lunedì 24 ottobre 2011

Chi ama brucia

Oggi 24 ottobre abbiamo ricordato:

S. ANTONIO MARIA CLARET (1807-1870), vescovo


Fu una delle personalità più rilevanti della Spagna cattolica del secolo XIX. Una figura creativa e lungimirante, dinamica e disposta a correre qualsiasi rischio a fin di bene, frenetica nell’elaborare progetti e audace nello sfornare idee, contemplativa e instancabilmente attiva.
Ricca di doni di natura e di grazia, fece della sua vita di sacerdote e pastore un’opzione fondamentale al servizio dell’evangelizzazione dell’umanità.



1. LA VOCAZIONE AL SACERDOZIO E L’INIZIO DEL SUO SERVIZIO PASTORALE

Antonio Claret nacque in Spagna, a Sallent, una cittadina della Catalogna del nord, il 23 dicembre 1807. I suoi genitori, Giovanni Claret Xambó e Giuseppina Clara Rodoreda, si dedicavano al lavoro della terra e del telaio. Dopo i primi studi, Antonio espresse il desiderio di farsi sacerdote, ma i genitori non erano in condizioni economiche di poterlo accontentare. Per questo, egli dovette sperimentare, con buoni risultati, la fatica dell’operaio tessile, vivendo in prima persona i valori e i rischi del processo di industrializzazione in atto nella città di Barcellona, dove cominciava ad emergere un proletariato di tendenza anticlericale, condizionato dall’idea che la chiesa fosse schierata a favore dei ricchi. Lasciata cadere l’occasione di avere una fabbrica in proprio, nel 1829 Antonio intraprese gli studi superiori nel seminario di Vich e scelse come guida spirituale il padre dell’Oratorio, Pietro Bach (+ 1866), che consultò anche in seguito sui gravi problemi con i quali dovette misurarsi. Terminati gli studi filosofici e teologici, il 13 giugno 1835, mentre in Spagna ferveva la persecuzione contro la chiesa, venne ordinato sacerdote; il 25 luglio ricevette la licenza per confessare, e il 2 agosto, come coadiutore del parroco di Sallent, iniziò questo suo particolare ministero di grazia e di misericordia che, insieme a quello della predicazione, svolse con sempre rinnovato impegno durante tutta la sua vita.
Il decreto di nomina a parroco di Sallent porta la data del 29 ottobre 1837. Il Claret si distinse subito per la sua assidua e prolungata orazione mentale e vocale, il suo spirito di sacrificio e la preferenza per la mortificazione corporale. Egli estese la sua attività pastorale a tutti i campi: dal catechismo a piccoli e grandi alla predicazione, all’istruzione spicciola nelle più svariate circostanze, alla visita degli ammalati e all’assistenza ai poveri. La sua operosità apostolica e la sua carità pastorale non conoscevano soste. Nonostante questa sincera dedizione al servizio di Dio e del prossimo, Claret rimaneva insoddisfatto e incerto. Intuiva che il suo zelo apostolico e l’ardore del suo spirito avevano bisogno di spazi più ampi per espandersi. Decise quindi di rinunciare alla parrocchia e, dopo essersi consigliato con padre Bach, partì per Roma ai primi di settembre del 1839 con l’intenzione di mettersi a disposizione di Propaganda Fide per le missioni estere.
Fatti in Roma gli esercizi spirituali ignaziani, Claret entrò come novizio nella Compagnia di Gesù. Ma venne dimesso a causa di una improvvisa malattia e, dietro consiglio del padre Giovanni F. Roothan, generale della Compagnia di Gesù, fece ritorno in Spagna.
Il 13 maggio 1840 prese possesso, come rettore interino, della parrocchia di Valadrau, un villaggio mantagnoso in provincia di Gerona, abitato da tagliatori di legna e da carbonai e da pochi agricoltori e pastori. Egli condivise in tutto la vita dei suoi parrocchiani, li assistette spiritualmente, dicendo la parola appropriata a ciascuna categoria di persone, e li aiutò anche materialmente, interessandosi di erbe dai poteri curativi e di medicina per sovvenirli in casi urgenti di infermità o di infortuni.
Tutto questo creò un’atmosfera di comprensione e di fiducia tra lui e la gente, ed egli se ne servì per portare Dio alle persone e le persone a Dio.



2. LE MISSIONI POPOLARI, GLI ESERCIZI SPIRITUALI E L’APOSTOLATO CATECHISTICO

Dal 15 al 24 agosto 1840 Claret organizzò la prima « missione » o predicazione popolare nella sua parrocchia, incentrata sull’insegnamento della dottrina cristiana e sulla preparazione alla recezione dei sacramenti. Avviò così un’attività evangelizzatrice e missionaria, destinata a passare alla storia e a fare molto bene.
Dopo la missione di Valadrau, si moltiplicarono gli inviti al Claret perché predicasse la missione in altre parrocchie. Vedendo i frutti spirituali che ne derivavano, egli chiese alla curia di Vich la dispensa dall’incarico parrocchiale per dedicarsi totalmente alle missioni popolari e agli esercizi spirituali a beneficio delle popolazioni della Catalogna (1841-1847). Nel 1841 gli venne- affidato il quaresimale nel duomo di Vich. L’afflusso degli ascoltatori fu grande e i commenti furono entusiasti.
I successi del Claret dispiacquero alle autorità civili, che gli proibirono di predicare. Il Vicario della diocesi lo consigliò di sottostare all’ingiusta imposìzione e di accettare il trasferimento nella parrocchia di sant’Andrea de Pruit, nella provincia di Gerona, dove riprese a predicare le missioni, dopo aver ottenuto dalla Santa Sede il titolo ufficiale di Missionario Apostolico (9 luglio 1841).
Nel mese di maggio del 1842, nominato «vicario» nella parrocchia di san Giovanni de Oló, Claret spese le sue migliori energie a pacificare gli animi divisi a motivo delle ricorrenti lotte fra fazioni politiche. Giunto il nuovo parroco, egli poté dedicarsi finalmente senza remore al grande compito missionario. Predicò al popolo, alle religiose e ai sacerdoti in diverse città e villaggi della Catalogna. Per contrastare il diffuso vizio della bestemmia, il 5 aprile 1845 istituì la « Società spirituale di Maria Santissima contro la bestemmia ». Molti fedeli vi si iscrissero, impegnandosi a combattere l’abominevole vizio. La parola semplice, convinta e illuminante del Claret manifestava la misura intensa con cui viveva le verità che annunciava, e spingeva alla conversione quanti lo ascoltavano.
Frutto di queste sue esperienze missionarie fu l’ininterrotta opera pubblicistica, a partire dal 1843 fino alla morte. Annualmente egli riuscì a dare alle stampe diversi opuscoli, tra cui una serie di contenuto ascetico-esortativo per i vari stati di vita e le varie età. Un suo libro di pietà, tra i più diffusi nella Spagna del secolo XIX, dal titolo Cammino retto e sicuro per arrivare al cielo, dato alle stampe nel 1844 e successivamente ampliato, nel 1866 contava già mezzo milione dì copie distribuite. Una menzione particolare merita il suo intelligente apostolato catechistico.
Durante le missioni in Catalogna, egli compose tre catechismi: il Catechismo minore per i bambini, il Catechismo medio, che riproduceva una sintesi della dottrina cristiana per i giovani e per gli adulti; e, infine, ilCatechismo spiegato con illustrazioni e spiegazioni, che fecero di questo libro una delle opere maestre della catechesi del secolo scorso. Redasse pure un catechismo unico per le diocesi di Spagna, ispirandosi al contenuto dei sei migliori catechismi che circolavano nella Penisola. Inoltre, propose e sostenne l’idea di un catechismo unico per la chiesa universale. Nel 1847 si riaccesero le lotte tra costituzionalisti e Carlisti, che provocarono nuovi scontri e divisioni tra le popolazioni della Catalogna.
La stessa predicazione del Claret subì un arresto. Invitato dal neoeletto vescovo delle Canarie, il padre vincenziano Bonaventura Codina, egli partì per quelle lontane isole, dove per due anni (1847-1849) seminò a larghe mani la parola di Dio e parlò alle popolazioni dell’amore salvifico di Cristo, invitandole alla conversione e a un serio impegno di vita cristiana.
Quando s’imbarcò sul veliero « Maddalena », che lo riportava in Spagna, il missionario lasciò un grande rammarico in tutti coloro che avevano avuto la possibilità di ascoltarlo e di usufruire del suo ministero pastorale. Durante l’assenza dalla Spagna alcune sue attività erano rimaste sospese. Fin dal 1846 aveva fondato un’Associazione spirituale e pratica di persone che davano periodicamente offerte in denaro per sostenere la diffusione dei buoni libri. Di lì sorse la « Libreria religiosa », la quale, dotata delle rotative più perfette esistenti in quel tempo, mirava a inondare la Spagna di buoni libri, accessibili al grande pubblico e di prezzo modico.
Nei primi diciannove anni di vita la Libreria sfornò 9.568.000 volumi, in genere di piccolo formato.



