sabato 8 ottobre 2011

XXVIII Domenica T.O. - Testi e commenti



Oggi 9 Ottobre celebriamo la
XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Anno A



Il mio nome è glorificato tra le genti

Dal «Commento su Aggeo» di san Cirillo d'Alessandria, vescovo
(Cap. 14; PG 71, 1047-1050)

Al tempo della venuta del nostro Salvatore apparve un tempio divino senza alcun confronto più glorioso, più splendido ed eccellente di quello antico. Quanto superiore era la religione di Cristo e del Vangelo al culto dell'antica legge e quanto superiore è la realtà in confronto alla sua ombra, tanto più nobile è il tempio nuovo rispetto all'antico.
Penso che si possa aggiungere anche un'altra cosa. Il tempio era unico, quello di Gerusalemme, e il solo popolo di Israele offriva in esso i suoi sacrifici. Ma dopo che l'Unigenito si fece simile a noi, pur essendo «Dio e Signore, nostra luce» (Sal 117, 27), come dice la Scrittura, il mondo intero si è riempito di sacri edifici e di innumerevoli adoratori che onorano il Dio dell'universo con sacrifici ed incensi spirituali. E questo, io penso, è ciò che Malachia profetizzò da parte di Dio: Io sono il grande Re, dice il Signore: grande è il mio nome fra le genti, e in ogni luogo saranno offerti l'incenso e l'oblazione pura (cfr. Ml 1, 11).
Da ciò risulta che la gloria dell'ultimo tempio, cioè della Chiesa, sarebbe stata più grande. A quanti lavoravano con impegno e fatica alla sua edificazione, sarà dato dal Salvatore come dono e regalo celeste Cristo, che è la pace di tutti. Noi allora per mezzo di lui potremo presentarci al Padre in un solo Spirito (cfr. Ef 2, 18). Lo dichiara egli stesso quando dice: Darò la pace in questo luogo e la pace dell'anima in premio a chiunque concorrerà a innalzare questo tempio (cfr. Ag 2, 9). Aggiunge: «Vi do la mia pace» (Gv 14, 27). E quale vantaggio questo offra a quanti lo amano, lo insegna san Paolo dicendo: La pace di Cristo, che sorpassa ogni intelligenza, custodisca i vostri cuori e i vostri pensieri (cfr. Fil 4, 7). Anche il saggio Isaia pregava in termini simili: «Signore, ci concederai la pace, poiché tu dai successo a tutte le nostre imprese» (Is 26, 12).
A quanti sono stati resi degni una volta della pace di Cristo è facile salvare l'anima loro e indirizzare la volontà a compiere bene quanto richiede la virtù.
Perciò a chiunque concorre alla costruzione del nuovo tempio promette la pace. Quanti dunque si adoperano a edificare la Chiesa o che sono messi a capo della famiglia di Dio (cfr. Ef 2, 22) come mistagoghi, cioè come interpreti dei sacri misteri, sono sicuri di conseguire la salvezza. Ma lo sono anche coloro che provvedono al bene della propria anima, rendendosi roccia viva e spirituale (cfr. 1 Cor 10, 4) per il tempio santo, e dimora di Dio per mezzo dello Spirito (cfr. Ef 2, 22).

MESSALE

Antifona d'Ingresso Sal 129,3-4
Se consideri le nostre colpe, Signore,
chi potrà resistere?
Ma presso di te è il perdono,
o Dio di Israele.


Colletta

Ci preceda e ci accompagni sempre la tua grazia, Signore, perché, sorretti dal tuo paterno aiuto, non ci stanchiamo mai di operare il bene. Per il nostro Signore...


Oppure:

O Padre, che inviti il mondo intero alle nozze del tuo Figlio, donaci la sapienza del tuo Spirito, perché possiamo testimoniare qual è la speranza della nostra chiamata, e nessun uomo abbia mai a rifiutare il banchetto della vita eterna o a entrarvi senza l'abito nuziale. Per il nostro Signore Gesù Cristo...


LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura Is 25,6-10a
Il Signore preparerà un banchetto, e asciugherà le lacrime su ogni volto.

Dal libro del profeta Isaìa
Preparerà il Signore degli eserciti
per tutti i popoli, su questo monte,
un banchetto di grasse vivande,
un banchetto di vini eccellenti,
di cibi succulenti, di vini raffinati.
Egli strapperà su questo monte
il velo che copriva la faccia di tutti i popoli
e la coltre distesa su tutte le nazioni.
Eliminerà la morte per sempre.
Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto,
l’ignominia del suo popolo
farà scomparire da tutta la terra,
poiché il Signore ha parlato.
E si dirà in quel giorno: «Ecco il nostro Dio;
in lui abbiamo sperato perché ci salvasse.
Questi è il Signore in cui abbiamo sperato;
rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza,
poiché la mano del Signore si poserà su questo monte».


Salmo Responsoriale
Dal Salmo 22
Abiterò per sempre nella casa del Signore.

Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia.

Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.

Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.

Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.


Seconda Lettura
Fil 4,12-14.19-20
Tutto posso in colui che mi dà forza.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési
Fratelli, so vivere nella povertà come so vivere nell’abbondanza; sono allenato a tutto e per tutto, alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. Tutto posso in colui che mi dà la forza. Avete fatto bene tuttavia a prendere parte alle mie tribolazioni.
Il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza, in Cristo Gesù.
Al Dio e Padre nostro sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.


Canto al Vangelo
Cfr Ef 1,17-18
Alleluia, alleluia.

Il Padre del Signore nostro Gesù Cristo
illumini gli occhi del nostro cuore
per farci comprendere a quale speranza ci ha chiamati.

Alleluia.


Vangelo Mt 22,1-14 (Forma breve Mt 22,1-10)
Tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze.

Dal vangelo secondo Matteo
[ In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse:
«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire.
Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.
Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.
]
Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.
Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».
Parola del Signore.


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COMMENTI


Commento a cura della Congregazione per il Clero

La festa di nozze di cui parlano le odierne Scritture ha una duplice valenza: eucaristica ed escatologica.

L’Eucaristia è, in effetti, la “Festa della fede”, come ebbe a definirla J. Ratzinger in un suo noto saggio teologico. In essa confluisce l’essenza del mistero cristiano: il mistero di un Dio che si fa prossimo all’umanità, condividendone l’andare storico, fino ad offrire la propria vita per la salvezza degli uomini, si rinnova realmente nella celebrazione eucaristica, la quale, pertanto, diviene “festa”. La celebrazione della Salvezza affonda le proprie radici e trova la propria ragione nel mistero della Croce che, solo, rende possibili le “nuove nozze” tra il Creatore e la creatura.

