mercoledì 25 gennaio 2012

25 gennaio: Conversione di san Paolo - Altri testi




dom Prosper Guéranger, La conversione di San Paolo

Abbiamo visto la Gentilità, rappresentata ai piedi dell'Emmanuele dai Re Magi, offrire i suoi mistici doni e ricevere in cambio i doni preziosi della fede, della speranza e della carità. La messe dei popoli è ormai matura; è tempo che il mietitore vi ponga la falce. Ma chi sarà questo operaio di Dio? Gli Apostoli di Cristo non hanno ancora lasciata la Giudea. Tutti hanno la missione di annunciare la salvezza fino agli estremi confini del mondo, ma nessuno fra loro ha ancora ricevuto il carattere speciale di Apostolo dei Gentili. Pietro, l'Apostolo della Circoncisione, è destinato particolarmente, al pari di Cristo, alle pecore smarrite della casa d'Israele (Mt 15,24). Tuttavia siccome è il capo e il fondamento, spetta a lui aprire la porta della Chiesa ai Gentili, e lo fa solennemente, conferendo il Battesimo al centurione romano Cornelio.
Intanto la Chiesa si prepara: il sangue del Martire Stefano e la sua ultima preghiera otterranno un nuovo Apostolo: l'Apostolo delle Genti. Saulo, cittadino di Tarso, non ha visto Cristo nella sua vita mortale e soltanto Cristo può fare un Apostolo. Dall'alto dei cieli dove regna impassibile e glorificato, Gesù chiamerà Saulo alla sua scuola, come chiamò negli anni della sua predicazione a seguire i suoi passi e ad ascoltare la sua dottrina i pescatori del lago di Genezareth. Il Figlio di Dio rapirà Paolo fino al terzo cielo, e gli rivelerà tutti i suoi misteri; e quando Saulo avrà avuto modo, come egli narra, di vedere Pietro (Gal 1,18) e di paragonare con il suo il proprio Vangelo, potrà dire: "Io non sono meno apostolo degli altri Apostoli".
È appunto nel giorno della Conversione di Saulo che ha ini­zio questa grande opera. È oggi che risuona quella voce che spezza i cedri del Libano (Sal 28,5), e la cui immensa forza fa del Giudeo persecutore innanzitutto un cristiano, nell'attesa di farne un Apostolo. Questa meravigliosa trasformazione era stata vaticinata da Giacobbe allorché sul letto di morte svelava l'avvenire di ciascuno dei suoi figli, nelle tribù che dovevano uscire da essi. Giuda ebbe i più alti onori: dalla sua stirpe regale doveva nascere il Redentore, l'atteso delle genti. Beniamino fu annunciato a sua volta sotto caratteristiche più umili, ma pure gloriose: sarà l'avo di Paolo, e Paolo l'Apostolo delle genti.
Il santo vegliardo aveva detto: "Beniamino è un lupo rapace: al mattino si prende la preda; ma alla sera distribuisce il bottino" (Gen 49,27). Colui che nell'ardore della sua adolescenza si scaglia come un lupo spirante minaccia e strage all'inseguimento delle pecore di Cristo, non è forse - come dice sant'Agostino (Disc. 278) - Saulo sulla via di Damasco, portatore ed esecutore degli ordini dei pontefici del Tempio e tutto ricoperto del sangue di Stefano che egli ha lapidato con le mani di coloro ai quali custodiva le vesti? Colui che, alla sera, non rapisce più le spoglie del giusto, ma con mano caritatevole e pacifica distribuisce agli affamati il cibo vivificante, non è forse Paolo, Apostolo di Gesù Cristo, bruciante d'amore per i suoi fratelli, e che si fa tutto a tutti, fino a desiderare di essere anatema per essi?
Questa è la forza vittoriosa dell'Emmanuele, forza sempre crescente e alla quale nulla può resistere. Se egli vuole come primo omaggio la visita dei pastori, li fa chiamare dai suoi angeli le cui dolci note sono bastate per condurre quei cuori semplici alla mangiatoia dove giace sotto poveri panni la speranza d'Israele. Se desidera l'omaggio dei principi della Gentilità, fa spuntare in cielo una stella simbolica, la cui apparizione, aiutata dall'intimo moto dello Spirito Santo, fa decidere quegli uomini a venire dal lontano Oriente a deporre ai piedi d'un bambino i loro doni e i loro cuori. Quando è giunto il momento di formare il Collegio Apostolico, cammina sulle rive del mar di Tiberiade, e basta la sola parola:Seguitemi, per legare a lui gli uomini che ha scelti. In mezzo alle umiliazioni della sua Passione, un suo sguardo cambia il cuore del discepolo infedele. Oggi, dall'alto dei Cieli, compiuti tutti i misteri, volendo mostrare che egli solo è maestro dell'Apostolato e che la sua alleanza con i Gentili è consumata, si manifesta a quel Fariseo che vorrebbe distruggere la Chiesa; spezza quel cuore di Giudeo e crea con la sua grazia un nuovo cuore d'Apostolo, un vaso di elezione, quel Paolo che dirà d'ora in poi: "Vivo, ma non son già io, bensì Cristo che vive in me" (Gal 11,20).