3. LA FONDAZIONE DI DUE ISTITUTI DI PERFEZIONE

Ma l’opera che più stava a cuore a padre Claret era la fondazione di una congregazione religiosa, che si consacrasse all’evangelizzazione dei popoli. Fin dai primi anni del suo sacerdozio, egli aveva cercato collaboratori per la riuscita della sua predicazione missionaria. Per i suoi primi dieci compagni di missione aveva chiesto al papa Gregorio XVI alcune facoltà: 1) di poter usare l’altare portatile in caso di necessità; 2) di benedire rosari, medaglie, crocifissi e altre immagini con l’applicazione delle indulgenze; 3) di concedere l’indulgenza plenaria ai fedeli assistiti in punto di morte; 4) di largire l’indulgenza plenaria al termine delle missioni e degli esercizi spirituali. Le facoltà furono concesse da Propaganda Fide per cinque anni. Ciò indusse il Claret, insieme con i suoi collaboratori, a istituire una « Associazione di sacerdoti per onorare Maria Santissima», animati da un forte spirito missionario.
Solo dopo il ritorno dalla sua missione nelle isole Canarie, il Claret si interessò più direttamente alla nuova fondazione. Il 16 luglio 1849, nella solennità della Madre del Carmine, in una cella del seminario di Vich si riunirono sei sacerdoti, tra cui il quarantaduenne Antonio Claret, i quali s’impegnarono a portare avanti insieme una vita di studio, di preghiera, di apostolato missionario, di povertà e di carità verso i bisognosi. Da questo manipolo di uomini di spiccata tempra spirituale e apostolica e assai differenziati per temperamento e gusti intellettuali, nacque la Congregazione dei Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria, destinata a compiere sulle orme del fondatore una vasta attività evangelizzatrice. Nel 1850 il Claret fondò anche le Figlie del Cuore di Maria, che formano l’attuale Istituto secolare Filiazione Cordimariana.



4. IL LAVORO MISSIONARIO A CUBA

Giuntagli inaspettata la notizia della sua preconizzazione ad arcivescovo di Santiago di Cuba, padre Claret cercò di far presenti le difficoltà che si frapponevano a tale accettazione, ma poi obbedì alla richiesta dell’autorità ecclesiastica. La consacrazione episcopale avvenne il 6 ottobre 1850 nel duomo di Vich con grande partecipazione di popolo. Il 28 dicembre dello stesso anno l’arcivescovo Claret, accompagnato da tredici missionari, salpava dal porto di Barcellona per la nuova destinazione. Durante la traversata dell’Atlantico dettò a bordo una missione che portò tutti alla riconciliazione con Dio. Sbarcò a Cuba il 16 febbraio 1851 e il 18 marzo seguente fece il suo solenne ingresso nella cattedrale, salutato da una marea di folla esultante.
Cuba è la maggiore delle isole Antille: ha un perimetro di quasi 3 700 chilometri e 118.833 chilometri quadrati di superficie, compresi i 3145 dell’isola dipendente di Pinos. Nel censimento del 1854 contava una popolazione di 1.009.000 abitanti (altri hanno parlato per quel medesimo tempo di 1.400.000), di cui 502.000 bianchi, 177.000 di colore in condizione libera e 330.000 schiavi. L’arcidiocesi di Santiago, insieme alle altre giurisdizioni da essa dipendenti, nel 1851 raggiungeva il numero di 241.562 abitanti e si estendeva su una superficie di 55.000 chilometri quadrati. Il Claret, il cui spirito era aperto verso tutto il mondo, poteva avere l’impressione che il campo di lavoro missionario assegnatogli fosse troppo angusto rispetto a quello che aveva dovuto lasciare in Spagna. In verità, non tardò ad accorgersi che le necessità spirituali e materiali della popolazione della sua arcidiocesi erano tali da permettergli di soddisfare pienamente le sue aspirazioni apostoliche. In quel tempo la società cubana era travagliata da gravi problemi. Vi era lo squilibrio sociale fra una minoranza benestante, composta da europei, e una maggioranza di lavoratori poveri e mal retribuiti, formata da neri, da cinesi, da meticci e da nativi. La schiavitù, benché fosse proibita dalla legge spagnola, continuava ad essere largamente praticata da padroni senza scrupoli, alimentando rancori e desideri di rivincita da parte degli sfruttati e degli emarginati. A tutto questo si doveva aggiungere la dilagante immoralità e il moltiplicarsi delle unioni illegittime con uno strascico di figli abbandonati a se stessi.
Le condizioni della chiesa cubana in generale e di quella di Santiago in particolare erano tutt’altro che rosee. Rimasta senza Pastore per quattordici anni, 1’arcidiocesi di Santiago manifestava segni di rilassamento disciplinare e di sbandamento morale nel clero e nei fedeli. Da oltre trent’anni il seminario non produceva una sola ordinazione sacerdotale. Tra i 125 sacerdoti in attività, di cui 40 erano dediti alla cura pastorale in altrettante parrocchie, molto estese, non mancavano quelli che erano venuti meno ai loro obblighi sacerdotali. Anziché lasciarsi scoraggiare dalla situazione, il Claret affidò la sua nuova missione alla protezione materna della Vergine Maria e consacrò tutte le sue energie per migliorarla, dimostrando fiducia, pazienza e capacità di adattamento. Nei suoi «Appunti » si legge che egli si proponeva sull’esempio di Cristo, buon Pastore, di essere caritatevole, prudente, forte, modesto e povero.


