sabato 15 ottobre 2011

Teresa d'Avila - Cammino di Perfezione (capp. 1-20)


Teresa d’Avila



Cammino di perfezione

Libro dal titolo Cammino di perfezione, composto da Teresa di Gesù, religiosa dell’Ordine di nostra Signora del Carmelo. È indirizzato alle monache scalze di nostra Signora del Carmelo della Regola primitiva.

JHS

Questo libro contiene gli avvisi e i consigli che Teresa di Gesù dà alle consorelle religiose, sue figlie spirituali, dei monasteri da lei fondati secondo la Regola primitiva di nostra Signora del Carmelo, con l’aiuto di nostro Signore e della gloriosa Vergine Madre di Dio, nostra Signora. Lo indirizza particolarmente alle consorelle del monastero di San Giuseppe di Avila, che fu il primo delle nuove fondazioni, e di cui era priora quando lo scrisse.

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In tutto quello che in esso dirò mi sottometto a quanto insegna la santa madre Chiesa romana, e se vi fosse qualcosa contraria al suo insegnamento, è perché non me ne rendo conto. Pertanto, per amore di nostro Signore, prego i teologi che devono leggerlo, di esaminarlo molto attentamente e di correggere gli eventuali errori a questo riguardo e i molti altri che conterrà di altra natura. Se vi fosse qualcosa di buono, sia a gloria e onore di Dio e a servizio della sua santissima Madre, nostra Patrona e Signora, di cui porto l’abito, sebbene assai indegnamente.

JHS

PROLOGO

1. Le sorelle di questo monastero di San Giuseppe, sapendo che avevo il permesso dal padre Presentato fra Domenico Báñez, dell’Ordine del glorioso san Domenico, attualmente mio confessore, di scrivere alcune cose sull’orazione, che forse mi verranno bene, per averne trattato con molte persone spirituali e sante, hanno tanto insistito affinché ne dica loro qualcosa, che mi sono decisa a cedere, considerando che il grande amore che hanno per me può rendere loro gradito ciò che è imperfetto e scritto male, più di alcuni libri scritti molto bene da chi sapeva il fatto suo. E confido nelle loro preghiere perché può darsi che, a causa di esse, il Signore si compiaccia di far sì che io riesca a dire qualcosa di ciò che conviene al modo e al genere di vita propri di questa casa. Se il mio lavoro risultasse mal riuscito, il padre Presentato, che lo deve vedere per primo, lo correggerà o lo brucerà e io non avrò perduto nulla nell’obbedire a queste serve di Dio, le quali vedranno che cosa so fare da me quando Sua Maestà non mi aiuta.

2. Penso d’indicare alcuni rimedi per certe piccole tentazioni, opera del demonio, alle quali, per essere tanto piccole, forse non si bada, e dire altre cose, come il Signore mi ispirerà e come mi verranno alla memoria, poiché, non sapendo ancora che cosa devo dire, non posso precisarlo con ordine; e credo sia meglio non seguire uno schema prestabilito, essendo fuori ordine che redigo questo lavoro. Il Signore mi aiuti in tutto quello che farò, affinché sia conforme alla sua santa volontà, perché questa è la mia costante aspirazione, anche se le opere sono difettose come lo sono io.

3. So che in me non mancano l’amore e il desiderio di aiutare, per quanto mi è possibile, le mie sorelle a progredire molto nel servizio del Signore, e questo mio amore, unitamente agli anni e all’esperienza che ho di alcuni monasteri, può forse aiutarmi a riuscire in piccole cose meglio dei teologi. Costoro, per il fatto di avere altre occupazioni più importanti e di essere uomini forti, non prestano troppa attenzione a cose che in se stesse non sembrano di alcun valore, mentre tutto può recar danno a chi è così debole come noi donne, essendo molti i cavilli del demonio per le monache di stretta clausura, contro le quali vede che gli sono necessarie armi nuove. Io, nella mia miseria, mi sono difesa assai male, pertanto vorrei che le mie sorelle imparassero dal mio esempio. Non dirò nulla che non sia frutto d’esperienza, o per averla provata in me o per averla osservata in altre anime.

4. pochi giorni fa mi ordinarono di scrivere una relazione della mia vita, ove ho anche trattato di certe cose riguardanti l’orazione. Può darsi che il mio confessore non voglia che lo vediate, e per questo includerò qui qualcosa di ciò che è detto là e anche altro che mi sembrerà ugualmente necessario. Il Signore – l’ho supplicato per questo – vi metta la sua mano, e lo volga alla sua maggior gloria! Amen.

CAPITOLO 1

Motivo che m’indusse a fondare questo monastero con una Regola tanto severa.

1. All’inizio della fondazione di questo monastero (per le ragioni esposte nel libro che ho detto d’aver scritto, dove ho anche parlato di alcune straordinarie grazie con le quali il Signore mi fece conoscere che in questa casa doveva essere servito con molta generosità) non era mia intenzione che ci fosse tanto rigore nella forma esterna della Regola, né che il monastero mancasse di rendita, anzi, avrei voluto che ci fosse stata la possibilità di non farvi mancare nulla; insomma, ero debole e dappoco, quantunque fossi animata da buone intenzioni e non pensassi certo alla mia comodità.

2. in questo tempo mi giunse notizia dei danni e delle stragi che avevano fatto in Francia i luterani e di quanto andasse aumentando questa malaugurata setta. Ne provai gran dolore e, come se io potessi o fossi qualcosa, piangevo con il Signore e lo supplicavo di porre rimedio a tanto male. Mi sembrava che avrei dato mille volte la vita per salvare una fra le molte anime che là si perdevano. Ma, vedendomi donna e dappoco, nonché incapace a essere utile in ciò che avrei voluto a servizio del Signore, poiché tutta la mia ansia era, come lo è tuttora, che avendo egli tanti nemici e così pochi amici, decisi di fare quel poco che dipendeva da me. Decisi cioè di seguire i precetti evangelici con tutta la perfezione possibile e di adoperarmi perché queste religiose che son qui facessero lo stesso. Fiduciosa nella grande bontà di Dio, che aiuta sempre chi decide di lasciar tutto per amor suo, pensai che, essendo tali le mie consorelle come io le avevo immaginate nei miei desideri, le loro virtù avrebbero compensato i miei difetti e così io avrei potuto contentare in qualche cosa il Signore; infine pensavo che, tutte dedite alla preghiera per i difensori della Chiesa, per i predicatori e per i teologi che la sostengono, avremmo aiutato come meglio si poteva questo mio Signore, così perseguitato da coloro che ha tanto beneficato, da sembrare che questi traditori lo vogliano crocifiggere di nuovo e che egli non abbia dove posare il capo.

3. Oh, mio Redentore, il mio cuore non può giungere a tanto, senza sentirsi spezzare dalla pena! Che cos’è oggi questo atteggiamento dei cristiani? Possibile che a perseguitarvi siano sempre coloro che più vi devono? Coloro ai quali concedete le vostre migliori grazie, che scegliete per vostri amici, fra i quali vivete e ai quali vi comunicate con i sacramenti? Non sono essi sazi dei tormenti che avete patito per loro?

4. Certamente, Signor mio, non fa proprio nulla chi oggi abbandona il mondo; poiché esso è così poco fedele a voi, cosa possiamo sperare noi? Forse che meritiamo maggior fedeltà di quanta ne ha mostrato a voi? Forse che lo abbiamo gratificato con maggiori benefici, perché ci debba serbare amicizia? Dunque? Che cosa ci possiamo aspettare noi che per bontà del Signore siamo esenti da quel contagio pestilenziale, mentre coloro che vi si trovano son già preda del demonio? Un bel castigo si son guadagnati con le loro mani e un buon profitto di fuoco eterno hanno tratto dai loro piaceri! Se la vedano loro, anche se continua a spezzarmi il cuore vedere che tante anime si perdono. Del male ch’è stato non mi affliggo tanto, ma vorrei che non si perdesse ogni giorno un maggior numero di anime.

5. Oh, mie sorelle in Cristo, aiutatemi a supplicare il Signore affinché ci conceda questa grazia, poiché è proprio questo il motivo per cui egli vi ha qui radunate; questa è la vostra vocazione; questo dev’essere il vostro compito, queste le vostre aspirazioni, questo l’oggetto delle vostre lacrime, questo lo scopo delle vostre preghiere; non quello, sorelle mie, di interessi mondani. Quando ci vengono a chiedere di pregare Sua Maestà perché conceda rendite e denaro, io me ne rido, ma ne sono anche addolorata. Tale richiesta viene proprio da alcune persone che io vorrei supplicassero Dio di poter calpestare tutto. Esse hanno buone intenzioni e, in fondo, si finisce col tener conto della loro devozione, anche se io sono sicura di non essere mai ascoltata in questo genere di preghiere. Il mondo è in fiamme; vogliono nuovamente condannare Cristo, come si dice, raccogliendo contro di lui mille testimonianze; vogliono denigrare la sua Chiesa, e dobbiamo sprecare il tempo nel chiedere cose che, se per caso Dio ce le concedesse, ci farebbero avere un’anima di meno in cielo? No, sorelle mie, non è il momento di trattare con Dio d’interessi di poca importanza.

6. È certo che, se non considerassi la debolezza umana, che si consola di qualsiasi aiuto (ed è bene che noi diamo sempre ogni aiuto possibile), sarei lieta di far capire a tutti che non sono queste le cose per cui supplicare Dio con tanto zelo.

CAPITOLO 2

Mostra come non ci si debba preoccupare delle necessità corporali e quale sia il vantaggio della povertà.

1. Non pensate, sorelle mie, che, trascurando di assecondare il mondo, non dobbiate avere di che mangiare, ve l’assicuro io. Non cercate mai di sostentarvi con espedienti umani, perché morirete di fame e giustamente. Tenete gli occhi fissi sul vostro Sposo; è lui a dovervi provvedere del necessario. Una volta che egli è contento di voi, anche coloro che vi sono meno affezionati vi daranno da mangiare, loro malgrado, come l’esperienza vi ha fatto costatare. Se poi, così facendo, doveste morire di fame, fortunate le monache di san Giuseppe! Non dimenticatelo mai, per amor di Dio: poiché avete rinunziato alle rendite, rinunziate ugualmente a ogni preoccupazione circa il vostro nutrimento, altrimenti tutto sarebbe perduto. Coloro che, per volere di Dio, hanno siffatte preoccupazioni, le abbiano pure! È giustissimo, perché essi seguono la loro strada, ma per noi, sorelle, è una pazzia.

2. Contare sulle rendite altrui è, secondo me, pensare vanamente a ciò di cui il prossimo gode; come se con questo gli altri possano cambiare parere e si sentano ispirati a farvi l’elemosina. Lasciate questa cura a colui che può toccare tutti i cuori ed è il padrone delle rendite e di chi le possiede. Noi siamo venute qui seguendo la sua chiamata; le sue parole sono veritiere, perciò si realizzano sempre: passeranno piuttosto i cieli e la terra. Non veniamogli meno noi e non temiamo che egli ci venga meno. E, se talvolta egli ci verrà meno, sarà per un maggior bene, come accadeva ai santi, che, quando venivano uccisi per il Signore, vedevano aumentare la gloria a causa del martirio. Bel cambio sarebbe farla presto finita con tutto e godere l’eterna felicità!

3. Considerate, sorelle, l’importanza di questa raccomandazione; il motivo per cui la lascio qui per iscritto è che non la dimentichiate dopo la mia morte; finché vivo, infatti, ve la ricorderò io stessa, conoscendo per esperienza il gran profitto che si ottiene dal metterla in pratica. Meno si possiede, più si è liberi da preoccupazioni, e il Signore sa che mi pare di avere maggiore pena quando le elemosine abbondano che non quando ci mancano. Non so se ciò avvenga per avere ormai visto che il Signore ci viene subito in aiuto. Sarebbe ingannare il mondo se fosse altrimenti: farci passare per povere, senza esserlo nello spirito, ma solo esteriormente. Me ne farei uno scrupolo di coscienza, come suol dirsi, e mi sembrerebbe d’essere una di quelle ricche che chiedono l’elemosina. Piaccia a Dio che non sia così, perché là dove esistono queste preoccupazioni esagerate di avere elemosine, una volta o l’altra si finisce col contrarne l’abitudine e con l’andare a chiedere ciò che non è necessario a chi forse ha più bisogno di noi. Anche se i benefattori, lungi dal perdere alcunché, non potrebbero che guadagnare, noi perderemmo di sicuro. Dio non voglia, figlie mie! Qualora ciò dovesse accadere, preferirei che aveste rendite.

4. In nessun modo, dunque, dovete preoccuparvi di questo; ve lo chiedo come un’elemosina per amor di Dio; e se la più giovane tra voi venisse a scoprire per caso una tale propensione in questa casa, invochi Sua Maestà e lo faccia presente alla sorella maggiore. Con umiltà le dica che è in errore e che, così facendo, a poco a poco si arriverà alla perdita della vera povertà. Io spero nel Signore che ciò non avvenga e che egli non abbandonerà le sue serve. A tal fine, se non altro, quanto mi avete chiesto di scrivere servirà a ricordarvelo.

5. Credetemi, figlie mie, per il vostro bene Dio mi ha fatto capire qualcosa dei tesori racchiusi nella santa povertà, e quelle tra voi che ne faranno esperienza lo capiranno; forse, però, non tanto come me, perché io non solo non sono stata povera di spirito, malgrado ne avessi fatto il voto, ma insensata. La povertà è un bene che racchiude in sé tutti i beni del mondo; ci assicura un gran dominio, intendo dire che ci rende padroni di tutti i beni terreni, dal momento che ce li fa disprezzare. Che m’importa, infatti, dei re e dei potenti, se non voglio le loro ricchezze, né intendo compiacere ad essi, quando per causa loro mi può accadere di dover dispiacere, sia pur poco, a Dio? E che m’importa dei loro onori, se sono convinta che il più grande onore per un povero è quello di essere veramente povero?

6. Mi sembra che onori e quattrini vadano sempre di pari passo. Chi desidera gli onori non aborrisce le ricchezze, mentre chi aborrisce le ricchezze poco si cura degli onori. Si cerchi di capire bene questo, perché, a mio avviso, il desiderio degli onori trae sempre con sé un qualche attaccamento a rendite e a denari; è assai raro, infatti, che sia oggetto di onori, nel mondo, chi è povero; anzi, sebbene ne sia degno, è tenuto in poco conto. La vera povertà trae con sé un onore così grande che sarebbe quasi insopportabile; ma la povertà che si abbraccia solo per Dio non ha bisogno, ripeto, di contentare nessuno tranne lui; ora, è fuor d’ogni dubbio che, non avendo bisogno di nessuno, si abbiano molti amici. Io l’ho costatato per mia esperienza personale.

7. Poiché su questa virtù si sono scritte tante cose che io non so comprendere e tanto meno spiegare, per non pregiudicarne l’eccellenza col farne proprio io l’elogio, non dirò più nulla. Ho solo detto quello che ho costatato per esperienza, e confesso che ero così estasiata che finora non me ne sono resa conto. Ma, essendo ormai detto, lo sia per amore del Signore, poiché la nostra insegna è la santa povertà che, al principio della fondazione del nostro Ordine, era stimata e osservata fedelmente dai nostri santi Padri (chi conosce bene la storia mi ha assicurato che essi non conservavano nulla un giorno per l’altro) e, dal momento che non si pratica più con altrettanta perfezione esteriormente, procuriamo almeno di osservarla in modo perfetto nel nostro intimo. Per due sole ore di vita il premio sarà senza fine; e quand’anche non ve ne fosse altro che quello di seguire un consiglio del Signore, sarebbe una gran ricompensa imitare in qualcosa Sua Maestà.

8. Ecco le armi che devono figurare sulle nostre bandiere e che dobbiamo custodire in ogni circostanza, in casa, nel modo di vestire, nelle parole e soprattutto nel pensiero. Finché vi atterrete a questa norma, non temete che abbia a decadere l’osservanza della Regola in questa casa, col favore di Dio, perché, come diceva santa Chiara, forti mura sono quelle della povertà. Di queste mura – ella diceva – e di quelle dell’umiltà voleva veder recinti i suoi monasteri, e certamente, se si osserva davvero questa pratica, l’onore del monastero e tutto il resto viene salvaguardato molto meglio che non con sontuosi edifici. Guardatevi bene dal costruirne di tali, ve ne scongiuro in nome di Dio e del suo sangue e, se posso dirlo in tutta coscienza, mi auguro che crollino il giorno stesso in cui siano costruiti.

9. Mi sembra assai sconveniente, figlie mie, costruire grandi case con il denaro dei poveri. Dio non vi permetta mai di avere più di una povera e piccola casa. Cerchiamo di somigliare in qualche cosa al nostro Re, che non ebbe per casa se non la stalla di Betlemme dove nacque e la croce dove morì. Erano, queste, dimore da cui trarre ben poco diletto. Coloro che le costruiscono grandi avranno i loro buoni motivi; saranno indotti da altre sante intenzioni, ma per tredici piccole povere monache, qualunque angolo è sufficiente. Se, reso necessario dalla stretta clausura, potrete avere un giardino (che aiuta anch’esso l’orazione e la devozione) con alcuni romitori dove ritirarvi a pregare, tanto meglio, ma edifici e dimore spaziose con alcunché di ricercato, niente. Dio ce ne liberi! Ricordatevi sempre che il giorno del giudizio tutto dovrà cadere: che sappiamo se tal giorno verrà presto?

10. Ora, che la casa di tredici povere piccole monache faccia un gran rumore, cadendo, non sta bene, perché i veri poveri non devono farlo: essi devono essere gente senza rumore perché si abbia di loro compassione. E quale sarà la vostra gioia se vedrete qualcuno scampare dall’inferno per l’elemosina che vi avrà fatto! Tutto, certo, è possibile, tanto più che voi siete molto obbligate a pregare costantemente per le anime dei vostri benefattori, dandovi essi di che vivere. Il Signore, infatti, benché tutto ci venga da lui, vuole anche che siamo riconoscenti alle persone mediante le quali ce lo offre, e non bisogna trascurare questo debito di gratitudine.

11. Non ricordo più quello che avevo cominciato a dire, perché mi sono allontanata dall’argomento. Credo che così abbia voluto il Signore, perché non avrei mai pensato di scrivere quello che ho detto ora qui. Sua Maestà ci sostenga sempre con il suo aiuto, affinché non venga mai meno fra noi la perfezione di povertà a cui ci siamo votate.

CAPITOLO 3

Continua sull’argomento cominciato nel primo capitolo ed esorta le consorelle a supplicare sempre Dio di soccorrere coloro che lavorano per la Chiesa. Termina con una esclamazione.

1. Tornando al tema principale, che è il fine per il quale il Signore ci ha riunite in questa casa dove io desidero ardentemente che noi siamo almeno un po’ tali da contentare Sua Maestà, dico che nel vedere mali tanto grandi e l’impotenza delle forze umane a isolare il fuoco acceso da questi eretici, benché si sia cercato di radunare soldati nell’intento di porre rimedio con la forza delle armi a tale calamità che si estende ogni giorno di più, mi è sembrato necessario seguire la tattica a cui si ricorre in tempo di guerra. Quando i nemici hanno fatto irruzione in tutto il paese, il signore della regione, vedendosi alle strette, si ritira in una città che fa assai ben fortificare; di là piomba, di quando in quando, su di essi e coloro che sono nella città, essendo soldati scelti, combattono in modo tale da fare più loro da soli di quel che potrebbero fare molti, se codardi. E così spesso si guadagna la vittoria, o almeno, se non la si ottiene, non si è vinti; infatti, poiché non vi sono traditori, non si può cedere che per fame. Qui, da noi, non ci può essere neppure questa fame a farci arrendere: possiamo, sì, morire, ma essere vinte, mai.

2. Ma perché ho detto questo? Affinché voi intendiate, sorelle mie, che ciò di cui abbiamo supplicare Dio è che nessuno dei buoni cristiani ora rinchiusi in questo piccolo castello passi al nemico e che egli faccia avanzare molto nella via del Signore i capitani di tale castello o cittadella che sono i predicatori e i teologi. E poiché la maggior parte di essi appartiene agli Ordini religiosi, dobbiamo pregarlo affinché possano raggiungere un alto grado di perfezione del loro stato, essendo ciò particolarmente necessario. Infatti, come ho detto, chi ci deve salvare è il braccio ecclesiastico e non quello secolare. E, poiché noi non possiamo nulla, sia con l’uno sia con l’altro, per aiutare il nostro Re, procuriamo di essere tali che le nostre orazioni servano ad aiutare questi servi di Dio i quali, a prezzo di tante fatiche, si sono fortificati con dottrina, virtù e difficili prove, per venire ora in aiuto del Signore.