In tal senso alla “festa di nozze” si è in ogni caso invitati.

Sia che l’invito sia accolto, sia che venga rifiutati - come accade nella parabola - è per iniziativa del Signore che giunge agli uomini l’invito alla festa; la salvezza non è in alcun caso una “auto-redenzione”, che sarebbe comunque destinata al fallimento, ma è la risposta libera e certa ad un invito che giunge da Dio stesso. Egli chiama alla comunione con Lui, attraverso il metodo della mediazione storica, fatta di Tradizione vivente ed ininterrotta, di ascolto umile della Sua Parola nelle Sacre Scrittura, di docile accoglienza del Magistero e di viva partecipazione e sequela a quelle esperienze, personali e comunitarie, nelle quali la presenza del Risorto emerge con maggior vigore ed è più attraente e convincente.

Scrive Benedetto XVI nell’Enciclica Deus Caritas est: «All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (DCE n. 1). Questa persona è il Signore, che ci invita alla Festa di nozze, che ogni domenica celebriamo nella fede ed ogni giorno siamo chiamati e celebrare nella vita.

L’Eucaristia, poi, è reale anticipazione di quella “Festa di nozze” che è il Banchetto escatologico e definitivo. Comunione piena con Dio alla quale i Salvati saranno chiamati alla fine dei tempi, esso è realmente anticipato nell’oggi della fede, per via pneumatica: lo Spirito Santo ci permette di gustare le ineffabili dolcezze del “banchetto celeste”, nel banchetto eucaristico, il quale ha nella Croce e Risurrezione di Cristo la sua stessa ragion d’essere.

Pur permanendo la totale gratuità dell’iniziativa divina nel rivolgere agli uomini l’invito a partecipare della sua gioia, ed in definitiva della sua stessa vita, per essere ammessi ad entrambe le “feste di nozze”, sia quella eucaristica sia quella escatologica, è necessario indossare l’abito festivo.

È necessario essere rivestiti di Cristo.

Il primo modo per essere rivestiti di Cristo è, certamente, quello sacramentale, attraverso il santo Battesimo. Leggiamo nel Catechismo della Chiesa cattolica: «Il Signore stesso afferma che il Battesimo è necessario per la salvezza. Per questo ha comandato ai suoi discepoli di annunziare il Vangelo e di battezzare tutte le nazioni. Il Battesimo è necessario alla salvezza per coloro ai quali è stato annunziato il Vangelo e che hanno avuto la possibilità di chiedere questo sacramento. La Chiesa non conosce altro mezzo all'infuori del Battesimo per assicurare l'ingresso nella beatitudine eterna». (CCC n. 1257).

Rivestirsi di Cristo, poi, significa pure rivestirsi di tutte quelle virtù, umane e cristiane, naturali e soprannaturali, che sono il maturo frutto della giusta cooperazione tra la libertà dell’uomo e la grazia e che siamo chiamati costantemente a coltivare, per poter essere degnamente ammessi alla “Festa di nozze”.

La Beata Vergine Maria, sposa del Signore, che ha per eccellenza un abito nuziale senza macchia, ci accompagni e protegga, perché sia sempre degno il nostro partecipare, sulla terra, alla santa Eucaristia e, nell’ora della nostra morte, siamo introdotti alla Festa definitiva della comunione con Dio, dalla sua dolce maternità.

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Commento a cura del p. Cantalamessa ofmcapp

È istruttivo osservare quali sono i motivi per cui gli invitati della parabola rifiutano di venire al banchetto. Matteo dice che essi “non si curarono” dell’invito e “andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari”. Il Vangelo di Luca, su questo punto, è più dettagliato e presenta così le motivazioni del rifiuto: “Ho comprato un campo e devo andare a vederlo… Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli… Ho preso moglie e perciò non posso venire” (Lc 14, 18-20).

Cos’hanno in comune questi diversi personaggi? Tutti e tre hanno qualcosa di urgente da fare, qualcosa che non può aspettare, che reclama subito la loro presenza. E cosa rappresenta invece il banchetto nuziale? Esso indica i beni messianici, la partecipazione alla salvezza recata da Cristo, quindi la possibilità di vivere in eterno. Il banchetto rappresenta dunque la cosa importante nella vita, anzi l’unica cosa importante. È chiaro allora in che consiste l’errore commesso dagli invitati; consiste nel tralasciare l’importante per l’urgente, l’essenziale per il contingente! Ora questo è un rischio così diffuso e così insidioso, non solo sul piano religioso, ma anche su quello puramente umano, che vale la pena riflettervi sopra un poco.

Anzitutto, appunto, sul piano religioso. Tralasciare l’importante per l’urgente, sul piano spirituale, significa rimandare continuamente il compimento dei doveri religiosi, perché ogni volta si presenta qualcosa di urgente da fare. È Domenica ed è ora di andare alla Messa, ma c’è da fare quella visita, quel lavoretto in giardino, il pranzo da preparare. La Messa può aspettare, il pranzo no; allora si rimanda la Messa e ci si mette intorno ai fornelli.

Ho detto che il pericolo di tralasciare l’importante per l’urgente è presente anche nell’ambito umano, nella vita di tutti i giorni, e vorrei accennare anche a questo. Per un uomo è certamente importantissimo dedicare del tempo alla famiglia, a stare con i figli, dialogare con essi se sono grandi, giocarci se sono piccoli. Ma ecco che all’ultimo momento si presentano sempre cose urgenti da sbrigare in ufficio, straordinari da fare sul lavoro, e si rimanda a un’altra volta, finendo per tornare a casa troppo tardi e troppo stanchi per pensare ad altro.

Per un uomo o una donna è cosa importantissima andare ogni tanto a far visita all’anziano genitore che vive solo in casa o in qualche ospizio. Per chiunque è cosa importantissima far visita a un conoscente malato per mostragli il proprio sostegno e rendergli forse qualche servizio pratico. Ma non è urgente, se rimandi, apparentemente non casca il mondo, forse nessuno se ne accorge. E così si rinvia.

La stessa cosa si realizza anche nella cura della propria salute che è anch’essa tra le cose importanti. Il medico, o semplicemente il fisico, avverte che ci si deve riguardare, prendere un periodo di riposo, evitare quel tipo di stress...Si risponde: sì, sì, lo farò senz’altro, appena avrò portato termine quel lavoro, quando avrò sistemato la casa, quando avrò estinto tutti i debiti...Finché ci si accorge che è troppo tardi. Ecco dove sta l’insidia: si passa la vita a rincorrere le mille piccole faccende da sbrigare e non si trova mai tempo per le cose che incidono davvero sui rapporti umani e possono fare la vera gioia (e, trascurate, la vera tristezza) nella vita. Così vediamo come il Vangelo, indirettamente, è anche scuola di vita; ci insegna a stabilire delle priorità, a tendere all’essenziale. In una parola, a non perdere l’importante per l’urgente, come successe agli invitati della nostra parabola.