4.1. Strategia pastorale

Senza perdere tempo, il presule abbozzò una sua strategia pastorale, che, rivista secondo le esigenze, cercò di realizzare, non senza difficoltà e resistenze. Egli lavorò, anzitutto, per portare nell’isola nuovi membri di Ordini religiosi. Ottenne un collegio dei Gesuiti e due degli Scolopi per l’educazione della gioventù. Riuscì ad avere anche alcune Figlie della Carità per l’assistenza agli ammalati negli ospedali. Mancavano però religiose per l’istruzione delle fanciulle. Claret non aveva dimenticato l’incontro personale che a metà gennaio del 1850 aveva avuto in Spagna con la signorina Antonia París, che gli aveva manifestato il piano di fondazione di un Istituto apostolico femminile. La invitò a raggiungerlo a Cuba. Questa accolse l’invito con altre quattro aspiranti, e vi giunse il 26 maggio 1852. Il 25 agosto 1855 nasceva così l’Istituto delle Suore di Maria Immacolata (o Missionarie clarettiane) per l’educazione cristiana della gioventù femminile. Il Claret riservò le sue premure al nuovo Istituto.
Nei sette anni di permanenza a Cuba (18501857), l’arcivescovo seppe distribuire e valorizzare le migliori forze di cui disponeva: fondò una « Fraternità della dottrina cristiana », aperta a sacerdoti, seminaristi e laici, il cui scopo era l’educazione alla fede dei bambini, dei giovani e degli adulti; diffuse innumerevoli volantini e stampati vari di contenuto religioso; scrisse opuscoli su svariati argomenti e cinque lettere pastorali; organizzò con un gruppo di missionari cicli di missioni popolari con grande concorso di popolo e consolanti frutti spirituali; fece tre visite pastorali, percorrendo 1’arcidiocesi da un capo all’altro, e la quarta dovette interromperla drammaticamente.
Ascoltando il Claret, i fedeli avevano la chiara sensazione che quell’uomo di bassa statura, venuto dalla Spagna, bruciava dal desiderio di amare come Cristo ama e di portare a tutti i frutti del suo amore salvifico. Lo dimostrava animando personalmente le missioni popolari, volte a evangelizzare la gente e a sostenerla nella pratica della vita cristiana, e con le visite pastorali che, secondo i suoi appunti, avevano la finalità di vedere quale culto si rendesse a Dio, alla Vergine e ai santi, come vivessero i parroci e il popolo, e come governassero nello spirituale e nelle realtà temporali. Convinto che la missione del Pastore è quella di conoscere le proprie pecore e di farsi conoscere da loro, egli scelse di vivere col gregge, vegliarlo e pascerlo.


4.2. Formazione del clero

Una delle preoccupazioni più vive del Claret fu quella di riordinare il seminario, luogo di formazione dei futuri sacerdoti, dai quali dipende l’evangelizzazione e il rinnovamento spirituale del popolo. Per i seminaristi l’arcivescovo elaborò un aggiornato piano di studio e un regolamento interno con una serie di impegni giornalieri, settimanali, mensili e annuali, che dovevano orientare nel discernimento della verità di una vocazione. Fra gli impegni annuali vi erano gli esercizi spirituali a corsi ultimati; una tre giorni di spiritualità per introdurli; l’esame su ogni disciplina a fine anno scolastico; e una pubblica dissertazione per gli studenti di filosofia e di teologia. La formazione dei seminaristi era affidata ad alcuni tra i più stretti collaboratori dell’arcivescovo. I frutti non mancarono. Nell’arco di sette anni, il Claret ebbe la gioia di procedere a 36 nuove ordinazioni.
Ma se la riforma del seminario era urgente, non lo era meno il ricupero dei sacerdoti al genuino spirito di dedizione e di sacrificio, che li doveva distinguere nell’esercizio del loro ministero, svolto spesso in precarie condizioni morali e in mezzo a crescenti difficoltà economiche. Il Claret comprese che era prima di tutto doveroso assicurare ai sacerdoti un trattamento economico decoroso, che permettesse loro di consacrarsi a pieno tempo alla cura pastorale. A tal fine rinunciò a parte delle sue entrate e ottenne dalle autorità civili un aiuto in denaro a vantaggio del clero. Risolto il problema economico, urgeva invogliare i sacerdoti a ricuperare i valori dello spirito e l’amore allo studio. Tre furono in particolare i mezzi di cui si servì per raggiungere questi scopi: gli esercizi spirituali predicati secondo il metodo classico ignaziano, i corsi accelerati di aggiornamento culturale e le conferenze ecclesiastiche.
Ogni anno i sacerdoti secolari sotto la sua giurisdizione erano obbligati a fare gli esercizi spirituali, diretti dallo stesso Claret. Ogni mese si doveva riservare un giorno al Ritiro spirituale. Per supplire alla mancanza di formazione culturale e teologica del clero, il presule istituì dei corsi di aggiornamento della durata di un mese da tenersi nel seminario, a gruppi e a turno, ogni anno. Le conferenze ecclesiastiche consistevano in tre incontri settimanali da tenersi in varie parti dell’arcidiocesi: uno era di argomento liturgico e gli altri due di argomento morale. Indirizzò pure al clero la prima lettera pastorale, preparò un Prontuario per l’amministrazione dei santi sacramenti e l’opuscolo dal titolo La chiave d’oro, un vero compendio di teologia morale per orientare nel delicato compito delle confessioni. Con questi mezzi il Claret intendeva promuovere sia la santità sia lo studio e l’impegno missionario dei suoi sacerdoti. Il suo palazzo episcopale divenne la casa del clero. Le sue porte erano aperte a quanti desiderassero incontrarsi e parlare con lui, oppure avessero avuto bisogno di ospitalità. La maggior parte del clero corrispose alle attenzioni del Claret. Vi furono tuttavia alcuni che persistettero in una condotta non rispondente al loro stato. Con questi l’arcivescovo, dopo averli ammoniti paternamente ma con fermezza, applicò le sanzioni del diritto canonico, sempre disposto ad annullarle quando si fossero ravveduti.
Il riordinamento del seminario e il rinnovamento culturale, disciplinare e morale del clero miravano a preparare sacerdoti capaci di promuovere con l’annuncio della Parola di Dio, ma anche con la testimonianza della propria vita, la riforma dei costumi nel popolo attraverso una evangelizzazione capillare.