3. Forse vi domanderete perché insisto tanto su questo punto e perché dobbiamo aiutare quelli che sono migliori di noi. Ve lo dirò, perché non credo che comprendiate ancora bene quanto dobbiate al Signore per il fatto che vi ha condotte in una casa dove siete così libere da interessi materiali, da occasioni pericolose e dal contatto col mondo. È, questa, una grande grazia che non hanno quelli di cui parlo, né conviene oggi, meno che in altri tempi, che siano liberi da tutto ciò, perché son loro a dover sostenere i deboli e dar coraggio ai pavidi. Starebbero bene i soldati senza i capitani! Devono, quindi, vivere fra gli uomini, conversare con loro, soggiornare nei palazzi e anche conformarsi a volte esteriormente a loro. Credete voi, figlie mie, che ci voglia poca virtù per trattare con il mondo, vivere in mezzo al mondo, occuparsi degli affari del mondo, conformarsi, come ho detto, alle conversazioni del mondo, ed essere interiormente estranei al mondo, nemici del mondo, vivendo in esso come chi vive in esilio e, infine, non essere uomini, ma angeli? Se, infatti, non fosse così, non meriterebbero il nome di capitani, e allora il Signore non permetta che escano dalle loro celle, perché faranno più male che bene. Non è, infatti, questo il tempo che consenta di scorgere imperfezioni in coloro che devono essere di esempio.

4. Se nel loro intimo non hanno la ferma convinzione che occorre disprezzare tutti i beni della terra, staccarsi da ciò che ha fine e attaccarsi alle cose eterne, per molto che vogliano dissimularlo, finiranno col rivelarsi quali realmente sono. Del resto, non trattano essi forse con il mondo? Bene, siano pur certi che il mondo non perdonerà loro nulla e che nessuna delle loro imperfezioni potrà sfuggirgli. Delle buone azioni molte passeranno inosservate e fors’anche non saranno considerate tali, ma per quelle cattive o imperfette non sarà così, stiano certi. Io mi domando ora, piena di meraviglia, chi mai abbia potuto indicare al mondo la perfezione, non perché la osservi (perché a ciò non crede di essere minimamente obbligato, sembrandogli di far molto se osserva in una certa misura i comandamenti), ma per condannare tali altri di cui a volte ciò che è virtù sembra sia fatto per soddisfazione personale.

Pertanto, non pensiate che a questi uomini sia necessaria solo una limitata grazia divina per sostenere la dura lotta in cui si cimentano; occorre loro, al contrario, un grandissimo aiuto.

5. Ora, due son le cose per cui io vi chiedo di sforzarvi di esser tali da farci meritare di ottenerle da Dio: la prima è che fra i tanti dotti e religiosi che noi abbiamo, ce ne siano molti i quali possiedano le qualità necessarie a questo fine, come ho detto, e che il Signore vi disponga convenientemente coloro che non lo sono del tutto, perché un uomo perfetto farà più di molti uomini imperfetti. La seconda che, una volta entrati in questa lotta, non certo piccola – come ho detto –, il Signore li sostenga con la sua mano affinché possano salvarsi dai tanti pericoli quali sono quelli che il mondo presenta e riescano ad attraversare questo mare insidioso con le orecchie chiuse al canto delle sirene. Se in questo possiamo qualcosa presso Dio, combattiamo per lui, pur stando in clausura, e io riterrò molto ben impiegati tutti i travagli sofferti per fondare questo piccolo ritiro, dove volli che si osservasse la Regola di nostra Signora e Imperatrice con la perfezione primitiva.

6. Non vi sembri inutile pregare costantemente a questo scopo, visto che ci sono alcune persone cui appare cosa dura non pregare molto per la propria anima; ma quale preghiera è migliore di questa? Se vi angustia il pensiero che non vi serva a scontare le pene del purgatorio, tranquillizzatevi: vi saranno scontate anche per mezzo di tale orazione, e se rimane ancora qualcosa, rimanga pure! Che m’importa di stare in purgatorio fino al giorno del giudizio, se con le mie preghiere potrò salvare anche solo un’anima? Tanto più, poi, se giovo al profitto di molte e alla gloria del Signore! Non badate alle pene che hanno una fine, quando si tratta di servire in qualche modo maggiormente colui che ne ha sofferte tante per noi. Prendete sempre consigli circa quella che è la maggior perfezione, per conformarvi ad essa.

Pertanto vi prego, per amore del Signore, di supplicare Sua Maestà di esaudirci in questo. Io stessa, pur essendo così miserabile, ne supplico sempre Sua Maestà, perché i miei desideri sono rivolti solo alla sua gloria e al bene della sua Chiesa.

7. Sembra presunzione da parte mia pensare ch’io possa contribuire a raggiungere questo scopo. Ma io confido, mio Signore, in queste vostre serve che sono qui riunite e che no desiderano né vogliono altro se non contentarvi. Per voi hanno lasciato il poco che avevano e avrebbero voluto aver di più per rendervi maggior servizio con la rinunzia. Voi, mio Creatore, non siete un ingrato perché io possa credere che tralascerete di fare ciò di cui vi supplicano; né, o Signore, quando eravate su questa terra, avete disprezzato le donne, anzi le avete sempre favorite trattandole con molta pietà! Se vi chiederemo onori, rendite, ricchezze o cose che sanno di mondo, non ascoltateci, ma se preghiamo per l’onore di vostro Figlio, perché, eterno Padre, non dovreste ascoltare coloro che per voi sacrificherebbero mille onori e mille vite? Non per noi, Signore, che non lo meritiamo, ma per il sangue e i meriti di vostro Figlio.

8. Oh, eterno Padre! Considerate che tante percosse, tante ingiurie e tanti terribili tormenti non devono essere dimenticati. Come, dunque, mio Creatore, viscere così amorose come le vostre possono sopportare che ciò che fu fatto con tanto ardente amore da vostro Figlio, per contentarvi maggiormente (giacché gli ordinaste di amarci) sia tenuto in così poco conto come oggi questi eretici tengono il santissimo Sacramento, che privano dei suoi tabernacoli distruggendo le chiese? Se avesse omesso di fare qualcosa per contentarvi! Ma ha fatto tutto perfettamente. Non è bastato, eterno Padre, che egli non abbia avuto, mentre visse, ove poggiare il capo e che sia stato sempre gravato di patimenti, perché ora lo privino dei luoghi ove riunisce i suoi amici, di cui vede la debolezza e di cui sa che per affrontare le loro battaglie hanno bisogno di sostenersi con quel celeste alimento? Non aveva egli già pagato in larghissima misura per il peccato di Adamo? Ogni volta che torniamo a peccare, dev’essere sempre questo amorosissimo Agnello a pagare? Non vogliate permetterlo, mio sovrano Signore! Si plachi ormai la vostra Maestà! Non guardate ai nostri peccati, ma alla nostra redenzione operata dal vostro sacratissimo Figlio, ai suoi meriti e a quelli della sua Madre gloriosa e di tanti santi e martiri che sono morti per voi!

9. Ahimè, Signore, chi è costei che ha osato rivolgervi questa preghiera in nome di tutte? Che cattiva mediatrice, figlie mie, avete in me, per presentare le vostre richieste e per ottenere di essere esaudite! Non farà che indignare di più questo sovrano Giudice il vedermi così temeraria, e con giusta ragione! Ma considerate, Signore, che voi siete Dio di misericordia; abbiate pietà di questa povera peccatrice, di questo vermiciattolo che osa tanto. Guardate, mio Dio, ai miei desideri, alle lacrime con cui vi rivolgo la mia supplica e, per quello che siete, dimenticate le mie opere, abbiate pietà di tante anime che si perdono e soccorrete la vostra Chiesa. Non permettete più disastri tra i cristiani, o Signore! Dissipate, vi prego, queste tenebre!

10. Vi supplico, sorelle mie, per amore del Signore, di raccomandare a Sua Maestà questa poveretta perché le dia umiltà e ve lo chiedo come una cosa a cui siete obbligate. Io non vi chiedo d’intercedere con la preghiera particolarmente per i re, i prelati della Chiesa, soprattutto per il nostro vescovo: vi vedo attualmente così zelanti nel farlo, che non mi sembra ci sia bisogno d’altro. Mi auguro che quelle che verranno dopo comprendano che se avranno santi prelati, lo saranno anch’esse loro suddite, e che, essendo cosa di tanta importanza, non cessino mai di raccomandarli al Signore. Il giorno in cui le vostre discipline e i vostri digiuni non avessero più l’obiettivo che ho indicato sopra, sappiate che non adempite né rispettate il fine per cui il Signore vi ha qui riunite.

CAPITOLO 4

Esorta all’osservanza della Regola e di tre precetti importanti per la vita spirituale. Parla del primo fra essi, cioè l’amore del prossimo, e del danno che procurano le amicizie particolari.

1. Avete ormai visto, figlie mie, quanto sia alto il fine che vogliamo conseguire; come dovremo comportarci per non sembrare troppo temerarie agli occhi di Dio e del mondo? È evidente che dovremo lavorare molto, e ci sarà di grande aiuto nutrire generosi desideri per sforzarci d’ottenere che lo siano anche le opere. Ora, se procuriamo di osservare fino in fondo, con gran diligenza, la nostra Regola e le nostre Costituzioni, spero che il Signore accoglierà le nostre preghiere. Non vi chiedo nulla di nuovo, figlie mie, ma soltanto di rispettare i voti della nostra professione poiché la nostra vocazione costituisce il nostro impegno, benché ci siano grandi differenze nel modo di osservalo.

2. La nostra Regola primitiva dice che dobbiamo pregare incessantemente. Adempiendo questo dovere che è il più importante, con tutto lo zelo possibile, non trascureremo anche di osservare i digiuni, le discipline e il silenzio che l’Ordine comanda. Sapete bene infatti che l’orazione, per essere vera, deve essere aiutata da tutte queste pratiche, perché comodità e orazione non sono compatibili tra loro.

3. L’orazione è ciò di cui m’avete pregato di dirvi qualcosa, e io vi prego, in cambio di quello che vi dirò, di rileggere spesso e praticare di buon animo quanto ho detto finora. Prima di parlare delle cose interiori, cioè dell’orazione, dirò alcune cose necessarie a coloro che vogliono battere il cammino dell’orazione; cose tanto necessarie che con esse, senza essere spiriti contemplativi, si potrà progredire molto nel servizio del Signore, mentre se non si possiedono, è impossibile essere grandi anime contemplative. Chi pensasse di esserlo s’ingannerebbe di molto. Il Signore mi dia il suo aiuto a tal fine e mi suggerisca ciò che devo dire, affinché risulti a sua gloria. Amen!

4. Non pensate, sorelle e amiche mie, che siano molte le cose che vi raccomanderò. Piaccia, infatti, al Signore che osserviamo quelle che i nostri santi Padri hanno ordinato e adempiuto, giacché percorrendo questa strada hanno meritato il nome di santi. Sarebbe un errore cercarne una diversa per nostra iniziativa o istruiti da altri. Mi limiterò a parlarvi solo di tre cose inerenti alle stesse Costituzioni, essendo molto importante intendere l’obbligo rigoroso di osservarle per avere la pace interna ed esterna, che il Signore ci ha tanto raccomandato: la prima è l’amore reciproco, la seconda, il distacco da tutte le creature, la terza, la vera umiltà che, sebbene sia da me nominata per ultima, è la virtù principale e le abbraccia tutte.

5. Quanto alla prima, cioè l’amore reciproco, essa è di grandissima importanza, perché non vi è nulla di così gravoso che non si sopporti facilmente fra coloro che si amano, e occorrerebbe che fosse cosa ben dura se riuscisse gravosa. Se questo comandamento fosse osservato nel mondo come si deve, credo che aiuterebbe molto a osservare anche gli altri; ma, ora per troppo zelo, ora per poco, non si arriva mai a osservarlo in modo perfetto.

Sembra, in proposito, che l’eccesso fra noi non debba essere nocivo, eppure porta con sé tanto male e tante imperfezioni che, a mio giudizio, non può crederlo se non chi è stato testimone oculare. Qui il demonio tende molte insidie, che in coscienze le quali procurano di piacere a Dio alla bell’e meglio si avvertono poco, anzi sembrano ispirazioni virtuose. Coloro che, invece, mirano alla perfezione, se ne rendono perfettamente conto, perché a poco a poco tolgono alla volontà la forza di applicarsi interamente all’amore di Dio.

6. E credo che questo difetto si riscontri nelle donne ancor più che negli uomini; esso reca evidentissimi danni a una comunità, perché ne segue che le monache non si amino tutte ugualmente, che si soffra per la mortificazione subita da un’amica, che si desideri di aver qualcosa da regalarle, che si cerchi il momento di parlarle, e molte volte per dirle che la si ama e altre cose inopportune, più che per parlarle dell’amore che si nutre per Dio. È raro, infatti, che queste grandi amicizie siano rivolte ad aiutarsi vicendevolmente ad amare di più Dio; anzi, credo che il demonio le faccia nascere per creare fazioni opposte negli Ordini religiosi. Si vede subito quando, invece, l’amore è rivolto al servizio di Sua Maestà; si vede subito, perché l’affetto non è guidato dalla passione, ma cerca un aiuto per vincere altre passioni.

7. Di questa specie di amicizie io ne vorrei molte nei grandi monasteri, perché in questa casa – ove non siamo e non dobbiamo essere più di tredici – tutte devono sentirsi amiche, tutte devono amarsi, volersi bene e aiutarsi reciprocamente. Per sante che siano, si guardino, per amor di Dio, da queste amicizie particolari, le quali di solito anche tra fratelli sono un veleno. Io non vedo in esser alcun vantaggio, se riguardano parenti meno prossimi, peggio ancora: una vera peste. Credetemi, sorelle, che anche se questo vi sembra esagerato, comporta un’alta perfezione e una grande pace ed evita molte occasioni pericolose a quelle che non sono ben salde nella virtù. Se l’affetto inclina più verso una che verso un’altra (né potrà essere altrimenti, trattandosi di un sentimento naturale, che molte volte ci porta ad amare la più imperfetta, se particolarmente dotata di attrattive innate), teniamo a freno il nostro sentimento per non lasciarci dominare da quell’affetto. Amiamo le virtù e le qualità interiori, sforzandoci sempre attentamente di non far caso alle qualità esteriori.

8. Non permettiamo mai, sorelle, che il nostro cuore sia schiavo di alcuno, se non si tratta di colui che l’ha riscattato con il suo sangue; guardate che, altrimenti, senza sapere come, vi troverete in un tale intrico da non poterne uscire. Oh, mio Dio, le puerilità che nascono da queste amicizie particolari non si contano! E siccome sono tali piccolezze che solo chi ne è stato testimone può crederlo e capirlo, non c’è ragione di parlarne qui: basti dire che se ciò è un male per qualunque religiosa, per la priora è una vera peste.

9. Nell’arginare queste parzialità, occorre molta cura fin dal momento in cui comincia a manifestarsi l’amicizia; bisogna agire con abilità ed amore più che con rigore. Un rimedio eccellente a tal fine è non stare insieme né parlarsi, se non nelle ore stabilite, secondo l’usanza che ora seguiamo, rispettando la Regola che prescrive di non stare insieme, ma di rimanere ognuna nella propria cella. Il monastero di San Giuseppe sia, quindi, esente da avere un luogo di lavoro comune perché, pur essendo questa una lodevole usanza, si osserva meglio il silenzio quando ognuna sta per conto proprio e ci si abitua alla solitudine, ottima disposizione per l’orazione. Ora, siccome questa dev’essere il fondamento di questa casa, è necessario adoperarsi a prendere affezione a ciò che può favorirne la pratica.

10. Ritornando a parlare dell’amore scambievole, sembra fuor di proposito raccomandarlo; infatti, come si può essere così barbari da non amarsi, trattandosi e vivendo sempre insieme, senza la possibilità di parlare, né aver relazione, né svagarsi con persone estranee alla casa, sapendo, inoltre, che Dio ci ama e che le nostre sorelle amano lui, visto che per amore di Sua Maestà hanno abbandonato tutto? Tanto più che la virtù attira l’amore, e io spero che, con l’aiuto di Dio, essa sarà sempre praticata dalle monache di questa casa. Pertanto, a questo riguardo, mi sembra che non ci siano molte raccomandazioni da fare.

11. Vorrei ora parlare un po’, secondo la mia elementare capacità, di come debba essere questo amore reciproco, in che consista l’amore virtuoso – quello che io desidero veder regnare qui – e da quali segni riconosceremo di possedere questa virtù, che è ben grande, se nostro Signore l’ha raccomandata e con tanta insistenza a tutti, specialmente ai suoi Apostoli. Ma se voi lo troverete minuziosamente spiegato in altri libri, non date importanza a quanto scrivo, perché forse non so quello che dico.

12. L’amore di cui intendo parlare è di due specie: una del tutto spirituale, perché nulla in esso sembra aver rapporto con la sensitività o tenerezza naturale che gli faccia perdere la sua purezza; l’altra, spirituale anch’essa, in cui, allo stesso tempo, l’amore è congiunto alla nostra sensitività e alla nostra debolezza, ma è un amore che sembra lecito e buono, come quello che si nutre tra parenti e amici, di cui ho già detto qualcosa.

13. Voglio ora parlare dell’amore spirituale, in cui la passione non ha parte alcuna, perché se interviene la passione, tutta l’armonia dell’anima resta turbata; ma se, trattando con persone virtuose, specialmente con i confessori, ci regoliamo con moderazione e prudenza, è molto utile. Se, poi, nel confessore si scorgesse qualcosa che inclina alla vanità, si abbia tutto per sospetto, e in nessun modo si tengano conversazioni con lui, anche se sono sante, ma si faccia una breve confessione, per concluderla presto. Anzi, il meglio da farsi sarebbe dire alla priora che la vostra anima non si trova bene con quel confessore e cambiarlo. Questa sarebbe la soluzione più opportuna, se si può farlo senza danno della sua reputazione.

14. In questi e altri casi simili in cui il demonio potrebbe tendere insidie, quando non si sa a che partito appigliarsi, la decisione più prudente è cercare di parlare con un uomo dotto, cosa che, avendone bisogno, vi sarà concessa; occorrerà confessarsi da lui e seguire il suo consiglio in quella circostanza perché, essendo inevitabile ricorrere a qualche precauzione, si potrebbero, altrimenti, commettere gravi errori. E quanti se ne fanno nel mondo per non prendere consiglio circa le proprie azioni, specialmente quando si tratta di pregiudicare altri! È, dunque, inammissibile tralasciare di ricorrere a un rimedio, perché quando il demonio comincia ad attaccare da questa parte, non è solo per poco, se non lo si arresta subito. Pertanto, come ho detto, cercare di parlare con un altro confessore è il meglio che si possa fare, se c’è la disposizione dovuta, e io spero nel Signore che ci sarà sempre.

14. Badate che tale raccomandazione è molto importante, perché la vanità in un confessore è cosa assai pericolosa, un inferno e una rovina per tutta la comunità. E, ripeto, non si deve aspettare che il male sia già grande, ma arrestarlo al principio, con tutti i mezzi possibili. Lo potete fare con assoluta buona coscienza. Ma io spero che il Signore non permetterà che persone le quali devono sempre occuparsi dell’orazione possano nutrire affetto se non per chi è gran servo di Dio. Su ciò non v’è dubbio, altrimenti è ugualmente certo che non sono anime dedite all’orazione o non mirano alla perfezione, come qui si esige. Se infatti vedono che il confessore non comprende il loro linguaggio, e non è portato a parlare di Dio, non potranno amarlo, perché non somiglia loro. Se invece somiglia, date le pochissime occasioni di male che qui vi saranno, egli, a meno di essere troppo semplice, non si turberà né vorrà turbare le serve di Dio.

