domenica 11 dicembre 2011

III DOMENICA DI AVVENTO Anno B - TESTI E COMMENTI

Oggi 11 dicembre celebriamo la
III DOMENICA DI AVVENTO
Anno B


Giovanni è la voce, Cristo la Parola

Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo (Disc. 293, 3; Pl 1328-1329)
Giovanni è la voce. Del Signore invece si dice: «In principio era il Verbo» (Gv 1, 1). Giovanni è la voce che passa, Cristo è il Verbo eterno che era in principio.
Se alla voce togli la parola, che cosa resta? Dove non c'è senso intelligibile, ciò che rimane è semplicemente un vago suono. La voce senza parola colpisce bensì l'udito, ma non edifica il cuore.
Vediamo in proposito qual è il procedimento che si verifica nella sfera della comunicazione del pensiero. Quando penso ciò che devo dire, nel cuore fiorisce subito la parola. Volendo parlare a te, cerco in qual modo posso fare entrare in te quella parola, che si trova dentro di me. Le do suono e così, mediante la voce, parlo a te. Il suono della voce ti reca il contenuto intellettuale della parola e dopo averti rivelato il suo significato svanisce. Ma la parola recata a te dal suono è ormai nel tuo cuore, senza peraltro essersi allontanata dal mio.
Non ti pare, dunque, che il suono stesso che è stato latore della parola ti dica: «Egli deve crescere e io invece diminuire»? (Gv 3, 30). Il suono della voce si è fatto sentire a servizio dell'intelligenza, e poi se n'è andato quasi dicendo: «Questa mia gioia si è compiuta» (Gv 3, 29). Teniamo ben salda la parola, non perdiamo la parola concepita nel cuore.
Vuoi constatare come la voce passa e la divinità del Verbo resta? Dov'è ora il battesimo di Giovanni? Lo impartì e poi se ne andò. Ma il battesimo di Gesù continua ad essere amministrato. Tutti crediamo in Cristo, speriamo la salvezza in Cristo: questo volle significare la voce.
E siccome è difficile distinguere la parola dalla voce, lo stesso Giovanni fu ritenuto il Cristo. La voce fu creduta la Parola; ma la voce si riconobbe tale per non recare danno alla Parola. «Non sono io, disse, il Cristo, né Elia, né il profeta». Gli fu risposto: «Ma tu allora chi sei?» «Io sono, disse, la voce di colui che grida nel deserto: Preparate la via del Signore» (cfr. Gv 1, 20-23). «Voce di chi grida nel deserto, voce di chi rompe il silenzio».
«Preparate la strada» significa: Io risuono al fine di introdurre Lui nel cuore, ma Lui non si degna di venire dove voglio introdurlo, se non gli preparate la via.
Che significa: Preparate la via, se non: chiedete come si deve? Che significa: Preparate la via, se non: siate umili di cuore? Prendete esempio dal Battista che, scambiato per il Cristo, dice di non essere colui che gli altri credono sia. Si guarda bene dallo sfruttare l'errore degli altri ai fini di una sua affermazione personale. Eppure se avesse detto di essere il Cristo, sarebbe stato facilmente creduto, poiché lo si credeva tale prima ancora che parlasse. Non lo disse, riconoscendo semplicemente quello che era. Precisò le debite differenze. Si mantenne nell'umiltà. Vide giusto dove trovare la salvezza. Comprese di non essere che una lucerna e temette di venire spenta dal vento della superbia.

MESSALE

Antifona d'Ingresso Fil 4,4.5
Rallegratevi sempre nel Signore:
ve lo ripeto, rallegratevi,
il Signore è vicino.



Colletta

Guarda, o Padre, il tuo popolo che attende con fede il Natale del Signore, e f
a' che giunga a celebrare con rinnovata esultanza il grande mistero della salvezza. Per il nostro Signore Gesù Cristo...


Oppure:
O Dio, Padre degli umili e dei poveri, che chiami tutti gli uomini a condividere la pace e la gloria del tuo regno, mostraci la tua benevolenza e donaci un cuore puro e generoso, per preparare la via al Salvatore che viene. Egli è Dio...

LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Is 61, 1-2.10-11
Gioisco pienamente nel Signore..

Lo spirito del Signore Dio è su di me,
perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione;
mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri,
a fasciare le piaghe dei cuori spezzati,
a proclamare la libertà degli schiavi,
la scarcerazione dei prigionieri,
a promulgare l’anno di grazia del Signore.
Io gioisco pienamente nel Signore,
la mia anima esulta nel mio Dio,
perché mi ha rivestito delle vesti della salvezza,
mi ha avvolto con il mantello della giustizia,
come uno sposo si mette il diadema
e come una sposa si adorna di gioielli.
Poiché, come la terra produce i suoi germogli
e come un giardino fa germogliare i suoi semi,
così il Signore Dio farà germogliare la giustizia
e la lode davanti a tutte le genti.


Salmo Responsoriale Lc 1, 46-54
La mia anima esulta nel mio Dio.

L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.

Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.

Ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia.


Seconda Lettura 1 Ts 5, 16-24
Spirito, anima e corpo, si conservino irreprensibili per la venuta del Signore.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi.
Fratelli, siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie: questa infatti è volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi.
Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie. Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono. Astenetevi da ogni specie di male.
Il Dio della pace vi santifichi interamente, e tutta la vostra persona, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo. Degno di fede è colui che vi chiama: egli farà tutto questo!


Canto al Vangelo Is 61,1
Alleluia, alleluia.
Lo spirito del Signore è su di me,
mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri.

Alleluia.

Vangelo Gv 1, 6-8. 19-28
In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete.

Dal vangelo secondo Giovanni
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».
Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando. Parola del Signore.


* * *

DUCCIO DI BONINSEGNA, Giovanni Battista


Riporto come primo commento l'omelia di Papa Benedetto XVI durante la Messa celebrata, questa mattina, in occasione della visita pastorale nella parrocchia di Santa Maria delle Grazie a Casal Boccone, nella zona nord di Roma.

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Cari fratelli e sorelle della Parrocchia di Santa Maria delle Grazie!

Abbiamo ascoltato la profezia di Isaia: «Lo Spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri... a promulgare l’anno di grazia del Signore» (Is 61,1-2). Queste parole, pronunciate tanti secoli fa, risuonano quanto mai attuali anche per noi, oggi, mentre siamo a metà dell'Avvento ed in vista ormai della grande solennità del Natale. Sono parole che rianimano la speranza, preparano ad accogliere la salvezza del Signore e annunciano l’inaugurazione di un tempo di grazia e di liberazione.

L’Avvento è precisamente tempo di attesa, di speranza e di preparazione alla visita del Signore. A questo impegno ci invitano anche la figura e la predicazione di Giovanni Battista, come abbiamo ascoltato nel Vangelo poc’anzi proclamato (cfr Gv 1,6-8.19-28). Giovanni si è ritirato nel deserto per vivere una vita molto austera e per invitare, anche con la sua vita, la gente alla conversione; egli conferisce un battesimo di acqua, un rito di penitenza unico, che lo distingue dai molteplici riti di purificazione esteriore delle sette dell’epoca. Chi è dunque quest’uomo, chi è Giovanni Battista? La sua risposta è di una umiltà sorprendente. Non è il Messia, non è la luce. Non è Elia tornato sulla terra, né il grande profeta atteso. E’ il precursore, semplice testimone, totalmente subordinato a Colui che annuncia; una voce nel deserto, come anche oggi, nel deserto delle grandi città di questo mondo, di grande assenza di Dio, abbiamo bisogno di voci che semplicemente ci annunciano: “Dio c’è, è sempre vicino, anche se sembra assente”. E’ una voce nel deserto ed è un testimone della luce; e questo ci tocca nel cuore, perché in questo mondo con tante tenebre, tante oscurità, tutti siamo chiamati ad essere testimoni della luce. Questa è proprio la missione del tempo di Avvento: essere testimoni della luce, e possiamo esserlo solo se portiamo in noi la luce, se siamo non solo sicuri che la luce c’è, ma che abbiamo visto un po’ di luce. Nella Chiesa, nella Parola di Dio, nella celebrazione dei Sacramenti, nel Sacramento della Confessione, con il perdono che riceviamo, nella celebrazione della Santa Eucaristia dove il Signore si dà nelle nostre mani e cuori, tocchiamo la luce e riceviamo questa missione: essere oggi testimoni che la luce c’è, portare la luce nel nostro tempo.