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Commento a cura di Enzo Bianchi


Nel tempio di Gerusalemme Gesù espone ai capi religiosi di Israele una terza parabola, più complessa e «sovraccarica» delle precedenti: è una storia attraverso la quale egli evoca il banchetto del Regno (cf. Is 25,6-10; Mt 8,11-12) e il giudizio finale. Nello stesso tempo è evidente in questo brano la mano dell’evangelista Matteo che, scrivendo dopo la distruzione di Gerusalemme avvenuta ad opera dei romani nel 70 d.C., situa nell’orizzonte della storia di salvezza alcuni precisi eventi storici. In questa prospettiva la parabola tratta in modo figurato dell’evento pasquale, ossia delle «nozze dell’Agnello» (Ap 19,7), del rifiuto dei primi missionari cristiani da parte di Israele, della devastazione di Gerusalemme, dell’apertura della missione cristiana alle genti, del giudizio che incombe sulla chiesa stessa e sui nuovi invitati. La chiesa e Israele sono dunque entrambi collocati nell’orizzonte del giudizio.

Nella prima parte della parabola Gesù paragona il Regno alla vicenda di un re che, in occasione delle nozze del figlio, manda i suoi servi a chiamare gli invitati. Egli ha imbandito un banchetto di cibi prelibati e chiede agli invitati solo di accettare il suo dono, di condividere con lui la gioia. Eppure, come già nella parabola dei vignaioli omicidi (cf. Mt 21,33-45), la reazione è sorprendentemente negativa: alcuni, con indifferenza e superficialità, non si curano della chiamata; altri addirittura insultano e uccidono i servi. La risposta del re è immediata e dura: «si adirò e, inviate le sue truppe, uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro città». Gesù fa uso di un linguaggio apocalittico, di immagini «minacciose» che non vogliono incutere paura, ma solo mettere in chiaro le esigenze richieste a chi vuole entrare nel Regno, che in realtà si riducono a una sola: accettare il dono di Dio, pena il misero fallimento della propria vita, magari in nome di nobili occupazioni religiose o della presunta difesa di Dio stesso…

A questo punto la narrazione conosce una sorta di nuovo inizio. Il re invia altri servi a chiamare al banchetto tutti coloro che si trovano ai crocicchi delle strade: l’offerta della salvezza viene rinnovata a beneficio di tutti gli uomini. Ed ecco che la sala si riempie di invitati cattivi e buoni, così come il grano e la zizzania crescono insieme (cf. Mt 13,24-30), come la rete gettata nel mare trae a riva pesci buoni e cattivi (cf. Mt 13,47-50)… Gesù è consapevole che tutti gli uomini sono cattivi (cf. Mt 7,11) e che solo Dio è buono (cf. Mt 19,17); eppure è certo che la salvezza è donata a tutti, perché Dio vuole salvare tutti gli uomini (cf. 1Tm 2,4). E la condizione per essere resi buoni, di nuovo, è una sola: riconoscersi peccatori e accettare di essere giustificati dall’amore di Dio.

È così che va compresa la conclusione della parabola, connessa a un’usanza tradizionale al tempo di Gesù: all’ingresso del banchetto nuziale i commensali ricevevano in dono una veste bianca, segno del comune invito ricevuto dal padrone di casa. Quando il re, figura di Dio, entra per salutare i presenti, ne scorge uno privo dell’abito nuziale. Com’è stato possibile? Quest’uomo ha accettato l’invito ma, fino all’ultimo, ha orgogliosamente rifiutato il dono, ha preteso di contare sulle proprie forze; e così, invece di rispondere con gioia alla gratuità di Dio, ha intrapreso un monologo che al momento decisivo lo rende muto. Dio non lo ha mai conosciuto (cf. Mt 7,23), e ormai è troppo tardi…

«Molti sono chiamati, ma pochi eletti», conclude Gesù. È una parola che costituisce un monito esigente per ciascuno di noi. Tutti gli esseri umani sono chiamati alla salvezza, al banchetto festoso del Regno, ma nessuno è garantito, neppure dall’appartenenza alla chiesa. Occorre cedere alla grazia che sempre ci attira e rimuovere tutto ciò che è di ostacolo all’azione del regnare di Dio su di noi. Occorre, in altre parole, accogliere l’offerta di Dio, Padre del Signore Gesù Cristo e Padre nostro: «A colui che ha sete io darò gratuitamente l’acqua della fonte della vita» (Ap 21,6; cf. Is 55,1).


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Commento a cura di Luciano Manicardi

La prospettiva escatologica traversa la prima lettura e il vangelo: Isaia intravede la fine della morte e Matteo il giudizio finale (soprattutto in Mt 22,13).

Le immagini utilizzate per evocare l’evento finale, il Regno, l’atto con cui Dio mette fine alla storia compiendo la storia, sono umane, umanissime:banchetto e nozze. La realtà più divina è espressa con le immagini più umane: convivialità e nuzialità, cibo e eros. Sono immagini che al loro cuore hanno la relazione, l’incontro, l’amore, la celebrazione della vitaattorno a una tavola e nell’abbraccio nuziale. La vita spirituale cristiana si realizza non con un distanziamento dall’umano, quasi che questa fosse la via per divenire più spirituali, ma come un fare ciò che Dio stesso ha fatto: divenire umani, assumere la propria umanità come compito da realizzare.

L’immagine profetica del Dio che ammannisce un banchetto per tutti i popoli, preparando cibi succulenti e grasse vivande, rinvia all’amore di Dio per l’umanità. Preparare da mangiare per qualcuno significa amarlo, significa dirgli: “Io voglio che tu viva”, “Io non voglio che tu muoia”. Ma se il nostro cibarci ci fa vivere, ma non ci libera dal morire, Isaia aggiunge che Dio “eliminerà la morte”, anzi, letteralmente, “divorerà la morte”, “inghiottirà la morte” (Is 25,8). Il Dio che prepara da mangiare per tutti i popoli compie unapromessa di vita per l’umanità intera, vita che sarà “per sempre” (Is 25,8). Il banchetto preparato dal Dio che divora la morte, un banchetto in cui il mangiare è anche una liberazione dalla morte, è simbolo di una realtà altra da quella terrena, una realtà in cui Dio regna, non l’uomo. Di questa realtà è figura e preannuncio l’Eucaristia.

