'ape sia defraudata del frutto del suo lavoro. E ciò che è selvatico e vile, crescerà meravigliosamente a somma bellezza. Invece, quel che sembra bello, seccherà e diverrà deforme.



Prega la sposa che la Vergine le ottenga il perfetto amore di Dio. Risponde la Vergine che per ottenerlo deve osservare le sei parole del Vangelo, qui contenute, e le spiega chiaramente quella parola; Va, vendi tutto ciò che hai e dàllo ai poveri; e l'altra: Non vogliate preoccuparvi del domani, ecc. E dice che se attende alla fatica dell'orazione e della devota lettura, può lecitamente chiedere le cose necessarie alla vita.

Capitolo Quarantaseiesimo

La sposa dice alla Vergine: O quanto è dolce il mio Signore Dio. Chiunque infatti possiede Lui, dolcissimo, non avrà dolore in cui non senta consolazione. Perciò, Madre benignissima, ti prego di voler togliere dal mio cuore ogni amore a tutte le cose temporali, sicché sia a me carissimo il Figlio tuo, fino alla morte.

Rispose la Madre: Giacché desideri ti sia carissimo il Figlio mio, ascolta le sue parole, da lui personalmente dette nel suo Vangelo, che a questo mirano, che cioè Egli sia amato sopra tutti. E perciò ricordo alla tua memoria sei parole evangeliche. La prima è, quando disse al ricco: Va,' vendi tutto ciò che hai e dàllo ai poveri e seguimi. La seconda è: Non vi preoccupate del domani. La terza è: Vedete come i passeri si nutrono, quanto più il Padre celeste nutrirà gli uomini. La quarta è: Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio. La quinta è: Cercate prima il regno di Dio. La sesta è: O voi che avete fame, venite a me ed io vi sazierò.

Davvero pare vendere tutto colui che poi non desidera più possedere altro che un po' di sostanza per il corpo e distribuisce il resto ai poveri in onore di Dio e non del mondo, allo scopo di ottenere l'amicizia di Dio. Come si vede in S. Gregorio e in molti altri Re e Principi, che furono tanto amati da Dio, perché, anche avendo ricchezze, le distribuiscono agli altri; come anche quelli che tutte le cose assieme lasciarono a Dio, chiedendo poi essi stessi l'elemosina agli altri. Infatti quelli che ebbero ricchezze del mondo a onore di Dio, volentieri ne sarebbero vissuti senza, se così Dio avesse voluto. Questi altri poi si fecero poveri per onore di Dio. Perciò ad ogni uomo, che possiede beni legittimamente acquisiti o anche rendite, è consentito di prenderne il frutto per il sostentamento suo e dei suoi familiari a onore di Dio. Quel che sarà sopravanzato, lo distribuisca ai poveri, amici di Dio. La seconda: non preoccuparti del domani, infatti anche se non avessi nulla se non il nudo corpo, spera in Dio ed Egli, che nutre i passeri, sostenterà anche te, che ha redento col sangue suo.

Allora io chiesi: O Signora carissima, che sei bella, ricca e virtuosa: tanto bella perché mai peccasti, tanto ricca perché amica carissima di Dio, e così virtuosa perché perfettissima in tutte le opere buone. Pertanto, o mia Signora, ascolta me che son piena di peccati e povera di virtù. Noi oggi abbiamo il cibo e le cose a noi necessarie; e domani ne avremo ancora bisogno e non ne avremo affatto: come possiamo dunque essere senza preoccupazioni, quando non abbiamo niente? Infatti se l'anima riceve la consolazione da Dio, l'asino però – che è il corpo – vuole il suo sostentamento.

Rispose la Vergine: Se avete delle cose superflue, vendetele o pignoratele e così vivrete senza preoccupazioni. Io risposi: Abbiamo le vesti, che usiamo la notte e il giorno e pochi recipienti per la nostra tavola. Il Sacerdote ha i suoi libri e per la Messa abbiamo il calice e i paramenti. La Vergine rispose: Il sacerdote non dev'essere privo di libri, né voi della Messa, né la Messa può essere celebrata senza i paramenti. Né il vostro corpo deve andar nudo, ma vestito per la modestia e per difenderlo dal freddo e avete perciò bisogno di tutte codeste cose.