Cari fratelli e sorelle! Io sono molto lieto di essere in mezzo a voi, in questa domenica bella, “Gaudete”, domenica della gioia, che ci dice: “anche in mezzo a tanti dubbi e difficoltà, la gioia esiste perché Dio esiste ed è con noi”. Saluto cordialmente il Cardinale Vicario, il Vescovo Ausiliare del Settore, il vostro Parroco, don Domenico Monteforte, che ringrazio non solo per le gentili parole che mi ha rivolto a nome di tutti voi, ma anche per il bel dono della storia della Parrocchia. E saluto il Vicario parrocchiale. Saluto anche le comunità religiose: le Sorelle Apostole della Consolata, le Maestre Pie Venerini e i Guanelliani; sono una delle presenze preziose nella vostra Parrocchia e una grande risorsa spirituale e pastorale per la vita della comunità, testimoni di luce! Saluto, inoltre, quanti sono impegnati nell’ambito parrocchiale: mi riferisco ai catechisti - li ringrazio per il loro lavoro - ai membri del gruppo di preghiera ispirato al Rinnovamento nello Spirito Santo, ai giovani del movimento Gioventù Ardente Mariana. E vorrei poi estendere il mio pensiero a tutti gli abitanti del quartiere, specialmente agli anziani, ai malati, alle persone sole e in difficoltà, senza dimenticare la numerosa comunità filippina, ben inserita e partecipe attivamente ai momenti fondamentali della vita comunitaria.

La vostra Parrocchia è nata in una delle tipiche borgate dell’agro romano, è stata canonicamente eretta nel 1985 con questo bel titolo di Santa Maria delle Grazie, ha iniziato a muovere i suoi primi passi attorno agli anni sessanta, quando, per iniziativa di un gruppo di Padri Domenicani, guidati dall’indimenticato P. Gerard Reed, venne allestita, presso un’abitazione familiare, una piccola cappella, successivamente trasferita in un locale più grande, che ha svolto la funzione di chiesa parrocchiale fino al 2010, l’anno scorso. In quell’anno, infatti, come sapete, e precisamente il 1° maggio, è stato dedicato l’edificio in cui stiamo celebrando l’Eucaristia. Questa nuova chiesa è uno spazio privilegiato per crescere nella conoscenza e nell’amore di Colui che tra pochi giorni accoglieremo nella gioia del suo Natale. Mentre guardo questa chiesa e gli edifici parrocchiali, vedo il frutto di pazienza, di dedizione, di amore, e con la mia presenza desidero incoraggiarvi a realizzare sempre meglio quella Chiesa di pietre vive che siete voi stessi; ognuno di voi deve sentirsi come un elemento di questo edificio vivo; la comunità si costruisce con il contributo che ognuno offre, con l’impegno di tutti; e penso, in modo particolare, al campo della catechesi, della liturgia e della carità, pilastri portanti della vita cristiana.

La vostra è una comunità giovane, l’ho visto salutando i vostri bambini. E’ giovane perché costituita, soprattutto per quanto riguarda i nuovi insediamenti, da famiglie giovani, e anche perché tanti sono i bambini e i ragazzi che la popolano, grazie a Dio! Auspico vivamente che, anche attraverso il contributo di persone competenti e generose, il vostro impegno educativo si sviluppi sempre meglio e che la vostra Parrocchia, anche con l’aiuto del Vicariato di Roma, possa dotarsi quanto prima di un oratorio ben strutturato, con adeguati spazi per il gioco e l’incontro, così da soddisfare il bisogno di crescita nella fede e in una sana socialità per le giovani generazioni. Mi rallegro per quanto fate nella preparazione dei ragazzi e dei giovani ai Sacramenti. La sfida che abbiamo davanti consiste nel disegnare e proporre un vero e proprio percorso di formazione alla fede, che coinvolga quanti si accostano all’iniziazione cristiana, aiutandoli non solo a ricevere i Sacramenti, ma a viverli, per essere veri cristiani. Questo scopo,ricevere, deve essere vivere, come abbiamo sentito nella prima Lettura: deve germogliare la giustizia come germoglia il seme nella terra. Vivere i sacramenti, così germoglia la giustizia e così anche il diritto e l’amore.

A questo proposito, la verifica pastorale diocesana in atto, che riguarda proprio l’iniziazione cristiana, è un’occasione propizia per approfondire e vivere i Sacramenti che abbiamo ricevuto, come il Battesimo e la Confermazione, e quelli ai quali ci accostiamo per alimentare il cammino di fede, la Penitenza e l’Eucaristia. Per questo è necessaria, in primo luogo, l’attenzione al rapporto con Dio, mediante l’ascolto della sua Parola, la risposta alla Parola nella preghiera, e il dono dell’Eucaristia. Io so che in Parrocchia ci sono inseriti incontri di preghiera, di lectio divina e che si tiene l’adorazione eucaristica: sono iniziative preziose per la crescita spirituale a livello personale e comunitario. Vi esorto caldamente a parteciparvi sempre più numerosi. In modo speciale, desidero richiamare l’importanza e la centralità dell’Eucaristia. La santa Messa sia al centro della vostra Domenica, che va riscoperta e vissuta come giorno di Dio e della comunità, giorno in cui lodare e celebrare Colui che è nato per noi, che è morto e risorto per la nostra salvezza, e ci chiede di vivere insieme nella gioia e di essere una comunità aperta e pronta ad accogliere ogni persona sola o in difficoltà. Non perdete il senso della Domenica e siate fedeli all’incontro eucaristico. I primi cristiani sono stati pronti a donare la vita per questo. Hanno saputo che questa è la vita, e fa vivere.

Venendo tra voi, non posso ignorare che nel vostro territorio una grande sfida è costituita da gruppi religiosi che si presentano come depositari della verità del Vangelo. A questo riguardo è mio dovere raccomandarvi di essere vigilanti e di approfondire le ragioni della fede e del Messaggio cristiano, così come ce lo trasmette con garanzia di autenticità la tradizione millenaria della Chiesa. Continuate nell’opera di evangelizzazione con la catechesi e la corretta informazione circa ciò che crede e annuncia la Chiesa cattolica; proponete con chiarezza le verità della fede cristiana, siate - come dice san Pietro - pronti «a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1 Pt 3,15); vivete il linguaggio comprensibile a tutti dell’amore e della fraternità, ma senza dimenticare l’impegno di purificare e rafforzare la propria fede di fronte ai pericoli ed alle insidie che possono minacciarla in questi tempi. Superate i limiti dell’individualismo, della chiusura in se stessi, il fascino del relativismo, per cui si considera lecito ogni comportamento, l’attrazione che esercitano forme di sentimento religioso che sfruttano i bisogni e le aspirazioni più profonde dell’animo umano, proponendo prospettive di appagamento facili, ma illusorie. La fede è un dono di Dio, ma che vuole la nostra risposta, la decisione di seguire Cristo non solo quando guarisce e solleva, ma anche quando parla di amore fino al dono di se stessi.