Ma era giusto che la commemorazione di quel grande evento venisse a porsi non lontano dal giorno in cui la Chiesa celebra il trionfò del Protomartire. Paolo è la conquista di Stefano. Se l'anniversario del suo martirio s'incontra in un altro periodo dell'anno (29 giugno), non poteva fare a meno di apparire accanto alla culla dell'Emmanuele, come il più splendido trofeo del Protomartire; i Magi esigevano anche il conquistatore della Gentilità di cui formavano le primizie.
Infine, per completare la corte del nostro grande Re, era giusto che si elevassero ai lati della mangiatoia le due potenti colonne della Chiesa, l'Apostolo dei Giudei e l'Apostolo dei Gentili: Pietro con le chiavi e Paolo con la spada. Betlemme ci sembra allora ancor più l'immagine della Chiesa, e le ricchezze della liturgia in questa stagione ci appaiono più belle che mai.
Noi ti rendiamo grazie, o Gesù, perché hai oggi abbattuto il tuo nemico con la tua potenza, e l'hai risollevato con la tua misericordia. Tu sei veramente il Dio forte, e meriti che ogni creatura celebri le tue vittorie. Come son meravigliosi i tuoi piani per la salvezza del mondo! Tu associ gli uomini all'opera della predicazione della tua parola e alla dispensa dei tuoi misteri; e per rendere Paolo degno di tale onore, usi tutte le risorse della grazia. Ti compiaci di fare dell'assassino di Stefano un Apostolo, perché il tuo potere si mostri a t'urti gli occhi, il tuo amore per le anime appaia nella sua più gratuita generosità, e sovrabbondi la grazia dove abbondò il peccato. Visitaci spesso, o Emmanuele, con questa grazia che cambia i cuori, perché noi desideriamo la vita in larga misura, ma sentiamo che il suo principio è così spesso sul punto di sfuggirci. Convertici come hai convertito l'Apostolo e assistici quindi, poiché senza di te noi non possiamo far nulla. Previenici, seguici, accompagnaci, non lasciarci mai, e come ci hai dato il principio, così assicuraci la perseveranza sino alla fine. Concedici di riconoscere, con timore ed amore, quel dono della grazia che nessuna creatura potrebbe meritare, e al quale tuttavia una volontà creata può fare ostacolo. Noi siamo prigionieri: solo tu possiedi lo strumento con l'aiuto del quale possiamo infrangere le nostre catene. Tu lo poni nelle nostre mani, dicendoci di usarlo: sicché la nostra liberazione è opera tua e non nostra, e la nostra prigionia, se continua, si deve attribuire soltanto alla nostra negligenza e alla nostra viltà. Dacci, o Signore, questa grazia; e degnati di ricevere la promessa di associarvi umilmente la nostra cooperazione.
Aiutaci, o san Paolo, a corrispondere ai disegni della misericordia di Dio su di noi; fa' che siamo soggiogati dalla dolcezza di Gesù. Non udiamo la sua voce, la sua luce non colpisce i nostri occhi, ma leva il suo lamento perché troppo spesso lo perseguitiamo. Ispira ai nostri cuori la tua preghiera: "Signore, che vuoi che io faccia?". Ci risponderà di essere semplici e bambini come lui, di riconoscere il suo amore, di finirla con il peccato, di combattere le cattive inclinazioni, di progredire nella santità seguendo i suoi esempi. Tu hai detto, o Apostolo: "Chi non ama nostro Signore Gesù Cristo sia anatema!". Faccelo conoscere sempre più, perché lo amiamo, e questi dolci misteri non diventino, per la nostra ingratitudine, la causa della nostra riprovazione.
Vaso di elezione, converti i peccatori che non pensano a Dio. Sulla terra tu ti sei prodigato interamente per la salvezza delle anime; nel cielo dove ora regni, continua il tuo ministero, e chiedi al Signore, per coloro che perseguitano Gesù nelle sue membra quelle grazie che vincono i più ribelli. Apostolo dei Gentili, volgi gli occhi su tanti popoli che giacciono ancora nell'ombra della morte. Un giorno tu eri combattuto fra due ardenti desideri: quello di essere con Gesù Cristo, e quello di restare sulla terra per lavorare alla salvezza dei popoli. Ora, tu sei per sempre con il Salvatore che hai predicato: non dimenticare quelli che ancora non lo conoscono. Suscita uomini apostolici per continuare la tua opera. Rendi fecondi i loro sudori e il loro sangue. Veglia sulla Sede di Pietro, tuo fratello e tuo capo; sostieni l'autorità della Chiesa di Roma che ha ereditato i tuoi poteri, e che ti considera come la sua seconda colonna. Rivendicala dovunque è misconosciuta; distruggi gli scismi e le eresie; riempi tutti i pastori del tuo spirito, affinché sul tuo esempio non cerchino se stessi, ma unicamente e sempre gli interessi di Gesù Cristo.