Io soggiunsi: Devo forse prendere soldi a prestito sulla mia parola per qualche tempo? La Madre rispose: Se sei sicura che, alla scadenza potrai saldare, prendi pure a prestito e se no, no. Meglio un giorno senza nutrimento, che impegnare la tua parola senz'alcuna certezza.

Ed io: O dovrò infine lavorare per procurarmi il cibo? Rispose la Madre: Che fai ora e oggi? Io risposi: Studio grammatica, prego e scrivo. Disse allora la Madre: Non conviene che tu lasci questo lavoro, per quello manuale. Ed io: E che avremo allora come vitto di domani? Rispose la Madre: Chiedete in nome di Gesù Cristo, se non avete altro.



La Madre di Dio dice alla sposa che non fu piccolo dolore, fra tutti gli altri, quello che lei patì quando fuggì col Figlio in Egitto e udì che era perseguitato da Erode e bellamente le narra quel che fece il Figlio nella sua infanzia e adolescenza fino al tempo della predicazione e della passione.

Capitolo Cinquantottesimo

Maria parlò alla sposa, dicendo: Ti ho detto dei miei dolori. Ma non fu il più piccolo quello che ebbi quando portavo il Figlio mio fuggendo in Egitto e quando udii ch'erano uccisi i piccoli Innocenti e che Erode perseguitava il Figlio mio. Anche sapendo quel che era scritto del Figlio mio, tuttavia il cuor mio per il grande amore che nutrivo per il Figlio mio si riempì di dolore e tristezza. Puoi ora chiedermi che cosa faceva il Figlio mio tutto il tempo che precedette la sua passione. Ti dico, che, come afferma il Vangelo, era sottomesso ai Genitori e si comportò come gli altri bambini, fino alla maggiore età, né mancarono cose meravigliose nella sua gioventù: le creature servirono al loro Creatore, tacquero gli Idoli e molti di essi caddero al suo arrivo in Egitto; i Magi predissero che sarebbe stato segno di grandi cose future; anche gli Angeli lo servirono; nessuna immondizia lo macchiò mai, neppure alcun intreccio nei suoi capelli. Sono tutti avvenimenti inutili a sapersi da te, mentre nel Vangelo sono esposti i segni della sua divinità e umanità, che possono edificare te e gli altri. Giunto poi alla maggiore età, era sempre in orazione e, obbediente, salì con noi alle feste stabilite a Gerusalemme e in altri luoghi.

La sua persona e la sua parola erano così ammirabili e gradite, che molti sconsolati dicevano: Andiamo dal Figlio di Maria per essere consolati. Crescendo poi di età e di sapienza, di cui era già pieno da principio, lavorava manualmente, anche se questo non era ritenuto decoroso, e diceva a noi in segreto parole confortevoli e divine, sicché eravamo sempre colmi di indicibile gaudio. Quando poi eravamo nelle preoccupazioni, nella miseria, nelle difficoltà non mise fuori né oro né argento, ma ci esortava alla pazienza e fummo straordinariamente preservati dagli invidiosi. Talvolta ci provenne il necessario dalla compassione di anime buone; tal altra dal nostro lavoro, tanto che bastasse al nostro sostentamento e non per il superfluo, perché non volevamo altro che servire soltanto a Dio. Frattanto egli in casa si intratteneva a parlare familiarmente con gli ospiti amici, della legge e della sua interpretazione e dei simboli, e discuteva anche in pubblico con i sapienti e ne stupivano e dicevano: Ecco, il Figlio di Giuseppe insegna ai Maestri; parla in lui qualche grande spirito.

