martedì 13 dicembre 2011

Giovanni della Croce

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Salvador Dalì, Cristo di san Giovanni della Croce, 1951


Celebriamo oggi la memoria liturgica di s. Giovanni della Croce (1542-1591), sacerdote e dottore della Chiesa, uno dei più grandi mistici di tutti i tempi, un grande innamorato di Gesù Cristo.

La notte fra il 13 e il 14 dicembre del 1591 si spegne all'età di 49 anni Giovanni della Croce, primo carmelitano ad aver aderito alla riforma del Carmelo operata da Teresa d'Ávila. Juan de Yepes Alvarez era nato a Fontiveros, nella Vecchia Castiglia. Di origini molto povere, dopo un'infanzia assai difficile, per potersi pagare gli studi egli dovette lavorare a lungo come infermiere nell'ospedale degli appestati. Entrato dai Carmelitani a Medina del Campo, per le sue brillanti qualità intellettuali fu mandato a studiare alla celebre università di Salamanca. Uomo dedito a un'ascesi estrema, che gli pregiudicò ben presto l'integrità fisica, Giovanni era sul punto di abbandonare il Carmelo per farsi certosino, quando l'incontro con Teresa d'A*P3vila lo convinse della possibilità di riformare l'Ordine. Egli diede allora vita a una piccola comunità estremamente povera, ma ben presto i suoi superiori gli affidarono responsabilità di rilievo nella formazione intellettuale e spirituale dei novizi. La sua vita divenne allora un pellegrinaggio da una comunità all'altra, durante il quale Giovanni fu spesso osteggiato, a volte oltraggiato e umiliato, e comunque raramente capito dai suoi compagni. In questo itinerario di umiliazione, nel quale egli afferma di aver sperimentato l'abbandono da parte di Dio stesso nella «notte oscura» dell'anima, Giovanni trasse la forza per invocare la «fiamma d'amore» dello Spirito e per scrivere poemi e cantici spirituali che narrano l'unione sponsale dell'anima con Dio, approdo sicuro, secondo la sua esperienza spirituale, per coloro che seguono con fiducia il cammino pasquale del Signore. Per i cattolici egli è dottore della chiesa, gli anglicani lo ricordano come poeta e maestro della fede.

TRACCE DI LETTURA

Dove ti sei nascosto,
Amato, lasciandomi
a gemere?
Come il cervo corresti,
dopo avermi ferito:
ti uscii dietro gridando, e te n'eri andato.

Pastori, voi che andate
da un ovile all'altro su all'altura:
se per caso vedrete chi più di tutti amo,
ditegli che soffro, languo e muoio.

Cercando il mio amore,
andrò per questi monti e rive,
non coglierò mai fiori,
né temerò le fiere,
e passerò oltre ai forti e alle frontiere.

Giovanni della Croce, dalle Canzoni tra l'anima e lo Sposo

* * *

Dal «Cantico spirituale» di san Giovanni della Croce, sacerdote (Strofe 36-37)
La conoscenza del mistero nascosto in Cristo Gesù
Per quanto siano molti i misteri e le meraviglie scoperte dai santi dottori e intese dalle anime sante nel presente stato di vita, tuttavia ne è rimasta da dire e da capire la maggior parte e quindi c`è ancora molto da approfondire in Cristo. Questi infatti è come una miniera ricca di immense vene di tesori, dei quali, per quanto si vada a fondo, non si trova la fine; anzi in ciascuna cavità si scoprono nuovi filoni di ricchezze.
Perciò san Paolo dice del Cristo: «In Cristo si trovano nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza» (Col 2, 3) nei quali l'anima non può penetrare, se prima non passa per le strettezze della sofferenza interna ed esterna. Infatti, a quel poco che è possibile sapere in questa vita dei misteri di Cristo non si può giungere senza aver sofferto molto, aver ricevuto da Dio numerose grazie intellettuali e sensibili e senza aver fatto precedere un lungo esercizio spirituale, poiché tutte queste grazie sono più imperfette della sapienza dei misteri di Cristo, per la quale servono di semplice disposizione.
Oh, se l'anima riuscisse a capire che non si può giungere nel folto delle ricchezze e della sapienza di Dio, se non entrando dove più numerose sono le sofferenze di ogni genere riponendovi la sua consolazione e il suo desiderio! Come chi desidera veramente la sapienza divina, in primo luogo brama di entrare veramente nello spessore della croce!
Per questo san Paolo ammoniva i discepoli di Efeso che non venissero meno nelle tribolazioni, ma stessero forti e radicati e fondati nella carità, e così potessero comprendere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità e conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza per essere ricolmi di tutta la pienezza di Dio (cfr. Ef 3, 17). Per accedere alle ricchezze della sapienza divina la porta è la croce. Si tratta di una porta stretta nella quale pochi desiderano entrare, mentre sono molti coloro che amano i diletti a cui si giunge per suo mezzo.