[1] Il martirologio geronimiano menziona, alla data del 25 gennaio, unaTranslatio S. Pauli Apostoli. "A poco a poco, tuttavia l'orientazione storica si spostò, e al concetto di una traslazione materiale delle Reliquie di san Paolo, sostituendosi quello d'una traslazione o mutamento psicologico e spirituale avvenuto nelo stesso Apostolo sulla via di Damasco, dallatranslatio fisica, si passò così alla mistica Conversio del medesimo" (Liber Sacram. vol. VI, p. 185). Sembra che la festa abbia avuto origine nelle chiese della Gallia e sia passata poi progressivamente, a partire dall'VIII secolo, nei libri romani. I testi dell'Ufficio e della Messa sorpassano l'oggetto storico e preciso della festa. Si tratta non solo della Conversione di san Paolo, ma anche di tutte le sue conseguenze, lo zelo e le tribolazioni dell'Apostolo.

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 370-376


* * * 



Saulo di Tarso secondo Caravaggio

Autore: Riva, Sr. Maria Gloria Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele
Fonte: CulturaCattolica.it
Clicca qui per ingrandire
IL 24 settembre 1600 Caravaggio promette a Monsignor Tiberio Cerasi, suo grande estimatore, due quadri: la conversione di Paolo e il martirio di Pietro. Caravaggio riesce a ultimare le due opere quando Mons. Cerasi è già morto e cambia idea: vende i primi due dipinti a un altro prelato, il card Sannesio, e ne realizza altri due quelli che ancora oggi possiamo vedere nella cappella Cerasi.
Un suo malevolo biografo, Giovanni Baglione, teorizza un rifiuto della committenza (l’Ospedale della Consolazione) dei due lavori, ma l’informazione pare proprio inesatta. Nella cappella Cerasi, realizzata dal Maderno vi è un pala d’altare del Carracci, una Vergine Assunta le cui braccia levate al Cielo sembrano voler coinvolgere il fedele visitatore. Le ultime due tele di Caravaggio, la Conversione e la Crocifissione di Pietro, sono in grande sintonia con questo gesto della Vergine: Paolo tiene le braccia levate verso la luce che lo investe, Pietro apre le braccia sulla Croce e si rivolge all’altare, quasi per un’accorata supplica al Cristo.
Nella prima versione della Conversione di Saulo, oggi nella Collezione privata Odescalchi, l’impostazione è più articolata e teatrale, c’è una maggior abbondanza di personaggi e i rimandi al luogo che doveva contenere le opere, meno espliciti. Dunque deve essere stato un ripensamento dello stesso artista.