4.3. Visite pastorali

Spinto dalla carità di Cristo, il Claret non risparmiò fatiche e sacrifici nella sua premurosa azione pastorale a favore del popolo. Accompagnato da alcuni missionari, egli percorse più volte la vasta arcidiocesi. Attraversò fiumi, foreste, montagne e lande sterminate, in barca, a dorso di mulo o a piedi, per raggiungere città, villaggi, fattorie e sperduti casolari, al fine di incontrare la sua gente, condividerne le gioie e le afflizioni, catechizzarla e spronarla a vivere onestamente. Nei suoi incontri con le popolazioni, il Claret predicava, amministrava i sacramenti, denunciava l’immoralità pubblica e privata, ammoniva i renitenti, invitava alla conversione, sanava le unioni illegittime, esortava alla pacificazione e concordia, celebrava l’Eucaristia, visitava gli infermi e i carcerati, s’interessava dei poveri sovvenendoli con elemosine, si appellava alle ragioni politico-sociali e religioso-morali che esigevano la liberazione degli schiavi, non badando ai rancori che si attirava da parte dei negrieri.
Esiste una statistica curiosa della sua prima visita pastorale. Un suo collaboratore ebbe la felice idea di annotare giorno per giorno l’esito dell’azione apostolica: le comunioni ammontarono a 73.447; le cresime a 97.070; i matrimoni legittimati furono 8.577; i divorziati riuniti 210. Inoltre vennero distribuiti gratuitamente 98.217 volantini e opuscoli, 89.500 immaginette, 20.600 corone del rosario e 89.313 medaglie. Nei casi di pestilenze e di terremoti non mancava mai l’aiuto e la stessa presenza, se possibile, dell’arcivescovo, intento a confortare e a sostenere i colpiti da qualche disgrazia.
Egli stabilì le prime Casse di risparmio dell’America latina a difesa e a vantaggio delle classi più umili della società. Per stimolare il progresso agricolo, provvide alla pubblicazione di dispense e di opuscoli riguardanti questioni pratiche di agricoltura, botanica e meccanica. Aprì a Porto Principe una scuola tecnica e una tenuta modello per giovani operai e agricoltori. Lo sviluppo di quest’opera caritativa e sociale fu interrotto dall’opposizione degli avversari dell’arcivescovo.
I positivi risultati apostolici del Claret e dei suoi più vicini collaboratori, le sue esplicite prese di posizione contro le unioni matrimoniali illegittime, le sanzioni applicate nei confronti di alcuni sacerdoti poco esemplari e i suoi interventi a favore della liberazione degli schiavi provocarono diffuse ostilità. Lettere anonime e calunniose vennero fatte circolare clandestinamente contro l’arcivescovo, minacciando vendetta. Il 1 ° febbraio 1856, il Claret aveva appena iniziato la sua quarta visita pastorale a Holguín. Finita la predica, stava facendo ritorno in canonica accompagnato dal vicario foraneo, quando un sìcario prezzolato, di nome Antoni- Abad Torres, con un rasoio gli vibrò nell’oscurità un fendente che gli squarciò tutta la faccia fino a raschiare l’osso della mandibola superiore e di quella inferiore. La notizia suscitò sdegno e costernazione. Claret rimase fortemente scosso e dovette interrompere la visita pastorale e sottomettersi ad un periodo di convalescenza. Di fronte al persistere delle intimidazioni, l’arcivescovo decise di scrivere a Pio IX per sapere se dovesse continuare nel suo incarico di Pastore. Il Papa lo consigliò di rimanere.



5. RITORNO IN SPAGNA E PROSECUZIONE DEL SUO ZELO APOSTOLICO

Terminata la convalescenza, Claret riprese il suo ministero apostolico, ma il 18 marzo 1857 un’ingiunzione reale, sottoscritta dal segretario di Stato, lo richiamava in patria. Giunse a Madrid il 26 maggio. La regina Isabella II lo ricevette subito in udienza per comunicargli che lo aveva scelto come suo confessore. Vistosi nell’impossibilità di rifiutare il nuovo incarico, il Claret, prima di accettarlo, pose tre condizioni: di non essere costretto a occuparsi di politica; di restare libero di dedicarsi all’apostolato, una volta compiuti gli obblighi inerenti al suo ufficio; di non dover fare anticamera, quando si trattava di parlare con la regina.
L’ambiente della Corte era saturo di mondanità e distratto da molti divertimenti. Il Claret comprese che non avrebbe potuto cambiare la situazione d’un colpo. Si mise a disposizione della regina e di quanti richiedevano l’esercizio del suo ministero pastorale. Attese alla predicazione, all’istruzione religiosa sistematica e spicciola, alle confessioni, alle celebrazioni liturgiche, e introdusse a Corte la pratica degli esercizi spirituali, favorendo in tal modo un processo di moralizzazione e di rinnovamento spirituale. Il suo influsso su Isabella II fu grande e giovò a migliorare alcune leggi e a promuovere la scelta di buoni vescovi.
Chiamato all’incarico di presidente dell’opera dell’Escorial, Claret istituì nel reale monastero di san Lorenzo una comunità di ecclesiastici, i quali dovevano provvedere al decoro del culto e all’insegnamento primario, secondario e superiore; riorganizzò il seminario, aperto anche ad alunni poveri, con un piano di studi moderno e aggiornato; pubblicò II collegiale istruito, in due volumi, contenente una serie di norme e di suggerimenti, adatti alla formazione di un futuro sacerdote; e redasse pure lo scritto intitolato La vocazione dei bambini, di orientamento pedagogico, utile a risvegliare e a promuovere la chiamata di Dio. Le attività svolte a Corte e a favore dell’opera dell’Escorial non assorbivano tutte le sue energie. Egli trovava ancora tempo a dare missioni in diverse chiese, a visitare comunità religiose, a predicare gli esercizi spirituali a tutte le categorie di persone, a confessare più ore al giorno, a presenziare celebrazioni liturgiche o di altro genere in vari centri di beneficenza, a sostenere i fondatori e le fondatrici di nuove congregazioni, a interessarsi dei Gesuiti, Lazzaristi, Scolopi, Cappuccini, Redentoristi e Mercedari, a imprimere un ritmo di crescita al suo Istituto, a promuovere 1’« Accademia di san Michele », destinata a riunire letterati e artisti, i quali fossero in grado di fronteggiare una certa cultura lassista del tempo con una cultura ancorata ai principi cristiani, e a introdurre e diffondere le biblioteche popolari e parrocchiali.
Tra il 1858 e il 1866 il governo propose a Isabella II un susseguirsi di viaggi attraverso tutta la Spagna per consolidare la monarchia, insidiata da intrighi e agitazioni politiche. Il Claret accompagnò la regina e approfittò dell’inattesa circostanza per svolgere dovunque una prodigiosa attività missionaria a favore delle popolazioni visitate con la predicazione, la catechesi, i contatti personali, la diffusione di volantini e di stampati vari di contenuto religioso. Per questo suo lavoro instancabile, il confessore della regina meritò il titolo di apostolo della Spagna.