16. Poiché ho cominciato a parlare di questo male che, come ho detto, è uno dei più gravi che il demonio possa fare e di cui ci si accorge molto tardi, aggiungo che per esso si può man mano disorientarsi nella via della perfezione, senza conoscerne la causa. Se infatti il confessore vuol suscitare vanità per il fatto che egli vi si abbandona, tiene in poco conto anche le altre mancanze. Dio ci liberi, per la sua maestà, da simili cose! Basterebbe questo a turbare tutte le monache, perché la propria coscienza dice loro il contrario di quel che suggerisce il confessore, e se sono costrette ad averne uno solo, non sanno che fare né come riacquistare la pace. Chi, infatti, doveva tranquillizzarle e soccorrerle è quello che fa loro danno. Grandi afflizioni di questo genere devono esserci in alcuni luoghi; io ne ho una grande compassione, pertanto non meravigliatevi se insisto molto a parlarvi di questo pericolo.

CAPITOLO 5

Continua a parlare dei confessori e dice quanto sia necessario che essi siano dotti.

1. Nella sua immensa bontà il Signore non faccia mai provare ad alcuna di voi il tormento di vedersi oppressa anima e corpo, come ho detto; peggio, poi, se la priora va perfettamente d’accordo con il confessore perché, in tal caso, non si osa dir nulla né a lui di lei, né a lei di lui. Allora si potrà anche andare soggetti alla tentazione di omettere di confessare peccati molto gravi, nel timore di non stare più in pace. Oh, mio Dio, che danno può far qui il demonio e quanto caro costano alle monache tali costrizioni e falsi punti d’onore! Credono che per il fatto di non avere più d’un confessore ci guadagni molto la disciplina religiosa e l’onore del monastero, ma il demonio dispone per questa via di accalappiare le anime, quando non vi riesce con altri espedienti. Se le monache chiedono un altro confessore, sembra subito di scombinare la disciplina religiosa; se poi non appartiene allo stesso Ordine, foss’anche un santo, soltanto per il fatto di trattare con lui, sembrerebbe di fare un affronto alla comunità.

2. Questa santa libertà io chiedo, invece, per amore del Signore, a chi sarà la priora: di far sì, d’accordo col vescovo o con il provinciale, che tutte, lei compresa, possano di tanto in tanto trattare e aprire la propria anima con persone dotte, all’infuori dei confessori ordinari, specialmente se questi non hanno cultura, malgrado la loro virtù. La scienza è una gran cosa per dar luce a tutto. Sarà anche possibile trovare le due qualità nella stessa persona; quanto più il Signore vi favorirà nell’orazione, tanto più sarà necessario che le vostre opere e la vostra orazione poggino su un saldo fondamento.

3. Già sapete che la prima pietra dev’essere una buona coscienza; pertanto, con tutte le vostre forze, cercate di liberarvi anche dei peccati veniali e di tendere sempre ad una maggiore perfezione. Vi sembrerà che questo lo sappia qualunque confessore, ma v’ingannate. Mi accadde di trattare di argomenti di coscienza con uno che aveva seguito tutto il corso di teologia. Ciò nonostante, costui mi arrecò un gran danno dicendomi che certe mancanze erano cose da nulla. Io so che egli non voleva ingannarmi, né ci sarebbe stato motivo di farlo, ma non ne sapeva di più. La stessa cosa mi accadde anche con altri due o tre, senza contare questo.

4. Tutto il nostro bene consiste nel disporre di una vera luce per osservare perfettamente la legge di Dio; essa costituisce la base solida dell’orazione; senza questo saldo fondamento, tutto l’edificio poggia sulla sabbia. Se non vi concederanno la libertà di confessione, cercate di trattare le cose della vostra anima con persone simili a quelle che ho detto, fuori della confessione. Anzi, oso dire di più, cioè che, quand’anche il confessore abbia tutte le qualità richieste, di tanto in tanto si faccia quanto ho raccomandato, perché può darsi che egli, talvolta, s’inganni e non è giusto che per causa sua s’ingannino tutti. Agite in questo modo, ma cercate sempre di non contravvenire all’obbedienza. Vi sono mezzi leciti per tutto e, poiché tale libertà giova molto alle anime, è bene che ve la procuriate come potrete.

5. Tutto questo che ho detto riguarda soprattutto la priora. Torno, quindi, a pregarla di concedere alle sue monache questa consolazione dell’anima. Le strade attraverso le quali Dio conduce le anime sono molte e un confessore non è obbligato a conoscerle tutte. Io vi assicuro che, malgrado la vostra povertà, non vi mancheranno mai persone sante disposte a trattare con voi di tali cose e a consolare le vostre anime, se voi siete quali dovete essere, perché colui che fornisce alimento al vostro corpo spingerà qualcuno ad aiutarvi spiritualmente, ispirandogli il sincero desiderio di riuscire ad illuminare le vostre anime. In tal modo si scongiurerà il male che io tanto temo. Quando, infatti, il demonio tentasse il confessore, ingannandolo circa qualche punto di dottrina, sapendo che voi trattate anche con altri, sarà più cauto, controllandosi meglio in tutto quel che fa.

Chiusa questa porta al demonio, io spero in Dio che egli non avrà mai accesso a questa casa. Pertanto chiedo, per amore del Signore, al vescovo, chiunque egli sia, di lasciare alle mie consorelle questa libertà e di non toglierla loro mai, se i confessori saranno tali da riunire in sé dottrina e virtù, cose di cui si viene subito a conoscenza in una città piccola come questa.

6. Per mia propria esperienza conosco quanto ho detto; l’ho saputo da altri e ne ho trattato con persone dotte e sante, che hanno badato a ciò che meglio conveniva alla nostra casa affinché progredisse in essa la perfezione. Ora, fra i pericoli – che ci sono ovunque, finché viviamo – questo riteniamo che sia il minore. Non dev’esserci, peraltro, nessun vicario che abbia la libertà di entrare e uscire a suo piacere dal monastero né che l’abbia alcun confessore: che essi provvedano a vigilare sul raccoglimento e il decoro della casa, sul profitto interiore ed esteriore delle monache, per riferirne al loro superiore, quando ve ne fosse bisogno, ma non facciano essi da superiori.

7. Questo è ciò che si fa ora, e non solo in rispetto al mio punto di vista, ma anche per il parere del vescovo attuale, sotto la cui obbedienza noi siamo (giacché per molte ragioni non ci siamo poste sotto l’obbedienza dell’Ordine). Questo gran servo di Dio, uomo virtuoso, santo e di nobile famiglia si chiama don Alvaro de Mendoza. Volendo egli aiutare questa casa in tutti i modi possibili, fece riunire persone dotte, di segnalata virtù ed esperienza, per giungere a una decisione in merito e si venne alla conclusione di cui sopra. Sarà bene che i prelati suoi successori pervengano alla stessa determinazione, visto che l’hanno presa uomini così virtuosi, i quali con tante preghiere hanno chiesto al Signore di illuminarli circa il meglio da farsi e, da quanto finora si è visto, questo è proprio il meglio. Piaccia al Signore di proseguire sempre in questa via a sua maggior gloria! Amen.

CAPITOLO 6

Ritorna sull’argomento dell’amore perfetto, di cui aveva cominciato a parlare.

1. Mi sono allontanata molto dall’argomento, ma ciò che ho detto è talmente importante che chi lo capisce non me ne farà una colpa. Torniamo ora all’amore che è bene avere gli uni per gli altri, voglio dire all’amore puramente spirituale. Non so se ho chiara consapevolezza di quel che dico, ma a me, almeno, sembra che non sia necessario parlarne a lungo, perché sono pochi ad averlo. Coloro ai quali il Signore lo avrà concesso, gliene rendano lode, perché è di un’altissima perfezione. Infine, desidero dirne qualcosa: forse sarà di qualche utilità. Infatti, chi desidera la virtù e si sforza di acquistarla, appena gliela poniamo dinanzi agli occhi, l’ama.

2. Piaccia a Dio ch’io sappia intenderlo e specialmente spiegarlo, perché mi pare di non capire bene né quando è amore puramente spirituale, né quando vi si mescola qualcosa di sensibile, né so come ardisco trattarne. È come chi ode parlare da lontano e non comprende ciò che si dice; così sono io, che alcune volte non devo proprio capire ciò che dico e, tuttavia, il Signore fa che sia ben detto. Se altre volte le mie parole risulteranno essere delle sciocchezze, è la cosa più naturale per me non azzeccarne una.

3. Mi sembra ora che, quando Dio ha fatto pervenire un’anima alla chiara conoscenza di cosa sia il mondo e quanto valga, alla certezza dell’esistenza di un altro mondo così opposto al primo – l’uno eterno e l’altro un breve sogno – , alla differenza tra l’amore del Creatore e quello della creatura (questo costatato per esperienza, il che è ben diverso dal solo pensarlo o crederlo), al vedere e toccare con mano ciò che è il Creatore e ciò che è la creatura, ciò che si guadagna con l’uno e ciò che si perde con l’altra, e molte altre verità che il Signore insegna a quelli che si abbandonano al suo insegnamento nell’orazione, o a quelli cui si degna di insegnarlo, allora quell’anima ama in modo completamente diverso da coloro che non sono giunti a questo stato.

4. Forse, sorelle, vi sembrerà superfluo che vi trattenga su questo argomento, perché direte che queste cose voi le sapete già tutte. Piaccia al Signore che sia così, che voi le sappiate nel modo dovuto e che le abbiate impresse nell’intimo del vostro cuore. Se, dunque, le sapete, riconoscerete che non mento nel dire che possiede tale amore chi è elevato da Dio fino a questo grado. Le anime che Dio fa giungere fin qui sono anime generose, anime splendide; non si compiacciono di amare cosa così miserevole come questi nostri corpi, per belli che siano, per molte attrattive che abbiano, anche se dilettino la vista e siano motivo per lodarne il Creatore. Ma fermarsi in questo, no. Dico fermarsi nel senso che abbiano ad amarli a causa di queste sole qualità. Sembrerebbe loro di aver cara una cosa senza alcun valore e di amare un’ombra; si vergognerebbero di se stesse e non avrebbero più il coraggio, senza sentirsi in preda a gran confusione, di dire a Dio che l’amano.

5. Mi direte che tali esseri non sapranno amare né ricambiare l’amore che si ha per loro. Per lo meno, si curano poco d’essere amati, giacché se lì per lì talvolta l’istinto li porta a rallegrarsene, riprendendo il controllo di se stessi, riconoscono che è un’insensatezza, tranne che si tratti di persone che possono trarne profitto sia per la scienza, sia per la preghiera. Ogni altra affezione li annoia, perché capiscono che non ne traggono alcun profitto e potrebbero riceverne gravi danni, anche se non mancano di esser grati a coloro che li amano e di ricambiare il loro affetto raccomandandoli a Dio. Lo accettano come cosa di cui affidare la cura al Signore, comprendendo che viene da lui, perché non sembra a tali anime di avere nulla in se stesse che meriti amore, pertanto ritengono di essere amate perché Dio le ama. Così lasciano a Sua Maestà la cura di soddisfare il loro debito di gratitudine, pregandolo vivamente di farlo, e con ciò restano libere, come se la cosa non le riguardasse più. Tutto considerato, se non si tratta di persone, ripeto, che possono aiutarci ad acquistare beni perfetti, penso a volte quale gran cecità ci induca a desiderare di essere amati.

6. Notate infatti che, mentre si cerca sempre, quando si desidera di essere amati da una persona, qualche interesse o soddisfazione personale, queste anime perfette invece tengono adesso sotto i piedi tutti i beni e i piaceri che il mondo può offrire. Le loro soddisfazioni sono ormai tali che, quand’anche le vogliano, per modo di dire, non possono averle se non in Dio o nel trattare di Dio. Che profitto può, dunque, venir loro dall’essere amati?

7. Dal momento in cui ricordano questa verità, ridono di se stesse e della pena che procurava loro in altri tempi chiedersi se il loro amore fosse o meno ricambiato. Anche se l’affetto è buono, è ben naturale desiderare che sia ricambiato. Ma, una volta ricevuto il contraccambio, vediamo che è solo paglia, aria senza peso che il vento porta via. Quand’anche, infatti, ci abbiano molto amati, che cosa ci rimane? Ecco perché a queste anime non importa d’essere amate più che di non esserlo, a meno che non si tratti di un rapporto con persone che, come ho detto, giovino al loro profitto spirituale, perché capiscono che la nostra natura è tale che, senza un affetto cui appoggiarsi, si abbatterebbero subito.

Vi sembrerà che tali anime non amano né sanno amare nessuno se non Dio. Amano, invece, sì, e molto di più, e il loro amore è più vero, più appassionato, più proficuo; in conclusione è amore. Esse sono sempre più propense a dare che a ricevere; ciò accade loro perfino con lo stesso Creatore. Questo io dico che merita di essere chiamato amore, mentre le basse affezioni della terra ne hanno usurpato il nome.

8. Vi domanderete anche: se non amano ciò che vedono, a che cosa si indirizzerà la loro affezione? La verità è che esse amano ciò che vedono e si affezionano a ciò che odono; ma le cose che vedono sono stabili. Se dunque amano, vanno al di là del corpo: volgono gli occhi sull’anima e guardano se in essa vi è qualcosa da amare. Se non c’è, ma vedono un qualche inizio o disposizione tale da far pensare che, scavando, troveranno oro in questa miniera, se nutrono amore per essa, la fatica non è loro di peso: non esiterebbero ad affrontare nessuna difficoltà di fronte alla quale venissero a trovarsi, per il bene di quell’anima, perché desiderano continuare ad amarla e sanno perfettamente che ciò è impossibile se non possiede beni spirituali e non ama molto Dio. E dico che è impossibile, per quanto possa obbligarle, che muoia d’amore per loro, faccia per esse tutto quello che può ed abbia in sé riuniti tutti i doni di natura: l’amore non sarà forte né durevole. Ormai sanno e conoscono per esperienza il valore di tutto, e non si lasceranno ingannare. Vedono che non sono fatte per vivere insieme, che è impossibile continuare ad amarsi reciprocamente, perché è un amore che finirà con la vita, se l’altra persona non osserva la legge di Dio, se si capisce che non lo ama, e che dovranno andare in parti diverse.

9. Le anime alle quali Dio ha ormai comunicato la vera conoscenza non stimano quest’amore, che ha la sua durata solo nella vita presente, più di quel che vale, e nemmeno quanto vale, perché per coloro ai quali piace godere delle cose del mondo, diletti, onori, ricchezze, avrà qualche valore il fatto che uno sia ricco o possa offrire passatempi o distrazioni. Chi, invece, aborrisce ormai tutto ciò, farà poco o nessun conto di tale amore.

Queste anime, quindi – se ne amano un’altra – riversano il loro amore nell’adoperarsi con passione a renderla degna d’essere amata dal Signore, perché altrimenti, come ho detto, sanno che l’amore non sarà durevole. È, il loro, un amore che costa caro, perché non tralasciano di far nulla per il profitto di chi amano; sarebbero pronte a sacrificare mille volte la vita per un minimo vantaggio dell’altra anima.

Oh, prezioso amore che cerca di seguire il modello dell’amore, Gesù, nostro bene!

CAPITOLO 7

Continua a parlare dell’amore spirituale ed offre alcuni consigli per ottenerlo.

1. È straordinario vedere quanto sia appassionato questo amore, quante lacrime costi, quante penitenze e preghiere, quante sollecitudini nel raccomandare la persona amata a tutti coloro che si pensa possano giovarle presso Dio con le loro preghiere. L’anima che ne è presa desidera continuamente che la persona amata progredisca nella perfezione e si addolora se non la vede progredire. Quando poi, nonostante sia parso di notare un miglioramento, la si vede tornare indietro, sembra che non si possa godere più di alcuna gioia in questa vita; non si mangia né si dorme se non con questa preoccupazione, nel timore continuo che l’anima tanto amata si perda e ci si abbia a separare per sempre da essa. Della morte temporale non si fa alcun caso, perché non ci si vuole attaccare a qualcosa che in un soffio sfugge di tra le mani senza che si possa trattenerla. Il suo amore – come ho detto – è senza ombra d’interessi personali; l’unica sua aspirazione e il solo desiderio sono vedere quell’anima ricca di beni celesti. Questo è vero amore e non già le meschine affezioni della terra, anche se non mi riferisco a quelle cattive: da esse Dio ci liberi.

2. [I cattivi amori] sono un vero inferno, e non c’è da affannarsi a dirne male, perché non si può esprimere adeguatamente neppure il più piccolo dei danni che arrecano. Noi non dobbiamo, sorelle, neanche pronunziarne il nome, né pensare che esistano in questo mondo, né prestare orecchio ad esse sia che se ne parli per scherzo o sul serio, né consentire che davanti a noi si svolgano conversazioni o racconti di tal genere di affezioni. Non servono a nulla di buono e anche solo udirne parlare può essere dannoso. Le affezioni a cui mi riferisco sono quelle lecite, quelle che, come ho detto, abbiamo l’una verso l’altra, o per i parenti o per le amiche. Tutto l’amore consiste nel temere che la persona amata muoia; se ha male alla testa, a noi sembra di aver male all’anima; se la vediamo nelle tribolazioni, sfuma – come si dice – la nostra pazienza, e così via.

3. L’amore spirituale è ben diverso. Quantunque per la nostra umana fragilità si provi subito un primo moto di sensibilità naturale, la ragione, poi, considera se le prove di quell’anima giovano alla sua perfezione, se per esse si arricchisce in virtù e come le sopporta; si prega, pertanto, Dio di darle pazienza e di aiutarla ad acquistare meriti con quelle prove. Se la si vede rassegnata, non si prova più alcuna pena, anzi si provano letizia e consolazione. E anche se si preferirebbe soffrire al posto suo piuttosto che vederla soffrire, purché le si potesse dare tutto il merito e il guadagno della sofferenza, non per questo se ne ha inquietudine e turbamento.

4. Torno ancora a dire che questo amore ricorda e imita quello che ebbe per noi Gesù, amore infinito. Coloro che amano così sono di grande utilità, perché prendono per sé tutte le sofferenze e lasciano che gli altri, senza soffrirne la pena, ne traggano vantaggi. Pertanto, chi gode della loro amicizia avanza moltissimo nella via della perfezione. E tenete per certo che o gli altri cesseranno dal trattarli – con un rapporto di particolare amicizia, intendo dire – oppure essi otterranno dal Signore che vadano per la loro stessa via, come già ottenne santa Monica per sant’Agostino, visto che è questo il cammino per arrivare alla patria comune. Tra amici non regge il cuore usare infingimenti; se vedono, quindi, che uno dei due devia dal giusto cammino o che commette qualche errore, glielo dicono subito. Non riescono a fare altrimenti. E, poiché non potranno mai cambiare a questo riguardo né cercano di far ricorso a lusinghe né di dissimulare loro nulla, o gli altri si emenderanno o romperanno l’amicizia, perché non potranno sopportare tutto questo, non essendo cosa da sopportare. L’amicizia vera implica, infatti, una guerra continua dall’una e dall’altra parte. Queste anime sante sono distaccate dal mondo intero e non badano se Dio vi sia servito o no, dedite solo a servirlo esse stesse fedelmente, ma non possono farlo nei confronti dei propri amici. Nulla sfugge ai loro occhi, ne vedono anche i più piccoli difetti. Io sostengo che portano una croce ben pesante.

5. Tale maniera di amare è quella che io vorrei vedere tra noi. Anche se da principio non sarà tanto perfetta, il Signore man mano andrà perfezionandola. Cominciamo a ricorrere ai mezzi necessari per acquistarla perché allora, pur traendo con sé un po’ d’istintiva tenerezza, non potrà nuocere, purché si rivolga a tutte, in generale. È bene e, a volte, necessario sentire e mostrare tenerezza, essere sensibili alle pene e alle infermità delle consorelle, per quanto piccole siano. Può infatti accadere talvolta che una cosa assai da poco procuri a qualcuna un così gran tormento, come a un’altra lo darebbe una difficile prova, e che ci siano persone le quali, per natura, se la prendono molto a causa di piccole cose. Se voi avete tutt’altra natura, non lasciate di compatirle: può darsi che il Signore voglia preservarvi da tali pene per darcene altre, che a noi sembreranno gravi – e forse in realtà lo saranno – mentre a un’altra sembreranno da poco. Pertanto in queste cose non giudichiamo in base a noi stesse, né guardiamo a noi nel momento in cui, forse senza alcuna fatica da parte nostra, il Signore ci ha rese più forti, ma nel momento in cui eravamo più deboli.