Nella Conversione della Cappella Cerasi l’evento è tutto interiore e investe Saulo rovesciando la prospettiva della sua vita.
Caravaggio lo dipinge accuratamente vestito, un abbigliamento dove nulla è lasciato al caso. Lo dipinge con abbondanza di rosso. Ci consegna perciò in pochi tratti un fedele ritratto di quest’uomo, tutto d’un pezzo sempre all’altezza della situazione, sicuro di essere nel giusto, passionale e portato agli eccessi: «Io sono un Giudeo, nato a Tarso di Cilicia, ma cresciuto in questa città, formato alla scuola di Gamaliele nelle più rigide norme della legge paterna, pieno di zelo per Dio come oggi siete tutti voi» (At 22, 3).
Saulo è vinto da qualcosa di inaspettato, nella sua violenza dolcissimo e suadente. Forse nessuno ha descritto così bene il momento dell’incontro con Cristo come Oscar Milosz nel suo Saulo di Tarso:
Chi sei tu dunque, terribile biancore che mi parli? Cigno tu m’accechi. Cigno siimi dolce! Bel cigno, stendi la tua ala su di me. Non colpirmi. Vedi io sono piccolo piccolissimo. Giglio, giglio! Tu non sei nato, giglio, nel giardino della terra. Come sei bello che forma hai! Quand’ero un bimbo amavo i fiori. Ma i fiori non erano come te. Oh fammi tornare bambino! Perché non posso coglierti con queste grosse mani e in te c’è della rugiada come farei per non farla cadere? Ora cade: tu piangi. Non piangere, bel giglio. Mi strazia il cuore.
Caravaggio non ci permette di vedere il bel cigno che si profila nella luce, ma ci descrive il momento come un fatto tutto interiore che stampa sul volto di un giovanissimo Saulo un’aurea di pace. L’evento è tanto interiore da essere collocato addirittura dentro una stalla e non fuori sulla via, come le fonti sembrano suggerire.
Saulo cade ponendosi nella stessa direzione di chi osserva, volta le spalle al pubblico e ciò che del volto vediamo è solo lo scorcio possibile grazie alla caduta. Saulo è il primo di molti. Indubbiamente la sua cosiddetta conversione fu un evento cardine della prima cristianità. Noi, cristiani provenienti dai goim, cioè dai gentili, dai non ebrei, siamo nel Mistero grazie a Lui. Saulo è la porta al Mistero di quella luce.
Per questo Caravaggio ci impedisce di vedere ciò che Paolo vede. Noi dobbiamo vedere lui e lui solo. La fede ha una partenza fuori di noi: è un fatto, è una oggettività che sfida la soggettività dell’uomo. Niente di astratto, nessuna deduzione, nessuna proiezione; già dall’origine è l’incontro con qualcosa fuori di noi che suscita speranza(cfr Carron Esercizi Spirituali alla Fraternità 2008 pag 13).
Di fronte a un tale incontro Saulo resta lì, vinto dalla luce, con le braccia aperte. Il persecutore assume la posizione del Perseguitato. Gli dice infatti Gesù : «Saulo, Saulo perchè mi perseguiti?». Allarga Saulo le braccia come se stesse per essere crocifisso. Allarga le braccia per comprendere il mistero di una comunione assoluta fra Cristo e la Chiesa.
Gesù, infatti, dicendogli: perchè mi perseguiti? Lo istruisce immediatamente sulla assoluta unità tra se stesso, il Capo, e i suoi, i cristiani, il Corpo. Qui Saulo cambia mentalità, questa è la sua conversione. Non la conversione da un credo falso a un credo vero, non dall’idolatria alla conoscenza del vero Dio. Saulo era già nell’alleanza, Saulo già credeva e serviva Dio con zelo. Ciò che Saulo deve cambiare è il modo, la prospettiva dalla quale guardare quella verità in cui credeva fin dalla giovinezza. Potremmo dire che Saulo era già nel desiderio di Dio, ma ha dovuto pervenire alla fede reale dentro il riconoscimento di una presenza, la quale coincideva con il suo più vero desiderio.
Così Caravaggio pone il cavallo di traverso, lungo tutta la tela, posto per sbarrargli il cammino. Per dirgli:«Ciò che credi c’è ma non è come tu lo credi. Ti supera grandemente».
Il cavallo, che dolcemente solleva la zampa per non ferire Saulo, è pieno di consapevolezza. Come il giumento del profeta Balaam di Beor che vedeva l’angelo del Signore meglio del suo padrone e si arrestava laddove il profeta voleva rovinosamente andare, così il cavallo di Saulo si pone ad ostacolo verso una direzione rovinosa.
La luce che investe Saulo è soprannaturale e fioca, proviene dall’angolo destro del quadro e s’incunea dolcemente tra Saulo e il cavallo. Non c’è nulla di violento, anzi la potenza della luce la si percepisce unicamente dal corpo del giumento totalmente illuminato.
Saulo è costretto così a ribaltare le prospettive, lui che sulla strada di Damasco credeva di dar gloria a Dio, viene sorpreso dalla realtà - tanto vera da essere percepita da un animale -, eppure tanto misteriosa da poter essere vista solo con gli occhi dell’anima.
Non ci è dato di intuire l’esito di quella caduta . Sappiamo dal testo biblico che nemmeno Saulo poté fare a meno della Chiesa. Il Signore che si era compiaciuto di rivelarsi a lui direttamente non volle educare Saulo direttamente, ma si servì di Anania, un discepolo a noi ignoto se non per questo atto di grande carità. Anche per Saulo, anche per un’esperienza straordinaria di Dio come la sua, la fede resta un gesto umano che deve nascere in modo umano.
Caravaggio dice tutto questo nella grande umiltà che l’opera sprigiona, umiltà nel volto di Saulo già colmo della calma della fede. Umiltà negli occhi chiusi e nelle braccia spalancate, denuncia di una cecità bisognosa della compagnia di un altro. Umiltà nel palafreniere che regge le redini del cavallo del quale si scorge la mente e una gamba e un piede ben illuminati.

Saulo si è imbattuto in una presenza che non è rimasta astrazione: nel profilo di questo servo piace riconosce la povertà fiduciosa di una compagnia, quella della Chiesa che aiutò Saulo a diventare Paolo, a cambiare direzione e modo di pensare, indirizzando il passo sulle orme di Colui che, un tempo perseguitato, sarebbe diventato la ragione stessa del suo martirio.

* * *




* * *

Bruegel: la conversione di san Paolo

Autore: Riva, Sr. Maria Gloria Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele
Fonte: CulturaCattolica.it
Il tema, caro all’iconografia italiana del 500 e del 600 (basti pensare all’affresco di Michelangelo e alla tela del Caravaggio), viene interpretato dall’artista olandese Brueghel il vecchio, in maniera originalissima e, per certi versi, straordinariamente attuale.

