venerdì 27 gennaio 2012

Famiglie che si aiutano


La famiglia è una risorsa sociale


Riporto dall'ultimo numero in uscita di «Vita e Pensiero», bimestrale culturale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore,  questo importante contributo a un tema fondamentale, non negoziabile. Di Elisabetta Carrà (*).

L’associazionismo familiare può essere considerato la forma più evoluta della generatività della famiglia. Infatti, la famiglia può manifestare un orientamento a “generare” secondo modalità e forme molto differenti, da quella semplicemente procreativa a una che può essere generalmente intesa come generatività prosociale, orientata a una solidarietà verso il sociale. Quando le famiglie mostrano la capacità di uscire dai propri confini, assecondando un orientamento prosociale, possono dar vita a reti con gradi diversi di formalizzazione, fino alla costituzione di veri e propri legami di tipo associativo.
Ma perché le famiglie si associano? Alla base della spinta a legarsi tra loro c’è sostanzialmente il riconoscimento che riflettere insieme ad altri sui propri problemi, unire e razionalizzare le risorse è essenziale alla risoluzione degli stessi. È il principio che sta alla base dell’auto-mutuo-aiuto, che produce benefici “terapeutici” ormai riconosciuti in moltissimi campi d’intervento sui bisogni umani, dalle patologie mediche ai problemi psichici, alle dipendenze, fino alla semplice gestione del quotidiano o delle difficoltà legate a particolari fasi della vita familiare (l’adolescenza dei figli, la presenza di disabili o anziani non autosufficienti, eccetera).