Un altro punto su cui vorrei insistere è la testimonianza della carità, che deve caratterizzare la vostra vita di comunità. In questi anni voi l’avete vista crescere rapidamente anche nel numero dei suoi membri, ma avete visto anche giungere molte persone in difficoltà e in situazioni di disagio, che hanno bisogno di voi, del vostro aiuto materiale, ma anche e soprattutto della vostra fede e della vostra testimonianza di credenti. Fate in modo che il volto della vostra comunità possa sempre esprimere concretamente l’amore di Dio ricco di misericordia ed inviti ad accostarsi a Lui con fiducia.

Una speciale parola di affetto e di amicizia voglio dirigere a voi, carissimi ragazzi, ragazze e giovani che mi ascoltate, come pure ai vostri coetanei che vivono in questa Parrocchia. L’oggi e il domani della storia e il futuro della fede sono affidati in modo particolare a voi che siete le nuove generazioni. La Chiesa si aspetta molto dal vostro entusiasmo, dalla vostra capacità di guardare avanti, di essere animati da ideali, e dal vostro desiderio di radicalità nelle scelte di vita. La Parrocchia vi accompagna e vorrei che sentiste anche il mio incoraggiamento.

«Fratelli, siate sempre lieti» (1 Ts 5,16). Questo invito alla gioia, rivolto da san Paolo ai cristiani di Tessalonica in quel tempo, caratterizza anche l’odierna domenica, detta comunemente «Gaudete». Esso risuona fin dalle prime parole dell’Antifona all’Ingresso: «Rallegratevi sempre nel Signore: ve lo ripeto, rallegratevi, il Signore è vicino»; così san Paolo ha scritto in carcere ai cristiani di Filippi (cfr Fil 4, 4-5) e lo dice anche a noi. Sì, siamo lieti perché il Signore ci è vicino e fra pochi giorni, nella notte del Natale, celebreremo il mistero della sua Nascita. Maria, colei che per prima ha ascoltato dall’Angelo l’invito: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te» (Lc 1, 28), ci indica la via per raggiungere la vera gioia, quella che proviene da Dio. Santa Maria delle Grazie, Madre del Divino Amore, prega per noi tutti. Amen!

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ALTRI COMMENTI

1. Congregazione per il Clero

In questa terza liturgia domenicale del tempo di Avvento, la figura di Giovanni il Battista è posta al centro del racconto evangelico di Giovanni.

Quest’uomo “mandato da Dio” venne inviato dal Signore per “rendere testimonianza alla luce”. La “luce” di cui si parla, è Gesù, il Figlio di Dio, che sta per entrare nel mondo, e sta venendo a prendere dimora in mezzo a noi, il Verbo eterno che illumina tutti gli uomini, che il Padre ha inviato perché “abitasse fra gli uomini e ad essi rivelasse i segreti di Dio” (DV., n.3).

Il Signore Gesù è “più grande” del Battista, è uno al quale non si può neanche “sciogliere il legaccio del sandalo”.

Anche se il Battista “non era la luce”, avverte nell’intimo del suo cuore di “rendere testimonianza” alla luce, diventando il modello per eccellenza del testimone, che invita a preparare la via del Signore.

«Io sono, disse, la voce di colui che grida nel deserto: Preparate la via del Signore» (cfr. Gv 1, 20-23).

«Voce di chi grida nel deserto, voce di chi rompe il silenzio». - come asseriva il grande S. Agostino: «Preparate la strada, significa: Io risuono al fine di introdurre Lui nel cuore, ma Lui non si degna di venire dove voglio introdurlo, se non gli preparate la via. Che significa: Preparate la via, se non: chiedete come si deve? Che significa: Preparate la via, se non: siate umili di cuore? Prendete esempio dal Battista che, scambiato per il Cristo, dice di non essere colui che gli altri credono sia. Si guarda bene dallo sfruttare l'errore degli altri ai fini di una sua affermazione personale. Eppure se avesse detto di essere il Cristo, sarebbe stato facilmente creduto, poiché lo si credeva tale prima ancora che parlasse. Non lo disse, riconoscendo semplicemente quello che era. Precisò le debite differenze. Si mantenne nell'umiltà. Vide giusto dove trovare la salvezza. Comprese di non essere che una lucerna e temette di venire spenta dal vento della superbia» (S. Agostino, PL 1328-1329).

Pertanto, solo Cristo, luce di grazia, recherà a tutti il “lieto annunzio”, inaugurerà “l’anno di misericordia del Signore”. Il Signore, rivestirà tutti “delle vesti della salvezza” facendo così “germogliare la giustizia” in tutto il mondo (Cfr. Is 61, 10-11).

L'atteggiamento dunque che ogni cristiano è chiamato ad assumere per attendere il Signore che sta per venire, deve essere motivato dallo spirito di preghiera; come ci ricorda San Paolo, dobbiamo “pregare incessantemente” così da essere santificati fino alla perfezione, affinché possiamo custodire integralmente tutta la nostra vita «spirito, anima e corpo [… ] per la venuta del Signore» (1Ts 5, 23).

Rivolgiamo in questo tempo santo, con fiducia, il nostro sguardo verso la capanna: «in unione spirituale con la Vergine Maria, Nostra Signora dell’Avvento. Mettiamo la nostra mano nella sua ed entriamo con gioia in questo nuovo tempo di grazia che Dio regala alla sua Chiesa, per il bene dell’intera umanità. Come Maria e con il suo materno aiuto, rendiamoci docili all’azione dello Spirito Santo, perché il Dio della pace ci santifichi pienamente, e la Chiesa diventi segno e strumento di speranza per tutti gli uomini». (Benedetto XVI, Celebrazione dei Primi Vespri della Prima Domenica di Avvento, 29 novembre 2008).


2. Raniero Cantalamessa

La terza Domenica di Avvento si chiama Domenica “della gioia” e segna il passaggio dalla prima parte, prevalentemente austera e penitenziale, dell’Avvento alla seconda parte dominata dall’attesa della salvezza vicina. Il titolo le viene dalle parole “rallegratevi” (gaudete) che si ascoltano all’inizio della Messa: “Rallegratevi sempre nel Signore ve lo ripeto, rallegratevi, il Signore è vicino” (Filippesi 4, 4-5). Ma il tema della gioia pervade anche il resto della liturgia della parola. Nella prima lettura sentiamo il grido del profeta: “Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio”. Il Salmo responsoriale è il Magnificat di Maria, intercalato dal ritornello: “La mia anima esulta nel mio Dio”. La seconda lettura infine comincia con le parole di Paolo: “Fratelli, siate sempre lieti”.

Quello di essere felici è forse il desiderio umano più universale. Tutti vogliono essere felici. Il poeta tedesco Schiller ha cantato questo anelito universale alla gioia in una poesia che poi Beethoven ha immortalato, facendone il famoso inno alla gioia che conclude la Nona sinfonia. Anche il vangelo è, a suo modo, un lungo inno alla gioia. Il nome stesso “vangelo” significa, come sappiamo, lieta notizia, annuncio di gioia. Ma il discorso della Bibbia sulla gioia è un discorso realistico, non idealistico e velleitario. Con il paragone della donna che partorisce (Giovanni 16, 20-22), Gesù ci ha detto molte cose. La gravidanza non è in genere un periodo facile per la donna. È anzi un tempo di fastidi, di limitazioni di ogni genere: non si può fare, mangiare, indossare tutto quello che si vuole, andare dove si vuole. Eppure, quando si tratta di una gravidanza voluta insieme, vissuta in un clima sereno, non è un tempo di tristezza, ma di gioia. Il perché è semplice: si guarda in avanti, si pregusta il momento in cui si potrà tenere in braccio la propria creatura. Ho sentito diverse mamme dire che nessun’altra esperienza umana può essere paragonata alla felicità che si prova nel divenire madre.