La parabola evangelica è una sorta di visione teologica di una fase della storia della salvezza. Essa parla allegoricamente dell’evento pasquale messianico (le nozze del figlio del re: v. 2), del rifiuto opposto ai missionari cristiani da parte di Israele (gli invitati indifferenti o violenti fino all’omicidio: vv. 3-6), della distruzione di Gerusalemme nel 70 d. C. (il re irato che fa perire gli uccisori e incendia la loro città: v. 7), dell’estensione della missione cristiana ai pagani (gli invitati che si trovano ai crocicchi delle vie: vv. 8-10), del giudizio che incombe sulla chiesa stessa e sui nuovi invitati (l’uomo che non ha l’abito nuziale: vv. 11-13). La chiesa, come Israele, è situata nell’orizzonte del giudizio.

La parabola è giocata sulla dialettica tra dono e responsabilità. L’invito è gratuito, ma impegna chi lo riceve e gli chiede di farsene rispondente. L’abito nuziale significa il prezzo della grazia. C’è una risposta che il chiamato è tenuto a dare all’invito gratuito, una sinergia in cui deve entrare. Molti sono gli ostacoli che l’uomo oppone alla chiamata. Anzitutto, la non volontà: “non volevano venire” (v. 3). Non basta essere invitati, occorre voler rispondere, mettere la propria volontà a servizio della chiamata. La trascuratezza e lasuperficialità di chi non stima adeguatamente il dono ricevuto, non ne coglie la preziosità e si rinchiude nei propri orizzonti ristretti, nei propri affari (v. 5). L’aggressività e la violenza di chi nell’invito rivolto o nel dono ricevuto vede solo l’intrusione, non la libertà e la liberalità, condannandosi alla reattività e alla ribellione. La non adesione di chi risponde all’invito senza corrispondervi in verità, senza lasciarsene mutare, senza entrare in una reale conversione (vv. 11-12).

Uno dei nemici più insidiosi e diffusi della fede, più temibile anche dell’ateismo e dell’opposizione aperta, è l’indifferenza. Ben espressa nel v. 5 dal disinteresse, dal non far conto dell’invito ricevuto, dal non dargli alcun peso e dal preferirgli la routine quotidiana, le piccole occupazioni, i propri affari, il proprio interesse. L’indifferenza mette il credente in una crisi particolarmente acuta perché dice l’insignificanza e l’irrilevanza della vita di fede. Ma nella misura in cui il credente stesso cade nell’individualismo e nella gelosa difesa del proprio interesse e nel culto del profitto, anch’egli svuota la propria vita di fede, mostrando di non avere indossato l’abito nuziale.


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TRADIZIONE PATRISTICA


AGOSTINO DI IPPONA: DISCORSO 90

SULLE PAROLE DEL VANGELO DI MT 22, 1-14
SULLE NOZZE DEL FIGLIO DEL RE.
CONTRO I DONATISTI, SULLA CARITÀ

Il banchetto del Signore sulla terra e in cielo.

1. Tutti i fedeli conoscono le nozze del figlio del re e il banchetto apprestato da lui; la tavola del Signore è preparata per tutti coloro che vogliano prendervi parte. È però importante sapere chi vi si accosta, dato che non gli viene proibito d'accostarvisi. Le Sacre Scritture infatti c'insegnano ch'esistono due banchetti del Signore: l'uno è quello al quale partecipano i buoni e i cattivi, l'altro è quello dal quale sono esclusi i cattivi. Ecco perché il banchetto del Signore, di cui abbiamo sentito parlare durante la lettura del Vangelo, comprende precisamente buoni e cattivi. Tutti coloro che si scusarono dal partecipare a quel banchetto sono i cattivi; ma non tutti quelli che vi presero parte sono i buoni. Mi rivolgo dunque a voi che siete buoni e state a tavola in questo banchetto, a tutti voi che riflettete a ciò ch'è detto: Chi mangia il corpo del Signore e beve il suo sangue in modo indegno, mangia e beve la propria condanna 1. Ammonisco tutti voi che siete buoni a non cercare i buoni fuori di questo banchetto e a tollerare i cattivi che sono dentro.

Tutti i giusti in questa vita sono buoni e cattivi.

2. Non dubito che la Carità vostra desidera sentire chi sono questi tali cui ho accennato esortandovi a non cercare i buoni al di fuori e a tollerare i cattivi che sono dentro. Se dentro sono tutti cattivi, a chi ho rivolto l'esortazione? Se invece dentro sono tutti buoni, chi ho ammonito di tollerare i cattivi? Prima dunque risolviamo una tale questione come possiamo con l'aiuto del Signore. Se si esamina sotto ogni aspetto e con chiarezza che cosa è buono, non è buono nessuno tranne Dio. Eccoti il Signore che in modo chiarissimo afferma: Perché mi rivolgi una domanda su ciò ch'è buono? Nessuno è buono all'infuori di Dio 2. Come mai dunque in quel banchetto nuziale vi sono buoni e cattivi se nessuno è buono all'infuori di Dio? Dovete anzitutto sapere che in un certo senso noi siamo tutti cattivi. In un certo qual modo assolutamente tutti noi siamo cattivi; ma in un altro certo qual modo non tutti siamo buoni. Ci possiamo forse paragonare agli Apostoli? Eppure il Signore in persona dice loro: Se dunque voi, pur essendo cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli 3. Se consideriamo le Scritture, tra i dodici Apostoli uno solo era cattivo, a causa del quale in un passo il Signore dice:Anche voi siete puri, ma non tutti 4. Rivolgendo tuttavia la parola a tutti in generale disse: Se voi pur essendo cattivi. Udirono questa frase Pietro, Giovanni, Andrea e tutti gli altri undici Apostoli. Che cosa udirono? Voi, per quanto siate cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli. Con quanta maggior ragione il Padre vostro ch'è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono? 5. All'udire ch'erano cattivi, disperarono; all'udire che Dio in cielo era il loro Padre, respirarono. Per quanto siate cattivi, disse; che cosa è dovuto ai cattivi se non il castigo? Con quanta maggior ragione - disse - il Padre vostro ch'è nei cieli? Che cosa è dovuto ai figli se non il premio? Chiamandoli "cattivi" ispira la paura dei castighi, chiamandoli "figli" risveglia la speranza d'essere suoi eredi.

I cattivi esclusi dal banchetto: in che senso sono da intendere.