* * *

Dal «Cantico spirituale» di san Giovanni della Croce, sacerdote (Strofe 5, 1.4)
La bellezza di Dio partecipata alle creature per il Verbo
Le creature, come afferma S. Agostino, danno testimonianza della grandezza e perfezione divina. Dio intatti ha creato tutte le cose con grande facilità e prestezza e ha lasciato in esse qualche orma del suo essere, non solo traendole dal nulla all'esistenza, ma anche dotandole di innumerevoli grazie e virtù, abbellendole di ordine mirabile e di stretta dipendenza le une dalle altre, operando tutto questo per mezzo della sua Sapienza, che è il Verbo suo Unigenito Figlio, mediante il quale le ha create. Secondo quanto afferma san Paolo, il Figlio di Dio è lo splendore della gloria del Padre e l'immagine della sua sostanza (Eb 1,3). È dunque da osservare che Dio con la sola immagine di suo Figlio guardò tutte le cose, dando loro l'essere naturale, comunicando molte grazie e doni naturali, facendole perfette e rifinite secondo le parole del Genesi (1,3): Dio guardò tutte le cose che aveva fatto ed erano molto buone. Vederle molto buone equivale a farle molto buone nel Verbo, suo Figlio. Guardandole, non soltanto comunicò loro l'essere e le grazie naturali, ma con questa immagine di suo Figlio le lasciò rivestite di bellezza, comunicando loro l'essere soprannaturale. Ciò accadde quando Egli si fece uomo, innalzando questo alla bellezza di Dio e per conseguenza in lui tutte le creature, poiché, facendosi uomo, si unì con la natura di tutte quelle. Perciò il medesimo Figlio di Dio dice: Quando sarò alzato da terra, trarrò a me tutte le cose. E così, in questa glorificazione dell'Incarnazione del Figlio suo e della sua resurrezione secondo la carne, Dio abbellì le creature non solo in parte, ma le lasciò rivestite completamente di bellezza e dignità.


PREGHIERA

O Dio,
che hai guidato san Giovanni
della Croce
alla santa montagna che è Cristo,
attraverso la notte oscura
della rinuncia
e l'amore ardente della croce,
concedi a noi di seguirlo
come maestro di vita spirituale,
per giungere alla contemplazione
della tua gloria.
Per il nostro Signore Gesù Cristo,
tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te,
nell'unità dello Spirito santo,
per tutti i secoli dei secoli.

* * *

Di seguito la catechesi che il Santo Padre Benedetto XVI ha dedicato a san Giovanni della Croce lo scorso 16 febbraio.


Cari fratelli e sorelle,
due settimane fa ho presentato la figura della grande mistica spagnola Teresa di Gesù. Oggi vorrei parlare di un altro importante Santo di quelle terre, amico spirituale di santa Teresa, riformatore, insieme a lei, della famiglia religiosa carmelitana: san Giovanni della Croce, proclamato Dottore della Chiesa dal Papa Pio XI, nel 1926, e soprannominato nella tradizione Doctor mysticus, “Dottore mistico”.
Giovanni della Croce nacque nel 1542 nel piccolo villaggio di Fontiveros, vicino ad Avila, nella Vecchia Castiglia, da Gonzalo de Yepes e Catalina Alvarez. La famiglia era poverissima, perché il padre, di nobile origine toledana, era stato cacciato di casa e diseredato per aver sposato Catalina, un'umile tessitrice di seta. Orfano di padre in tenera età, Giovanni, a nove anni, si trasferì, con la madre e il fratello Francisco, a Medina del Campo, vicino a Valladolid, centro commerciale e culturale. Qui frequentò il Colegio de los Doctrinos, svolgendo anche alcuni umili lavori per le suore della chiesa-convento della Maddalena. Successivamente, date le sue qualità umane e i suoi risultati negli studi, venne ammesso prima co­me infermiere nell'Ospedale della Concezione, poi nel Collegio dei Gesuiti, appena fondato a Medina del Campo: qui Giovanni entrò diciottenne e studiò per tre anni scienze umane, retorica e lingue classiche. Alla fine della formazione, egli aveva ben chiara la propria vocazione: la vita religiosa e, tra i tanti ordini presenti a Medina, si sentì chiamato al Carmelo.
Nell’estate del 1563 iniziò il noviziato presso i Carmelitani della città, assumendo il nome religioso di Mattia. L’anno seguente venne destinato alla prestigiosa Università di Salamanca, dove studiò per un triennio arti e filosofia. Nel 1567 fu ordinato sacerdote e ritornò a Medina del Campo per celebrare la sua Prima Messa circondato dall'affetto dei famigliari. Proprio qui avvenne il primo incontro tra Giovanni e Teresa di Gesù. L’incontro fu decisivo per entrambi: Teresa gli espose il suo piano di riforma del Carmelo anche nel ramo maschile dell'Ordine e propose a Giovanni di aderirvi “per maggior gloria di Dio”; il giovane sacerdote fu affascinato dalle idee di Teresa, tanto da diventare un grande sostenitore del progetto. I due lavorarono insieme alcuni mesi, condividendo ideali e proposte per inaugurare al più presto possibile la prima casa di Carmelitani Scalzi: l’apertura avvenne il 28 dicembre 1568 a Duruelo, luogo solitario della provincia di Avila. Con Giovanni formavano questa prima comunità maschile riformata altri tre compagni. Nel rinnovare la loro professione religiosa secondo la Regola primitiva, i quattro adottarono un nuovo nome: Giovanni si chiamò allora “della Croce”, come sarà poi universalmente conosciuto. Alla fine del 1572, su richiesta di santa Teresa, divenne confessore e vicario del monastero dell’Incarnazione di Avila, dove la Santa era priora. Furono anni di stretta collaborazione e amicizia spirituale, che arricchì entrambi. Α quel periodo risalgono anche le più importanti opere teresiane e i primi scritti di Giovanni.
L’adesione alla riforma carmelitana non fu facile e costò a Giovanni anche gravi sofferenze. L’episodio più traumatico fu, nel 1577, il suo rapimento e la sua incarcerazione nel convento dei Carmelitani dell'Antica Osservanza di Toledo, a seguito di una ingiusta accusa. Il Santo rimase imprigionato per mesi, sottoposto a privazioni e costrizioni fisiche e morali. Qui compose, insieme ad altre poesie, il celebre Cantico spirituale. Finalmente, nella notte tra il 16 e il 17 agosto 1578, riuscì a fuggire in modo avventuroso, riparandosi nel monastero delle Carmelitane Scalze della città. Santa Teresa e i compagni riformati celebrarono con immensa gioia la sua liberazione e, dopo un breve tempo di recupero delle forze, Giovanni fu destinato in Andalusia, dove trascorse dieci anni in vari conventi, specialmente a Granada. Assunse incarichi sempre più importanti nell'Ordine, fino a diventare Vicario Provinciale, e completò la stesura dei suoi trattati spirituali. Tornò poi nella sua terra natale, come membro del governo generale della famiglia religiosa teresiana, che godeva ormai di piena autonomia giuridica. Abitò nel Carmelo di Segovia, svolgendo l'ufficio di superiore di quella comunità. Nel 1591 fu sollevato da ogni responsabilità e destinato alla nuova Provincia religiosa del Messico. Mentre si preparava per il lungo viaggio con altri dieci compagni, si ritirò in un convento solitario vicino a Jaén, dove si ammalò gravemente. Giovanni affrontò con esemplare serenità e pazienza enormi sofferenze. Morì nella notte tra il 13 e il 14 dicembre 1591, mentre i confratelli recitavano l'Ufficio mattutino. Si congedò da essi dicendo: “Oggi vado a cantare l'Ufficio in cielo”. I suoi resti mortali furono traslati a Segovia. Venne beatificato da Clemente X nel 1675 e canonizzato da Benedetto XIII nel 1726.
Giovanni è considerato uno dei più importanti poeti lirici della letteratura spagnola. Le opere maggiori sono quattro: Ascesa al Monte Carmelo, Notte oscura, Cantico spirituale e Fiamma d'amor viva.
Nel Cantico spirituale, san Giovanni presenta il cammino di purificazione dell’anima, e cioè il progressivo possesso gioioso di Dio, finché l’anima perviene a sentire che ama Dio con lo stesso amore con cui è amata da Lui. La Fiamma d'amor viva prosegue in questa prospettiva, descrivendo più in dettaglio lo stato di unione trasformante con Dio. Il paragone utilizzato da Giovanni è sempre quello del fuoco: come il fuoco quanto più arde e consuma il legno, tanto più si fa incandescente fino a diventare fiamma, così lo Spirito Santo, che durante la notte oscura purifica e “pulisce” l'anima, col tempo la illumina e la scalda come se fosse una fiamma. La vita dell'anima è una continua festa dello Spirito Santo, che lascia intravedere la gloria dell'unione con Dio nell'eternità.
L’Ascesa al Monte Carmelo presenta l'itinerario spirituale dal punto di vista della purificazione progressiva dell'anima, necessaria per scalare la vetta della perfezione cristiana, simboleggiata dalla cima del Monte Carmelo. Tale purificazione è proposta come un cammino che l’uomo intraprende, collaborando con l'azione divina, per liberare l'anima da ogni attaccamento o affetto contrario alla volontà di Dio. La purificazione, che per giungere all'unione d’amore con Dio dev’essere totale, inizia da quella della vita dei sensi e prosegue con quella che si ottiene per mezzo delle tre virtù teologali: fede, speranza e carità, che purificano l'intenzione, la memoria e la volontà. La Notte oscura descrive l'aspetto “passivo”, ossia l'intervento di Dio in questo processo di “purificazione” dell'anima. Lo sforzo umano, infatti, è incapace da solo di arrivare fino alle radici profonde delle inclinazioni e delle abitudini cattive della persona: le può solo frenare, ma non sradicarle completamente. Per farlo, è necessaria l’azione speciale di Dio che purifica radicalmente lo spirito e lo dispone all'unione d'amore con Lui. San Giovanni definisce “passiva” tale purificazione, proprio perché, pur accettata dall'anima, è realizzata dall’azione misteriosa dello Spirito Santo che, come fiamma di fuoco, consuma ogni impurità. In questo stato, l’anima è sottoposta ad ogni genere di prove, come se si trovasse in una notte oscura.
Queste indicazioni sulle opere principali del Santo ci aiutano ad avvicinarci ai punti salienti della sua vasta e profonda dottrina mistica, il cui scopo è descrivere un cammino sicuro per giungere alla santità, lo stato di perfezione cui Dio chiama tutti noi. Secondo Giovanni della Croce, tutto quello che esiste, creato da Dio, è buono. Attraverso le creature, noi possiamo pervenire alla scoperta di Colui che in esse ha lasciato una traccia di sé. La fede, comunque, è l’unica fonte donata all'uomo per conoscere Dio così come Egli è in se stesso, come Dio Uno e Trino. Tutto quello che Dio voleva comunicare all'uomo, lo ha detto in Gesù Cristo, la sua Parola fatta carne. Gesù Cristo è l’unica e definitiva via al Padre (cfr Gv 14,6). Qualsiasi cosa creata è nulla in confronto a Dio e nulla vale al di fuori di Lui: di conseguenza, per giungere all'amore perfetto di Dio, ogni altro amore deve conformarsi in Cristo all’amore divino. Da qui deriva l'insistenza di san Giovanni della Croce sulla necessità della purificazione e dello svuotamento interiore per trasformarsi in Dio, che è la meta unica della perfezione. Questa “purificazione” non consiste nella semplice mancanza fisica delle cose o del loro uso; quello che rende l'anima pura e libera, invece, è eliminare ogni dipendenza disordinata dalle cose. Tutto va collocato in Dio come centro e fine della vita. Il lungo e faticoso processo di purificazione esige certo lo sforzo personale, ma il vero protagonista è Dio: tutto quello che l'uomo può fare è “disporsi”, essere aperto all'azione divina e non porle ostacoli. Vivendo le virtù teologali, l’uomo si eleva e dà valore al proprio impegno. Il ritmo di crescita della fede, della speranza e della carità va di pari passo con l’opera di purificazione e con la progressiva unione con Dio fino a trasformarsi in Lui. Quando si giunge a questa meta, l'anima si immerge nella stessa vita trinitaria, così che san Giovanni afferma che essa giunge ad amare Dio con il medesimo amore con cui Egli la ama, perché la ama nello Spirito Santo. Ecco perché il Dottore Mistico sostiene che non esiste vera unione d’amore con Dio se non culmina nell’unione trinitaria. In questo stato supremo l'anima santa conosce tutto in Dio e non deve più passare attraverso le creature per arrivare a Lui. L’anima si sente ormai inondata dall'amore divino e si rallegra completamente in esso.
Cari fratelli e sorelle, alla fine rimane la questione: questo santo con la sua alta mistica, con questo arduo cammino verso la cima della perfezione ha da dire qualcosa anche a noi, al cristiano normale che vive nelle circostanze di questa vita di oggi, o è un esempio, un modello solo per poche anime elette che possono realmente intraprendere questa via della purificazione, dell'ascesa mistica? Per trovare la risposta dobbiamo innanzitutto tenere presente che la vita di san Giovanni della Croce non è stata un “volare sulle nuvole mistiche”, ma è stata una vita molto dura, molto pratica e concreta, sia da riformatore dell'ordine, dove incontrò tante opposizioni, sia da superiore provinciale, sia nel carcere dei suoi confratelli, dove era esposto a insulti incredibili e a maltrattamenti fisici. E’ stata una vita dura, ma proprio nei mesi passati in carcere egli ha scritto una delle sue opere più belle. E così possiamo capire che il cammino con Cristo, l'andare con Cristo, “la Via”, non è un peso aggiunto al già sufficientemente duro fardello della nostra vita, non è qualcosa che renderebbe ancora più pesante questo fardello, ma è una cosa del tutto diversa, è una luce, una forza, che ci aiuta a portare questo fardello. Se un uomo reca in sé un grande amore, questo amore gli dà quasi ali, e sopporta più facilmente tutte le molestie della vita, perché porta in sé questa grande luce; questa è la fede: essere amato da Dio e lasciarsi amare da Dio in Cristo Gesù. Questo lasciarsi amare è la luce che ci aiuta a portare il fardello di ogni giorno. E la santità non è un'opera nostra, molto difficile, ma è proprio questa “apertura”: aprire e finestre della nostra anima perché la luce di Dio possa entrare, non dimenticare Dio perché proprio nell'apertura alla sua luce si trova forza, si trova la gioia dei redenti. Preghiamo il Signore perché ci aiuti a trovare questa santità, lasciarsi amare da Dio, che è la vocazione di noi tutti e la vera redenzione. Grazie.


* * *

Riporto un testo bellissimo, tratto dalla "Salita al Monte Carmelo", in cui si parla di tre notti che attraversa l'anima amata da Dio: la prima è la notte dei sensi, la seconda è la notte della fede, e infine la terza, che è Dio stesso, la notte delle nozze spirituali. La poesia che segue si riferisce esattamente a quest'ultima notte.



«In una notte oscura,
con ansie, in amori infiammata,
- oh Felice ventura! -
uscii, né fui notata,
stando già la mia casa addormentata.

Al buio uscii e sicura,
per la segreta scala, travestita,
- oh felice ventura! -
al buio e ben celata,
stando già la mia casa addormentata.
Nella felice notte,
segretamente, senza esser veduta,
senza nulla guardare,
senza altra guida o luce
fuor di quella che in cuore mi riluce.

Questa mi conduceva,
più sicura che il sol del mezzogiorno,
là dove mi attendeva
Chi bene io conosceva
E dove nessun altro si vedeva.

Notte che mi hai guidato!
O notte amabil più dei primi albori!
O notte che hai congiunto
L’Amato con l’amata,
l’amata nell’Amato trasformata!






Di seguito un commento del Servo di Dio dom Prosper Gueranger o.s.b.

"Giovanni della Croce fu immagine vivente del Verbo di Dìo, penetrando meglio di una spada tagliente fino alla divisione dello spirito e dell'anima, delle giunture e delle midolle, scrutando le intenzioni e i pensieri dei cuori (Ebr 4,12-13). Ascoltiamolo:

La notte oscura.
"L'anima, egli scrive, dovrà giungere ad avere un sentimento ed una cognizione molto sublime e saporosa intorno a tutte le cose divine ed umane: le mirerà con occhio tanto diverso da quello di prima quanto differisce la luce e la grazia dello Spirito Santo dal senso, il divino dall'umano... (Opere di san Giovanni della Croce, Ediz. della Postulaz. Gen. O.C.D., Roma, La notte oscura dell'anima, i, II, c. IX n. 5). Prima di pervenire alla luce divina della perfetta unione di amore, come in questo mondo è possibile, l'anima deve attraversare la notte oscura, affrontare di solito tenebre così profonde che l'intelligenza umana non comprende e la parola non sa esprimere (ibid., La salita del Monte Carmelo, Proemio n. 1).
Il passaggio che fa l'anima per giungere alla divina unione possiamo chiamarlo notte per tre ragioni. La prima, da parte del termine donde l'anima si muove, poiché deve andare priva del gusto di tutte le cose mondane che possedeva, rinunziando ad esse: questa rinunzia e privazione è come una notte per gli appetiti e i sensi dell'uomo.
La seconda, da parte del mezzo o della via che l'anima deve percorrere, ossia la via della fede, la quale è anch'essa oscura, al par della notte, alla nostra intelligenza.
La terza, da parte del termine di arrivo, che è Iddio, il quale, essendo incomprensibile e infinitamente superiore ad ogni umano intendimento, può dirsi oscura notte per l'anima nella presente vita.

Le tre notti.
Abbiamo una figura di queste tre notti nel libro di Tobia, ove leggiamo che l'Angelo comandò al giovane Tobia che lasciasse passare tre notti prima di unirsi alla sua sposa (Tb 6,18). Nella prima notte gli comandò di bruciare nel fuoco il cuore del pesce, simbolo del cuore affezionato e attaccato ai beni mondani, il quale per intraprendere il cammino che lo mena a Dio si deve bruciare e purificare da tutto ciò che è creatura, mediante il fuoco dell'amore divino. In questa purificazione si discaccia il demonio che ha potere sull'anima per l'affetto che ella porta ai gusti delle cose di quaggiù.
Nella seconda notte l'Angelo disse a Tobia che sarebbe stato ammesso alla compagnia dei santi Patriarchi, che sono i Padri della fede. Dopo esser passata per la prima notte, nella privazione di tutti gli oggetti del senso, l'anima subito entra nella seconda, restandosene sola nella fede, straniera alle cose che cadono sotto i sensi.
Nella terza notte l'Angelo promise a Tobia che avrebbe conseguita la benedizione, cioè Dio stesso. Mediante la seconda notte che è la fede, Iddio si va comunicando all'anima in modo tanto intimo e segreto da sembrarle un'altra notte, anzi, finché dura la detta comunicazione, una notte molto più oscura delle precedenti. Passata questa terza notte, ossia finita tal sorta di comunicazione di Dio nello spirito, il che avviene ordinariamente in mezzo a fitte tenebre, subito segue l'unione con la sposa, che è la sapienza di Dio; come appunto disse l'Angelo a Tobia che, passata la terza notte, si sarebbe unito con la sua sposa nel santo timor di Dio, il quale timore, quando è perfetto, va congiunto anche al perfetto amore divino che consiste nella trasformazione dell'anima in Dio per amore" (Salita del Monte Carmelo, l. I, cap. II, nn. 1-4).

Vantaggi della purificazione.
"O anima spirituale! quando vedrai il tuo appetito offuscato, i tuoi affetti aridi, le tue potenze rese inabili a qualunque esercizio inferiore, non ti prendere pena di ciò, anzi tienlo per buona sorte. Sappi che allora Iddio ti va liberando da te medesima, togliendoti ogni maniera di attività naturale, con la quale, per quanto ti andassero bene le faccende, a causa dell'impurità e lentezza delle tue potenze non opereresti in modo sì giusto, perfetto e sicuro come adesso che Iddio, prendendoti per mano, ti guida come se fossi un cieco, tra le tenebre e per dove tu non sai, né giammai sapresti passare, per quanto bene camminassi con i tuoi piedi e ad occhi aperti" (Notte oscura, l. II, cap. XVI, n. 7).
Lasciamo che i santi stessi ci descrivano le vie da loro percorse, la meta raggiunta, la ricompensa ottenuta per la loro fedeltà, perché sono le guide riconosciute dalla Chiesa. Ora aggiungiamo che "nelle tribolazioni di questo genere bisogna evitare di eccitare la commiserazione del Signore, prima che l'opera sua sia compiuta. Non è possibile ingannarsi: tali grazie che Dio fa all'anima non sono necessarie alla salvezza, ma bisogna pagarle a un certo prezzo e, se riveliamo troppe difficoltà, potrebbe avvenire che il Signore, per riguardo alla nostra debolezza, ci lasci ricadere in una via inferiore e per la fede sarebbe rovina irreparabile."