giovedì 11 agosto 2011

Nient'altro che tenebra.






Stupenda questa pagina di sant'Agostino. Per le nostre meditazioni sotto il sole di Agosto...

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Ascolta il Signore che "confessa": Ti confesso e ringrazio, Padre, Signore del cielo e della terra. Ti confesso, cioè "ti lodo". Lodo te, non accuso me. Per quanto riguarda il fatto d'aver presa la stessa natura umana, è tutto grazia, una grazia unica e completa. Che cosa meritava quell'uomo ch'è Cristo, se togli la grazia, una grazia così grande per cui occorreva che uno solo fosse Cristo e fosse proprio quello che noi conosciamo? Se togli via la grazia, di cui parliamo, che cosa sarebbe Cristo, se non un uomo, se non quel che sei tu? Prese un'anima, prese un corpo, prese l'intero uomo; lo unì a se stesso e così il Signore forma una sola persona con il servo. Quanto è grande questa grazia! Cristo è in cielo e in terra; Cristo è nello stesso tempo in cielo e in terra; non vi sono però due Cristi, ma il medesimo Cristo è in cielo e in terra. Cristo era nel Padre e nel grembo della Vergine; era sulla croce e negli inferi per portare soccorso a molti; ma lo stesso giorno Cristo era in paradiso con il buon ladrone che aveva confessato il suo peccato. E che cosa aveva meritato il ladrone, per essere lì, se non perché si tenne sulla via ove Dio aveva mostrato la salvezza portata da lui? Il tuo piede non esca da tale via. Poiché per il fatto d'essersi accusato aveva dato lode a Dio e resa felice la propria vita. Ebbe in verità fiducia di riceverla dal Signore e gli disse: Signore, ricordati di me quando sarai arrivato nel tuo regno. Considerava infatti i propri delitti e riteneva una grande grazia se fosse stato perdonato almeno alla fine della vita. Il Signore però, mentre quegli gli diceva: Ricordati di me; ma quando? quando sarai arrivato nel tuo regno, subito gli rispose: Io ti assicuro che oggi sarai con me in paradiso. La misericordia concesse ciò che la miseria aveva differito.
Ascolta dunque il Signore che "confessa": Confesso a te, Padre, Signore del cielo e della terra. Che cosa "confesso"? Per che cosa ti lodo? Quest'azione di "confessare" ha - come ho detto - il significato di lode. Perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai fatte conoscere ai piccoli. Che vuol dire ciò, fratelli? Dovete intenderlo nel senso contrario: Hai nascosto queste cose - dice - ai sapienti e agli intelligenti; ma non dice: "Le hai fatte conoscere agli stolti e agli stupidi", ma dice: Le hai nascoste, bensì, ai sapienti e agli intelligenti e le hai fatte conoscere ai piccoli. Ai superbi e agli intelligenti degni d'essere derisi, agli arroganti falsamente grandi, ma in verità gonfi di sé, oppose non gli stolti né gli stupidi, ma i piccoli. Chi sono i "piccoli"? Gli umili. Ebbene: Hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti. Egli stesso spiegò che sotto il nome di "sapienti e intelligenti" s'intendono i superbi, quando dice: E le hai fatte conoscere ai piccoli. Dunque: "Le hai nascoste a coloro che non sono piccoli". Che significa "ai non piccoli"? Significa: "ai non umili". E che significa "ai non umili" se non "ai superbi"? O via del Signore! O non c'era o era nascosta perché fosse fatta conoscere a noi! Perché il Signore esultò? Perché essa è stata rivelata ai piccoli. Dobbiamo essere piccoli, poiché se vorremo essere grandi, ritenendoci sapienti e intelligenti, non ci sarà rivelata. Chi sono i grandi? I sapienti e gli intelligenti. Affermando d'esser sapienti, son diventati stolti. Hai un rimedio nel contrario. Se, affermando d'essere sapiente, diventi stolto, chiamati stolto e sarai sapiente. Ma dillo sul serio, dillo nel tuo intimo, poiché è come tu dirai. Se lo dici, non dirlo davanti alla gente e non tacerlo davanti a Dio. Per quanto riguarda te stesso e le tue facoltà, sei del tutto pieno di tenebre. Che cos'altro infatti è essere stolto, se non essere tenebroso nel cuore? Così in effetti di essi la Scrittura afferma: Dicendo d'essere sapienti son divenuti stolti. E prima di fare quest'affermazione, che cosa dice d'altro? E il loro cuore stolto si ottenebrò. Tu devi dire che non sei luce a te stesso. Al massimo sei un occhio, non sei luce. A che giova un occhio aperto e sano, se manca la luce? Di' dunque che la luce non proviene da te e grida ciò che dice la Scrittura: Tu, o Signore, darai luce alla mia lampada; con la tua luce, Signore, illuminerai le mie tenebre. Io non sono altro che tenebre, tu invece sei la luce che fuga le tenebre e che m'illumina; luce per me che non si sprigiona da me, bensì luce ch'è parte di quella che proviene da te.
Agostino di Ippona, Discorsi 67, 4-7. 5-8.