Tutto questo ci dice una cosa ben precisa: le gioie vere e durature maturano sempre dal sacrificio. Non c’è rosa senza spine! Al mondo, piacere e dolore (l’abbiamo osservato già una volta), si seguono l’un l’altro con la stessa regolarità con cui al sollevarsi di un’onda che spinge il nuotatore verso la spiaggia, segue un avvallamento e un vuoto che lo risucchia indietro. L’uomo cerca disperatamente di separare questi due “fratelli siamesi”, di isolare il piacere dal dolore. Ma non ci riesce perché è lo stesso piacere disordinato che si trasforma in amarezza. O improvvisamente e tragicamente, come ci dicono le cronache quotidiane, o un po’ alla volta, a causa della sua incapacità di durare e della noia che genera. Basta pensare, per fare gli esempi più evidenti, a che cosa resta dell’eccitazione della droga un minuto dopo cessato il suo effetto, o dove porta, anche dal punto di vista della salute, l’abuso sfrenato del sesso. Il poeta pagano Lucrezio ha due versi potenti a questo riguardo: “Un non so che d’amaro sorge dall’intimo stesso d’ogni nostro piacere e ci angoscia anche in mezzo alle nostre delizie”.

Non potendo dunque separare piacere e dolore, si tratta di scegliere: o un piacere passeggero che porta a un dolore duraturo, o un dolore passeggero che porta a un piacere duraturo. Questo non vale solo per il piacere spirituale, ma per ogni gioia umana onesta: quella di una nascita, di una famiglia unita, di una festa, del lavoro portato felicemente a termine, la gioia di un amore benedetto, dell’amicizia, di un buon raccolto per l’agricoltore, della creazione artistica per l’artista, di una vittoria agonistica per l’atleta.

Qualcuno potrebbe obbiettare: ma allora per il credente la gioia, in questa vita, sarà sempre e solo oggetto di attesa, solo una gioia “di là da venire”? No, c’è una gioia segreta e profonda che consiste proprio nell’attesa. Anzi è forse questa, nel mondo, la forma più pura della gioia; la gioia che si ha nello sperare. Il poeta Leopardi l’ha detto meravigliosamente nella poesia Il sabato del villaggio. La gioia più intensa non è quella della domenica, ma quella del sabato; non quella della festa, ma quella della sua attesa. La differenza è che la festa che il credente aspetta non durerà solo alcune ore, per poi cedere di nuovo il posto a “tristezza e noia”, ma durerà per sempre.


3. Luciano Manicardi

Soprattutto la prima e la seconda lettura sottolineano il tema della gioia, tipico della terza domenica di Avvento (domenica Gaudete). La pagina evangelica si incentra sulla testimonianza che Giovanni Battista ha reso a Gesù, testimonianza che il prosieguo del quarto vangelo dirà essere avvenuta nella gioia anche se al prezzo della diminuzione dello stesso Giovanni (Gv 3,29-30).

Secondo il quarto vangelo Giovanni è il testimonedell’Agnello, colui che riconosce Gesù come inviato dal Padre, Colui su cui riposa lo Spirito. Il testimone è la persona mutata da ciò che visto, dall’incontro che ha fatto. Lontano da ogni esibizionismo o protagonismo o infatuazione di sé, il testimone testimonia di un altro e conduce chi lo vede e ascolta non a sé, ma a dare l’adesione a Colui a cui egli rende testimonianza. La vera testimonianza si accompagna a una giusta, realistica e umile conoscenza di sé. La domanda rivolta a Giovanni: “Chi sei tu?” (v. 19) risuona per ogni lettore del vangelo e chiede a ciascuno di conoscersi alla luce di Cristo. Testimoniare è l’arte di dire la verità su di sé, sugli altri e sulla realtà. La testimonianza evangelica non richiede di fare molte cose, ma di decidere se stessi davanti a Cristo, in relazione con lui. Il testimone è pertanto colui che suscita il senso di una presenza altra, la presenza di colui del quale testimonia. Come Giovanni, il testimone sveglia alla coscienza di Qualcuno che non conosciamo o non sappiamo riconoscere, ma che c’è (v. 26). Il testimone non è tanto qualcuno che prende l’iniziativa di rivolgere una parola agli altri, ma è piuttosto una persona la cui vita è tale – ed è tale il modo in cui guarda il mondo e gli esseri – che agli altri accade di interrogare se stessi e di porre loro la domanda sull’origine della sua singolarità. Il testimone appare così come una persona capace di suscitare domande.

Connesso al tema della testimonianza è quello dell’identità. Il cristiano non è il Cristo; la chiesa non è il Cristo. Solo Cristo può affermare con assoluta verità “Io sono”, eco del nome divino nella Scrittura (cf. Es 3,14). L’identità cristiana è relazionale e relativa a Cristo. Essa consiste in un’umanità precisa che si cogliein Cristo, dunque alla luce della fede. La semplicità del battesimo dischiude al cristiano la sua piena identità che è anche un programma di vita fino alla morte. Ovvero, fino alla testimonianza ultima e radicale del martirio (in greco martyría significa “testimonianza”). Testimoniare il nome “cristiano” può condurre alla perdita della vita. Anzi, afferma Cipriano di Cartagine, si può essere martire solo essendo testimone nel quotidiano dell’esistenza: “La gloriosa corona della loro confessione sarà rimossa dal capo dei martiri se si scoprirà che essi non l’hanno acquisita con la fedeltà al vangelo, che sola fa i martiri”.

Questa domenica è anche l’occasione per meditare sulla figura di Giovanni. I toni e i tratti del suo ministero e della sua testimonianza hanno qualcosa da insegnare alla chiesa di sempre. Il suo essere una mano che fa segno, un indice che orienta la direzione dello sguardo e dei passi verso Cristo, il suo saper riconoscere il proprio posto e restarvi con fedeltà, il suo far spazio al Veniente, il suo diminuire nella gioia e nell’amore di fronte al Signore, tutto questo dice una libertà e un amore grandi che necessitano sempre alla testimonianza ecclesiale. Proprio per non sostituirsi al Signore.

Paradossale testimone che precede Cristo, Giovanni svolge un ministero essenziale anche per i testimoni che seguiranno Cristo, che verranno dopo. Scrive Origene: “Il mistero di Giovanni si compie nel mondo fino a oggi. In chiunque sta per accedere alla fede in Gesù Cristo, è necessario che prima vengano nel suo cuore lo spirito e la forza di Giovanni per preparare al Signore un uomo ben disposto e per appianare i cammini e raddrizzare le asperità del suo cuore”.
Colui che precede Cristo, introduce anche a Cristo.


4. Enzo Bianchi

Nel tempo dell’Avvento Giovanni il Battezzatore e Maria di Nazaret ci accompagnano con la loro attesa perseverante, la loro fede salda e la loro obbedienza risoluta al Signore Veniente. La presenza di Giovanni nel IV Vangelo si caratterizza innanzitutto come quella di chi annuncia la venuta del Regno e del Messia, e questo suo ministero viene qualificato come“testimonianza”: Giovanni appare come il testimone inviato da Dio “per rendere testimonianza alla luce” (Gv 1,7) e per condurre i figli di Israele a riconoscere il Messia. Di fronte all’accoglienza della sua predicazione da parte di molti giudei, l’autorità religiosa legittima di Israele – rappresentata dai sacerdoti e dai leviti di Gerusalemme – si reca a incontrare Giovanni nel deserto e gli chiede conto della sua missione: “Chi sei tu? Sei il Cristo, il Messia che attendiamo? Sei l’Elia annunciato dal profeta Malachia per gli ultimi tempi (cf. Mal 3,23-24)? Sei il profeta escatologico uguale a Mosè che ci è stato promesso (cf. Dt 18,18; 34,10)?”. E Giovanni per tre volte risponde: «No! Non lo sono!», confessando di non essere ciò che altri pensano di lui. Egli non guarda a se stesso, non pretende attenzione alla propria persona; è soltanto uno che fa segno, un dito teso a indicare un altro.