Nell’ anno in cui dipinge la tavola, il 1567, l’esercito del Duca di Alba attraversava le Alpi per sedare le rivolte dei fiamminghi (in atto a causa della lotta fra cattolici e protestanti e della lotta iconoclasta). L’evento storico si trasforma per Brueghel in una riflessione sull’atteggiamento dell’uomo di fronte al mistero di una storia Altra, quella di Dio, significata appunto dalla conversione di Paolo.

Il paesaggio alpino, che Brueghel aveva potuto osservare da vicino nel corso di un suo viaggio in Italia, appare qui minaccioso. Rocce e alberi appuntiti sembrano lance rivolte verso un cielo assente e coperto da spesse nubi. Solo all’estrema sinistra della tela - a significare il ricordo di un passato lontano e colmo di pace - si apre lo scorcio di una distesa pianeggiante e serena sotto una volta azzurrina.
Il panorama di Brueghel descrive la storia di una umanità che ha perduto le sue radici. A sinistra, infatti, si dirada la presenza degli uomini e l’esercito si inerpica su per un dirupo, dimentico della sicurezza pianeggiante che lo accoglieva. Più che l’esperienza di Saulo-Paolo, qui emerge la condizione spirituale e storica dell’uomo del 500, così drammaticamente vicina alla nostra.
Dimentico delle proprie radici anche l’uomo moderno s’inerpica per cammini improbabili, incurante delle minacce che si addensano all’orizzonte.
La parte destra della tavola di Brueghel brulica di soldati e cavalieri che maggiormente si addensano laddove il cammino, invece di aprirsi un varco, pare chiudersi definitivamente senza offrire sbocco alcuno.
Nessuno si cura del pericolo, anzi, un cavaliere in giallo sbarra la strada del ritorno, attirando la nostra attenzione. La sua tunica, più luminosa del giallo delle rocce dice, nel colore, il tradimento, la gelosia, l’ira, i vizi che allontano l’uomo dal cammino della virtù e, dunque, della pace.
Paradossalmente tuttavia è proprio grazie a questo uomo che siamo condotti a notare un altro soldato, l’unico rivolto verso di noi, un cavaliere che ornato di un curioso pennacchio indica qualcosa.

Comprendiamo solo così quanto il titolo ci sconcertasse. Dov’è infatti l’attesa caduta da cavallo di Saulo? Dov’è la luce folgorante che ci mostrerà la tela caravaggesca della Cappella Cerasi in Roma? È là sembra rispondere il soldato in blu (colore del mistero e dell’inconoscibile). È là in mezzo al corteo, anzi là dove più fitta sembra essere la mischia.
Vediamo allora un piccolissimo Saulo, vestito di un blu irradiato di luce, che stramazza a terra aprendosi un varco improvviso tra la folla di lance e cavalli.
Non è l’evento sfolgorante che sconvolge il panorama religioso dell’epoca, ma è un evento tra i tanti, quasi un incidente di percorso dentro una marcia anonima che continua inarrestabile il suo cammino. Eppure questo evento ha cambiato la storia della Chiesa e persino la storia del mondo religioso di allora.
Brueghel ci induce a riflettere. La Chiesa obbedisce sempre alla dinamica del seme. Sono gli eventi piccoli, seminati nel solco di un cammino quotidiano, accidentato, pieno di rischi a dare frutti duraturi, a far maturare l’intera massa per il Cielo.
Le rocce appuntite, la nube minacciosa che penetra all’orizzonte chiudendo il varco al corteo di soldati, preannuncia all’Apostolo delle genti la sofferenza che per questa conversione egli dovrà sopportare. Il varco che si apre attorno a lui durante la caduta, esprime il vuoto drammatico che ormai lo separerà dal suo popolo. Gli eventi di grazia, è vero, sono spesso piccoli e seminati nel solco della storia più anonima, pur tuttavia richiedono l’adesione di anime grandi.
È quanto il papa si auspica dall’anno paolino appena iniziato:
L’azione della Chiesa è credibile ed efficace solo nella misura in cui coloro che ne fanno parte sono disposti a pagare di persona la loro fedeltà a Cristo, in ogni situazione. Dove manca tale disponibilità, viene meno l’argomento decisivo della verità da cui la Chiesa stessa dipende. Cari fratelli e sorelle, come agli inizi, anche oggi Cristo ha bisogno di apostoli pronti a sacrificare se stessi. Ha bisogno di testimoni e di martiri come San Paolo.