6. Sappiate che questa raccomandazione è molto importante per imparare a condividere le sofferenze del prossimo, siano pur piccole, specialmente trattandosi delle anime di cui ho parlato perché, desiderose come sono di soffrire, tutto sembra loro poco; è quindi ben più necessario che si ricordino di quando erano deboli e riconoscano che, se non lo sono più, non dipende da loro. Non facendolo, il demonio potrebbe raffreddare a poco a poco la loro carità verso il prossimo e far ritenere perfezione ciò che è un difetto. Bisogna essere sempre cauti e vigilanti perché il demonio non dorme, e tanto più devono esserlo le anime che aspirano a una più alta perfezione, perché le tentazioni del demonio sono ben dissimulate, non osando egli agire altrimenti, in modo che se non stanno attente – ripeto – probabilmente si accorgeranno del danno solo a fatto compiuto. Insomma, devono sempre vegliare e pregare, perché non v’è miglior rimedio dell’orazione per scoprire queste insidie nascoste del demonio e obbligarlo a manifestarsi.

7. Dovete anche mostrarvi liete con le consorelle quando si prendono la ricreazione di cui hanno bisogno e durante il tempo abituale, anche se non ne avete voglia, perché procedendo con questa considerazione, tutto risulta amore perfetto. Pertanto è bene che le une s’impietosiscano delle necessità delle altre, ma badino di non mancare, in ciò, alla discrezione e di non contravvenire all’obbedienza. Anche se il comando della priora possa sembrarvi duro, nel vostro intimo, non datelo a mostrare, né ditelo a nessuno, tranne che alla stessa priora, con umiltà, altrimenti ne avrete gran danno. Sappiate capire quali sono le cose a cui dovete mostrarvi sensibili e compassionevoli verso le consorelle; affliggetevi sempre molto per qualsiasi difetto scopriate in esse, se è notorio. Proprio a questo riguardo, manifesterete ed eserciterete bene il vostro amore nel saperlo sopportare e non meravigliarvene; così faranno le altre con i vostri difetti che forse saranno ben più numerosi, anche se non ne avete consapevolezza. Inoltre raccomandatele molto a Dio e cercate di attuare con gran perfezione la virtù contraria al difetto che avete notato nelle altre. Bisogna sforzarsi di riuscirvi per poter insegnare ad esse con le opere ciò che forse non possono capire con le parole, le quali, pertanto, non saranno di alcun vantaggio né di alcun emendamento, mentre la virtù che si vede risplendere in altre è assai contagiosa. Questo è un buon consiglio da non dimenticare.

8. Oh, che squisito e vero amore sarà quello della sorella che riesce a giovare a tutte, lasciando da parte il proprio profitto per quello delle altre, che fa grandi progressi in ogni virtù e osserva con assoluta perfezione la sua Regola! Sarà, questa, un’amicizia preferibile a tutte le parole di tenerezza che si possono dire, quelle che in questa casa non si usano né si devono usare, come: «vita mia», «anima mia», «amore mio» e altre simili che si rivolgono ora all’una , ora all’altra. Tali parole di tenerezza siano riservate per il vostro Sposo. Poiché dovete stare tanto a lungo con lui e da sole a solo, vi gioverete di tutto, e Sua Maestà lo gradirà; se sono invece parole già molto usate quaggiù, non vi inteneriranno più quando sarete con il Signore. A parte, poi, questa considerazione, non c’è motivo di usarle. Sanno molto di donna e io vorrei, figlie mie, che voi non foste né vi mostraste donne in nulla, ma uomini forti. Se farete del vostro meglio in questo senso, il Signore vi renderà così virili da meravigliare anche gli uomini. E quanto facilmente potrà farlo Sua Maestà che ci ha tratto dal nulla!

9. Un’altra bella dimostrazione di amore è anche togliere alle consorelle il lavoro e prendere per sé le fatiche delle occupazioni domestiche; inoltre, rallegrarsi e ringraziare il Signore vedendo i loro progressi nella virtù. Tutte queste cose, a parte il gran bene che comportano, giovano molto alla pace e all’accordo reciproco, come vediamo ora noi stesse per esperienza, grazie alla bontà di Dio, piaccia a Sua Maestà che si seguiti sempre così perché, se fosse il contrario, poche come siamo, se siamo anche discordi sarebbe una cosa terribile e assai dura da sopportare. Dio non voglia permetterlo!

10. Se, per caso, sfuggisse a un tratto qualche parolina contro la carità, vi si ponga subito rimedio e si rivolgano a Dio fervide preghiere. Se dovessero, poi, insorgere quei mali di lunga durata, piccole fazioni, desiderio d’emergere, piccoli punti di onore (mi si gela il sangue, mentre scrivo, a pensare che ciò potrebbe avvenire un giorno, perché vedo che è il male più grave dei monasteri), se – ripeto – queste cose dovessero accadere, tenetevi per perdute. Pensate e siate certe che avete cacciato di casa il vostro Sposo e che egli è costretto a cercarsi un altro alloggio, poiché si vede espulso dalla sua propria casa. Invocate Sua Maestà, cercate il rimedio; e, se non ci riuscite con le frequenti confessioni e comunioni, sospettate che possa esservi tra voi Giuda.

11. La priora stia molto attenta, per amor di Dio, a non dare adito a questo male, arrestandolo energicamente fin da principio, perché in ciò stanno tutto il danno o il rimedio. Se vede che c’è una religiosa che crea scompiglio, procuri di mandarla in un altro monastero: Dio le darà la dote necessaria per questo. Cacci lontano da sé questa peste; tagli come può i rami di tale pianta; se non basta, la strappi dalle radici. E, qualora non possa farlo, che ella non abbia più ad uscire dal carcere destinato a tali colpe: meglio trattarla in questo modo, anziché lasciare che un così irrimediabile morbo contamini tutte. Oh, che enorme male! Dio vi liberi dal monastero in cui esso entra! Preferirei che vi entrasse un fuoco capace di incenerirci tutte.

Siccome conto di dire di più su questo argomento, altrove, come cosa di molta importanza, ora non mi dilungo oltre.

CAPITOLO 8

Tratta del gran bene che comporta il distaccarsi interiormente ed esteriormente da ogni cosa creata.

1. Ora parliamo del distacco che dobbiamo nutrire verso ogni cosa. Se praticato con perfezione, per noi è tutto. Dico così in quanto, attaccandoci solamente al Creatore e non importandoci nulla delle creature, Sua Maestà ci infonde in tal modo le virtù necessarie che, se da parte nostra, con uno sforzo graduale, cerchiamo di acquistare la perfezione, non avremo più molto da combattere: ecco, subito, il Signore tendere la mano in nostra difesa contro i demoni e contro tutto il mondo.

Vi pare, forse, sorelle, che sia poco vantaggioso il bene che comporta donarci tutte, senza alcuna riserva, a colui che è tutto? E poiché in lui, ripeto, sta ogni bene, rendiamogli vivamente grazie, sorelle, di averci riunite qui, dove non si tratta di altro che di questo. Pertanto, non so perché ne parlo, visto che tutte voi, qui dentro, potete farmi da maestre, perché confesso di non avere, a questo così importante riguardo, la perfezione che desidero e che bisognerebbe avere. Lo stesso è di tutte le altre virtù e di ciò che qui dico, perché è più facile scrivere che agire. Può darsi che anche scrivendo non indovini, perché a volte il saper parlare di una cosa dipende dall’esperienza e io debbo cogliere nel segno considerando l’opposto delle qualità di cui ho fatto esperienza io.

2. Quanto all’esterno, si vede chiaro come qui siamo staccate da tutto. Oh, sorelle, cercate di capire, per amor di Dio, la grande grazia che il Signore vi ha fatto nel condurvi qui, e ognuna lo mediti bene in se stessa, perché siete solo dodici e Sua Maestà ha voluto che voi foste una di esse. E quante altre, migliori di me, so che avrebbero preso volentieri quel posto che il Signore ha concesso a me, così lontana dal meritarlo! Siate voi benedetto, mio Dio, e vi lodino per me tutte le creature, poiché neanche di questa grazia vi so ringraziare, come di molte altre che mi avete fatto, fra cui quella di avermi chiamata allo stato religioso, che fu grandissima! E siccome io sono stata tanto cattiva, voi, Signore, non vi siete fidato di me. Infatti, restando dove erano riunite tante anime sante, la mia infedeltà sarebbe rimasta nascosta fino al termine dei miei giorni; per questo voi mi avete condotta qui dove, essendo le monache così poche, sembra impossibile che le mie mancanze passino inosservate, perciò io devo procedere con maggiore attenzione. Inoltre voi mi sottraete ad ogni occasione pericolosa. Ormai per me non ci sono più scuse, Signore, lo confesso; pertanto ho bisogno più che mai della vostra misericordia, affinché perdoniate i miei eventuali errori.

3. Ciò di cui vi supplico è che colei che non si senta capace di sopportare le pratiche qui in uso, lo dica; ci sono altri monasteri dove si serve ugualmente il Signore; non turbi pertanto le poche religiose che Sua Maestà ha qui riunite. Altrove avrà la libertà di consolarsi con i parenti; qui, quando se ne ammette qualcuno, è solo per consolazione dei medesimi. Ma la religiosa che, per suo conforto, desiderasse vedere i parenti, se essi non sono dediti alla vita spirituale, si reputi imperfetta; sia certa che in lei non c’è distacco, che la sua anima è malata, che non godrà della libertà di spirito, che non avrà pace completa, che avrà bisogno del medico. L’avverto che, se non si libera da questo legame e non guarisce, non è fatta per questa casa.

4. Il rimedio che a me sembra il migliore è che non veda i suoi parenti finché non si senta libera e non ottenga questa grazia dal Signore con molte preghiere. Quando si ritrovi in tale disposizione di spirito da sopportare le loro visite come una croce, li veda pure, perché allora sarà di profitto ad essi e non farà alcun danno a sé.

CAPITOLO 9

Tratta del gran bene che comporta il distacco dai parenti per chi ha lasciato il mondo e mostra quali più veri amici si trovino allora.

1. Oh, se noi religiose potessimo comprendere il danno che ci viene dal trattare spesso con i parenti, come fuggiremmo da loro! Io non riesco a capire quale sia questo conforto che essi ci danno (anche prescindendo da ciò che riguarda il servizio di Dio, e tenendo conto soltanto della nostra pace e tranquillità), giacché non possiamo né dobbiamo godere dei loro piaceri, ma risentire dei loro travagli, sì; non ce ne sarà nessuno su cui tralasceremo di piangere e a volte più di loro stessi. Certamente, anche se ci offrono un qualche ristoro per il corpo, lo spirito lo paga ben caro. Da tale pericolo qui siete libere perché, essendo tutto in comune e non potendo alcuna di voi ricevere nulla di cui godere particolarmente, l’elemosina fatta dai parenti è per tutte; pertanto, si è esenti da obbligazioni con loro, perché si sa che spetta al Signore provvedere tutte noi del necessario.

2. Mi spaventa il danno che proviene dal trattare con i parenti; non credo che si potrà immaginarlo senza averne fatto esperienza. Oh, come sembra dimenticata al giorno d’oggi questa perfezione nelle case religiose! Mi chiedo che cosa lasciamo del mondo, noi che diciamo di lasciar tutto per amor di Dio, se non ci distacchiamo da ciò che è essenziale, cioè i parenti. Si è giunti a una tale situazione che i religiosi reputano una mancanza di virtù non amare molto e non trattare di frequente i loro parenti, come dicono essi stessi adducendo buone ragioni.

3. In questa casa, figlie mie, si abbia molta cura, e giustamente, di raccomandarli a Dio; per il resto, bisogna allontanarli il più possibile dalla mente, essendo naturale che il nostro affetto si attacchi ad essi, più che ad altre persone.

Io sono stata molto amata dai miei, a quanto essi dicevano, e da parte mia li amavo anch’io tanto, da non permettere loro di dimenticarmi. Ma ho imparato per esperienza mia e altrui che, prescindendo dai genitori (i quali è raro che trascurino di fare quanto possono per i propri figli; è, quindi, giusto non restare estranei ad essi, qualora abbiano bisogno di conforto, se vediamo che ciò non pregiudica il nostro impegno principale, giacché si può farlo conservando un completo distacco; altrettanto si dica dei fratelli), quanto agli altri, se mi sono trovata in difficoltà, sono stati quelli che meno mi hanno aiutata. Il soccorso mi venne non dai miei parenti, bensì dai servi di Dio.

4. Credetemi, sorelle, che, servendo voi il Signore come dovete, non troverete parenti migliori di quelli che Sua Maestà vorrà mandarvi. So che è così e impegnandovi a ben servirlo – come state facendo – e rendendovi conto che comportandovi diversamente offendete il vostro vero amico e Sposo, credetemi che in brevissimo tempo conquisterete questa libertà di cui parlo. Sappiate che potete fidarvi di coloro che vi ameranno soltanto per Dio, più che di tutti i vostri parenti, che essi non vi verranno mai meno, e che troverete genitori e fratelli in chi meno pensate. Infatti essi attendono da Dio la ricompensa, agiscono unicamente nel nostro interesse, mentre quelli che l’attendono da noi, se ci vedono poveri e impossibilitati a ricambiare loro in qualche cosa, si stancano presto. E anche se ciò non sia norma generale, è il caso più frequente oggi nel mondo, perché il mondo è sempre il mondo.

Non credete a chi abbia a dirvi il contrario facendolo passare per virtù. Se potessi infatti esporvi tutto il danno che ciò comporta, dovrei dilungarmi molto e, poiché altri che ne sanno più di me hanno scritto su questo argomento, basti quanto ne ho detto. Mi sembra che se, pur essendo io tanto imperfetta, vi ho scorto gravi pericoli, cosa vi scorgerà chi è perfetto?

5. Sentirci continuamente ripetere da parte dei santi il consiglio di fuggire dal mondo, evidentemente è una cosa ottima. Ebbene, credetemi, ciò che più – torno a dire – risente del mondo e da cui più difficilmente si riesce a distaccarsi sono i parenti. Per questo fanno bene coloro che vanno lontano dal loro paese, se ciò può aiutarli. Non credo, però, che la questione consista in una lontananza fisica, bensì nel fatto che l’anima si unisca risolutamente al buon Gesù, nostro Signore, nel quale, trovando tutto, dimentica tutto, anche se l’allontanarci molto ci sarà di aiuto, finché non avremo compreso questa verità. Dopo potrà accadere che il Signore, per farci trovare una croce dove prima avevamo piacere, voglia che trattiamo ancora con essi.

CAPITOLO 10

Non basta staccarsi dai parenti se non ci distacchiamo anche da noi stessi; questa virtù e l’umiltà vanno insieme.

1. Staccandoci dal mondo e dai parenti, per chiuderci qui per praticare ciò che ho detto, ci sembra ormai di aver fatto tutto e che non ci sia più da sostenere alcuna battaglia. Oh, sorelle mie, non siate così sicure e non dormiteci sopra! Fareste come colui che si corica del tutto tranquillo, avendo sbarrato perfettamente le porte di casa sua per paura dei ladri, e ve li lascia chiusi dentro. Ora, visto che noi restiamo dentro, sapete bene che non può esserci peggior ladro di noi stesse. Se infatti non si procede con grande attenzione e ognuna di noi non bada bene – come nell’affare più importante d’ogni altro – a rinunziare alla propria volontà, molti ostacoli si frapporranno per toglierci questa santa libertà di spirito, la sola che ci permette di volare verso il Creatore non più carichi di terra e di piombo.

2. Un gran rimedio per questo male è pensare di continuo che tutto è vanità e quanto duri poco. Servirà a stornare le nostre affezioni da cose che sono tanto fragili e volgerle a ciò che non avrà mai fine. Anche se sembra un debole mezzo d’aiuto, riesce a fortificare molto l’anima. Dobbiamo, inoltre, avere una gran cura di non attaccarci nemmeno alle piccole cose; appena ci si avvede di affezionarci a qualcuna di esse, bisogna cercare di stornarne il nostro pensiero e di rivolgerlo a Dio; Sua Maestà ci aiuterà. Egli ci ha già concesso una grande grazia con l’accordarci che in questa casa il più sia ormai già fatto, anche se questo staccarci da noi stesse e lottare contro la nostra natura è cosa dura: siamo fortemente attaccate al nostro io e ci amiamo molto.

3. Qui può intervenire la vera umiltà, in quanto questa virtù e quella della rinuncia a se stessi mi pare che vadano sempre insieme: sono due sorelle che non bisogna mai separare. Non sono esse i parenti dai quali io consiglio di tenersi lontane, anzi esorto ad abbracciarle e ad amarle, senza privarsi mai della loro compagnia. Oh, sovrane virtù, regine di tutto il creato, imperatrici del mondo, liberatrici di tutti i lacci e di tutte le insidie tesse dal demonio, così amate da Cristo, nostro Maestro, il quale non fu mai, neppure per un attimo, senza di voi! Chi ne sarà in possesso, può ben uscire a combattere contro tutto l’inferno congiunto e contro tutto il mondo e le sue seduzioni. Non abbia paura di nessuno, perché è suo il regno dei cieli. Non ha ragione di temere, non importandogli nulla di perdere tutto e non reputando neanche perdita non godere dei beni terreni; teme solo di dispiacere a Dio e lo supplica di sostenerlo in tali virtù, perché non abbia a perderle per colpa sua.

4. È vero che queste virtù hanno la proprietà di nascondersi a chi le possiede, il quale, così, non le vede mai, né riesce a credere di possederle, neppure se glielo dicono, ma le stima tanto che va sempre cercando di acquistarle, pertanto le perfeziona continuamente in sé. Tuttavia, sono molto evidenti in quelli che le hanno: si manifestano subito a chi tratta con loro, senza che essi lo vogliano.

Ma che stoltezza la mia di mettermi a lodare umiltà e mortificazione già tanto lodate dal Re della gloria e consacrate da tante sue sofferenze! Orsù, dunque, figlie mie, è questo il momento di lavorare per uscire dalla terra d’Egitto, perché, trovando queste virtù, troverete la manna; tutte le cose vi parranno buone, e per quanto alla gente del mondo il loro sapore sembri amaro, per voi sarà squisitamente dolce.

5. Ebbene, ciò che anzitutto dobbiamo sforzarci di fare è liberarci dall’amore di questo nostro corpo, perché alcune di noi sono così attaccate , per natura, ai loro agi, che hanno molto da fare a tale riguardo. Amiamo tanto la nostra salute che è una cosa sbalorditiva vedere le lotte che per questa ragione devono sostenere, sì, le monache in particolare, ma anche le persone che non lo sono. Alcune monache poi, sembra che siano venute in monastero per cercare di non morire, e ognuna tende a questo fine come può. Qui, a dire il vero, ciò ha poco senso, ma io vorrei che non ve ne fosse neanche il desiderio. Abbiate la ferma risoluzione, sorelle, di venire a morire per Cristo e non a concedervi benessere per lui; questo lo suggerisce il demonio come cosa necessaria «per mantenere e rispettare l’osservanza della Regola». E, intanto, preoccupandosi della propria salute, per poter osservare scrupolosamente la Regola, si muore senza averla osservata interamente per un solo mese e forse neanche per un giorno. Non so, dunque, a che scopo siamo venute qui.

6. Non abbiate paura che su questo punto si manchi di discrezione: sarebbe da restarne stupiti, perché gli stessi confessori temono subito che ci si possa ammazzare di penitenze. E questa mancanza di discrezione è così aborrita da noi che, magari adempissimo tutto il resto con lo stesso scrupolo! Quelle che agiscono all’opposto, io so che non si turberanno di ciò che dico, come non mi turberei se dicessero che giudico le altre da me stessa, in quanto è la verità. Io credo che per questo il Signore ci vuole sempre ammalate; per lo meno nei miei confronti ha usato una gran misericordia col farmi essere tale, perché, intesa a procurarmi agi in un modo o in un altro, volle che almeno lo facessi per qualche motivo.