Non a caso, quando usa l’espressione : “Io sono”, lo fa solo per definirsi “voce”: “voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore” (cf. Is 40,3), voce che deve testimoniare ciò che vede, voce che deve obbedire senza indugio, voce prestata a chi l’ha mandato. Nessun attentato alla signoria di Gesù: è lui il Messia, è lui il Profeta! Nei vangeli sinottici è Gesù stesso ad affermare che Giovanni il Battezzatore era “l’Elia venuto e non riconosciuto” (cf. Mt 17,12-13), mentre qui Giovanni non proclama di sé neppure ciò che in realtà è. Sì, Giovanni è voce obbediente alle Sante Scritture, alla profezia di Isaia che egli adempie puntualmente, tramite la richiesta della conversione (cf. Mt 3,2.8), cioè di un impegno fattivo a raddrizzare le strade per andare incontro al Signore Veniente (cf. Mc 1,3 e par.). Giovanni non ha neppure un messaggio suo: rinnova l’invito profetico e anticipa la predicazione di colui innanzi al quale è stato mandato da Dio.

E quando sacerdoti e leviti, insistendo nell’interrogarlo, gli chiedono conto del suo gesto profetico, l’immersione nell’acqua di chi vuole convertirsi, egli risponde che il suo gesto prepara la venuta ormai imminente, anzi l’apparizione, di uno che è già presente nel mondo eppure non è conosciuto. È qualcuno che sta alla sua sequela, cammina dietro a lui come un discepolo, eppure Giovanni non è degno di sciogliere il legaccio dei suoi sandali. Ecco la testimonianza di Giovanni, la rivelazione del mistero: il Messia Veniente è già presente, in modo nascosto, ma sta per essere manifestato proprio da lui, che tuttavia non è neppure degno di compiere il servizio dello schiavo: qui sta la grandezza dì Giovanni, nella sua capacità di farsi piccolo, di «diminuire affinché Cristo cresca» (cf. Gv 3,30).

Ancora oggi occorre guardare all’umiltà autentica di Giovanni: a questo sono chiamati in particolare quanti, come lui, hanno la missione di annunciare Gesù Cristo: Giovanni ammonisce la chiesa e tutti gli evangelizzatori a non esigere sguardi su di loro, a non parlare di se stessi, a non trattenere presso di sé chi deve essere condotto solo a Cristo! In questo tempo di narcisismo religioso, un tempo in cui abbondano quelli che “raccontano se stessi per dare testimonianza” o che, in nome dei carismi ricevuti, ostentano senza pudore la propria persona agli occhi del mondo, Giovanni il Battezzatore è una memoria che interroga e giudica senza tregua…


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APPROFONDIMENTI

DAI "TRATTATI SU GIOVANNI" DI SANT'AGOSTINO, VESCOVO

OMELIA 2

Un uomo mandato da Dio.

Se volete essere autentici cristiani, aderite profondamente a Cristo in ciò che si è fatto per noi, onde poter giungere a lui in ciò che è e che è sempre stato.

1. Giova, o fratelli, per quanto sarà possibile, commentarvi il testo delle divine Scritture, e soprattutto del santo Vangelo, senza tralasciare alcun passo. Cercheremo di nutrircene secondo la nostra capacità, per poter così farne parte a voi. Ricordiamo di aver cominciato domenica scorsa a commentare il primo capitolo, e precisamente le parole: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio; questo era in principio presso Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e niente senza di lui è stato fatto. Ciò che fu fatto, in lui è vita; e la vita era la luce degli uomini; e la luce risplende tra le tenebre, ma le tenebre non l'hanno compresa (Gv 1, 1-5). Mi pare che abbiamo commentato fin qui. Voi che eravate presenti lo ricorderete; e voi che non c'eravate, potete credere a noi e a coloro che erano presenti. Ora, siccome non possiamo sempre ricominciare da capo, per riguardo a quanti desiderano ascoltare il seguito, per i quali sarebbe pesante sentirsi ripetere cose già dette e vedersi defraudare del seguito; abbiano la compiacenza, quelli che ieri non c'erano, di non esigere le cose passate, ma di voler ascoltare insieme agli altri le cose di oggi.

[Il legno per attraversare il mare.]

2. Ecco dunque il seguito: Ci fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni (Gv 1, 6). Quanto è stato detto prima, o fratelli carissimi, riguardava l'ineffabile divinità di Cristo, ed era anch'esso, se possiamo dire così, ineffabile. Chi potrà capire, infatti, parole come queste: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio? E affinché non fosse svilito per te il nome Verbo a causa dell'uso abituale delle parole, l'evangelista aggiungeva: E il Verbo era Dio. E' di questo Verbo che noi abbiamo lungamente parlato ieri, e voglia il Signore che a forza di parlare, qualcosa siamo riusciti a far giungere ai vostri cuori. In principio era il Verbo. E' sempre lo stesso, sempre allo stesso modo; è così come è da sempre, e non può mutare: semplicemente è. Questo suo nome lo rivelò al suo servo Mosè: Io sono colui che sono. Colui che è, mi ha mandato (Es 3, 14). Chi dunque potrà capire ciò, vedendo come tutte le cose mortali siano mutevoli; vedendo che tutto muta, non solo le proprietà dei corpi: che nascono, crescono, declinano e muoiono; ma anche le anime stesse, turbate e divise da sentimenti contrastanti; vedendo che gli uomini possono ricevere la sapienza, se si accostano alla sua luce e al suo calore, e che possono perderla, se per cattiva volontà si allontanano da essa? Osservando, dunque, che tutte queste cose sono mutevoli, che cos'è l'essere, se non ciò che trascende tutte le cose contingenti? Ma chi potrebbe concepirlo? O chi, quand'anche impegnasse a fondo le risorse della sua mente e riuscisse a concepire, come può, l'Essere stesso, potrà pervenire a ciò che in qualche modo con la sua mente avrà raggiunto? E' come se uno vedesse da lontano la patria, e ci fosse di mezzo il mare: egli vede dove arrivare, ma non ha come arrivarvi. Così è di noi, che vogliamo giungere a quella stabilità dove ciò che è è, perché esso solo è sempre così com'è. E anche se già scorgiamo la meta da raggiungere, tuttavia c'è di mezzo il mare di questo secolo. Ed è già qualcosa conoscere la meta, poiché molti neppure riescono a vedere dove debbono andare. Ora, affinché avessimo anche il mezzo per andare, è venuto di là colui al quale noi si voleva andare. E che ha fatto? Ci ha procurato il legno con cui attraversare il mare. Nessuno, infatti, può attraversare il mare di questo secolo, se non è portato dalla croce di Cristo. Anche se uno ha gli occhi malati, può attaccarsi al legno della croce. E chi non riesce a vedere da lontano la meta del suo cammino, non abbandoni la croce, e la croce lo porterà.