3. Gli Apostoli dunque sotto un certo aspetto erano cattivi ma erano buoni sotto un altro aspetto. A coloro ai quali infatti aveva detto: Per quanto siate cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, subito dopo soggiunse: Con quanta maggior ragione il Padre vostro ch'è nei cieli? Egli dunque è il Padre di coloro che sono cattivi ma ch'egli non abbandona perché è anche il Medico dal quale devono essere guariti. Sotto un aspetto dunque erano cattivi. Ciononostante io credo che i convitati del capo di famiglia alle nozze del re suo figlio non erano del numero di coloro di cui è detto: Invitarono buoni e cattivi 6, per cui non devono essere ascritti nel novero dei cattivi che abbiamo sentito essere stati esclusi nella persona di quel tale che fu trovato senza l'abito di nozze. Coloro ch'erano buoni - lo ripeto - erano cattivi sotto un certo aspetto e coloro ch'erano cattivi erano buoni sotto un altro aspetto. Ascolta Giovanni sotto quale aspetto erano cattivi: Se diciamo d'essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi 7. Ecco per qual riguardo erano cattivi: perché avevano il peccato. Per qual riguardo erano buoni? Se invece riconosceremo pubblicamente i nostri peccati, Dio, che mantiene la sua parola ed è giusto, ci perdonerà i peccati e ci purificherà da ogni colpa 8. Ma possiamo noi servirci di questa interpretazione ch'io penso d'aver ricavato - come voi avete sentito - dai testi delle Sacre Scritture? Possiamo cioè affermare che i medesimi individui sono buoni sotto un aspetto e cattivi sotto un altro? Se vorremo intendere in questo senso la frase: Invitarono buoni e cattivi, coloro cioè ch'erano nello stesso tempo buoni e cattivi, questa interpretazione non è ammissibile a causa di quel tale che fu trovato senza l'abito di nozze e che fu non solo cacciato fuori in modo da essere escluso comunque dal banchetto, ma in modo da essere condannato all'eterno castigo nelle tenebre.

L'unico escluso dal banchetto è simbolo di molti individui.

4. "Ma - dirà qualcuno - qui si tratta d'un solo individuo! Che c'è di strano, di straordinario se tra la folla un solo invitato privo dell'abito di nozze s'introdusse di soppiatto sfuggendo alla sorveglianza dei servi del capo di famiglia? Per causa di quello si sarebbe forse potuto dire: Invitarono buoni e cattivi 9?". Fate dunque attenzione e cercate di capire, fratelli miei. Quell'unico individuo simboleggiava tutta una specie d'individui poiché erano molti. Un attento uditore potrebbe a questo punto rispondermi e dire: "Non desidero che tu mi dica le tue congetture; desidero che mi si dimostri che quell'unico era simbolo di molti". Con l'aiuto del Signore te lo dimostrerò chiaramente, e non dovrò andare troppo lontano per trovare le prove. Il Signore mi aiuterà con le sue stesse parole e per mezzo di me vi fornirà una prova evidente. Ecco: Il capo famiglia entrò nella sala per vedere quelli ch'erano a tavola 10. Dovete capire, fratelli miei, che compito dei servi era solo quello d'invitare e condurre i buoni e i cattivi; riflettete che il Vangelo non dice: "I servi osservarono i convitati e tra essi trovarono un tale che non aveva l'abito da nozze e glielo dissero". La Scrittura non dice così. Fu il capo famiglia che andò a vedere, che lo trovò, lo separò, lo cacciò fuori. Questo particolare non era da passare sotto silenzio. Ma noi abbiamo preso a dimostrare un altro punto della discussione: in che senso quell'unica persona ne rappresentasse molte altre. Entrò dunque il capo famiglia a vedere i commensali e trovò un tale senza l'abito da nozze e gli disse: Amico, come mai sei entrato qua senza avere l'abito di nozze? Quello non rispose nulla 11. Chi lo interrogava infatti era tale che l'altro non poteva addurre alcun pretesto, poiché era quello l'abito che si vedeva nel cuore non già nel corpo; se infatti fosse stato indossato sopra il corpo, non sarebbe potuto rimanere nascosto neppure ai servi. Sentite dove si debba indossare l'abito di nozze, quando è detto: I tuoi sacerdoti si vestano di giustizia 12. A proposito di quest'abito l'Apostolo dice: a condizione però d'essere trovati vestiti, non già nudi 13. Fu dunque scoperto dal Signore colui che era rimasto nascosto ai servi. Interrogato non rispose nulla. Viene legato, scacciato, condannato uno solo dei molti. Signore, avevo detto che tu ci ammonisci di ammonire tutti. Ricordate con me le parole che avete udite e ora scoprirete e giudicherete che quell'unico individuo ne rappresentava molti altri. Il Signore aveva senza dubbio interrogato uno solo, ad uno solo aveva detto: Amico, come mai sei entrato qua? Egli solo non aveva saputo rispondere nulla e a proposito di lui solo era stato detto: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre. Lì piangerà e digrignerà i denti 14. Perché ciò? Perché molti sono chiamati ma pochi sono gli eletti 15. Che cosa si potrebbe replicare all'evidente chiarezza di questa verità? Gettatelo - dice - fuori nelle tenebre, s'intende quell'unico individuo di cui il Signore dice: Molti infatti sono i chiamati, ma pochi gli eletti. I pochi dunque non sono cacciati fuori. Certamente era uno solo quel tale che non aveva l'abito di nozze.Gettatelo fuori. Perché viene gettato fuori? Poiché molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti. Lasciate stare i pochi, gettate fuori i molti. Senza dubbio era uno solo. E in quest'uno non solo erano rappresentati i molti [cattivi], ma questi per la loro moltitudine superavano il numero dei buoni. Molti sono infatti anche i buoni, ma a paragone dei cattivi i buoni sono pochi. È nato molto grano, ma in confronto della paglia il grano è poco. I medesimi buoni, molti per se stessi, a paragone dei cattivi sono pochi. Come dimostriamo che presi a sé sono molti? Molti verranno dall'Oriente e dall'Occidente 16. Dove verranno? A quel banchetto al quale entrano buoni e cattivi. Parlando d'un altro convito soggiunse: E sederanno a tavola con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli 17. È il convito a cui non potranno accedere i cattivi. Si partecipi in modo degno al convito presente per poter arrivare a quello del cielo. Sono dunque nel medesimo tempo molti quelli che sono pochi; molti presi a sé, pochi a paragone dei cattivi. Che cosa dunque dice il Signore? Ne trova uno solo e dice: "Ne sia gettato fuori un gran numero, ne rimangano pochi". Infatti dire: Molti sono i chiamati, ma pochi sono gli eletti, non significa altro che mostrare apertamente come in questo convito ci si debba presentare in modo da poter essere condotti all'altro convito al quale non avrà accesso nessuno dei cattivi.

Qual è l'abito di nozze.