Una volta che mi vide mestissima per il pensiero della sua passione, mi disse: Non credi, o Madre, che io sono nel padre e il Padre è in me? Alla mia venuta ti sei forse tu macchiata o ne hai sofferto? Perché ti affliggi? È volontà del Padre ch'io patisca la morte e anzi è la mia volontà col Padre. Non può patire quel che ho dal Padre, ma lo patisce la carne presa da te, per redimere la carne degli altri e salvare le anime.

Ed era così obbediente, che quando Giuseppe gli diceva: Fa' questo o quello, subito lo faceva, perché nascondeva talmente la potenza della sua divinità, che solo da me e talvolta da Giuseppe poté sapersi; il suo capo fu visto spesso irradiato d'un alone di ammirabile luce e udimmo su di lui cantare le voci angeliche.

Vedemmo anche uscire, alla vista del Figlio mio, spiriti immondi, che non potevano uscire per mezzo di esorcisti approvati nella nostra legge. Ecco, figlia mia, siano sempre nella tua memoria queste cose e ringrazia Dio che volle, per mezzo tuo, rivelare agli altri la sua infanzia.



La semplicità di chi sa appena il « Padre nostro » piace di più a Dio, che la prudenza dei superbi, e così pure chi con la dotta ignoranza e con l'amore osserva i comandamenti, i consigli evangelici, tutti i Diritti e le Leggi.

Capitolo Centosedicesimo

Un uomo semplice, che non conosceva del tutto il « Padre nostro », chiese un consiglio spirituale da Donna Brigida. E ad essa Cristo disse: A me piace di più la semplicità dell'anima semplice di quest'uomo, che l'astuzia dei superbi, perché in essi c'è la superbia che allontana Dio dal cuore. In costui c'è l'umiltà, che introduce Dio nel cuore. Perciò digli che continui a fare quello che ha fatto solitamente finora e avrà la mercede con quelli ai quali ho detto: Venite, voi che lavorate ed io vi ciberò d'un pane eterno. Se dicessi infatti a lui quel che dissi a quel giudeo che mi chiese maliziosamente consiglio: « Osserva i comandamenti e vendi quello che hai », non può capirlo, perché la vecchiaia non comprende informazioni e come povero non ha che cosa vendere.

Certo all'uomo che tende alla vita eterna, occorrono i comandamenti, senza i quali non può salvarsi, mentre ha tempo e sovrabbondanza di chi lo istruisce. Di costui invece la dotta ignoranza e la buona volontà mi piacciono tanto, come mi piacque quella vedova dei due denari, ch'io preferii alle ricchezze dei Re. Difatti egli, nella sua ignoranza possiede ogni sapienza. Mi ama, infatti, di cuore; ma donde ciò, se non (perché animato) dal mio Spirito?

E questo non amare le ricchezze e non saper dire grandi cose sembra stupidità ai sapienti del mondo. Perciò l'ho chiamata « dotta ignoranza », perché egli dal mio spirito ha appreso la vera sapienza, ch'è amare Dio. Non sembra a te veramente sapiente costui, che non sa se non un verbo solo, amare? Per questo amore, egli osserva tutti i comandamenti della Legge di Mosè; per esso dà a Dio quel che è di Dio; per esso pratica tutti i consigli del mio Evangelo; per esso osserva tutti i Diritti e le Leggi; per esso ama il prossimo, non desiderando la roba altrui, neppure il necessario anzi, né rubando, né mentendo al prossimo; per esso pensa continuamente alla morte e al giudizio, nel quale dovrà essere giudicato.

Perciò chi vuol venire a me, non deve preoccuparsi dell'ignoranza della legge; è sufficiente che voglia usare la sua coscienza, la quale dice di voler fatto a sé quello che fa agli altri. A che pro infatti l'uomo apprende tante cose e legge tanti libri? Non certamente per servire a me. Non è forse più per curiosità, conformismo, ostentazione e per essere chiamato maestro?

Sta di fatto che ognuno ha la propria coscienza e sarà da quella giudicato. Perciò, figlia mia, chiunque con perfetta fede e volontà, legge queste tre parole: « Gesù, pietà di me », mi piace più di quello che legge distrattamente mille versi.