3. Come vorrei, o miei fratelli, incidervi nel cuore questa verità! Se volete vivere un cristianesimo autentico, aderite profondamente al Cristo in ciò che egli si è fatto per noi, onde poter giungere a lui in ciò che è e che è sempre stato. E' per questo che ci ha raggiunti, per farsi uomo per noi fino alla croce. Si è fatto uomo per noi, per poter così portare i deboli attraverso il mare di questo secolo e farli giungere in patria, dove non ci sarà più bisogno di nave, perché non ci sarà più alcun mare da attraversare. E' meglio, quindi, non vedere con la mente ciò che egli è, e restare uniti alla croce di Cristo, piuttosto che vedere la divinità del Verbo e disprezzare la croce di Cristo. Meglio però di ogni cosa è riuscire, se possibile, a vedere dove si deve andare e tenersi stretti a colui che porta chi avanza. A questo giunsero le grandi menti di coloro che noi abbiamo chiamato monti, sui quali massimamente risplende la luce di giustizia: giunsero a capire e videro ciò che è. Il veggente Giovanni diceva: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Quelli videro, ma per raggiungere ciò che da lontano vedevano, non abbandonarono mai la croce di Cristo, né disprezzarono la sua umiltà. Le anime infantili che non arrivano a capire ciò che gli altri capiscono, ma che non si allontanano dalla croce e passione e resurrezione di Cristo, sono condotte anch'esse e arrivano a ciò che non vedono, in quel medesimo legno insieme a quelli che vedono.

[O sapienza superba.]

4. Vi sono stati, per la verità, filosofi di questo mondo che si impegnarono a cercare il Creatore attraverso le creature. Che il Creatore si possa trovare attraverso le sue creature, ce lo dice esplicitamente l'Apostolo: Fin dalla creazione del mondo le perfezioni invisibili di Dio possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità, onde sono inescusabili. E continua: Perché avendo conosciuto Dio... Non dice: perché non hanno conosciuto Dio, ma al contrario: Perché avendo conosciuto Dio, non lo glorificarono né lo ringraziarono come Dio, ma vaneggiarono nei loro ragionamenti e il loro cuore insipiente si ottenebrò. In che modo si ottenebrò il loro cuore? Lo dice chiaramente: Affermando di essere sapienti, diventarono stolti (Rm 1, 20-22). Avevano visto dove bisognava andare, ma, ingrati verso colui che aveva loro concesso questa visione, attribuirono a se stessi ciò che avevano visto; diventati superbi, si smarrirono, e si rivolsero agli idoli, ai simulacri, ai culti demoniaci, giungendo ad adorare la creatura e a disprezzare il Creatore. Giunsero a questo dopo che già erano caduti in basso. Fu l'orgoglio a farli cadere, quell'orgoglio che li aveva portati a ritenersi sapienti. Coloro di cui l'Apostolo dice che conobbero Dio, videro ciò che dice Giovanni, che cioè per mezzo del Verbo di Dio tutto è stato fatto. Infatti, anche nei libri dei filosofi si trovano cose analoghe, perfino che Dio ha un unico Figlio per mezzo del quale furono fatte tutte le cose. Essi riuscirono a vedere ciò che è, ma videro da lontano. Non vollero aggrapparsi all'umiltà di Cristo, cioè a quella nave che poteva condurli sicuri al porto intravisto. La croce apparve ai loro occhi spregevole. Devi attraversare il mare e disprezzi la nave? Superba sapienza! Irridi al Cristo crocifisso, ed è lui che hai visto da lontano: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio. Ma perché è stato crocifisso? Perché ti era necessario il legno della sua umiltà. Infatti ti eri gonfiato di superbia, ed eri stato cacciato lontano dalla patria; la via era stata interrotta dai flutti di questo secolo, e non c'è altro modo di compiere la traversata e raggiungere la patria che nel lasciarti portare dal legno. Ingrato! Irridi a colui che è venuto per riportarti di là. Egli stesso si è fatto via, una via attraverso il mare. E' per questo che ha voluto camminare sul mare (cf. Mt 14, 25), per mostrarti che la via è attraverso il mare. Ma tu, che non puoi camminare sul mare come lui, lasciati trasportare da questo vascello, lasciati portare dal legno: credi nel Crocifisso e potrai arrivare. E' per te che si è fatto crocifiggere, per insegnarti l'umiltà; e anche perché, se fosse venuto come Dio, non sarebbe stato riconosciuto. Se fosse venuto come Dio, infatti, non sarebbe venuto per quelli che erano incapaci di vedere Dio. Come Dio, non si può dire che è venuto né che se n'è andato, perché, come Dio, egli è presente ovunque, e non può essere contenuto in alcun luogo. Come è venuto, invece? Nella sua visibile umanità.

5. E siccome era talmente uomo da nascondere la sua divinità, fu mandato innanzi a lui un grande uomo, affinché mediante la sua testimonianza si potesse scoprire colui che era più che un uomo. Chi è costui? Ci fu un uomo. E come poteva quest'uomo dire la verità parlando di Dio? Fu mandato da Dio. Come si chiamava? Il suo nome era Giovanni. A quale scopo egli venne? Egli venne come testimone, per rendere testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo suo (Gv 1, 7). Quale personalità è mai questa, venuta per rendere testimonianza alla luce? E' senz'altro straordinario questo Giovanni, uomo di grande valore, dotato di un carisma speciale, figura davvero sublime. Contemplatelo, sì, contemplatelo come si contempla una montagna. Se non che una montagna, se non viene inondata dal sole, è nelle tenebre. Ammirate, dunque, Giovanni quanto basta per ascoltare ciò che segue: Non era lui la luce; e ciò perché non si scambi la montagna con la luce, perdendovi nella montagna, invece di trovarvi rifugio. Ma che cosa si deve ammirare? La montagna in quanto montagna. Ma, subito, elevatevi fino a colui che illumina la montagna, che per questo è stata innalzata, perché accolga per prima i raggi, e ne dia l'annunzio ai nostri occhi. Dunque, non era lui la luce.

[Un uomo illuminato.]

6. Perché dunque è venuto? Per rendere testimonianza alla luce. Perché occorreva questa testimonianza? Affinché per mezzo suo tutti credessero. E a quale luce egli è venuto a rendere testimonianza? C'era la luce vera. Perché l'evangelista aggiunge vera? Perché anche l'uomo che è illuminato può essere chiamato luce, ma la vera luce è quella che illumina. Così, siamo soliti chiamare anche i nostri occhi luce del corpo; tuttavia, se di notte non si accende la lucerna e di giorno non esce il sole, queste nostre luci restano aperte invano. Così anche Giovanni era luce, ma non la luce vera: senza essere illuminato non era che tenebre; mediante l'illuminazione, è diventato luce. Se non fosse stato illuminato, egli sarebbe stato tenebra, come tutti gli empi, ai quali, ormai credenti, l'Apostolo diceva: Siete stati un tempo tenebra. Invece, ora che credevano, che cosa erano? Ma ora - dice - siete luce nel Signore (Ef 5, 8). Se non avesse aggiunto nel Signore, non avremmo capito. Siete luce nel Signore, dice; prima tenebra, ma non nel Signore. Dice infatti: Siete stati un tempo tenebra, e non aggiunge "nel Signore". Dunque eravate tenebra in voi; siete luce nel Signore. E' in questo senso che Giovanni non era la luce, ma doveva rendere testimonianza alla luce.

7. Ma dov'è questa luce? C'era la luce vera, che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (Gv 1, 9). Se illumina ogni uomo che viene nel mondo, allora ha illuminato anche Giovanni. Dunque il Verbo illuminava colui dal quale voleva essere testimoniato. Comprenda la vostra Carità: egli veniva in soccorso degli spiriti deboli, dei cuori feriti, per curare la vista malata dell'anima. Per questo veniva. E come quest'anima avrebbe potuto vedere ciò che è perfetto? Come solitamente avviene quando, vedendo un oggetto illuminato, si può arguire che il sole è spuntato, anche se non riusciamo a vederlo coi nostri occhi. Perché quelli che hanno gli occhi malati, possono vedere un muro, o un monte, o un albero, o un qualsiasi altro oggetto illuminato e rischiarato dai raggi del sole: ogni oggetto rischiarato dal sole, annunzia che il sole è spuntato anche a coloro i cui occhi infermi non possono ancora fissarlo. Così, poiché tutti quelli per i quali Cristo veniva non sarebbero stati capaci di vederlo, egli inviò i suoi raggi su Giovanni; e dichiarando questi che non era lui a irradiare e illuminare ma era egli stesso irradiato e illuminato, fu conosciuto colui che illumina, che rischiara, che inonda tutti della sua luce. E chi è questi? E' colui - dice l'evangelista - che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. Se l'uomo non si fosse allontanato da Dio, non avrebbe avuto bisogno d'essere illuminato: dovette esserlo, perché si era allontanato da chi poteva sempre illuminarlo.

[Ci serviamo della lucerna per cercare il giorno.]

8. Ma allora se è venuto, dove era? In questo mondo era. C'era e c'è venuto: c'era in quanto Dio, c'è venuto in quanto uomo; perché, pur essendo qui in quanto Dio, non poteva essere visto dagli stolti, dai ciechi, dagli iniqui. Gli iniqui sono le tenebre di cui è stato detto: La luce risplende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno compresa. Ecco, egli è qui anche adesso, c'era, e ci sarà sempre: mai si allontana da nessun posto. Affinché tu possa vedere colui che mai si è allontanato da te, è necessario che tu non ti allontani mai da chi è presente dovunque: non abbandonarlo mai e non sarai abbandonato. Cerca di non cadere, e per te la luce non tramonterà mai. Se cadi, egli per te tramonta: ma se rimani in piedi, egli sta di fronte a te. Tu, però, non sei rimasto in piedi: ricordati da dove sei caduto, da quale altezza ti ha precipitato chi cadde prima di te. Ti ha fatto precipitare, non con la forza o con l'istigazione, ma col tuo consenso. Se infatti tu non avessi consentito al male, saresti rimasto in piedi, saresti ancora nella luce. Ora però, poiché sei caduto e sei ferito al cuore, che solo è capace di vedere quella luce, essa è venuta a te quale tu potevi vederla. Si è presentata in modo talmente umano, da aver bisogno della testimonianza di un uomo. Dio chiede la testimonianza ad un uomo; Dio ha un uomo come testimone. Sì, Dio ha un uomo come testimone, ma a beneficio dell'uomo: tale è la nostra debolezza! Con la lucerna cerchiamo il giorno; e questa lucerna è Giovanni, di cui il Signore dice: Egli era la lucerna che arde e illumina, ma voi avete voluto esultare per poco al suo chiarore; io però ho una testimonianza maggiore di quella di Giovanni (Gv 5, 35-36).

9. Il Signore dunque mostrò che a beneficio degli uomini volle rivelarsi mediante una lucerna, per sostenere la fede dei credenti e, insieme, per confondere i suoi nemici, proprio quei nemici che lo provocavano dicendo: Con quale autorità fai queste cose? Ma Gesù rispose loro: Io pure vi farò una domanda: ditemi, il battesimo di Giovanni donde veniva? dal cielo o dagli uomini? Ed essi ragionavano fra di loro dicendo: Se rispondiamo dal cielo, egli ci dirà: Perché dunque non gli avete creduto? [Giovanni infatti aveva reso testimonianza al Cristo dicendo: Non sono io il Cristo, ma lui (Gv 1, 20 27)]. Se diciamo: dagli uomini, temiamo che la folla ci lapidi; perché ritenevano Giovanni un profeta (Mt 21, 23-37; Mc 11, 28-32; Lc 20, 2-8). Così, il timore di essere lapidati e il timore, ancor più grande, di confessare la verità, li indusse a rispondere una menzogna alla Verità; e l'iniquità mentì a se stessa (Sal 26, 12). Essi risposero infatti: Non lo sappiamo. E il Signore, vedendo che quelli s'eran chiusi essi stessi la porta negando di sapere ciò che invece sapevano, neppure lui volle aprire, perché essi non avevano bussato. Sta scritto infatti: Bussate, e vi sarà aperto (Mt 7, 7). Ma quelli non solo non bussarono per farsi aprire, ma con la loro negazione si chiusero la porta in faccia. E il Signore disse loro: Nemmeno io vi dico con quale autorità faccio tali cose. E così furono confusi per mezzo di Giovanni; e in essi si adempì la profezia: Ho preparato la lucerna al mio Unto; riempirò di confusione i suoi nemici (Sal 131, 17-18).

[Dio crea il mondo, immerso in esso.]

10. Egli era nel mondo, e il mondo per mezzo di lui fu fatto (Gv 1, 10). Non pensare che il Verbo fosse nel mondo, così come nel mondo vi sono la terra, il cielo, il sole, la luna e le stelle, gli alberi, gli animali, gli uomini. Non così il Verbo era nel mondo. E allora in che modo c'era? C'era come l'artefice che regge quanto ha fatto. Certo, il suo fare non è come quello dell'artigiano. Il mobile che il falegname costruisce, è fuori di lui, occupa un suo spazio, mentre viene fabbricato; e chi lo costruisce, sebbene lì accanto al mobile, occupa un altro spazio, e si trova completamente fuori della sua opera. Dio, al contrario, pervade con la sua presenza tutto il mondo che crea: presente dovunque, opera senza occupare un posto distinto; non è al di fuori di ciò che fa come se dovesse far colare, per così dire, la massa che sta lavorando. Mediante la sua maestà crea ciò che crea, e con la sua presenza governa ciò che ha creato. Il Verbo era dunque nel mondo, come colui per mezzo del quale il mondo è stato fatto. Infatti, il mondo fu creato per mezzo di lui, ma il mondo non lo conobbe.

11. Che significa: il mondo fu fatto per mezzo di lui? Si chiama mondo il cielo, la terra, il mare e tutto ciò che in essi si trova. Esiste anche un altro significato, secondo cui si chiamano mondo coloro che amano il mondo. Il mondo fu fatto per mezzo di lui, e il mondo non lo conobbe. Significa, questo, che i cieli non hanno conosciuto chi li ha creati o che gli angeli non hanno conosciuto il loro Creatore? o che non lo hanno conosciuto le stelle? Ma perfino i demoni confessano la potenza del Creatore. Tutte le cose da ogni parte gli hanno reso testimonianza. Chi sono, dunque, coloro che non l'hanno conosciuto? Quelli appunto che vengono chiamati "mondo", perché amano il mondo. E' dove abbiamo il cuore, che noi abitiamo: chi ama il mondo merita perciò d'esser chiamato "mondo", dal nome della dimora che abita. Come quando diciamo che una casa è buona o cattiva, non vogliamo condannare o lodare le pareti di una casa, ma dicendo che una casa è buona o cattiva, intendiamo riferirci a quelli che la abitano; così per mondo vogliamo designare quelli che vi abitano e ci sono attaccati. Chi sono costoro? Sono quelli che amano il mondo: sono essi che con il cuore abitano nel mondo. Coloro, invece, che non amano il mondo, si trovano sì nel mondo con la carne, ma con il cuore abitano in cielo, così come dice l'Apostolo: La nostra cittadinanza è in cielo (Fil 3, 20). Dunque:Il mondo per mezzo di lui fu fatto, e il mondo non lo conobbe.

12. Venne in casa propria, poiché tutto era stato fatto per mezzo di lui, e i suoi non lo accolsero (Gv 1, 11). Chi sono i "suoi"? Sono gli uomini da lui creati. Anzitutto i Giudei, che erano il suo popolo primogenito rispetto a tutte le genti della terra. Gli altri popoli, infatti, adoravano gli idoli e servivano i demoni; quel popolo, invece, era nato dal seme di Abramo; per questo i Giudei erano "suoi" in modo tutto particolare, perché congiunti a lui nella carne che egli si era degnato assumere. Egli venne in casa propria, e i suoi non lo accolsero. Non lo accolsero nel senso più assoluto? non lo accolse nessuno? Nessuno allora è stato salvato? Nessuno infatti è salvo se non accoglie Cristo che viene.