5. Di che si tratta dunque? Desidero che voi tutti i quali vi accostate alla mensa del Signore, che si trova qui, non siate con quelli che saranno cacciati fuori, ma con i pochi che saranno salvati. Come potrete ottenere ciò? Prendete l' abito di nozze. "Spiegaci - mi si dirà - che cos'è l'abito di nozze". Esso è senza dubbio l'abito che hanno solo i buoni, che saranno lasciati nel banchetto e saranno riservati per il banchetto, al quale non accederà nessun cattivo, e vi saranno condotti per grazia di Dio; sono essi che hanno l'abito di nozze. Esaminiamo dunque, fratelli miei, tra i fedeli quelli che hanno qualche virtù propria di cui sono privi i cattivi, e quella sarà l'abito di nozze. Se parliamo di sacramenti, voi vedete come sono comuni ai cattivi e ai buoni. È forse il battesimo? Senza il battesimo nessuno per verità arriva a Dio; ma non tutti quelli che hanno il battesimo arrivano a Dio. Non posso quindi prendere il battesimo come l'abito di nozze, cioè il sacramento da solo, poiché tale abito lo vedo nei buoni ma anche nei cattivi. Forse è l'altare o ciò che si riceve dall'altare. Noi vediamo che molti mangiano, ma essi mangiano e bevono la propria condanna. Che cos'è dunque? È forse far digiuno? Fanno digiuno anche i cattivi. È forse frequentare la chiesa? Ma la frequentano anche i cattivi. Infine è forse fare miracoli? Ma questi li fanno non solo i buoni e i cattivi, ma talora i buoni non li fanno. Ecco, a proposito dell'antico popolo israelitico facevano miracoli i maghi del faraone e non li facevano gl'israeliti; tra gl'israeliti li facevano solo Mosè e Aronne 18, mentre tutti gli altri non li facevano, ma li vedevano, temevano e credevano. Erano forse migliori i maghi del faraone i quali facevano miracoli che il popolo d'Israele non era capace di fare, e tuttavia era il popolo che apparteneva a Dio? A proposito della stessa Chiesa, ascolta l'Apostolo che dice: Sono forse tutti profeti? Hanno forse tutti il dono di compiere guarigioni? Sanno forse parlare in tutte le lingue conosciute? 19

L'abito di nozze è la carità.

6. Qual è dunque l'abito di nozze? Il fine del precetto - dice l'Apostolo - è la carità che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera 20. Questo è l'abito di nozze. Non si tratta però d'una carità qualsiasi, poiché spesso sembra che si amino tra loro anche individui che hanno in comune una cattiva coscienza. Coloro che compiono insieme rapine e delitti, che sono tifosi degl'istrioni, che insieme incitano con urla i guidatori dei cocchi in lizza e i cacciatori del circo, per lo più si amano tra loro, ma non hanno la carità che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera. È siffatta carità l'abito di nozze. Se io sapessi parlare le lingue degli uomini e degli angeli, ma non possedessi la carità, sarei - dice l'Apostolo - come una campana che suona o un tamburo che rimbomba 21. Sono arrivati al banchetto individui parlanti solo le lingue ma loro vien detto: "Perché siete entrati senza aver l'abito di nozze?". Se avessi - dice ancora - il dono della profezia e quello di svelare tutti i segreti, se avessi il dono di tutta la scienza, e avessi tanta fede da smuovere i monti, ma non avessi la carità, non varrei nulla 22. Ecco qui i miracoli delle persone che per lo più non hanno l'abito di nozze. "Se avessi tutti questi doni - dice l'Apostolo - e non avessi Cristo, non varrei nulla". Non varrei nulla, dice. La profezia, dunque, non vale nulla? La conoscenza dei segreti dunque non vale nulla? "No, non sono questi doni che non valgono nulla, ma sono io che non varrei nulla, se li possedessi ma non avessi la carità". Quanti beni non giovano a nulla se ne manca uno solo! "Se non avrò la carità, anche se distribuirò elemosine ai poveri e se, per rendere testimonianza al nome di Cristo, arriverò fino al sangue, arriverò fino a farmi bruciare, queste azioni possono farsi anche per amore della gloria e allora sono inutili". Poiché dunque queste azioni possono diventare anche inutili, se fatte per amore della gloria, e non in virtù della carità fecondissima d'amore verso Dio, l'Apostolo ricorda anche queste stesse azioni; ascoltale: Se distribuirò tutti i miei beni ai poveri e lascerò bruciare il mio corpo, ma non avrò la carità, non mi gioverà a nulla 23. Ecco l'abito delle nozze! Esaminate voi stessi: se lo avete, voi starete sicuri al banchetto del Signore. In un unico individuo esistono due impulsi dell'anima: la carità e la cupidigia. Nasca in te la carità, se non è ancora nata, e se già è nata, venga allevata, venga nutrita e cresca. Per quanto riguarda la cupidigia, al contrario, in questa vita non può essere eliminata del tutto - poiché se diremo di non avere peccati, inganniamo noi stessi e in noi non c'è la verità 24 -; ma noi commettiamo dei peccati nella misura in cui abbiamo la cupidigia; facciamo sì che cresca la carità e diminuisca la cupidigia affinché quella, cioè la carità, venga portata un giorno alla perfezione, e la cupidigia venga ridotta all'estinzione. Indossate l'abito delle nozze; rivolgo quest'esortazione a voi che non l'avete ancora. Voi siete già dentro la Chiesa, vi siete già accostati al convito, ma non avete ancora l'abito da indossare in onore dello sposo, poiché andate ancora in cerca dei vostri interessi, non di quelli di Cristo. L'abito di nozze infatti s'indossa in onore dei coniugi, cioè dello sposo e della sposa. Voi conoscete lo sposo: è Cristo; conoscete la sposa: è la Chiesa. Recate onore allo sposo e alla sposa. Se onorerete come si deve gli sposi, voi ne sarete figli. Fate quindi progressi a questo riguardo. Amate il Signore e con questo sentimento imparate ad amarvi tra voi; in tal modo quando vi amerete tra voi amando il Signore, amerete sicuramente il prossimo come voi stessi. Quando infatti non trovo uno che ami se stesso, in qual modo gli potrò affidare il prossimo perché lo ami come se stesso? "E chi è - domanderà qualcuno - che non ami se stesso?". Ecco chi è: Chi ama l'iniquità, odia l'anima propria 25. Ama forse se stesso chi ama la propria carne e odia la propria anima con suo danno e con danno della propria anima e della propria carne? Chi è colui che ama la propria anima? Colui che ama Dio con tutto il cuore e con tutta la sua anima. A una persona di tal genere posso dunque affidare il prossimo. Amate il prossimo come voi stessi.

Il prossimo è ogni uomo.