In questo senso, l’associazionismo familiare si rivela vantaggioso in particolare e in modo diretto per le famiglie che decidono di associarsi. In realtà, la sua utilità non sta solo nell’immediata esperienza del sollievo che viene dalla condivisione dei problemi e dalla possibilità di farvi fronte comune. Si tratta invece di un bene a raggio più lungo, di benefici che riguardano la società tutta e non soltanto le singole famiglie associate. Naturalmente, il fatto che la società migliori grazie alla presenza dell’associazionismo familiare non può che riflettersi positivamente anche sul benessere delle singole famiglie.
Possiamo individuare in termini generali due principali ordini di motivi all’associarsi. Il primo motivo è relativo alla connessione tra cultura familiare e cultura dell’associazionismo familiare. Ciò che orienta le relazioni all’interno della famiglie è fondamentalmente quello che con Godbout potremmo chiamare «lo spirito del dono», che rende così specifica la cura che i membri esercitano l’uno verso l’altro: quando le famiglie si legano tra loro, intrecciano i propri circuiti di reciproca cura, donando e ricevendo al di fuori dei propri confini familiari ed estendendo la solidarietà fuori dal privato-familiare. Così, l’associazionismo familiare è vantaggioso perché promuove relazioni sociali basate sui codici specifici della cura familiare, che è legata ai compiti quotidiani, continuativa, strettamente personalizzata, ovvero calibrata sulle esigenze specifiche di ciascun membro, flessibile, in quanto cambia continuamente di forma perché cambiano la famiglia e le sue esigenze nel tempo, si trasformano le domande-risposte ai bisogni familiari. È così evidente come il tipo di aiuto garantito da un’associazione “familiare” sia diverso da quello che può provenire da servizi standardizzati: l’aiuto familiare rifiuta i vincoli della standardizzazione.
Il secondo motivo è relativo al vantaggio che l’associarsi comporta per le famiglie in termini di mobilitazione efficace delle risorse sia interne che esterne. In particolari momenti della vita familiare o in presenza di eventi critici che ne sconvolgono gli equilibri, le risorse che circolano internamente alla famiglia si rivelano insufficienti: da qui il bisogno di associarsi ad altre famiglie, per poter unire le forze o per poter insieme cercare risorse esterne. Tale processo di coordinamento delle risorse intra ed extra familiari avviene secondo un codice specificamente familiare: non si tratta di un’erogazione di tipo standardizzato proveniente da un servizio pubblico per soddisfare un bisogno familiare, bensì di uno scambio basato sulla reciprocità, in cui si riceve qualcosa che non si aveva, essendo a propria volta produttori di beni che avvantaggiano altri, cioè di beni relazionali. La famiglia diventa così soggetto cruciale del contesto societario, crocevia tra risorse interne ed esterne, attraverso un codice d’azione improntato alla solidarietà.
A partire da queste due motivazioni, le famiglie che si associano tra loro possono diffondere il proprio codice di “cura”, trasferire una dimensione familiare alle politiche sociali. Tuttavia, tanti anni di welfare assistenzialistico hanno spesso sopito la stessa consapevolezza delle famiglie circa la propria responsabilità civile. Quindi le associazioni hanno innanzitutto il compito di far comprendere alle famiglie che volenti o nolenti sono portatrici di un’identità unica e insostituibile e devono svolgere in modo responsabile questo ruolo cruciale; al contrario, la cultura del nostro tempo promuove l’individualismo e orienta i soggetti a un uso strumentale delle relazioni come mezzo per raggiungere il benessere individuale, i legami diventano deboli perché non c’è responsabilità reciproca e il fine non è il mantenimento della relazione, ma le aspettative dell’individuo. L’associazionismo familiare va nella direzione opposta, rendendo i legami familiari generativi di altri legami attorno a sé, ed è quindi in grado di contrastare l’accentuazione dei particolarismi (e dei legami deboli), percorrendo l’unica strada possibile: evidenziare l’intreccio tra diritti individuali e intersoggettivi, tra livello privato e livello pubblico/istituzionale, tra benessere individuale e benessere delle relazioni familiari.
Proprio per questa ragione, l’associazionismo familiare sta acquistando una crescente importanza e visibilità sociale: destano notevole interesse, sia nell’ambito della comunità scientifica, sia in quello delle politiche sociali, le esperienze in cui le famiglie, legandosi fra di
loro in forme associative, svolgono un ruolo attivo nella società civile, progettando e realizzando interventi che le supportino e generino benessere, secondo un codice specificamente familiare, nello svolgimento dei compiti quotidiani, oppure nei casi in cui si presentino situazioni di particolare disagio.
Mettere di nuovo al centro la famiglia è un obiettivo molto complesso, al cui raggiungimento possono sicuramente dare un contributo notevole le associazioni familiari. In questo senso, è quindi cruciale comprendere quale spazio oggi occupino queste forme associative nell’ambito del Terzo settore, perché siamo abituati ormai a sentir parlare di organizzazioni di volontariato, associazioni prosociali e senza fine di lucro, cooperative sociali, ma l’associazionismo familiare è ancora una forma “ibrida” che non ha precisi riferimenti legislativi, se non in Lombardia, dove è stato istituito nel 1999 un apposito registro.
Per dirimere tale questione, si tratteggerà dapprima un identikit delle associazioni familiari che operano sul territorio italiano, attraverso quanto emerge dalle ultime ricerche e lo si confronterà con i criteri “ideali” che la riflessione sociologica degli anni più recenti ha elaborato  per circoscrivere il fenomeno dell’associazionismo familiare.
L'IMPORTANZA DELLE ASSOCIAZIONI FAMILIARI
Come indagini precedenti che, a partire dal 1995, hanno indagato questo fenomeno, anche i dati dell’ultima ricerca di Di Nicola e Landuzzi dedicata a Le associazioni familiari - in P. Donati (a cura di), Il Terzo settore in Italia: culture e pratiche, 2004, pp. 108-137 - confermano che l’area più cospicua dell’associazionismo familiare è quella in cui si annoverano le iniziative di auto-organizzazione dei servizi di vita quotidiana, sia in situazioni di normalità sia in situazioni “patologiche”. In quest’area sono compresi interventi che vanno dalla creazione di nidi-famiglia fino all’istituzione di scuole per i figli, dal sostegno e cure per i membri malati, agli aiuti ai portatori di handicap, alla costituzione di banche del tempo. Bisogna segnalare che nell’ambito del privato-sociale le associazioni familiari sono meno presenti nell’erogazione di servizi, essendo più orientate a forme di mutuo-aiuto, anche se leggi come la 23/99 della Regione Lombardia hanno dato un forte impulso alla progettualità dell’associazionismo familiare nel campo dei servizi alla persona, nell’ambito dei quali viene valorizzato l’apporto specifico di un codice d’azione familiare. In particolare, il settore in cui le associazioni familiari si distinguono è quello formativo/educativo, che risponde alla crescente richiesta di “accompagnamento pedagogico” in tutte le fasi del ciclo di vita: si va dai corsi per le giovani coppie, ai corsi per genitori, alle attività ricreative e/o educative per i minori e per gli anziani.
Più di un terzo delle organizzazioni, comunque, svolge attività di tutela dei diritti delle famiglie. L’azione associativa, in questo caso, mira a sensibilizzare la società e le istituzioni pubbliche verso le tematiche familiari e a rendere maggiormente consapevoli le famiglie del loro ruolo sociale.
Tutte le ricerche documentano che le associazioni familiari auspicano e in molti casi praticano forme di coordinamento più ampio. Ciò consente loro di non ridurre la propria azione sociale alla risoluzione del bisogno immediata, ma ad accedere a un orizzonte più vasto, ricercando una maggiore rilevanza sociale e politica: si pensi a organismi come l’Anffas e l’Anfaa, che si aggregano attorno a bisogni specifici, o a federazioni come l’Afi e il Forum delle associazioni familiari, che si uniscono per promuovere il familiare in senso ampio. In quest’ultimo caso si privilegia un valore non particolaristico, ovvero la necessità di mettere al centro la famiglia piuttosto che gli individui e i loro specifici bisogni.