[Il Figlio unigenito non volle rimanere solo.]

13. Ma aggiunge: Quanti però lo accolsero. Che cosa ha donato a questi? Oh, grande benevolenza! grande misericordia! Era il Figlio unico, e non ha voluto rimanere solo. Molti uomini che non hanno avuto figli, in età avanzata ne adottano qualcuno; e fanno con la volontà ciò che non hanno potuto fare per mezzo della natura. Questo fanno gli uomini. Ma se uno ha un unico figlio, è più contento per lui; perché da solo possederà tutto, senza dover dividere l'eredità con altri, rimanendo meno ricco. Non così ha agito Dio: l'unico Figlio che egli aveva generato e per mezzo del quale tutto aveva creato, questo Figlio, lo inviò nel mondo perché non fosse solo, ma avesse dei fratelli adottivi. Noi infatti non siamo nati da Dio come l'Unigenito, ma siamo stati adottati per grazia sua. L'Unigenito infatti è venuto per sciogliere i peccati, che ci impedivano d'essere adottati: egli stesso ha liberato coloro che voleva fare suoi fratelli, e li ha fatti con lui eredi. E' questo che dice l'Apostolo: Se sei figlio, sei anche erede da parte di Dio(Gal 4, 7); e ancora: Noi siamo eredi di Dio e coeredi di Cristo (Rm 8, 17). Non ha avuto paura, lui, d'avere dei coeredi, perché la sua eredità non si impoverisce per il fatto che sono molti a possederla. Essi stessi diventano la sua eredità, in quanto sono da lui posseduti, e lui a sua volta diventa la loro eredità. Ascolta in che modo gli uomini diventano la sua eredità: Il Signore mi ha detto: Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato. Chiedimelo, ed io ti darò le genti come tua eredità (Sal 2, 7-8). E lui, a sua volta, come diventa la loro eredità? Dice un salmo: Il Signore è la parte della mia eredità e del mio calice (Sal 15, 5). Che Dio sia dunque il nostro possesso e che egli possegga noi: che egli ci possegga come Signore, e che noi lo possediamo come nostra salvezza, come luce. Che cosa, dunque, egli ha dato a coloro che lo hanno accolto? Ha dato il potere di diventare figli di Dio, a coloro che credono nel suo nome (Gv 1, 12); affinché, tenendosi stretti al legno della croce, possano attraversare il mare.

14. E come nascono questi? Per diventare figli di Dio e fratelli di Cristo, è certo che essi devono nascere: se non nascono, come possono essere figli di Dio? I figli degli uomini nascono dalla carne e dal sangue, dalla volontà dell'uomo e dall'amplesso coniugale. E i figli di Dio, come nascono? Non per via di sangue, dice l'evangelista, cioè non dal sangue dell'uomo e della donna. In latino non esiste "sangue" al plurale, ma, siccome in greco c'è il plurale, il traduttore ha preferito conservare il plurale, sacrificando la grammatica pur di spiegare la verità in modo da farsi intendere da tutti. Se egli avesse messo "sangue" al singolare, non sarebbe riuscito a spiegare ciò che voleva: difatti gli uomini nascono dall'unione del sangue dell'uomo col sangue della donna. Parliamo dunque senza temere la verga dei grammatici, pur di esprimere in modo solido e chiaro la verità. Chi riuscirà a capire non ce ne farà rimprovero; si mostrerebbe ingrato per la spiegazione. Non dal sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo (Gv 1, 13). La donna qui è chiamata carne, perché quando fu formata, Adamo disse: Questo è osso delle mie ossa, e carne della mia carne (Gn 2, 23). E l'Apostolo afferma: Chi ama la sua donna ama se stesso; nessuno infatti mai odia la propria carne (Ef 5, 28 29). La parola carne è qui, dunque, usata al posto di donna, così come qualche volta si usa spirito al posto di marito. E perché? Perché è lo spirito che regge e la carne è retta: quello deve comandare, questa servire. C'è disordine in quella casa dove la carne comanda e lo spirito serve. Che c'è di peggio d'una casa in cui la donna comanda sul marito? Ordinata invece è quella casa in cui è la donna che obbedisce al marito. Così è a posto l'uomo in cui la carne è sottomessa allo spirito.

15. Essi, dunque, non da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono nati. Affinché gli uomini nascessero da Dio, prima Dio è nato da essi. Cristo infatti è Dio, e Cristo è nato dagli uomini. Ha dovuto cercare in terra soltanto una madre, poiché il Padre lo aveva già, in cielo: è nato da Dio colui per mezzo del quale noi fummo creati, è nato da una donna colui per mezzo del quale noi dovevamo essere ricreati. Non ti meravigliare quindi, o uomo, se diventi figlio per grazia, poiché nasci da Dio secondo il suo Verbo. Il Verbo ha voluto nascere prima dall'uomo, affinché tu avessi la sicurezza di nascere da Dio, e potessi dire a te stesso: Non è senza motivo che Dio ha voluto nascere dall'uomo, lo ha fatto perché mi considerava talmente importante da rendermi immortale, nascendo lui come un mortale per me! Perciò l'evangelista, dopo aver detto: da Dio sono nati, prevedendo lo stupore, lo sgomento anzi, che una simile grazia avrebbe suscitato in noi, tale da farci sembrare incredibile che degli uomini siano nati da Dio, subito aggiunge come per rassicurarci: E il Verbo si è fatto carne, e abitò fra noi (Gv 1, 14). Ti meravigli ancora che degli uomini nascano da Dio? Ecco che Dio stesso è nato dagli uomini: E il Verbo si è fatto carne, e abitò fra noi.

[La carne ti aveva accecato, la carne ti guarisce.]

16. E poiché il Verbo si è fatto carne, e abitò fra noi, con la sua nascita ci ha procurato il collirio con cui ripulire gli occhi del nostro cuore, onde potessimo, attraverso la sua umiltà, vedere la sua maestà. Per questo il Verbo si è fatto carne, e abitò fra noi. Ha guarito i nostri occhi. E come prosegue? E noi abbiamo visto la sua gloria. Nessuno avrebbe potuto vedere la sua gloria, se prima non fosse stato guarito dall'umiltà della carne. E perché non potevamo vederla? Mi ascolti la vostra Carità, e presti attenzione a ciò che dico. Polvere e terra erano penetrate nell'occhio dell'uomo e lo avevano ferito, tanto che non poteva più guardare la luce. Quest'occhio malato viene medicato; era stato ferito dalla terra, e terra viene usata per guarirlo. Il collirio, come ogni altro medicamento, non è in fondo che terra. Sei stato accecato dalla polvere, e con la polvere sarai guarito: la carne ti aveva accecato, la carne ti guarisce. L'anima era diventata carnale consentendo ai desideri carnali da cui l'occhio del cuore era stato accecato. IlVerbo si è fatto carne: questo medico ti ha procurato il collirio. E poiché egli è venuto in maniera tale da estinguere con la carne i vizi della carne, e con la sua morte uccidere la morte; proprio per questo, grazie all'effetto che in te ha prodotto il Verbo fatto carne, tu puoi dire: E noi abbiamo veduto la sua gloria. Quale gloria? Forse la gloria d'essere figlio dell'uomo? Ma questa per lui è piuttosto un'umiliazione che una gloria. Fin dove è giunto, quindi, lo sguardo dell'uomo, guarito per mezzo della carne? E noi abbiamo veduto la sua gloria, dice l'evangelista, la gloria propria dell'Unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità. Della grazia e della verità, se il Signore ce lo concederà, parleremo più diffusamente in altra parte di questo Vangelo. Per oggi basta così. Crescete in Cristo, rafforzatevi nella fede, vegliate intenti alle opere buone; e rimanete fedeli al legno della croce, che vi consente di attraversare il mare.