* * *

L'incontro converte

Autore: Re, Don Piero Curatore: Riva, Sr. Maria Gloria
Fonte: CulturaCattolica.it
Clicca qui per ingrandire
Sulla via di Damasco avviene la conversione: Saulo diviene Paolo, un uomo nuovo. Fino ad allora, il persecutore accanito si era imbattuto con gente che viveva in totale riferimento a Gesù di Nazareth, per il quale era disposta a morire, perché ritenuto il Messia Salvatore. A lui però non era ancora stato dato di vedere e udire Cristo di persona, né vivo né redivivo. Sulla via di Damasco, invece, accade ciò che amici e nemici erano ben lontani dal prevedere; una sorta di agguato, poi riconosciuto come tale da Paolo stesso: «Io, che sono stato afferrato da Gesù Cristo» (Fil 3, 12).
Quando ormai Damasco è vicina, verso mezzogiorno, il divino irrompe nella storia di un fervente fariseo, investito da una luce abbagliante e dal risuonare di una vocedall’alto; non diversamente dalle manifestazioni di Dio a Mosè, di fronte al roveto ardente (cf Es 3) e sul monte Sinai (cf Es 19).
Questo è il tempo è il modo con cui a Paolo accade il primo incontro con la persona di Cristo. Esperienza rinnovata 3 anni dopo nell’estasi nel tempio (cf At 22, 17-21) e in un altro rapimento fino al «terzo cielo» (2Cor 12, 1-4). Una esperienza che fa di lui un credente e alla quale potrà a ragione e autorevolmente rifarsi - da polemista e apologeta di se stesso - ogni volta che gli verrà contestata la sua legittimità di apostolo e il diritto di recare l’annuncio ai pagani da lui liberati dai condizionamenti giudaici: «Non sono forse apostolo? Non ho forse avuto la visione di Gesù, nostro Signore?» (1Cor 9, 1s; cf anche 15, 8-10; Gal 1, 1. 11-17; Fil 3, 7-9). Quando Paolo stesso ne parlerà nelle Lettere, questa esperienza d’incontro con il Risorto sarà ritenuta non soltanto una ”visione” (cf 1Cor 9, 1), ma una ”illuminazione” (cf 2Cor 4, 6) e soprattutto una ”rivelazione” e ”vocazione” (cf Gal 1, 15s).
Di quanto accade nel cuore umano, quando incontra il mistero di Dio, poco o tanto da noi rimane imperscrutabile. Confortati tuttavia da tutte queste testimonianze, di tale evento possiamo determinare qualche elemento.

In questa esperienza di conversione a Saulo è data innanzitutto la conoscenza della vera identità di Gesù, nello stesso tempo autore e oggetto della ”rivelazione”: Gesù di Nazareth, morto in croce, ora è vivo; ovunque presente e operante, gli ha parlato, lasciandolo tramortito.

La sua è una conoscenza di sé ”nuova”, tutta da attribuirsi alla iniziativa gratuita di Dio. Ora Paolo capisce che Dio l’ha anticipato, Cristo l’ha conquistato, i giorni luminosi e le tenebrose notti della sua esistenza sono tutti grazia. Ora scopre di essere stato scelto fin dal seno materno (cf Gal 1, 15s), non diversamente da Geremia (cf 1. 5) e dallo stesso anonimo «Servo di Dio» (Is 49, 1).
D’ora in poi, Paolo non si riterrà mai un uomo che si è fatto da sé, bensì un prodigio suscitato dal Risorto che va ricreando la storia: «Egli mi ha detto: ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza» (2Cor 12, 9); «È apparso anche a me come al feto abortito…Sono il più piccolo degli apostoli, io che non sono degno di essere chiamato apostolo… Ma alla grazia di Dio devo quello che sono e la sua grazia a mio riguardo non è stata inefficace. Al contrario, più di tutti loro ho duramente lavorato. Non io però, ma la grazia di Dio che è in me» (1Cor 15, 8-10); «Il Vangelo da me predicato non è a misura dell’uomo. Perché neanche a me è stato trasmesso o insegnato da alcun uomo. L’ho invece ricevuto per rivelazione di Gesù Cristo» (Gal 1, 11s).
Tutto ciò rappresenta un enorme stravolgimento della sua farisaica fiducia nel valore unico dell’osservanza della Legge antica, che scrivendo ai Romani e ai Galati dichiarerà definitivamente superata. Quanto gli è accaduto non è stato lo sviluppo logico di riflessioni o di lunga ascesi morale, ma il frutto di un imprevedibile intervento della grazia divina. È ciò che lo persuade di essere ormai anch’egli «apostolo», ma «per vocazione» (Rom 1, 1; 1Cor 1, 1) o «per volontà di Dio» (2Cor 1, 1; Ef, 1,1; Col 1, 1).

È una conoscenza che lo trasforma, perché – riconoscendo in Gesù il vero Cristo Salvatore egli percepisce coscientemente anche la vera identità del proprio io, che si realizza soltanto conformandosi a quella di Cristo.
Cristo gli ha aperto gli occhi e i suoi criteri di valutazione sono stati rovesciati: «Per me, infatti, il vivere è Cristo e il morire un guadagno» (Fil 1, 21); «Quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho considerato una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui: non come una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quello che deriva dalla fede in Cristo» (Fil 3, 7-9).
La conversione di Paolo non è soltanto morale (un peccatore che ritrova la via del bene) o religiosa (un ateo che viene alla fede in Dio), ma conversione alla persona di Cristo come chiave di volta del destino umano, incontrando il quale si cambia integralmente tutto il modo di giudicare e di vivere. Più specificamente, qui Saulo passa dal giudaismo al cristianesimo, come. C. Barth riassume: «La vetta su cui mi ergevo è un abisso, la sicurezza in cui vivevo è perdizione, la luce di cui godevo è tenebra».

Il primo incontro di Paolo con Cristo risorto coincide con il primo incontro con la Chiesa, la cui caratteristica più qualificante è proprio la misteriosa connessione con Cristo. In tutti e tre i racconti degli Atti, ritroviamo il drammatico e sorprendente dialogo nel quale Gesù afferma di identificarsi con i cristiani: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?... Chi sei, o Signore?...Io sono Gesù che tu perseguiti» (At 9, 4s; 22, 8; 26, 14). Viene già qui rivelato, all’accanito cacciatore di donne e uomini cristiani di Damasco, che chi tocca i cristiani tocca lo stesso Gesù Nazareno: il Risorto rimane in vitale rapporto con la Chiesa, come il Capo e le membra del suo nuovo Corpo. L’aveva già detto Gesù: «Chi accoglie voi accoglie Me, e chi accoglie Me accoglie Colui che Mi ha mandato» (Mt 10, 40).
Il seguito del racconto conferma che ormai Cristo parla e agisce tramite la Chiesa, che ne prosegue la presenza salvifica. Infatti, alla domanda: «Che devo fare, Signore?», Cristo risponde di recarsi a Damasco. Qui, dopo tre giorni di tramortimento, Anania gli si presenterà come un fratello mandato dallo stesso Gesù che gli è apparso sulla via, per ridargli la vista, per colmarlo di Spirito Santo mediante l’imposizione delle mani, per rimettergli i peccati nel lavacro battesimale (cf At 22, 10-16; 9, 10-19).