CHE COS'È UN'ASSOCIAZIONE FAMILIARE
L’associazionismo familiare è un fenomeno molto complesso, che coniuga due aspetti di cui il primo - associatività - ha un significato più univoco del secondo - familiarità - che invece risulta decisamente più sfuggente e ambivalente. Tenendo fermi questi due elementi, per riuscire a vedere tutte le forme che l’associazionismo familiare può includere è necessario ricorrere ad almeno quattro dimensioni rispetto alle quali le associazioni di famiglie si dispongono lungo un continuum.
Due dimensioni sono relative all’appartenenza associativa, le altre due all’attività svolta (Figura 1).
Esse sono:
a) il rapporto dei soci con il bisogno a cui l’associazione risponde – i soci possono supportare dall’esterno un’organizzazione che si occupa di problematiche che loro non hanno, oppure essere più direttamente coinvolti, in quanto portatori diretti del bisogno;
b) la presenza di famiglie tra i soci – i soci possono essere individui singoli oppure famiglie;
c) la mission associativa – la mission dell’associazione può avere finalità molto generali che solo in modo indiretto hanno ricadute positive sulle famiglie, oppure essere esplicitamente e direttamente rivolta alle famiglie;
d) lo stile d’intervento – le associazioni possono rispondere ai bisogni secondo un codice caritatevole-assistenzialistico oppure adottare strategie di empowerment che coinvolgono le famiglie-utenti in modo attivo.
Incrociando le quattro dimensioni, si configurano tipologie associative diversissime tra di loro, ma le ricerche e anche gli elenchi delle consociate di associazioni a carattere federativo italiane e straniere mostrano come sia importante mantenere l’intero range, perché sotto l’etichetta del familiare stanno convergendo soggetti del Terzo settore con le identità più diverse.
Naturalmente, se vogliamo parlare dell’associazionismo familiare in modo specifico, dobbiamo restare entro i criteri della massima familiarità: associazioni familiari in questo senso sono, quindi, solo gli organismi che si costituiscono attorno a uno specifico bisogno delle famiglie,
promossi da famiglie e che attuano un intervento che non solo è rivolto alla famiglia, ma la coinvolge in modo diretto e la rende protagonista dell’azione. In questo modo l’associazionismo familiare agisce sulle relazioni familiari, rigenerandole e rafforzandole, perché riescano a trovare quanto più autonomamente possibile la risposta risolutiva al proprio bisogno.
Ci sono comunque anche associazioni in cui esiste un interesse esplicito per la famiglia, ma i soci hanno un rapporto più esterno con il bisogno e l’azione lascia spesso la famiglia sullo sfondo. È una strategia che per anni ha caratterizzato l’intervento sia dei soggetti pubblici
sia di quelli del Terzo settore: essa è caratterizzata dalla tendenza a portare il bisogno “fuori” dalla famiglia e l’esito di simili procedure è senz’altro quello di scaricare la famiglia dei pesi che gravano sulle sue spalle, ma con l’effetto collaterale di esimerla anche dalle sue responsabilità e capacità d’azione. E ciò è del tutto negativo, perché si nega alla famiglia di imprimere all’intervento quel carattere di flessibilità e prossimità che solo lei è in grado di garantire.
C’è infine anche un associazionismo familiare “di confine”, che caratterizza quelle organizzazioni che hanno una storia fatta di un associarsi individuale, spesso per un supporto solo esterno a finalità sociali molto generali, che tuttavia oggi si sono avvicinate ai grandi temi familiari e magari hanno dato vita al proprio interno ad ambiti e azioni di carattere strettamente familiare, o semplicemente – con la propria adesione a organismi di secondo livello quali il Forum delle associazioni familiari in Italia – sottoscrivono e appoggiano interventi di advocacy nei confronti delle famiglie e dei loro diritti.
Nel complesso, l’associazionismo familiare appare fondamentalmente come un luogo in cui può manifestarsi in modo compiuto la rilevanza sociale della famiglia: essa nasce dalla consapevolezza che le famiglie – impegnandosi in un’associazione familiare – acquisiscono circa la propria capacità di attivarsi per il proprio benessere e si sviluppa nella diffusione del codice familiare nell’ambito dei servizi alla persona. La peculiarità degli interventi realizzati dalle associazioni familiari ha, infatti, sicuramente contribuito al processo di rinnovamento dei sistemi di welfare, contrastando la cultura assistenzialistica e promuovendo quella della personalizzazione. La famiglia è il luogo privilegiato della cura della persona, è il luogo dove avviene la massima personalizzazione delle “prestazioni” e, dunque, il concetto di familiarizzazione, ancor più di quello di personalizzazione, diventa quello che maggiormente esprime la qualità specifica del modello che va affermandosi, nell’ambito del quale l’associazionismo familiare non può che rivestire un ruolo centrale.

(*):Elisabetta Carrà è professore associato di Sociologia generale presso la Facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, dove insegna Sociologia dei servizi alla persona e Sociologia generale. Collabora con il Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia.