giovedì 13 ottobre 2011

Il segno dell'orgoglio



Propongo di seguito un'altra pagina bellissima di Simone di Taibuteh, che ci aiuta ad entrare nel nostro uomo interiore (cfr. Rm. 7, 22; Ef. 3, 16).

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"Finchè tu sei ricco di amore per gli uomini e dal profondo del tuo cuore passi oltre le debolezze del tuo prossimo, grande è in te il segno dell'umiltà; ma finchè tu fai distinzione tra la zizzania e il frumento, questo è segno di orgoglio...
La vigna del cristiano è il suo cuore. E il cristiano diligente deve dedicare alla vigna del suo cuore la stessa cura e sollecitudine dell'agricoltore verso la sua vigna: non solo deve pulirla dalla zizzania delle passioni, concimarla e mettervi l'acqua,ma - e soprattutto - deve praticare la potatura dei tralci, cioè delle virtù, perchè i tralci del cuore non si innalzino troppo e non portino frutti troppo abbondanti, al di là della loro misura, e la radice non si secchi in poco tempo per l'abbondanza dei frutti e per l'ignoranza dell'agricoltore.
Potatura del cuore del cristiano sono: le afflizioni, le tentazioni, la privazione, le umiliazioni,le battaglie, le cadute, gli amarrimenti, lo scivolare, la compunzione, l'accidia, lo scoraggiamento, l'ingiuria, l'ignominia, la lapidazione delle male lingue, i dolori, le malattie eccetera; tutte cose che spesso vengono provvidenzialmente in nostro aiuto, perchè il cuore non si inorgoglisca per il successo nelle opere buone e non cada nella condanna di satana.
Per quello che io vedo, l'uomo non è diverso da un recipiente doppio che nella sua parte interna contiene un favo di miele e nella sua parte esterna contiene erbe amare. Finchè dunque è immerso e sprofondato nella quiete, presso il suo uomo interiore, egli mangia la dolcezza divina che è nascosta e opera nel cuore, ma, quando si disperde nel vagare esteriore, la zizzania lo soffoca ed egli mangia le erbe amare degli eccitamenti che vengono dai desideri. Ma ciò che è strano è che queste erbe amare sembrano più dolci, per il cuore, della dolcezza divina che opera all'interno di noi stessi".
Simone di Taibuteh, Discorso per la consacrazione della cella 42-44