7. "Chi è il mio prossimo?" mi si chiederà. Il tuo prossimo è ogni uomo. Non abbiamo avuto forse tutti due genitori? Sono prossimi tra loro gli animali d'ogni specie: il colombo al colombo, il leopardo al leopardo, il serpente al serpente, la pecora alla pecora e non è prossimo l'uomo all'uomo? Richiamate alla vostra mente la creazione delle creature. Iddio disse e le acque produssero gli animali che nuotano: i grandi cetacei, i pesci, gli animali muniti di ali e altri simili a questi. Tutti gli uccelli non sono forse derivati da un solo uccello, da un solo avvoltoio tutti gli avvoltoi, da un solo colombo tutti i colombi, da un solo serpente tutti i serpenti, da una sola orata tutte le orate, da una sola pecora tutte le pecore? La terra ha generato senz'altro nello stesso tempo tutte le specie d'animali. Ma quando si giunse alla creazione dell'uomo non fu la terra a produrre l'uomo. Fu creato per noi un unico padre, nemmeno due genitori, un padre e una madre; fu creato per noi - ripeto - un solo genitore, nemmeno due, un padre e una madre; ma da un solo padre fu fatta una sola madre; l'unico non fu fatto da nessuno ma da Dio e l'unica fu fatta venendo tratta da lui 26. Considerate bene la nostra stirpe: noi deriviamo da un'unica sorgente e, poiché l'unica nostra sorgente si mutò in acqua amara, da ulivo domestico ch'eravamo siamo diventati tutti ulivi selvatici. Venne però in seguito anche la grazia. Ci generò uno solo per il peccato e per la morte, tuttavia ci generò come una sola stirpe, tutti a lui prossimi, e non solo a lui simili ma anche congiunti. Venne uno solo contro uno solo, contro uno solo che disperse venne uno solo che ci riunisce. Così pure contro uno solo che ci ha uccisi è venuto uno solo che ci dà la vita. Poiché allo stesso modo che per l'unione con Adamo tutti muoiono, così per la loro unione con Cristo tutti avranno la vita 27. Ma allo stesso modo che chiunque nasce dal primo, muore; così chiunque crede, per mezzo di Cristo riceve la vita; avrà però la vita se avrà l'abito di nozze, se sarà invitato al banchetto per rimanerci, non per esserne allontanato.

Qual è la vera fede da raccomandare.

8. Dovete dunque avere la carità, fratelli miei. Vi ho spiegato che cos'è l'abito di nozze, vi ho mostrato quest'abito. Viene lodata la fede - è vero - viene lodata; ma quale fede? È quella la cui caratteristica è chiaramente espressa da un Apostolo. Infatti l'apostolo Giacomo biasima alcuni che si vantavano della loro fede ma non avevano buoni costumi, e dice: Tu credi che Dio è uno solo, e fai bene; ma anche i demoni credono e tremano di paura 28. Richiamate con me alla vostra mente per qual motivo fu elogiato Pietro, per qual motivo fu proclamato beato. Forse perché affermò: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente 29? Colui che lo proclamò beato considerò non già il suono delle sue parole, ma il sentimento del suo cuore. Orbene, volete sapere che la beatitudine di Pietro non era dovuta alle sue parole? Quell'affermazione in realtà era stata fatta anche dai demoni: Noi sappiamo chi sei. Tu sei il Figlio di Dio 30. Pietro riconobbe pubblicamente Cristo come Figlio di Dio, ma lo riconobbero Figlio di Dio anche i demoni. Metti in rilievo la differenza, signore! Sicuro, metto ben in risalto la differenza. Pietro lo affermò spinto dall'amore, i demoni invece spinti dal timore. Per conseguenza l'uno dice: Sarò con te fino alla morte 31, quelli invece: Che c'è tra noi e te? 32. Tu dunque che sei venuto al banchetto, non ti vantare della sola fede. Devi distinguere tra fede e fede e allora si riconoscerà in te l'abito di nozze. Faccia la distinzione l'Apostolo e ce l'insegni: Non conta nulla essere circoncisi o non esserlo, ma solo la fede 33. Di' quale fede: non credono forse anche i demoni eppure tremano di paura? Lo dico - risponde -, ascolta; distinguo, distinguo subito: ma la fede che agisce per mezzo della carità 34. Quale fede allora, quale specie di fede? Quella che agisce per mezzo della carità. Anche se avessi - dice - il dono di tutta la scienza, e una fede talmente grande da smuovere i monti, ma non avessi la carità, non varrei nulla 35. Abbiate la fede con la carità, poiché non potete avere la carità senza la fede. Vi ammonisco, vi esorto, vi avverto, nel nome del Signore, miei cari, di avere la fede con la carità, poiché potreste avere la fede senza la carità. Infatti non vi esorto ad avere la fede, ma la carità. Non potete infatti avere la carità senza la fede, poiché parlo dell'amore verso Dio e verso il prossimo; come può esserci questo senza la fede? In qual modo amerà Dio chi non crede in Dio? Come può amare Dio lo stolto che in cuor suo dice: Dio non esiste 36? Può darsi che tu creda che il Cristo sia venuto eppure non lo ami; non può avvenire invece che tu ami il Cristo e non dica ch'egli è venuto.

L'amore dev'essere esteso ai nemici.

9. Abbiate dunque la fede con la carità. È questo l'abito di nozze. Voi che volete bene a Cristo dovete volervi bene tra voi: amate gli amici, amate i nemici. Non vi sia gravoso. Che cosa dunque perdete quando acquistate molto? Perché preghi Dio, come per un gran favore, che muoia il tuo nemico? Non è questo l'abito di nozze. Considera lo sposo inchiodato alla croce per te, e che prega il Padre per i propri nemici: Perdona loro, Padre - dice - poiché non sanno che cosa fanno 37. Hai visto lo sposo che diceva così; vedi anche l'amico dello sposo invitato con l'abito di nozze. Considerate come il beato Stefano rimprovera i giudei come se fosse crudele e adirato: Testardi! Pagani di cuore e di mente, avete sempre resistito allo Spirito Santo. Quale dei profeti non uccisero i vostri padri? 38. Avete udito con quale crudeltà li apostrofa. Sei pronto anche tu a parlare così contro chiunque? E volesse il cielo che lo facessi contro chi offende Dio, non contro uno che ha offeso te. Uno offende Dio ma tu non lo rimproveri; ma se offende te, ti metti a gridare; dov'è l'abito di nozze? Avete udito dunque come parlò infuriato Stefano; udite ora come amava i persecutori. Aveva offeso coloro ch'egli rimproverava e perciò fu ucciso a sassate. Ora, essendo oppresso da ogni parte dalle mani di quei furibondi, ed essendo colpito dai sassi, prima disse: Signore Gesù Cristo, accogli il mio spirito 39. Poi, dopo aver pregato stando in piedi per sé in difesa di quelli che lo lapidavano, s'inginocchiò e disse: Signore, non addebitar loro questo peccato 40; che io muoia quanto al corpo, ma non muoiano essi quanto al cuore. Ciò detto, spirò. Dopo quelle parole non aggiunse altro; le disse e poi morì. L'ultima sua preghiera fu per i suoi nemici. Imparate ad avere l'abito di nozze. Così anche tu mettiti in ginocchio, batti la fronte per terra e quando stai per accostarti alla tavola del Signore, al banchetto delle Sacre Scritture, non dire: "Oh, se morisse il mio nemico! Signore, se ho meritato qualcosa da te, fa morire il mio nemico". Se per caso dirai così, non temerai che ti possa rispondere: "Se io volessi far morire il tuo nemico, prima farei morire te"? O forse ti vanti che ora sei venuto essendo stato invitato? Pensa che cosa eri poco prima. Non mi hai forse bestemmiato? Non mi hai forse deriso? Non hai forse desiderato di cancellare dalla terra il mio nome? Tu però ti vanti perché sei venuto dietro un invito. Se io ti avessi fatto morire come nemico, chi mi sarei fatto amico? Perché pregando male mi vuoi insegnare a fare ciò che non ho fatto a tuo riguardo? Al contrario anzi, - ti dice Dio - io vorrei insegnarti a imitare me. Stando appeso alla croce dissi: Perdona loro, perché non sanno quello che fanno 41. Ho insegnato ciò al mio soldato. Sii una mia recluta contro il diavolo, altrimenti in nessun modo combatterai da vittorioso, se non pregherai per i tuoi nemici. Di' chiaramente, di' anche questo, di' che vuoi perseguitare il tuo nemico; ma dillo consapevolmente, dillo ma con discernimento. Ecco, un tale è tuo nemico; rispondimi: "Che cosa in lui potrebbe esserti nemico?". Forse il fatto d'essere uomo? "No". Che cosa allora? "Il fatto ch'è cattivo". Per il fatto però ch'è un uomo, che l'ho creato io, non ti è nemico. Dio ti dice: "L'uomo io l'ho creato non cattivo 42; divenne cattivo a causa della disobbedienza, poiché ubbidì piuttosto al diavolo che a Dio. A te è nemico ciò che fu fatto dal l'uomo; ti è nemico per il fatto d'essere cattivo, non per il fatto d'essere uomo. Sento dire "uomo" e "cattivo"; il primo termine è proprio della natura, il secondo è proprio della colpa; guarisco la colpa e conservo la natura". Questo ti dice il tuo Dio: "Ma ecco come io ti vendico: faccio morire il tuo nemico, porto via da lui l'essere cattivo, conservo l'essere uomo; se ne farò un uomo buono, non farò forse morire il tuo nemico e ne farò un tuo amico?". Questo devi chiedere nella tua preghiera: prega non già che periscano gli uomini, ma finisca l'inimicizia. Se invece preghi perché muoia un uomo, la tua è la preghiera d'uno cattivo contro un altro cattivo, e quando dici a Dio: "Fa' morire il cattivo", ti potrebbe rispondere: "Quale di voi due?".

L'amore dev'essere esteso in modo che trascini tutti a Dio.

10. Estendete l'amore oltre i vostri coniugi e i vostri figli. Quest'amore è insito anche negli animali quadrupedi e nei passeri. Sapete come i passeri e le rondini amano il proprio coniuge, covano insieme le uova, insieme nutrono i piccoli, con una compiacenza e bontà naturale, senza pensare a nessuna ricompensa. Il passero in effetti non dice: "Nutrirò i miei figli perché quando sarò vecchio mi sostentino". Non pensa nulla di simile; ama gratuitamente, gratuitamente dà da mangiare; offre l'affetto di padre, ma non cerca la retribuzione. Anche voi, lo so bene, amate allo stesso modo i vostri figli. In realtà non sono i figli che devono accumulare ricchezze per i genitori, ma i genitori per i figli 43. Per questo motivo anche molti di voi scusate la vostra avarizia col pretesto che vi arricchite per i vostri figli e conservate le ricchezze per loro. Ma estendete l'amore, cresca quest'amore; poiché amare i figli e i coniugi non è ancora l'abito di nozze. Abbiate fede in Dio. Innanzitutto amate Dio. Sforzatevi di elevarvi fino a Dio e conducete a Dio tutti quelli che potete. È un nemico: sia trascinato verso Dio. È un figlio, è la moglie, è un servo: venga attratto verso Dio. È un pellegrino: venga trascinato verso Dio. È un nemico: venga trascinato verso Dio. Trascina il nemico; trascinandolo non sarà più nemico. Si progredisca in questo modo; la carità sia alimentata così che alimentata sia portata alla perfezione; in tal modo s'indossi l'abito di nozze; in tal modo facendo progressi si rinnovi l'immagine di Dio, secondo la quale siamo stati creati. Infatti peccando questa immagine si era guastata, cancellata. A causa di che cosa si era cancellata, guastata? Strofinandola per terra. Che significa "strofinandola per terra"? Si consuma a causa delle passioni terrene. Poiché è vero che, sebbene l'uomo cammini nell'immagine, tuttavia invano si turba 44. La verità, non la vanità si cerca nell'immagine di Dio. Orbene, amando la verità, l'immagine, secondo la quale siamo stati creati, venga rinnovata, e sia restituita al nostro Cesare come sua propria moneta. Così in effetti avete sentito dalla risposta del Signore il quale, ai giudei che volevano metterlo alla prova, disse: Perché volete mettermi alla prova, ipocriti? Mostratemi la moneta del tributo 45, cioè l'immagine che vi era impressa e l'iscrizione. Mostratemi la moneta che pagate, che mettete da parte, mostratemi che cosa si esige da voi. Gli mostrarono un "denaro" e chiese loro quale immagine e quale iscrizione portasse impressa. Risposero: di Cesare 46. Questo Cesare esige anche la propria immagine. Cesare non vuole che si perda ciò che ha ordinato gli si dia e Dio non vuole che si perda ciò che ha creato. Cesare però, fratelli miei, non è il creatore della moneta; la fanno gli zecchieri, se ne dà l'ordine agli artefici, mentre egli l'ha ordinata ai suoi alti funzionari. L'immagine veniva impressa sulla moneta: sulla moneta c'è l'immagine di Cesare. E tuttavia si va in cerca di ciò che altri impressero. Chi accumula ricchezze non vuole che gli sia negata quell'immagine. Moneta di Cristo è l'uomo; in essa c'è l'immagine di Cristo, c'è il nome di Cristo, ci sono i benefici di Cristo, lì i doveri impostici da Cristo.