È davvero cosa ridicola che alcune siano vittime di questo tormento che esse stesse si procurano; a volte nasce in loro un desiderio di far tali penitenze, senza capo né coda, che vi durano solo due giorni, come si dice. In seguito il demonio mette loro in testa che ne hanno avuto un danno e desta in esse tanta paura della penitenza che non osano più, dopo simile esperienza, neanche fare quelle che prescrive la Regola! Non ne osserviamo nemmeno certi punti molto facili, come il silenzio, che non potrebbe farci alcun male, e appena ci duole un po’ la testa, tralasciamo di andare al coro – cosa che neanch’essa può ucciderci – e vogliamo inventare penitenze di testa nostra per non dover fare né queste né quelle. A volte si tratta di una leggera indisposizione, per la quale ci sembra di non essere più obbligate a far nulla o di adempiere il nostro dovere col chiedere una dispensa.

7. Voi direte: ma perché la priora ce la concede? Se potesse leggere nel vostro intimo, probabilmente non lo farebbe, ma poiché la informate di una necessità e non manca l’aiuto di un medico al quale avete parlato in tal senso, di un’amica o di una parente che piange al vostro fianco, che cosa può fare? Ha lo scrupolo di mancare alla carità; preferisce che siate voi a commettere una colpa anziché lei.

8. Sono, queste, cose che possono accadere qualche volta e le noto qui perché ve ne guardiate. Se infatti il demonio comincia a impaurirci con il timore di perdere la salute, non faremo mai nulla. Il Signore ci illumini per farci trovare sempre la via giusta!

CAPITOLO 11

Continua a trattare della mortificazione e parla di quella che si deve acquistare nelle malattie.

1. Mi sembra proprio un’imperfezione, sorelle mie, lamentarsi continuamente per mali leggeri; se potete sopportarli, non parlatene. Quando il male è grave, si lamenta da solo: è un altro genere di lagnanza ed è subito evidente. Considerate che siete poche e che basta una che abbia questo malvezzo per essere causa di pena a tutte, se vi amate e vi è tra voi carità. Chi è veramente malata, lo dica e prenda ciò che le è necessario. Se non è schiava dell’amor proprio, soffrirà tanto di concedersi qualunque sollievo che non c’è da temere vi faccia ricorso senza averne bisogno o che si lamenti senza motivo. In caso di necessità sarebbe molto peggio non dirlo, anziché prendere un rimedio senza averne bisogno e sarebbe assai deplorevole che le consorelle non manifestassero a chi soffre la loro compassione.

2. Ma si può essere certi che dove regna la carità e dove le religiose sono così poche, non mancherà mai ogni attenzione nelle cure. Guardatevi però dal lamentarvi di certe indisposizioni e piccoli malesseri di donne, perché alle volte è il demonio a farci credere a tali mali: vanno e vengono. Se non perdete l’abitudine di parlarne e di lamentarvi di tutto, eccetto che con Dio, non la finirete più. Il nostro corpo, infatti, ha questo di brutto: che quanto più si vede curato, tanto più scopre nuovi bisogni. È incredibile quanto esiga d’esser trattato bene, e poiché pretesti non gliene mancano, alla minima necessità inganna la povera anima per arrestarne il progresso.

3. Pensate a tanti poveri malati che non hanno con chi lamentarsi; e poi, esser povere e voler trattarsi bene è fuori di ogni logica. Pensate anche che ci sono molte donne sposate e perfino, come io so, di elevata condizione che, pur con gravi malattie e con grandi travagli, non osano lamentarsi per non dare dispiacere ai loro mariti. E noi, invece, me peccatrice! veniamo qui per concederci un migliore trattamento di loro. Oh, mie sorelle, voi che siete libere dai grandi travagli del mondo, sappiate soffrire un poco per amor di Dio, senza che lo sappiano tutti! Vi sono donne sfortunate nel matrimonio che tacciono, non si lamentano, sopportano la loro ben dura sorte, senza trovar conforto in nessuno, affinché i loro mariti non si accorgano di nulla. E noi non sopporteremo, sole con Dio, qualcuno dei mali che egli ci dà in espiazione dei nostri peccati, tanto più che il lamentarcene non serve affatto a calmare il nostro male?

4. In tutto ciò che ho detto, non mi riferisco a gravi malattie, per esempio, a una febbre molto alta – anche se vi prego di aver sempre moderazione e pazienza –, ma a certi piccoli mali che si possono sopportare in piedi. Che accadrebbe, però, se quanto io scrivo dovesse esser conosciuto fuori di questa casa? Che cosa direbbero di me tutte le monache? Eppure come volentieri lo sopporterei se giovasse a far emendare qualcuna! Basta, infatti, che ce ne sia una sola di tal sorta, perché si giunga all’estremo di non credere, in generale, più a nessuna, quale che sia la gravità del suo male. Ricordiamo i nostri Padri, quei santi eremiti d’altri tempi, di cui pretendiamo imitare la vita. Quanti dolori hanno dovuto sopportare e in quale isolamento! Quanto freddo, fame, sole e arsura, senza avere nessuno con cui lamentarsi se non con Dio! Pensate forse che fossero di ferro? Ebbene, erano delicati come noi. Credetemi, figlie mie, che una volta cominciato a vincere questo misero corpo, esso non ci importunerà più tanto. Ci saranno sempre molte sorelle a badare ai vostri bisogni; non preoccupatevi, pertanto, di voi stesse, a meno che non si tratti di un’evidente necessità. Se non ci decidiamo una buona volta ad accettare la morte e la perdita della salute, non faremo mai nulla.

5. Cercate di non avere questa paura, abbandonatevi completamente in Dio, e avvenga quel che vuole. Che importa morire? Quante volte il corpo si è preso gioco di noi! E non vogliamo qualche volta prenderci gioco di lui? Credete pure che questa risoluzione è più importante di quanto possiamo credere, perché insistendo a poco a poco a dominare il nostro corpo, con l’aiuto del Signore resteremo completamente padrone di esso. Ora, vincere un tal nemico è un gran guadagno per affrontare la battaglia di questa vita. Il Signore ci aiuti come può! Sono certa che non comprende l’importanza di questo consiglio se non chi già gode della vittoria. Si tratta di vantaggi tanto grandi, a mio avviso, che nessuno si sottrarrebbe ad affrontare dure prove per possedere questa pace e questa sovranità.

CAPITOLO 12

Fa vedere quanto poca stima deve avere della vita e dell’onore chi ama veramente Dio.

1. Passiamo ad altre cose che sono anch’esse molto importanti, benché sembrino di poco conto. Tutto ci appare gravoso, e a ragione, perché si tratta di una guerra contro noi stessi, ma appena ci mettiamo all’opera, Dio agisce così efficacemente nell’anima e le dona tante grazie che le sembra poco tutto ciò che si può fare in questa vita. Per noi monache, poi, il più è fatto, quando rinunziamo alla libertà per amor di Dio, rimettendola nelle mani degli altri. Inoltre, osserviamo tante pratiche gravose: digiuni, silenzio, clausura, servizio del coro, che anche a volerci trattare con delicatezza non potremmo farlo se non raramente, e forse l’avrò fatto soltanto io in tanti monasteri che ho visto. Allora, perché trattenerci dal praticare la mortificazione interiore che rende tutto il resto molto più meritorio e perfetto e ce lo fa compiere con maggiore pace e dolcezza? Ci si arriva – come ho detto – a poco a poco, rinnegando la propria volontà e il proprio istinto anche nelle piccole cose, fino ad assoggettare il corpo allo spirito.

2. Torno a dire che tutto o quasi tutto consiste nel rinunciare a noi stessi e ai nostri agi. Chi comincia infatti a servire il Signore, il meno che gli può offrire è la vita. E che deve temere chi gli ha già dato la sua volontà? È evidente che se è un vero religioso o una vera anima di orazione che pretende godere i doni di Dio, non deve tornare indietro ma desiderare di morire per Dio e soffrire anche il martirio. Del resto, non lo sapete, sorelle, che la vita del buon religioso, che vuol essere fra i più intimi amici di Dio, è un lungo martirio? Lungo, perché tale può dirsi in confronto a quello di coloro cui veniva tagliata la testa. Ma la vita è breve, anzi a volte brevissima. E che sappiamo se la nostra non sarà così breve che dopo un’ora o un momento dall’aver peso la risoluzione di servire totalmente Dio, si estinguerà? Sarebbe possibile perché, dopo tutto, non c’è da fare assegnamento su quanto ha fine. E, pensando che ogni ora può essere l’ultima, chi di voi non vorrà impiegarla bene? Credetemi, questo pensiero è la cosa più sicura.

3. Adoperiamoci, pertanto, a contraddire in tutto la nostra volontà; se ci impegneremo a farlo, come ho detto, a poco a poco, senza saper come, ci troveremo sulla vetta. Ma non sembra troppo rigoroso di re che noi non dobbiamo cercare soddisfazione in nulla? Sì, perché non si dice quali grazie e gioie comporti questa contraddizione e quanto si guadagna con essa anche in questa vita, quale sicurezza! Qui, poiché tutte voi percorrete questa strada, il più è fatto. Ora, stimolatevi e aiutatevi a vicenda: in questo ciascuna di voi deve cercare di superare le altre.

4. Vegliate attentamente sui vostri moti interiori, specialmente su quelli riguardanti la preminenza. Dio ci liberi, per la sua passione, di fermarci a dire o pensare cose di tal genere: «sono più anziana nell’Ordine», «ho più anni», «ho lavorato di più», «quella è trattata meglio di me». Bisogna respingere subito questi pensieri, appena si presentano, perché il fermarsi su di essi o parlarne è una peste e l’origine di grandi mali. Se doveste avere una priora che sopporta tali considerazioni, anche poco, credete che Dio ha permesso che l’abbiate in punizione dei vostri peccati e che sia qui l’inizio della vostra rovina. Pregate quindi ardentemente il Signore di porvi rimedio, perché vi trovate in grave pericolo.

5. Può darsi che vi domandiate perché insisto tanto su questo, che giudichiate rigorosa tale dottrina perché Dio accorda le sue grazie anche a coloro che non sono ancora pervenuti a un così completo distacco.

Lo credo, perché con la sua sapienza infinita vede che ciò è necessario per condurli a lasciare tutto per lui. Per «distacco» non intendo solo l’entrare in religione, giacché vi possono essere ostacoli per abbracciare questa via, e in ogni luogo un’anima perfetta può essere distaccata e umile; solo che sarà a costo di maggiore sforzo da parte sua, perché l’ambiente ha molta importanza. Ma, credetemi, dov’è una vana stima del punto d’onore o desiderio di beni terreni (e questo può trovarsi tanto dentro i monasteri quanto fuori di essi, anche se dentro le occasioni siano minori, e maggiore, quindi, la colpa), malgrado si siano trascorsi molti anni nell’orazione (o, per meglio dire, nella meditazione, perché l’orazione perfetta finisce col correggere questi difetti), non ci si avvantaggerà molto né si arriverà a godere il vero frutto dell’orazione.

6. Considerate, sorelle, se questi consigli siano o no per voi importanti, tanto più che non siete qui per altro. Comportandovi diversamente, perdereste l’onore e il profitto che ne potreste guadagnare; così che disonore e perdita vanno qui uniti insieme.

Ognuna consideri quale sia il suo grado d’umiltà e vedrà a che punto è nel progresso spirituale. Mi sembra che, in fatto di preminenza, il demonio non oserà tentare, neppure con un primo impulso, chi è veramente umile, perché, essendo molto astuto, ne teme il contraccolpo. È impossibile, per chi è umile, non acquistare maggior forza e non progredire in questa virtù, se il demonio lo tenta in tal senso. È evidente, infatti, che l’anima deve ritornare sulla sua vita, paragonare il modo con cui ha servito il Signore con ciò che gli deve, considerare l’eccelso dono ch’egli ci fece nell’abbassarsi fino a noi per darci esempio di umiltà e, riconoscendo i suoi peccati, pensare dove avrebbe meritato di stare a causa di essi. Ne esce così avvantaggiata che il demonio non osa tornare all’attacco per non riportarne la testa rotta.

7. Ecco il consiglio che vi do e non dimenticatelo: non solamente dovete avanzare in umiltà interiormente (giacché sarebbe un gran male non restare con questo profitto), ma cercare anche che le consorelle traggano vantaggio dalla vostra tentazione mediante i vostri atti esterni. Se volete vendicarvi del demonio e liberarvi più presto dalla tentazione, non appena vi sopravvenga, pregate la priora d’imporvi qualche incarico umiliante o adempitelo voi stesse come potete e adoperatevi a studiare il modo di piegare la vostra volontà, praticando cose che vi ripugnano. Il Signore ve le farà conoscere e la tentazione durerà poco. Dio ci liberi da coloro che pretendono di servirlo coltivando insieme il proprio onore! Badate che è un cattivo affare e – come ho detto – lo stesso onore si perde col perseguirlo, specialmente in fatto di preminenze, perché non c’è al mondo un tossico che uccida la perfezione come cose di questo tipo.

8. Direte che sono piccole cose, frutto di natura, di cui non bisogna far caso. Non scherzateci sopra, perché crescono come la schiuma: non è cosa da nulla quando il pericolo è così grave come lo è in questi punti d’onore e nel badare se non ci sia stato fatto qualche torto. Sapete perché, fra molte altre ragioni? Forse in qualcuna l’inizio è una cosa da poco, anzi quasi un nulla, ma subito il demonio fa sì che a un’altra sembri grave, e questa penserà di fare un atto di carità col dirvi che non capisce come possiate sopportare quell’affronto, che prega Dio di darvi pazienza; vi esorta a offrirgli questa prova, superiore a quanto potrebbe soffrire un santo. Il demonio vi raggira, in conclusione, con tali seduzioni che, pur essendo decise a soffrire, ne uscite con una tentazione di vanagloria, per una prova che non avete neppure sopportata con la perfezione che essa richiedeva.

9. La nostra natura è così debole che, anche quando riconosciamo che non c’è da soffrire per una prova, pensiamo di aver fatto qualcosa, sopportandola, e ne soffriamo, tanto più se vediamo che le altre se ne angustiano per amor nostro. Così l’anima va perdendo le occasioni che aveva di acquistare meriti, resta più debole e lascia aperta al demonio la porta, perché rinnovi l’assalto con maggior violenza. Potrà pur accadere, anche quando abbiate preso la risoluzione di sopportare tutto pazientemente, che vengano da voi a dirvi che siete un’insensata, che è bene risentirsi degli affronti. Oh, per amor di Dio, sorelle mie! Che nessuna sia indotta da un’inopportuna carità a mostrare compassione per l’altra per ciò che riguarda questi torti immaginari: sarebbe come quella carità usata con il santo Giobbe dai suoi amici e da sua moglie.

CAPITOLO 13

Continua a parlare della mortificazione e mostra come bisogna fuggire i puntigli e le massime del mondo per arrivare alla vera sapienza.

1. Ve l’ho detto molte volte, sorelle, e ora ve lo voglio lasciare scritto qui affinché non lo dimentichiate, che le religiose di questa casa, come anche ogni persona che vorrà essere perfetta, deve fuggire mille miglia da espressioni come queste: «avevo ragione», «mi hanno fatto un torto», «non aveva un motivo chi mi ha fatto questo»… Dio ci liberi da cattive ragioni! Vi sembra che ci fosse motivo perché il nostro buon Gesù soffrisse tante offese e gli facessero tanti oltraggi e tanti torti? La religiosa che non fosse disposta a portare la croce che non sia quella datale a buon diritto, io mi chiedo che ci fa in un monastero; se ne ritorni nel mondo, dove pur le sue ragioni non le varranno a risparmiarle prove. Forse che voi potete soffrire tanto da non meritare maggiori sofferenze? Che motivo avete, dunque, di lagnarvi? Davvero non lo capisco.

2. Quando ci tributano qualche onore o ci concedono agi o ci trattano particolarmente bene, tiriamo fuori queste ragioni, essendo certamente contro ogni logica che ci usino tali attenzioni in questa vita. Ma quanto ai torti – così li chiamiamo senza che in realtà nessuno ci faccia torto – io non so che cosa ci sia da dire. O siamo spose di un così gran Re, o no. Se lo siamo, esiste forse una donna onorata che non condivida gli oltraggi fatti al suo sposo, anche se di sua volontà non lo farebbe? Infine, l’onore e il disonore sono in comune fra loro. Volere, dunque, far parte del suo regno e goderne, e al tempo stesso non partecipare in nessun modo dei suoi oltraggi e delle sue sofferenze, è una follia.

3. Dio non voglia che noi desideriamo questo! Quella fra noi che si considera stimata meno fra tutte le altre, si reputi la più felice; e lo è, infatti, se sopporta la prova come deve sopportarla, né le mancherà onore in questa e nell’altra vita, credetemi pure. Ma che stoltezza la mia di chiedervi di credere a me, quando lo afferma la Sapienza di Dio che è la stessa verità!

Cerchiamo, figlie mie, di imitare in qualche cosa la grande umiltà della Vergine santissima, di cui portiamo l’abito. C’è da riempirsi di confusione al pensiero che ci chiamiamo sue monache, perché per molto che ci sembri d’umiliarci, siamo ben lontane dall’esser degne figlie di tal Madre e spose di tale Sposo.

Pertanto, se non bloccate con tutta la diligenza possibile le imperfezioni di cui ho parlato, ciò che oggi non sembra nulla, domani forse sarà un peccato veniale, e tanto pericoloso da diventare, se trascurato, causa di molti altri. E per un Ordine religioso ciò comporta gravi danni.

4. A questo dovremmo far molta attenzione, noi che viviamo in comunità, per non nuocere a quelle che si adoperano a fare il nostro bene e a servirci di buon esempio. E se sapessimo quanto danno si arreca nel dar l’avvio a una cattiva abitudine, preferiremmo morire piuttosto che esserne causa, perché si tratterebbe, in fondo, solo di una morte fisica. Nuocere, invece, alle anime è davvero un gran male e sembra non aver fine.

Infatti, alle religiose che muoiono ne succedono altre, e tutte, probabilmente, seguono piuttosto una cattiva abitudine da noi introdotta, che non molti esempi di virtù. Il demonio non lascia cadere la prima, mentre basta la nostra stessa naturale debolezza a far perdere la traccia delle virtù.

5. Oh, quale grande carità attuerebbe e quale gran servizio a Dio renderebbe la religiosa che, vedendosi incapace di seguire le abitudini di questa casa, lo riconoscesse e se ne andasse via da qui! Guardi che è quanto le conviene fare, se non vuole avere un inferno quaggiù; piaccia, anzi, a Dio che non ne trovi un altro di là, essendovi molte ragioni per temerlo e forse né lei né le altre potranno capirlo come lo capisco io.

6. Credete a ciò che vi dico, altrimenti ci penserà il tempo a darmi ragione, perché il tenore di vita che qui intendiamo condurre non è solo da monache, ma da eremite, pertanto dobbiamo distaccarci da ogni cosa creata. Tale, infatti, è la grazia che, come posso costatare, il Signore concede particolarmente a quelle che ha scelto per questa casa. Anche se non vi realizzano ancora il distacco con tutta perfezione, la prova che sono indirizzate per quel cammino è l’appagamento e l’allegria da cui sono pervase al pensiero che non devono più occuparsi delle cose del mondo e il piacere che traggono da tutte le pratiche religiose.

Torno a dire che se qualcuna è incline alle cose del mondo e vede di non realizzare alcun progresso, se ne vada via da qui; se, ciò malgrado, vuole essere ancora religiosa, entri in un altro monastero, altrimenti vedrà che cosa le succede. Non si lamenti di me, che ho dato qui inizio a tal genere di vita, perché non manco di avvertirla.

7. Questa casa è un paradiso, se ce ne può essere uno sulla terra. Per chi trova il suo appagamento solo nel contentare Dio e non bada al proprio piacere, tale vita è assai felice. Chi desidera qualcosa di più, siccome non potrà averla, perderà tutto.

Un’anima scontenta è come chi ha molta inappetenza: per buono che sia il cibo, ne ha nausea, e quello che le persone sane mangiano di gran gusto gli fa rivoltare lo stomaco. Altrove quest’anima si salverà più facilmente e può darsi che a poco a poco raggiunga quella perfezione che qui non ha potuto sopportare, perché affrontata tutta d’un colpo.

