venerdì 29 luglio 2011

La civiltà dei recinti



Quello di oggi 29 luglio, festa di santa Marta, è il giorno più adatto per parlare di uno dei mali più brutti della società di oggi, un virus che pare ci abbia contagiato tutti: l'individualismo.
La pagina che propongo è di Remo Sartori.

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Qualcuno ha definito l'uomo della nostra epoca come l'uomo della "civiltà dei recinti".
Un sistema di costumi, di sentimenti, di idee, di istituzioni e persino di teologia e di liturgia ha contribuito a tutti i livelli a fissare l'individuo e il credente in uno spirito di isolamento e di difesa. Oggi assistiamo a una crescente privatizzazione della vita familiare e sociale, a una fuga accelerata verso la sfera del privato a tutti i livelli della società. (...) Il muro, il recinto è divenuto il simbolo della nostra epoca. Ogni edificio, ogni proprietà, ogni parrocchia, ogni casa, vengono recintati. E vengono chiusi fuori, ovviamente, gli "estranei", soprattutto quelli che non hanno una casa, un edificio o una proprietà in cui recingersi. (...)
L'ospitalità in mezzo a noi è sparita per l'affermazione del proprio individualismo e per la sfiducia che ciascuno di noi ha dell'altro. Rimane praticata tra i più poveri. Per la povera gente infatti l'ospitalità è sempre stato uno dei valori più genuini. La fraternità evangelica non esiste più quasi neppure come nome: i cristiani oggi non usano più chiamarsi "fratelli".
La Bibbia e la Tradizione cristiana, fedele alla Parola di Dio, hanno sempre considerato l'ospitalità una manifestazione tipica dell'amore fraterno e dell'amore verso tutti gli uomini. Più radicalmente ancora, il Vangelo connette strettamente la pratica dell'ospitalità con l'esercizio della fede. Ascoltare la parola vuol dire accoglierla. Marta e Maria "ascoltano" il Maestro perchè hanno accolto in casa loro quel povero galileo che " si trovava a passare di lì", come uno per il quale non c'era albergo e che "non aveva mai dove posare il capo". Per i giudei, la Parola, il Verbo, "venne in casa propria ma i suoi non lo ricevettero" (Gv. 1, 11).
I costumi diversi della nostra società non ci dispensano, anzi ci devono indurre più decisamente a riprendere come nostro modo di vivere questo esercizio di accoglimento e di ospitalità. I cristiani dimostrano a Dio Padre e al mondo di credere in Gesù Cristo solo quando accolgono realmente gli altri: i fratelli nella fede, gli uomini tutti, ma particolarmente i più poveri e indifesi con i quali Cristo si è identificato. I credenti in ogni "ospite" accolgono o respingono non solo "un angelo", un inviato dal Signore, ma il Signore stesso. Chi crede sente profondamente di essere stato accolto dal Padre in Cristo Gesù e continua finchè vive a dimostrare la gioia di questo accogliendo gli altri.
Accogliere tutti, senza preferenze di persona, è annunciare di fatto che tutti sono chiamati al Regno, alla familiarità con il Padre. Noi abbiamo paura a introdurre gli altri liberamente in casa nostra e nella nostra vita perchè consideriamo gli estranei come potenziali nostri nemici e dei saccheggiatori dei nostri beni. L'ospite, il povero è chiamato "beato" da Gesù; quando viene verso di me, mi porta niente di meno che la benedizione di Dio.