In mezzo a tutta questa febbrile attività, il Claret trovava il tempo per intrattenersi a lungo in preghiera e darsi alla contemplazione, soprattutto nelle ore notturne, praticare una dura ascesi, mantenere una fitta rete di relazioni epistolari e pubblicare nuovi libri. Il catalogo dei suoi scritti comprende intorno a 120-130 titoli tra opuscoli e libri, e circa 1700 lettere: a ciò si devono aggiungere 18 volumi di manoscritti di appunti, schemi di sermoni, pensieri, suggerimenti, esortazioni, ecc. Intanto, un fatto curioso era intervenuto a turbare i rapporti del Claret con Isabella 11. Il 15 luglio 1865, il governo spagnolo, presieduto da Leopoldo O’Donnel y Jorris, aveva strappato alla regina la firma del riconoscimento del regno d’Italia, che aveva scelto Roma come capitale senza rispettare i plurisecolari diritti del Papato sulla città. L’incondizionata fedeltà e adesione a Pio IX spinsero il Claret a chiedere l’esonero dall’incarico di confessore di Isabella II. Recatosi a Roma fu ricevuto due volte in udienza dal Papa, cui riferì sulla situazione spagnola. Consultò anche il segretario di Stato, il cardinale Giacomo Antonelli, che lo esortò a riprendere l’ufficio di confessore presso Isabella II. Il Claret obbedì e riportò la pace nella vita di lei e nella famiglia reale, che continuò ad accompagnare nei viaggi attraverso la Spagna e il Portogallo, suscitando ammirazione per il suo zelo missionario.
Tutto questo non fece che accrescere le reazioni subdole e palesi degli anticlericali e degli antimonarchici, i quali intensificarono la campagna di volgari calunnie, diffamazioni e minacce contro l’arcivescovo, ritenuto il maggiore responsabile della stima che la popolazione spagnola nutriva verso la regina. Basti pensare che durante l’esercizio del suo ministero apostolico subì quattordici attentati. Scoppiati i moti rivoluzionari del 1868, Claret accompagnò i reali nel loro esilio in Francia, prima a Pau, poi a Parigi, dove attese alla cura pastorale degli emigrati spagnoli e degli ispano-americani largamente rappresentati nella capitale francese.
Non si limitò a predicare, confessare e amministrare i sacramenti. Vedendo lo stato miserevole in cui molti di loro versavano, fondò una conferenza della « Sacra Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe » per la loro assistenza morale e materiale. Accortosi poi dei crescenti intrighi politici, alimentati presso i reali dagli esuli che desideravano ricostruire per la loro patria un avvenire monarchico, si congedò definitivamente da Isabella II con la scusa di doversi recare a Roma per le feste giubilari di Pio IX. Prese stanza nel convento di sant’Adriano dei Padri mercedari, presso il Foro romano. Il 24 aprile 1869 fu ricevuto in udienza privata dal Papa. In attesa dell’inizio del Concilio Vaticano I, il Claret passava ore in orazione, confessava, sebbene avesse difficoltà a parlare l’italiano, e proseguiva il suo apostolato della penna.
Il Concilio Vaticano I venne inaugurato 1’8 dicembre 1869. Il Claret s’immerse corpo e anima nei lavori dell’assise ecumenica, offrendo un valido contributo alla discussione sulla convenienza di adottare un catechismo unico per la Chiesa universale e alla definizione dell’infallibilità personale del Papa. L’eccessiva calura dell’estate romana aveva inciso negativamente sulla sua già precaria salute. Allora il padre Giuseppe Xifré, superiore generale dei Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria, si recò a Roma e convinse il fondatore a trasferirsi in Francia nella residenza di Prades.
Ricercato dal governo anticlericale di Spagna, che lo considerava un pericoloso nemico della rivoluzione, il Claret dovette rifugiarsi nel monastero cistercense di Fontfroide, presso Narbona, dove morì il 24 ottobre 1870, lasciando un grande rimpianto nei confratelli e conoscenti, che avevano potuto vedere da vicino la sua modestia, il suo zelo missionario, il suo spirito di preghiera e la sua santità. Fu beatificato da Pio XI il 25 febbraio 1934 e canonizzato da Pio XII il 7 marzo 1950.