Infatti, sebbene per quanto riguarda il nostro intimo si lasci un po’ di tempo perché sia del tutto distaccato e mortificato, per le forme esteriori dev’essere fatto subito. Se qualcuna, pur vedendo come agiscono tutte e pur trovandosi continuamente in così buona compagnia, non fa progresso in un anno, temo che in molti anni non ne approfitterà di più, anzi indietreggerà. Non dico che la sua perfezione debba essere così rifinita come quella delle altre, ma che ci si accorga della sua graduale ripresa; del resto, quando il male è mortale, si vede subito.

CAPITOLO 14

Mostra quanto sia importante non ammettere alla professione nessuna persona il cui spirito sia contrario alle cose anzidette.

1. Sono certa che il Signore favorisce molto chi è fermamente decisa a servirlo, pertanto bisogna esaminare quale sia l’intento di chi entra fra noi, se non sia soltanto per sistemarsi (come accade a molte). Quando si tratta di persone con un sano criterio il Signore può certo perfezionare il loro intento, ma se non è così, non bisogna prenderle a nessun costo, perché esse non comprenderanno né l’insufficienza del motivo per cui entrano né, in seguito, i suggerimenti di quelle che vorrebbero si adeguassero al meglio. Infatti, in genere, a simili persone sembra sempre di riuscire a capire quello che loro conviene, a preferenza di chi ne sa di più; è questo, a mio giudizio, un male incurabile, perché di rado manca di accompagnarsi alla malizia. Dove sono molte religiose, potrà tollerarsi, ma non qui, dove siete così poche.

2. Una persona che abbia un sano criterio, se comincia ad affezionarsi al bene, vi si attacca fortemente, perché vede che è la cosa più sicura; e quand’anche non sia fatta per arrivare a una grande perfezione, sarà di aiuto alle altre con un buon consiglio e potrà aiutarle in molte altre cose, senza essere di peso a nessuna. Se, invece, manca di criterio, io non so di quale utilità possa essere in una comunità; potrebbe, invece, nuocere molto.

Questo difetto non si vede subito, perché molte parlano bene e capiscono male, mentre altre parlano poco e alquanto male, ma hanno la capacità di fare molto bene. Ci sono, infatti, anime di una santa semplicità, che s’intendono poco degli affari e degli usi del mondo, ma molto dei rapporti con Dio. Per questo, prima di accettarle, occorre un’accurata informazione e, prima di ammetterle alla professione, una lunga prova. Sappia il mondo una buona volta che avete la libertà di mandarle via e che in un monastero dove si pratica una grande austerità, i motivi per farlo sono molti; visto che così si agisce in questo monastero, non la considereranno un’offesa.

3. Dico questo perché sono così infausti i nostri tempi ed è così grande la nostra debolezza, che non basta sia un’ingiunzione dei nostri antecessori quella di non fare nessun conto di ciò che il mondo stima onore, nel timore di dispiacere ai parenti. Piaccia a Dio che non dobbiamo pagar nell’altra vita il fatto di aver ammesso tali postulanti, perché un pretesto per persuaderci che l’ammissione è legittima non manca mai.

4. È, questa, una faccenda che ognuna deve considerare da se stessa, raccomandarla a Dio e far coraggio alla priora, essendo una cosa di tanta importanza. Pertanto supplico Dio che v’illumini a questo riguardo; è un gran bene per voi non aver dote, perché dove essa si accetta, può accadere che per non restituire il denaro – che già non c’è più – si tenga in casa il ladro che ruba il tesoro, ed è un vero peccato. Voi, in tale circostanza, non abbiate compassione di nessuno, perché sarebbe nuocere a chi cercate di favorire.

CAPITOLO 15

Tratta del gran bene del non discolparsi, anche se si è incolpati senza motivo.

1. Mi riempie di confusione la virtù che sto per consigliarvi, perché avrei dovuto praticarla almeno un po’, mentre vi confesso di aver fatto in essa ben scarso progresso. Mi sembra che non mi manchi mai un motivo per persuadermi che sia maggior virtù scusarmi. A volte ciò è lecito e sarebbe male non farlo, ma io non ho discrezione – o, per meglio dire, umiltà – nel farlo quando occorre. È davvero, infatti, un segno di grande umiltà tacere quando si è accusati ingiustamente, attenendosi strettamente all’esempio del Signore, che ha lavato tutte le nostre colpe. Vi prego, pertanto, di applicarvi con grande impegno alla pratica di questa virtù che apporta grandi vantaggi; nessuno, invece, ne vedo dal cercare di scusarci delle nostre colpe, salvo in quei casi in cui non dire la verità potrebbe esser causa di sofferenza o di scandalo. Tali casi potranno essere riconosciuti da chi ha maggiore discrezione di me.

2. Credo sia molto importante abituarsi a praticare questa virtù o adoperarsi per ottenere dal Signore la vera umiltà, che ne è l’origine. Chi è veramente umile, infatti, deve desiderare sinceramente di non essere tenuto in alcun conto, di venire perseguitato e condannato senza colpa, anche in cose gravi, perché, se vuole imitare il Signore, in che cosa può farlo meglio che in questo? Qui, infatti, non sono necessarie forze fisiche né aiuti di altri, se non di Dio.

3. Io vorrei, sorelle mie, che ci applicassimo molto e facessimo penitenze nella pratica di queste grandi virtù. Quanto a penitenze eccessive, sapete ormai che io vigilo attentamente per impedire che facciate troppe penitenze, perché possono nuocere alla salute, se fatte senza discrezione. Quanto alle virtù interiori, non c’è da aver timore perché esse, per grandi che siano, non indeboliscono il corpo così da impedirgli di osservare la Regola, mentre fortificano l’anima. Cominciando a vincersi in cose assai piccole ci si abituerà – come ho detto altre volte – a riportare la vittoria nelle grandi. Di queste cose io non ho mai potuto fare la prova, perché non ho mai sentito dire tanto male di me da non riconoscere che era ancora poco. Infatti, anche se mi accusavano falsamente di una cosa, io vedevo che avevo offeso Dio in tante altre, e mi sembrava che mi facessero già una grande carità nel passarle sotto silenzio. Così provavo più piacere nel vedermi accusata di colpe inesistenti che di quelle reali.

4. È di grande aiuto in questo esercizio considerare i vantaggi che si acquistano per qualunque via e come, tutto sommato, non ci accusino mai senza motivo, perché siamo sempre piene di difetti. Il giusto cade sette volte al giorno: sarebbe, quindi, una menzogna dire che siamo senza peccato. Pertanto, anche se non ci riconosciamo colpevoli di quello di cui ci accusano, non siamo mai esenti del tutto da colpa come lo era il buon Gesù.

5. Oh, Signor mio! Quando penso ai vostri molti tormenti che per nessun motivo meritavate, non so che dire di me, né dove avevo il cervello quando non volevo patire, né dove ho la testa ora, quando mi discolpo. Voi lo sapete, mio Bene, che se possiedo qualcosa di buono, non mi è venuto da altre mani che dalle vostre. Ebbene, Signore, vi importa forse più donare molto che poco? Se non mi date ascolto per il fatto che non lo merito, non meritavo nemmeno le grazie che mi avete elargite. È possibile che io debba desiderare che si pensi bene di una creatura così cattiva come me, quando si è detto tanto male di voi, che siete il Bene supremo? Non lo si può soffrire, mio Dio, non lo si può soffrire. Io vorrei tanto che non lo soffriste neppure voi, non permettendo che nella vostra serva vi sia qualcosa di sgradito al vostro sguardo. Considerate, dunque, Signore, che io sono cieca e mi contento di ben poco. Datemi luce voi e fate che io desideri sinceramente di essere disprezzata da tutti, avendo abbandonato tante volte voi che mi avete amata con tanta fedeltà.

6. Che è questo, mio Dio? Che speriamo di guadagnare nel compiacere le creature? Che importa se esse ci incolpano, quando siamo senza colpa di fronte al Signore? Oh, sorelle mie, noi non arriveremo mai a capire questa verità e così non riusciremo mai a essere perfette, se non prendiamo l’abitudine di meditarci sopra e di riflettere su quello che è e su quello che non è.

Inoltre, quand’anche non ci fosse altro vantaggio che la confusione in cui resta la persona che vi avrà incolpato nel vedere che voi, pur essendo esenti da colpa, vi lasciate condannare, questo sarebbe già una gran cosa; un tale esempio eleva a volte un’anima più di dieci prediche. Tutte, infatti, poiché l’Apostolo e la nostra incapacità ci vietano di predicare con le parole, dobbiamo cercare di farlo con le opere.

7. Non pensate mai che debba restare segreto il male o il bene che farete, per quanto stretta sia la vostra clausura. Credete forse, figlie mie, che, se non vi discolpate, non ci sarà nessuno che prenda le vostre difese? Ricordate come rispose il Signore in difesa della Maddalena nella casa del fariseo e quando Marta accusava la sorella. Egli non userà con voi il rigore che ha usato con se stesso, perché quando permise che un ladrone alzasse la voce a difenderlo, stava ormai sulla croce. Sua Maestà pertanto indurrà sempre qualcuno a muoversi in vostra difesa, e se non lo farà, vuol dire che non ce ne sarà bisogno. Questo io l’ho visto per esperienza ed è la pura verità, anche se non vorrei che pensaste a ciò, ma che vi rallegraste d’essere accusate: il tempo mi sarà testimone del profitto che vedrete nella vostra anima. Si comincia, infatti, a conquistare la libertà e non importa se si dice male di noi più di quanto importi che se ne dica bene, anzi sembra che questo non ci riguardi. Come quando due persone stanno parlando, ma poiché non si rivolgono proprio a noi, non ci preoccupiamo di dar loro una risposta, così è in questo caso: presa l’abitudine di non dover rispondere, ci sembra che non si rivolgano a noi.

Ciò sembrerà impossibile a chi, come noi, è particolarmente suscettibile e poco propenso alla mortificazione. Al principio è certamente difficile, ma io so che, con la grazia del Signore, si possono raggiungere questa libertà, questa abnegazione e questo distacco da noi stessi.

CAPITOLO 16

Parla della differenza che dev’esserci nella perfezione di vita fra i contemplativi e coloro che si accontentano dell’orazione mentale, e di come sia possibile che Dio, a volte, elevi un’anima a perfetta contemplazione e quale ne sia la causa. Questo capitolo e il successivo sono molto importanti.

1. Non crediate che tutto questo sia molto, perché vado solo preparando, come si dice, i pezzi sulla scacchiera. Mi avete chiesto di parlarvi del fondamento dell’orazione; io, figlie mie, quantunque Dio non mi abbia condotta per questa strada, perché certo non credo d’avere ancora tali virtù, non ne conosco altro. Credete pure che chi non sa disporre bene i pezzi nel gioco degli scacchi, giocherà male e se non sa fare scacco, non farà neppure scacco matto. Voi certo mi biasimerete perché parlo di un gioco che non esiste né deve esistere in questa casa. Da ciò potete vedere quale madre vi abbia dato Dio, se ha conosciuto anche questa vanità, ma dicono che qualche volta tale gioco sia permesso; a maggior ragione, sarà lecito a noi usarne la tattica, e vedrete come presto, se vi ricorriamo spesso, daremo scacco matto a questo Re divino, il quale non potrà sfuggirci, né lo vorrà.

2. La regina è quella che in questo gioco può dare maggior guerra al re, sia pure col concorso di tutti gli altri pezzi. Ebbene, non c’è regina che costringa il re divino ad arrendersi come l’umiltà; essa lo fece scendere dal cielo nel seno della Vergine, e con il suo aiuto noi lo attireremo, come per un capello, nelle nostre anime. Credetemi, chi avrà più umiltà, più lo possederà e chi meno, meno; io non riesco a capire, infatti, come ci sia o ci possa essere umiltà senza amore, né amore senza umiltà, né come sia possibile che queste due virtù coesistano senza un gran distacco da ogni cosa creata.

3. Vi chiederete, figlie mie, perché vi parlo di virtù, quando avete tanti libri che ve le insegnano, mentre non volete altro se non che vi parli di contemplazione. Vi rispondo che, se mi aveste pregato di parlarvi della meditazione, l’avrei ancora potuto fare, consigliando tutte di non trascurarla, benché prive di virtù, perché è la base per conseguire ogni virtù. La meditazione è d’importanza vitale per tutti i cristiani, né vi è alcuno, per colpevole che sia, che debba trascurarla, se Dio lo incita a realizzare un così gran bene, come ho già scritto altrove, e come ne hanno scritto molti altri che sanno quello che scrivono, perché io certamente non lo so; lo sa Dio.

4. Ma la contemplazione, figlie mie, è un’altra cosa. Ecco l’errore in cui cadiamo tutti: se uno si applica ogni giorno un momento a pensare ai suoi peccati (cosa a cui è obbligato se non è cristiano soltanto di nome), si dice subito che è un gran contemplativo, e immediatamente si esige che abbia così grandi virtù come deve appunto averle un gran contemplativo; lo vuole lui stesso, ma sbaglia. Non ha saputo impostare bene il suo gioco da principio; ha creduto che bastasse conoscere i pezzi per dare scacco matto, cosa assurda, perché questo Re non si arrende se non a chi si dà completamente a lui.

5. Pertanto, figlie mie, se volete che vi indichi il cammino per giungere alla contemplazione, permettetemi di dilungarmi un po’ su certe cose, benché esse a prima vista non vi sembrino tanto importanti e, a mio parere, invece, lo sono sempre; se, poi, non volete ascoltarle né metterle in pratica, restatevene con la vostra orazione mentale per tutta la vita: io vi assicuro, e altrettanto dichiaro a tutte le persone che aspirano a conseguire questo bene, che non raggiungerete mai la vera contemplazione. Può anche essere che m’inganni, giudicando gli altri in base a me stessa, che pur ne ho fatto esperienza per vent’anni.

6. Voglio ora spiegare – perché alcune non lo sanno bene – che cos’è l’orazione mentale, e piaccia a Dio che noi la pratichiamo come si deve! Ma io temo ancora che costi molta fatica se non si cerca di acquistare le virtù necessarie, quantunque non in così alto grado come si richiede per la contemplazione. Intendo dire che il Re della gloria non verrà nella nostra anima – nel senso di unirsi ad essa – se non ci sforziamo di arricchirci di grandi virtù. Voglio spiegarmi meglio, perché se voi scopriste in quel che dico qualcosa che non risponda a verità, non mi credereste più in nulla, e avreste ragione nel caso che lo facessi coscientemente, ma Dio me ne liberi! Se così fosse, sarebbe perché non ne so o non ne capisco di più. Voglio, dunque, dire che Dio qualche volta si degnerà di concedere questa grande grazia ad anime in cattivo stato per strapparle con questo mezzo dalle mani del demonio.

7. Oh, mio Signore, quante volte vi facciamo lottare a corpo a corpo con il demonio! Non doveva bastare che vi foste lasciato prendere fra le sue braccia quando vi portò sul pinnacolo del tempio, per insegnarci a vincerlo? Ma che spettacolo, figlie mie, vedere quel Sole divino congiunto con lo spirito delle tenebre, e che terrore avrà provato tale spirito maledetto, senza sapere di che, perché Dio non permise che l’intendesse! Sia benedetta tanta pietà e misericordia! Che vergogna dovremmo provare noi cristiani di farlo lottare corpo a corpo – come ho detto – con una bestia così immonda! Fu ben necessario allora che le vostre braccia fossero straordinariamente forti, ma come mai non sono rimaste indebolite dopo tanti tormenti sofferti sulla croce? Oh, come tutto quello che si soffre per amore guarisce presto! Pertanto credo che se voi foste rimasto in vita, lo stesso amore che ci portate avrebbe cicatrizzato le vostre piaghe, senza bisogno di altra medicina. Oh, mio Dio, potessi avere io un tale farmaco in tutto ciò che mi è causa di pena e di travaglio! Quanto volentieri desidererei i mali, se fossi sicura di essere sanata con così salutare unguento!

8. Tornando a quello che dicevo, ci sono anime che Dio sa di poter guadagnare a sé con questo mezzo; poiché le vede del tutto sviate, Sua Maestà non vuole che manchi loro aiuto da parte sua, e benché si trovino in cattivo stato e prive di virtù, concede loro grazie, favori, tenerezze che cominciano a suscitare in esse desideri. A volte, le eleva anche alla contemplazione, ma di rado e per breve durata. E questo, ripeto, lo fa per provare se con quel favore vorranno disporsi a goderne spesso, ma se non lo fanno, mi perdonino – o, per meglio dire, perdonatemi voi, Signore – se dico che è un gran male che voi vi rivolgiate a un’anima di tal genere e che essa dopo si rivolga alle cose della terra per attaccarvisi.

9. Sono convinta che sono molti coloro con i quali il Signore fa questa prova, e pochi coloro che si dispongono a godere di tale grazia. Quando il Signore la concede, e non manca da parte nostra la disposizione a riceverla, sono certa che non cesserà mai di colmarci di benefici fino a che non saremo pervenuti a un alto grado. Quando, invece, non ci diamo a Sua Maestà così generosamente come egli si dà a noi, farà già molto lasciandoci l’orazione mentale e visitandoci di quando in quando, come servi della sua vigna. Gli altri, invece, sono figli bene amati; non vorrebbe più allontanarsene, né se ne allontana, perché essi stessi non lo vogliono: li fa sedere alla sua mensa, dà loro da mangiare quello che mangia lui, fino a togliersi il boccone di bocca per darglielo.

10. Oh, commovente impegno, figlie mie! Oh, felice distacco da cose tanto vili e basse, che porta a così alto stato! Figuratevi che cosa importerà, stando fra le braccia di Dio, che il mondo intero vi accusi! Egli è tanto potente da liberarvi da ogni accusa; non appena diede l’ordine che il mondo fosse fatto, il mondo fu fatto: la sua volontà è opera. Non abbiate, dunque, paura che permetta si sparli di voi, tranne che sia per maggior bene di chi lo ama: egli non ama così poco chi gli dà il suo amore. Allora, sorelle mie, perché non gli dimostreremo, come possiamo, il nostro amore? Considerate che è un bel cambio dargli il nostro amore per il suo; considerate che egli può tutto e che noi, qui, non possiamo nulla tranne quello di cui ci rende capaci. Ma che cos’è, poi, questo che noi facciamo per voi, Signore, nostro creatore? Proprio nulla; una piccola determinazione! Se, dunque, per ciò che non è nulla, Sua Maestà vuole che meritiamo il tutto, cerchiamo di non essere insensate.

11. Oh, Signore! Tutto il male ci viene dal non tenere lo sguardo fisso su di voi, perché se non guardassimo ad altro che al cammino, arriveremmo presto, ma incorriamo in mille cadute, in mille inciampi e sbagliamo la strada per non tenere gli occhi – ripeto – sul vero cammino. Ci sembra di non averlo mai fatto, tanto ci appare nuovo. È una cosa deplorevole, certo, quel che a volte accade. Non si sopporta, infatti, che ci tolgano di un niente la stima; lo si ritiene intollerabile, e subito si dice: «non siamo santi».

12. Dio ci liberi, sorelle, quando faremo qualcosa di imperfetto, dal dire: «non siamo angeli», «non siamo santi». Considerate che, quantunque non lo siamo, è sempre bene pensare che, mediante i nostri sforzi, con l’aiuto di Dio, potremmo esserlo, e non temere che egli ci venga meno, se da parte nostra non gli veniamo meno. E poiché non siamo venute qui per altro fine, mano all’opera, come si dice: non vi sia nulla in cui vediamo che si serve meglio il Signore che non crediamo di riuscire a compiere con il suo aiuto. Io vorrei che ci fosse in questa casa tale aspirazione, che fa sempre crescere l’umiltà e fa avere una santa arditezza, perché Dio aiuta le anime forti e non fa preferenza di persone.

13. Ho molto divagato; voglio ora tornare a ciò che dicevo, cioè spiegare in cosa consistano l’orazione mentale e la contemplazione. Vi sembrerò forse temeraria, ma voi riuscite a sopportare tutto da me: può anche darsi che lo intendiate meglio attraverso il mio linguaggio grossolano che attraverso lo stile elegante di altri. Il Signore mi dia la grazia di cui ho bisogno a tal fine! Amen!

CAPITOLO 17

Dice come non tutte le anime siano adatte alla contemplazione; come alcune vi arrivino tardi e come chi è veramente umile deve procedere con letizia per il cammino attraverso il quale il Signore lo conduce.

1. Finalmente sembra che cominci a trattare dell’orazione, ma mi manca ancora da dire qualcosa di molto importante, perché riguarda l’umiltà, particolarmente necessaria in questa casa, il cui principale esercizio è l’orazione. Come ho detto, è di grande interesse cercare di capire il modo per praticare bene l’umiltà: è questo un punto molto importante, indispensabile per tutte le persone che praticano l’orazione. Quella fra voi che è veramente umile, come potrà pensare di possedere tanta virtù quanta ne hanno coloro che giungono ad essere contemplativi? Che Dio nella sua bontà e misericordia possa renderla tale, non c’è dubbio, ma il mio consiglio è che sieda sempre all’ultimo posto, come ci ha insegnato il Signore, dandocene l’esempio. Si disponga convenientemente, nell’eventualità che Dio la voglia condurre per questa strada. Se non lo fa, l’umiltà gioverà a far sì che si ritenga felice di servire le serve del Signore e di lodarlo per averla condotta fra loro, nonostante ella avesse meritato d’esser schiava dei demoni nell’inferno.

2. Non dico questo senza un buon motivo, perché, ripeto, è molto importante rendersi conto che Dio non conduce tutti per la stessa strada: infatti, può accadere che colui che si crede più indietro sia invece più avanti agli occhi del Signore.

Pertanto, non perché tutte in questa casa pratichino l’orazione devono essere tutte contemplative. È impossibile, e sarebbe triste per quella che non lo è, non capire questa verità, che cioè la contemplazione è solo un dono di Dio, è poiché non è necessaria alla nostra salvezza né la si esige da noi, non tema di esserne mai richiesta; per questo non cesserà di essere perfetta in sommo grado, se fa quello che ho detto. Anzi, può essere che abbia molto maggior merito, perché il lavoro è tutto a sue spese e il Signore la tratta come un’anima forte e le tiene riservate tutte insieme le gioie di cui non gode quaggiù. Non si perda quindi d’animo per questo né tralasci di attendere all’orazione né di fare quello che fanno tutte, perché a volte il Signore viene assai tardi, ma dà generosamente e in un solo momento quanto in molti anni ha dato agli altri a poco a poco.

3. Io sono stata più di quattordici anni senza poter neanche meditare se non con l’aiuto di una lettura. Ci saranno molte persone nella stessa condizione, e altre che, anche mediante la lettura, non riescono a meditare, ma solo a pregare vocalmente; è qui dove si concentrano meglio. Alcune sono di uno spirito così leggero che non sanno concentrarsi in nulla, e sono sempre distratte, a tal punto che, se vogliono fermarsi a pensare a Dio, cadono in mille insensatezze, scrupoli e dubbi.

Conosco una persona di età assai avanzata, molto virtuosa, penitente e gran serva di Dio, che spende molte ore, già da vari anni, nell’orazione vocale; ma di quella mentale non è stata mai capace. Il meglio che possa fare, quando le riesce, è concentrarsi gradatamente su quello che recita. E ci sono molte altre persone di tal genere; se, però, hanno umiltà, non credo che alla fine ne usciranno con minor merito, ma sono convinta che il loro merito sarà del tutto uguale a quello di coloro che godono di molti diletti. Esse, in certo modo, avranno proceduto con maggior sicurezza, perché non sappiamo se le delizie vengono da Dio o dal demonio. E se non vengono da Dio, il pericolo è maggiore, perché il fine a cui il demonio qui tende è d’ispirare superbia, mentre se vengono da Dio, non c’è nulla da temere, in quanto, come ho scritto diffusamente nel mio primo libro, portano con sé l’umiltà.

4. Queste persone procedono, dunque, nell’umiltà e, temendo di non avere consolazioni maggiori per loro colpa, si sforzano sempre di far progressi. Non vedono versare una lacrima, senza che loro sembri, se non ne versano anch’esse, d’esser molto indietro nel servizio di Dio, mentre, probabilmente, sono molto più avanti, perché le lacrime, anche se buone, non sono tutte perfette, e l’umiltà, la mortificazione, il distacco e le altre virtù offrono sempre maggiore sicurezza. Non abbiate, quindi, alcun timore né dubitate di arrivare alla perfezione come i più alti contemplativi.

5. Santa Marta era una gran santa, benché non si dica che fosse contemplativa; allora, che volete di più che arrivare ad essere come questa donna felice, la quale meritò di ospitare tante volte nella sua casa Cristo nostro Signore e dargli da mangiare e servirlo e mangiare anche lei alla sua mensa? Se voi rimaneste assorte come la Maddalena non ci sarebbe nessuno che desse da mangiare all’Ospite divino. Ebbene, pensate che questo monastero, ove siamo riunite, sia la casa di santa Marta, ove dev’esserci di tutto. E neanche coloro che si dedicano alla vita attiva mormorino di quelle che sono molto assorte nella contemplazione, sapendo che il Signore prenderà le loro difese, anche se esse tacciono, perché generalmente la contemplazione le rende noncuranti di sé e di tutto.

6. Si ricordino che ci dev’essere chi gli prepari il pasto e si ritengano felici di servirlo come Marta; badino che la vera umiltà consiste specialmente nell’essere disposti, senza alcuna eccezione, a uniformarsi al volere del Signore e a considerarsi sempre indegni di essere chiamati suoi servi. E se la contemplazione, l’orazione mentale e vocale, la cura degli infermi, i vari servizi domestici e il lavoro – anche il più umile – , se tutto ciò equivale a servire l’Ospite divino che viene a dimorare, a mangiare e a ricrearsi con noi, che cosa ci importa di attendere ad uno più che ad un altro ufficio?

7. Io non dico che la mancanza di contemplazione sia dovuta a noi, ma che dobbiamo essere disposte a ogni esperienza, perché non dipende dalla nostra scelta, bensì da quella del Signore. E se dopo molti anni egli volesse lasciare ognuna nel suo ufficio, sarebbe proprio una bella umiltà voler ricorrere a un’altra scelta di propria iniziativa! Lasciate fare al Padrone della casa che è saggio, potente e sa quello che conviene a voi e che conviene a lui stesso. Siate certe che, facendo quello che dipende da voi e disponendovi alla contemplazione con la perfezione di cui ho parlato, se egli non ve la concede (ma non credo che mancherà di concedervela, se ci sono in voi un vero distacco e una vera umiltà) è perché tiene riservata questa gioia per aggiungerla a tutte le altre di cui vi farà dono in cielo, e perché – come ho già detto – vi vuole trattare da anime forti, dandovi da portare quaggiù la croce come Sua Maestà stessa l’ha sempre portata. E quale amicizia migliore di volere per voi ciò che egli volle per sé? Potrebbe anche essere che non aveste un così gran premio nella contemplazione. Sono, questi, suoi giudizi, e non bisogna interferire in essi; è un gran bene che la scelta non dipenda da noi, perché subito – sembrandoci di trovare nella contemplazione una maggiore pace – saremmo tutti grandi contemplativi.

Oh, che gran guadagno non voler guadagnare in base al nostro punto di vista, per non dover temere alcuna perdita, non permettendo mai Dio che l’anima sinceramente mortificata patisca, se non per un suo maggior bene!

CAPITOLO 18

Prosegue sullo stesso argomento e dice quanto i travagli dei contemplativi superino quelli di coloro che son dediti alla vita attiva, ai quali servirà di gran conforto ciò di cui si parla qui.

1. Io dico, dunque, figlie mie, a chi tra voi Dio conduce per questa via, che quelli che la seguono, per quanto ho visto e inteso io, non portano una croce più leggera, e che restereste sbalordite se sapeste per quali vie e per quali prove Dio li fa passare. Io conosco lo stato degli uni e degli altri e so quanto siano intollerabili i travagli che Dio dà ai contemplativi: essi sono tanto duri che non si potrebbero sopportare, se egli non li sostentasse con quel cibo di delizie. Ed essendo evidente che proprio coloro che Dio ama particolarmente sono da lui condotti per la via dei travagli, e tanto più grandi quanto più li ama, non c’è ragione di credere che egli aborrisca i contemplativi, specie perché li loda con la sua bocca e li considera suoi amici.

2. Ora, pensare che egli ammetta alla sua intimità gente amante dei piaceri ed esente da travagli è assurdo. Sono sicurissima che Dio assegna loro ben più difficili prove, e siccome li conduce per un cammino aspro e dirupato, in cui a volte sembra loro di smarrirsi, tanto che devono tornare indietro per cominciare di nuovo la strada, è necessario che Sua Maestà li sostenti, non già con acqua, ma con vino, affinché, inebriati, non si rendano conto di quel che soffrono e lo possano sopportare. Per questo, io vedo ben pochi veri contemplativi che non siano pieni di coraggio e risoluti a patire, perché la prima grazia che il Signore concede loro, se son deboli, è di infondere in essi coraggio e far sì che non temano sofferenze di qualunque genere.

3. Credo che coloro i quali sono dediti alla vita attiva pensino, non appena vedono gli altri oggetto di qualche favore, che si sempre così. Ebbene, vi dico che forse voi non potreste sopportare neanche un giorno ciò che essi patiscono. E siccome il Signore conosce tutti per ciò che sono, assegna a ciascuno il suo compito, quello che ritiene più conveniente alla sua anima, alla propria gloria e al bene del prossimo. E, se da parte vostra non manca la disposizione adatta, non abbiate paura che il vostro lavoro vada perduto. Badate che dico che tutte dobbiamo tendere a questo scopo, perché non siamo qui per altro; perciò, non dobbiamo limitare i nostri sforzi a un solo anno, o due o anche dieci, affinché non sembri che abbandoniamo per codardia quanto abbiamo intrapreso. Il Signore sa bene che non lasciamo nulla d’intentato, come soldati pronti ad eseguire qualsiasi ordine voglia loro dare il capitano, dovendo ricevere da lui la loro paga. E quanto meglio è pagato il nostro servizio dal nostro Re che da quelli della terra!

4. Quando li vede dunque presenti e desiderosi di servirlo, il capitano, che già conosce le attitudini di ciascuno dei suoi soldati, distribuisce i compiti secondo le forze; se non fossero presenti, certo non assegnerebbe loro nessun compito, né darebbe loro alcun premio.

Pertanto, sorelle, datevi all’orazione mentale, e chi non lo potesse fare, a quella vocale, alla lettura e ai colloqui con Dio, come dirò in seguito. Non lasciate di pregare nelle ore di orazione stabilite per tutte; non si sa quando lo Sposo ci chiamerà: non vi accada come alle vergini stolte. Può darsi che, pur riservandovi delle sofferenze, ve le faccia trovare piacevoli. In caso contrario, sappiate che non siete fatte per questo e che vi conviene attendere alla preghiera vocale; a questo punto interviene il merito dell’umiltà, se avrete la sincera convinzione di essere inabili anche nei riguardi di quello che fate.

5. Bisogna procedere con letizia nell’adempiere ciò che ci viene comandato, come ho detto, e se lo si fa con sincera umiltà, felice quella serva della vita attiva, la quale non mormorerà che di sé! Lasci alle altre le loro battaglie, che non son cosa da poco, perché anche in quelle in cui l’alfiere non combatte, non evita di correr un gran pericolo, e nel suo intimo deve soffrire più di tutti perché, portando la bandiera, non può difendersi e, anche se lo fanno a pezzi, non deve lasciarsela sfuggire dalle mani. Allo stesso modo i contemplativi devono tenere alta la bandiera dell’umiltà e sopportare tutti i colpi che possano essere loro inferti senza restituirne nessuno, perché il loro compito è quello di soffrire come Cristo, portare alta la croce, non lasciarsela sfuggire di mano, quali che siano i pericoli in cui si trovino né mostrare mai alcuna debolezza nella sofferenza: a tale scopo è stato loro affidato un così onorevole compito. Stiano dunque attenti a quello che fanno, perché, se abbandonano la bandiera, la battaglia sarà perduta; e credo anche che sia di gran danno per le anime non troppo progredite costatare che le opere di coloro che essi considerano capitani e amici di Dio non sono conformi all’ufficio che ricoprono.

6. Gli altri soldati tirano avanti come possono e a volte si allontanano dal luogo in cui vedono che li pericolo è maggiore, ma non se ne accorge nessuno, né essi restano disonorati, mentre questi hanno tutti gli occhi addosso, né possono fare alcun movimento senza essere notati. Pertanto il loro ufficio è di gran pregio e quegli che ne è investito dal Re riceve, sì, un grande onore e favore, ma nell’accettarlo non è piccolo l’onere a cui si obbliga.

Così, sorelle, non sappiamo quel che chiediamo: lasciamo fare al Signore. Pensare che ci sono alcuni i quali sembrano chiedere favori al Signore, appellandosi alla sua giustizia! Bel modo di praticare l’umiltà! Pertanto, fa bene colui che conosce tutti, concedendoli ben di rado a costoro; egli vede chiaramente che non sono pronti a bere il suo calice.

7. Il modo di capire, figlie mie, se siete progredite nella virtù, sta nell’esaminare ciascuna in se stessa se è la più miserabile di tutte e se lo dà a vedere con le opere, per il profitto e il bene delle altre; non se ha più gioia nell’orazione e nei rapimenti, o visioni o grazie di questo genere, che il Signore può concedere, e per conoscere il cui valore dobbiamo aspettare d’essere nel mondo di là. L’umiltà, invece è una moneta che ha sempre corso; è una rendita che non può mancare, un fondo perpetuo e non un censo redimibile come questi beni che ci possono essere dati e tolti. La vera ricchezza sta in una profonda virtù di umiltà e di mortificazione, in un’assoluta obbedienza, tale da non farci contravvenire d’un punto agli ordini del superiore, che sapete come sia davvero mandato da Dio, perché ne fa le veci.

L’obbedienza è ciò su cui dovrei intrattenermi di più, ma poiché senza di essa non si è religiose, e io parlo con religiose e a mio giudizio buone, o almeno che desiderano esserlo, non ne dirò nulla. È una cosa così nota e importante che non occorrerà più di una parola perché non abbiate a dimenticarla.

8. Voglio dire questo: chi è tenuta per voto all’obbedienza e vi manca, non adoperandosi con ogni cura ad adempierlo con la maggiore perfezione, non so perché stia in un monastero; io, per lo meno, le posso assicurare che, finché mancherà a questo suo voto, non arriverà mai ad essere una contemplativa e neanche osserverà bene i doveri della vita attiva. Ne sono assolutamente certa. Anche se si tratta di una persona che non abbia l’obbligo di questa osservanza, se desidera o pretende di arrivare alla contemplazione, bisogna, perché proceda con la sicurezza di essere sulla via giusta, che rimetta completamente la sua volontà a un confessore capace di comprenderla, giacché è cosa ormai ben nota che si trae più profitto in questo modo in un anno che, diversamente, in molti, ma, non essendo una raccomandazione necessaria per voi, non occorre che ne parli.

9. Concludo, figlie mie, dicendovi che queste virtù sono le virtù che io desidero in voi, quelle che dovete sforzarvi di possedere e quelle che santamente dovete invidiare. Non vi date pena di non avere le altre speciali forme di devozione: non sono un bene sicuro. Può darsi che in alcune persone vengano da Dio, mentre in voi Sua Maestà permetterà che sia un’illusione del demonio e che egli v’inganni, come ha fatto con altre. È cosa assai dubbia: perché voler servire il Signore per questa via, quando c’è tanto modo di farlo in ciò ch’è sicuro? Perché esporvi a tali pericoli?

10. Mi sono dilungata tanto in questo, perché so che è opportuno farlo, conoscendo la debolezza della nostra natura. Dio saprà rendere forti coloro che vorrà elevare alla contemplazione; se non lo vorrà, mi fa piacere di avervi dato questi consigli mediante i quali anche i contemplativi avranno di che umiliarsi.

Il Signore, per quello ch’egli è, ci illumini affinché possiamo seguire in tutto la sua volontà e non avremo nulla da temere.

CAPITOLO 19

Comincia a trattare dell’orazione. Parla alle anime che non possono discorrere con l’intelletto.

1. Sono passati tanti giorni da quando ho scritto le cose precedenti, senza aver avuto l’opportunità di riprendere a trattarne; se volessi sapere quel che dicevo, dovrei rileggerlo, ma per non perdere tempo, lascerò le cose come vengono, senza un ordine. Per le persone di buona intelligenza e per anime esercitate alla meditazione, che possono raccogliersi in se stesse, ci sono tanti ottimi libri, scritti da autori di così grande merito, che sarebbe un errore far conto di quello che dico io in fatto di orazione. Torno a ripetere: vi sono libri che presentano per ogni giorno della settimana i misteri della vita del Signore e della sua passione, le meditazioni sul giudizio, sull’inferno, sul nostro nulla e su tutto ciò che dobbiamo a Dio, esposti con dottrina e metodo eccellenti per ciò che riguarda il fondamento e il fine dell’orazione. A chi ha la possibilità di consultarli e ha l’abitudine di seguire questo metodo di orazione, non occorre dire che per un così buon cammino il Signore lo condurrà al porto della luce e che a tali buoni principi corrisponderà una fine non meno santa; tutti coloro che potranno seguirlo vi troveranno riposo e sicurezza perché, tenuto a freno l’intelletto, si procede in tutta pace.

Ma ciò di cui vorrei trattare e su cui dare qualche consiglio, se il Signore mi concedesse di colpire nel segno (e se non me lo concede, vorrei almeno farvi capire che vi sono molte anime che soffrono il tormento che sto per dire, affinché non vi pesi troppo se lo proverete anche voi), è questo:

2. Vi sono anime e intelletti così sbrigliati che somigliano a cavalli senza freno che nessuno può fermare: ora vanno qui, ora lì, sempre in agitazione, per loro stessa natura – o perché Dio permette sia così. Mi fanno molta pena, sembrandomi persone assetate che vedono l’acqua da molto lontano e quando vogliono recarsi lì a bere, trovano chi sbarra loro il passo al principio, alla metà e alla fine del cammino. Può darsi che quando, a furia di lottare – e con che dura lotta! – hanno già vinto i primi nemici si lascino vincere dai secondi e preferiscano morire di sete, anziché bere un’acqua che deve costare tanto. E se altri ne hanno a sufficienza per vincere anche la seconda schiera di nemici, di fronte alla terza perdono ogni forza, forse proprio quando erano a due passi dalla fonte d’acqua viva di cui il Signore, parlando alla Samaritana, disse che chi l’avesse bevuta non avrebbe avuto più sete; e con quanta ragione e verità, quale si conviene a parole pronunciate dalla bocca della verità stessa! È proprio così: l’anima, dissetandosi a quell’acqua, non avrà più sete delle cose di questa vita, mentre la sete per le cose dell’altra vita cresce in misura assai maggiore di quanto quaggiù possiamo immaginare in virtù della sete naturale. Ma con quanto ardore si desidera avere questa sete! L’anima, infatti, capisce il suo grande valore; benché sia una sete penosissima, estenuante, trae con sé lo stesso appagamento che ne estingue l’arsura; pertanto è una sete che non uccide se non il desiderio delle cose terrene, anzi sazia in modo tale che, quando Dio la soddisfa, la più grande grazia che può fare all’anima è lasciarla ancora con questa sete – più beve di quest’acqua e più desidera berne.

3. L’acqua – mi viene ora in mente – ha tre proprietà che fanno al mio caso, fra le molte altre che certamente possiede. Una è quella di rinfrescare; infatti, per quanto caldo si abbia, gettandoci nell’acqua, esso scompare; anche un gran fuoco si estingue con essa, salvo che non sia di catrame, perché allora si accende di più. Oh, mio Dio, quale meraviglia è vedere un fuoco che si accende di più con l’acqua, un fuoco forte, potente, non soggetto agli elementi, giacché l’acqua, pur essendo il suo contrario, non lo spegne, ma lo alimenta! Sarebbe molto utile qui poter parlare con chi sapesse di filosofia perché, conoscendo le proprietà delle cose, potrebbe darmi le spiegazioni necessarie, mentre io mi concedo il lusso d’intrattenermi su ciò che non so dire e forse neanche capire.

4. Dal momento in cui Dio, sorelle, vi conduce a bere di quest’acqua – e ve ne sono fra voi che già la devono –, lo farete di gran gusto, e capirete come il vero amor di Dio, se è nella sua piena forza, cioè ormai spoglio interamente di aspirazioni terrene, librandosi a volo sopra di esse, sia il padrone di tutti gli elementi e del mondo; l’acqua che proviene dalla terra, non temete che possa estinguere questo fuoco d’amor di Dio: non ha potere su di esso. Anche se sono elementi contrari, esso è ora signore assoluto e non le è soggetto. Pertanto non vi meraviglierete, sorelle, se insisto tanto in questo libro a esortarvi ad acquistare tale libertà. Non è una bella cosa che una povera monaca di San Giuseppe possa giungere a signoreggiare su tutta la terra e sui suoi elementi? E quale meraviglia può destare il fatto che i santi, con l’aiuto di Dio, facessero di essi ciò che volevano? A san Martino ubbidivano il fuoco e le acque, a san Francesco perfino gli uccelli e i pesci, e così è stato per molti altri santi. Si vedeva chiaramente che, se avevano tale dominio su tutte le cose della terra, ciò si doveva al fatto che si erano adoperati attivamente a disprezzarle, assoggettandosi sinceramente, con tutte le loro forze, al sovrano del mondo. Pertanto, ripeto, l’acqua che nasce dalla terra è impotente contro tal fuoco, le cui fiamme sono molto alte e la cui origine non risiede in cosa tanto bassa. Ci sono altri fuochi di un debole amor di Dio, che si estingueranno per qualunque evento, ma questo assolutamente no; anche se un mare di tentazioni gli si rovesci addosso, non riuscirà a farlo cessare di ardere in modo tale che non finisca per dominarle.

5. Se poi si tratta di acqua che piove dal cielo, questa sarà ancor meno in grado di spegnerlo, perché non si tratta più di elementi contrari, ma provenienti dallo stesso luogo; non temete che si danneggino, anzi l’uno concorre all’effetto dell’altro, perché l’acqua delle vere lacrime (che sono quelle che sgorgano durante la vera orazione, concesse certamente dal Re del cielo) ravviva il fuoco e lo fa durare, mentre il fuoco aiuta l’acqua a raffreddarsi. Oh, mio Dio, che cosa straordinaria e meravigliosa è vedere un fuoco che raffredda! Proprio così, e raggela anche tutte le affezioni del mondo, quando è unito all’acqua viva del cielo, che è la fonte da cui sgorgano le lacrime delle quali ho parlato, donate da Dio, non procurate con il nostro sforzo. Non c’è, quindi, dubbio che quest’acqua ci tolga ogni brama delle cose del mondo e c’impedisca di soffermarci in esse, tranne che non sia nell’intento di comunicare con questo fuoco che, per sua natura, tende a non contentarsi di poco ma, potendolo, a far ardere tutto il mondo.

6. La seconda proprietà dell’acqua è «lavare ciò che non è pulito». Se non ci fosse acqua per lavare, che sarebbe del mondo? Sapete voi quanto deterga quest’acqua viva, quest’acqua celestiale, quest’acqua chiara, quando nulla l’intorbida, nulla l’infanga, quando cade dal cielo? Un’acqua che, bevuta una volta, sono certa che lascia l’anima netta e pura d’ogni colpa, perché – come ho scritto altrove – Dio non concede che si beva di quest’acqua (che non dipende dalla nostra volontà, essendo tale divina unione una grazia del tutto soprannaturale), se non per purificare l’anima e lasciarla netta, liberandola dal fango e da ogni miseria in cui, per le sue colpe, era invischiata. Invece le altre gioie che ci vengono dalla mediazione dell’intelletto, malgrado tutto, attingono a un’acqua che scorre sulla terra; non si beve direttamente alla sorgente. Pertanto, non manca mai lungo questo cammino qualcosa di fangoso che ne ostacola il corso e non è più tanto pura né limpida.

Io non chiamo «acqua viva» questa orazione che – ripeto –, secondo il mio parere, si fa con l’aiuto dell’intelletto, perché, nonostante tutti i nostri sforzi, resta sempre attaccato alla nostra misera natura qualcosa, lungo il cammino, di ciò che non vorremmo.

7. Voglio spiegarmi meglio: noi stiamo meditando sul mondo e sulla caducità di tutti i suoi beni per disprezzarli e, quasi senza rendercene conto, ci troviamo invischiati in cose che di esso amiamo. Desiderose di fuggirle, quanto meno ci è di qualche impaccio pensare com’è stato, che cosa avverrà, che cosa si è fatto e che cosa si deve fare; così che, nel pensare a ciò che fa al caso nostro per liberarci dal pericolo, a volte vi incorriamo di nuovo. Non dico con questo che bisogna rinunciare a tali riflessioni, ma che v’è ragione di temere e che bisogna essere molto cauti.

A questo punto, si prende cura di ciò lo stesso Signore che non vuol fidarsi di noi. Stima tanto la nostra anima che nel tempo in cui la favorisce delle sue grazie non le permette d’invischiarsi in cose che possano nuocerle, ma subito l’avvicina a sé. In un istante le rivela più verità e le dà più chiara conoscenza di tutte le cose del mondo di quanta non potrebbe acquistarne in molti anni, quaggiù, dove la nostra vista non è libera, accecate come siamo dalla polvere che solleviamo durante il cammino. Qui, invece, il Signore ci porta al termine della giornata, senza che ce ne accorgiamo.

8. La terza proprietà dell’acqua è che «sazia e toglie la sete», perché a me sembra che sete voglia dire desiderio di una cosa di cui si ha tanto bisogno: se ci manca del tutto, ne moriamo. È strano che se ci manca moriamo, e se è di troppo, ci dà ugualmente la morte, come avviene degli annegati. Oh, mio Signore, potersi vedere così immersa in quest’acqua viva da perderci la vita! Forse ciò non è possibile? Sì, perché l’amore e il desiderio di Dio possono aumentare a tal punto che la nostra natura umana non riesca a sopportarlo, pertanto ci sono state persone che ne sono morte. Io so di una che se Dio non l’avesse sollecitamente soccorsa con quest’acqua viva in tale abbondanza da farla quasi uscire da sé mediante i rapimenti, si sarebbe trovata esposta a questo rischio. Dico che la faceva quasi uscir da sé, perché così l’anima trova il suo riposo. Sembra che, asfissiata dall’insofferenza del mondo, risusciti in Dio, e Sua Maestà la renda capace di godere tanto che, restando in sé, non potrebbe godere senza morire.

9. Da qui si può vedere che, non essendoci nulla nel nostro sommo Bene che non sia perfetto, tutto ciò che egli ci dà è per il nostro bene, e per quanto abbondante possa essere quest’acqua di cui ci fa dono, non può mai essere eccessiva, venendo da lui. Se, infatti, dà molto, rende l’anima capace – come ho detto – di bere molto, allo stesso modo di un vetraio che fa il vaso della misura necessaria per contenere ciò che vuole mettervi dentro.

Quando il desiderio viene da noi, non è mai esente da imperfezione. Se ha in sé qualcosa di buono, ciò si deve all’aiuto del Signore. Ma siamo così poco discreti che, essendo una pena dolce e piacevole, non crediamo mai di esserne sazi; ce ne alimentiamo a dismisura, stimoliamo con tutte le nostre forze questo desiderio e pertanto, alcune volte, ne moriamo. Morte felice! Ma, forse, vivendo, si sarebbero aiutati altri a morire del desiderio di questa morte. E credo che si tratti di un’insidia del demonio, il quale capisce il danno che gli può venire da queste anime, se restano in vita; pertanto le induce a inopportune penitenze per privarle della salute, il che non è poco per lui.

10. Avverto, quindi, l’anima che giunge ad avere questa sete così impetuosa, di stare bene in guardia, perché può esser certa che incorrerà in tale tentazione; anche se non muore di sete, perderà la salute e lascerà trapelare, pur non volendolo, sentimenti che dovrebbe evitare a ogni costo di far conoscere. A volte la nostra diligenza servirà a poco, perché non potremo nascondere tutto quel che vogliamo; abbiamo almeno l’avvertenza, quando ci assalgono questi impeti così grandi, che fanno crescere tale desiderio, di no aumentarli, ma di arrestarli dolcemente, mediante qualche altra considerazione, perché a volte sarà forse la nostra natura a operare tanto quanto l’amore. Vi sono infatti persone che qualunque cosa, sia pur cattiva, la desiderano ardentemente. Non credo però che ciò accada a quelle dotate di gran mortificazione, virtù utile in tutto. sembra una stoltezza dover frenare un desiderio tanto buono, eppure non lo è, perché io non dico che bisogna annullare il desiderio, ma moderarlo con un altro che forse ci farà guadagnare altrettanto merito.

11. Voglio aggiungere ancora qualcosa per farmi capire meglio. Viene un gran desiderio di vedersi con Dio, liberi da questa prigione del corpo, come l’aveva san Paolo; nasce, di conseguenza, una pena che dev’essere in sé piacevole. Ci sarà quindi bisogno di non poca mortificazione per frenarla, e non ci si riuscirà del tutto. Ma qualora si vedesse che è così forte da togliere quasi l’uso della ragione (come io ho costatato poco tempo fa in una persona impetuosa per natura, anche se abituata a spezzare la sua volontà al punto che mi pare l’abbia perduta del tutto, come si è potuto notare in varie circostanze – io l’ho vista per un attimo come fuor di sé per la gran pena e per lo sforzo di dissimularla), dico che in tali estremi, quando anche si trattasse dello spirito di Dio, sono d’avviso che sia umiltà temere perché non dobbiamo pensare che la nostra carità sia tale da porci in tali angustie.

12. E aggiungo che non ritengo sia male per l’anima (se – ripeto – può farlo, perché forse non potrà sempre farlo) mutare l’oggetto del suo desiderio, pensando che, vivendo, servirebbe meglio Dio e forse anche aiuterebbe qualche anima destinata a perdersi; servendo di più Dio, meriterà, come le è possibile, di godere più di Dio; e non ometta di temere per il poco che lo ha servito. Sono, questi, buoni motivi di conforto di fronte a un così gran tormento e serviranno a mitigare la sua pena e a farle guadagnare molti meriti, poiché proprio nell’intento di servire il Signore si vuole soffrire quaggiù e partecipare in vita alle sue pene. È come se, vedendo qualcuno sotto il peso di una difficile prova e di un gran dolore, lo si consolasse dicendogli di aver pazienza e di abbandonarsi nelle mani di Dio, adempiendo la sua volontà, perché rimettersi a lui è la cosa più sicura in ogni circostanza.

13. E se il demonio ha favorito in qualche modo tale sfrenato desiderio? Ciò sarebbe possibile, come mi pare che racconti Cassiano, a proposito di un eremita di asprissima penitenza, che, per il desiderio di vedere quanto prima Dio, fu istigato dal demonio a gettarsi in un pozzo. Sono certa che quest’eremita non doveva aver servito il Signore con umiltà e perfezione, perché il Signore è fedele e non avrebbe permesso che si accecasse nei riguardi di una cosa tanto evidente. È chiaro che se il desiderio gli fosse venuto da Dio, lungi dal nuocergli, gli avrebbe dato luce, discrezione, equilibrio. È fuori dubbio che, siccome questo avversario mortale cerca di nuocerci con tutti i mezzi, ed è sempre vigile, dobbiamo procurare di esserlo anche noi. È questo un punto molto importante per molte cose, soprattutto per abbreviare il tempo dell’orazione, per quanto piacevole sia, quando si vede che cominciano a mancare le forze fisiche o si sente la testa stanca. In tutto è molto necessaria la moderazione.

14. Perché credete, figlie mie, che io abbia voluto parlarvi del fine a cui siamo chiamate e mostrarvi il premio che ci attende prima della battaglia, parlandovi del bene che consegue dal giungere a bere alla fonte celeste di quest’acqua viva? È stato perché non vi affliggiate per le difficoltà e le contrarietà che presenta il cammino, ma procediate in esso con coraggio e non vi stanchiate. Difatti, come ho detto, può darsi che dopo essere arrivate alla meta, quando non vi manca che abbassarvi per bere, abbandoniate tutto e perdiate questo bene, disperando di avere la forza di raggiungerla e di essere degne di tale dono.

15. Pensate che il Signore invita tutti. Poiché egli è la stessa verità, non c’è da aver dubbi. Se il suo invito non fosse generale, non ci chiamerebbe tutti, e quand’anche ci chiamasse, non direbbe: «Io vi darò da bere». Avrebbe potuto dire: «Venite tutti, perché, infine, non perderete nulla, e io darò da bere a chi vorrò». Ma avendo detto, senza questa restrizione, «tutti», ritengo certo che a tutti coloro i quali non si fermeranno nel cammino, non mancherà quest’acqua viva.

Il Signore, che ce la promette, ci dia la grazia di cercarla come si deve cercare, per quello che egli è!

CAPITOLO 20

Dice come, sia pur attraverso vie differenti, non manchi mai il conforto nel cammino dell’orazione e consiglia le sorelle a parlare di continuo su questo argomento.

1. Sembra che io mi contraddica in quest’ultimo capitolo rispetto a ciò che avevo detto prima perché, volendo offrire una consolazione alle anime che non arrivano a questo grado, affermavo che il Signore guida a sé per diverse strade, come in cielo vi sono molte dimore. Lo riaffermo ora perché Sua Maestà, vedendo la nostra debolezza, vi provvide da par suo. Però non disse: «Gli uni verranno per questa strada e gli altri per quella»; anzi, la sua misericordia è stata così grande che non ha impedito ad alcuno di venire a bere a questa fonte di vita. Sia per sempre benedetto! Con quanta ragione avrebbe potuto impedirlo a me!

2. Poiché non mi ordinò di lasciare questo cammino, quando l’ebbi intrapreso, e fece sì che fossi tuffata nel profondo della sorgente, non c’è dubbio che non lo impedirà a nessuno, anzi, pubblicamente ci chiama a gran voce. Ma, essendo infinitamente buono, non ci costringe a farlo e offre da bere in molti modi a coloro che vogliono seguirlo, affinché nessuno sia privo di conforto né muoia di sete. Da questa fonte abbondante infatti derivano ruscelli, alcuni grandi, altri piccoli, e talvolta piccole pozze per i bambini. A costoro basta poca acqua, mentre il presentare loro molta acqua non farebbe che spaventarli: proprio i bambini sono quelli che si trovano al principio della via di orazione. Pertanto, sorelle mie, non abbiate paura di morire di sete in questo cammino: non manca mai l’acqua delle consolazioni a tal punto che la sete sia intollerabile. Poiché è così, seguite il mio consiglio e non fermatevi lungo la strada, ma lottate da anime forti fino a morire nella ricerca di questo bene, non essendo voi qui se non per combattere la vostra battaglia. Procedendo sempre con la ferma determinazione di morire piuttosto che lasciar di raggiungere la fine del cammino, se il Signore vi farà soffrire un po’ di sete in questa vita, vi darà abbondantemente da bere in quella eterna, ove non dovrete più temere che debba venire a mancarvi. Piaccia al Signore che non siamo noi a venir meno a lui! Amen.

3. Ora, per iniziare questo cammino di cui ho parlato in modo che non si sbagli fin dal primo momento, parliamo un po’ di come si deve iniziare il nostro viaggio, che è la cosa essenziale, vale a dire la più importante a tutti i fini. Non che non si debba intraprenderlo se non si ha la determinazione di cui parlerò, perché il Signore ci aiuterà gradatamente a perfezionarci, e quand’anche non si facesse che un solo passo, esso ha in sé tanta forza che non si deve temere sia un passo perduto né che non ci sarà molto ben ricompensato.

È – diciamo – come chi ha un rosario di indulgenze: se lo recita una volta, guadagna una volta le indulgenze; se, invece, più volte, ne guadagna altrettante di più, ma se non lo recita mai, tenendolo chiuso in uno scrigno, sarebbe meglio che non l’avesse. Pertanto, anche se non si prosegue in questo cammino, dopo averlo cominciato, il poco tratto che di esso si sarà percorso ci darà luce per avanzare bene in altre vie, e tanto maggiore quanto più ci si sarà inoltrati in esso. In conclusione, si può essere certi che non si avrà alcun danno, sotto nessun punto di vista, dall’averlo cominciato, anche se poi si sarà lasciato, perché il bene non è mai causa di male.

Pertanto, figlie mie, procurate di liberare tutte le persone che tratteranno con voi, se le vedete ben disposte e l’amicizia ve lo consente, dalla paura d’iniziare una ricerca così vantaggiosa. Vi prego, per l’amor di Dio, che la vostra conversazione sia sempre rivolta al maggior bene di coloro con cui parlate, perché la vostra orazione deve servire al profitto delle anime. E poiché dovete chiedere sempre questo al Signore, sarebbe male, sorelle, non cercare di adoperarsi in tutti i modi a conseguirlo.

4. Se volete comportarvi da buone parenti, questa dev’essere la vostra vera manifestazione d’affetto; se da buone amiche, sappiate che non potete esserlo se non in questo modo. Regni nei vostri cuori la verità, come dev’essere a causa della meditazione, e vedrete chiaramente quale sia l’amore che dobbiamo avere verso il prossimo.

Non è più il tempo, sorelle, d’intrattenerci in giochi da bambini, giacché altro non mi sembrano queste amicizie del mondo, anche se son buone; né abbiano mai luogo tra voi espressioni di tal genere: «se mi volete bene», o «non mi volete bene», né con parenti né con altri, a meno che siano dette in vista di un fine superiore e per il profitto di qualche anima. Può darsi infatti che per attirare l’attenzione e far accettare una verità da un parente, un fratello o altri, dobbiate prima disporveli con tali espressioni e manifestazioni d’affetto, che riescono sempre gradite alla nostra umana sensibilità. Forse stimeranno di più una di queste buone parole – come esse si chiamano – che non molte parole di Dio, e si disporranno meglio, col loro aiuto, ad accogliere, in seguito, quelle divine. Così non ve le impedisco, purché intese a giovare alle anime, ma se non è a tal fine, non potranno procurarvi alcun vantaggio, e potranno recarvi, invece, molto danno, senza che ve ne accorgiate. Si sa che voi siete religiose e che la vostra vita è fatta di orazione. Guardatevi, quindi, dal dire: non voglio che mi reputino virtuosa; il bene o il male che si vede in voi ricade su tutte. Ed è proprio un gran male che persone le quali hanno un obbligo così rigoroso di non parlare se non di Dio, come le religiose, credano sia meglio, in questo caso, far ricorso alle dissimulazioni, a meno che qualche volta non sia in vista di un bene maggiore. Questo dev’essere il vostro genere di conversazione e il vostro linguaggio; chi vorrà trattare con voi lo impari, altrimenti guardatevi da imparare voi il suo: sarebbe l’inferno.

5. Se vi dovessero considerare come persone grossolane, poco importa; se come ipocrite, ancor meno. Ne guadagnerete che non venga a farvi visita se non chi capirà il vostro linguaggio, perché è fuori d’ogni logica che chi non conosce l’arabo abbia piacere di intrattenersi a lungo con chi non conosce altra lingua. Così nessuno verrebbe più a stancarvi né a nuocervi, perché non sarebbe poco danno cominciare a parlare una nuova lingua, spendendo in questo tutto il vostro tempo. E non potete sapere, come me che ne ho fatto esperienza, il gran male che ciò arreca all’anima, perché nel cercare di apprendere una nuova lingua, si dimentica l’altra. S’incorre in una continua inquietudine, dalla quale dovete rifuggire a ogni costo, essendo soprattutto necessario, per entrare in questo cammino di cui ho cominciato a parlare, aver pace e tranquillità nell’anima.

6. Se le persone che tratteranno con voi volessero imparare la vostra lingua, siccome non è vostro compito insegnare, potete dire loro le ricchezze che si guadagnano con l’apprenderla. Questo no stancatevi di ripeterlo, ma insistete anche con la pietà, con l’amore e con la preghiera perché ne traggano profitto e, avendo compreso quali grandi beni possano ricavarne, vadano a cercarsi un maestro che le istruisca. Non sarebbe piccola grazia che vi farebbe il Signore concedendovi di incitare un’anima al desiderio di questo bene.

Ma quante cose si presentano alla mente nel cominciare a trattare di questo cammino, anche se lo si è percorso così male come ho fatto io! Piaccia al Signore, sorelle, che nel parlarvene io abbia migliore capacità di quella che ho avuto nel percorrerlo! Amen.