6. PROFILO SPIRITUALE

Quale l’asse portante di tutta la vita del Claret e della sua azione missionaria? La carità. Egli aveva adottato come motto del suo stemma episcopale la frase di san Paolo: «L’amore del Cristo ci spinge » (2 Cor 5,14). L’espressione paolina è quella che meglio sintetizza la sua spiritualità apostolica. «L’amore è la virtù essenziale », scrisse nella sua Autobiografia, n. 438. « Lo dico e lo ripeto: la virtù di cui ha maggiormente bisogno il missionario è l’amore. Il missionario deve amare Dio, Gesù Cristo, la Madonna e i fratelli. Mancando di amore, egli vanifica tutte le sue qualità; ma se l’amore informa la sua vita, il missionario ha tutto ». « L’amore rende vibrante la parola che annuncia il messaggio divino » (Autobiografia, n. 439).
Cristo povero, umile e mansueto, consacrato e inviato dal Padre a evangelizzare i poveri (Lc 4,18), fu il modello cui il Claret ispirò tutto il suo apostolato. Egli concepì la sua vocazione e la sua missione come attualizzazione della missione universale di salvezza del Cristo. Per questo si sforzò di configurarsi a lui, di vivere in rapporto vitale con lui, di intrattenersi con lui nella preghiera, di imitarlo e di testimoniarne l’amore verso gli uomini con la predicazione della parola, il servizio e la continua immolazione della propria vita. In tal modo, il graduale processo di interiorizzazione dei tratti salienti della vita del Signore Gesù lo trasformò in una viva trasparenza della carità di Cristo.
All’imitazione di Cristo Claret congiunse una filiale devozione al Cuore Immacolato di Maria, cui affidò la sua vita e tutte le sue opere, sollecitandone la protezione e il coinvolgimento nell’esercizio del suo ministero apostolico. La pregava all’inizio di ogni missione così: « Sapete che sono vostro figlio e vostro ministro, da voi stessa formato nella fornace del vostro amore e della vostra misericordia. Io mi sento come una freccia nella vostra mano potente » (Autobiografia, n. 270). Era convinto che Maria è la Madre che genera, forma, accompagna, sostiene e incoraggia coloro che si dedicano alla diffusione del Vangelo. L’imitazione di Cristo, apostolo del Padre per la salvezza degli uomini, e la devozione tenera alla Vergine santissima spinsero il Claret a donarsi senza soste al servizio della Chiesa, al suo rinnovamento spirituale e alla riforma delle sue istituzioni. E interessante il fatto che nelle sue Note di un piano per conservare la bellezza della Chiesa, scritto nel 1857 e ripubblicato nel 1865, egli esponesse un abbozzo di programma profetico di riforme, che prevedeva la convocazione di concili ecumenici, riunioni di vescovi, vita comune per il clero secolare, indipendenza dal potere politico e vita di povertà.
Il Claret fu un grande mistico e insieme un infaticabile uomo d’azione. La sua vita contemplativa, arricchita di grazie straordinarie, s’accompagnò a un’inesauribile attività evangelizzatrice e apostolica.
L’ideale che egli tracciò nella sua Autobiografia per i suoi missionari non è che il ritratto della sua vita di parroco e predicatore popolare, di missionario itinerante e di arcivescovo residenziale, di confessore della regina Isabella II e di scrittore, di fondatore di Istituti di perfezione e di Padre del Concilio Vaticano I: « Un figlio del Cuore di Maria è un uomo che arde di carità e che brucia ovunque passi.
Desidera efficacemente e procura in ogni modo di accendere nel mondo la fiamma del divino amore. Nulla lo arresta, gode delle privazioni, affronta il lavoro, abbraccia il sacrificio, resiste alle calunnie, si rallegra nei tormenti. Null’altro chiede se non di seguire Cristo nella fatica, nel dolore, nella proclamazione del Regno di Dio e nella salvezza degli uomini» (Autobiografia, n. 494).

* * *

Dalle «Opere» di sant’Antonio Maria Claret, vescovo
Mossi dal fuoco dello Spirito Santo, gli apostoli percorsero tutta la terra. Accesi dallo stesso fuoco i missionari apostolici raggiunsero, raggiungono e raggiungeranno i confini del mondo da un polo all’altro della terra per annunziare la parola di Dio, così da poter giustamente applicare a sé quelle parole dell’apostolo Paolo: «L’amore di Cristo ci spinge» (2 Cor 5, 14). La carità di Cristo ci sprona, ci spinge a correre e a volare, portati sulle ali di un santo zelo. Chi ama davvero, ama Dio e il prossimo. Chi é davvero zelante é anche amante, ma in un grado più alto, secondo il grado dell’amore; di modo che quanto più arde d’amore, tanto più é spinto dallo zelo. Se qualcuno non ha zelo, questo sta a testimoniare che nel suo cuore l’amore e la carità sono spenti. Chi é zelante, brama e compie cose sublimi e lavora perché Dio sia sempre più conosciuto, amato e servito in questa e nell’altra vita. Questo santo amore, infatti non ha fine. La stessa cosa fa con il prossimo. Desidera e procura sollecitamente che tutti siano contenti su questa terra e felici e beati nella patria celeste; che tutti si salvino, che nessuno si perda per l’eternità, né offenda Dio e resti, sia pure un istante, nel peccato. Così fecero i santi apostoli e tutti quelli che furono mossi da spirito apostolico.
Io dico a me stesso: Il figlio del Cuore immacolato di Maria é una persona che arde di carità e dovunque passa brucia. Desidera effettivamente e si dà da fare con tutte le forze per infiammare gli uomini con il fuoco dell’amor divino. Non si lascia distogliere da nulla, gode delle privazioni, affronta le fatiche, abbraccia i travagli, si rallegra delle calunnie, é felice nei tormenti. A null’altro pensa se non come seguire Gesù Cristo e imitarlo nella preghiera, nella fatica, nella sopportazione e nel cercare sempre e solo la gloria di Dio e la salvezza delle anime.(L’Egoismo vinto, Roma 1869, 60). L’amore di Cristo ci spinge.