martedì 17 gennaio 2012

Il Signore del Sabato

Di seguito il Vangelo di oggi, 17 gennaio, martedi della seconda settimana del T.O., con un commento e un testo di Benedetto XVI.




Per Israele, il Sabato era il giorno 
in cui tutti potevano partecipare al riposo di Dio, 
in cui uomo e animale, padrone e schiavo, 
grandi e piccoli erano uniti nella libertà di Dio. 
Così il Sabato era espressione dell’alleanza tra Dio e uomo e la creazione. 
Sì, l’alleanza è la ragione intrinseca della creazione 
come la creazione è il presupposto esteriore dell’alleanza.
Dio ha fatto il mondo, perché ci sia un luogo 
dove Egli possa comunicare il suo amore 
e dal quale la risposta d’amore ritorni a Lui. 
Davanti a Dio, il cuore dell’uomo che gli risponde 
è più grande e più importante dell’intero immenso cosmo materiale...

Benedetto XVI, Omelia nella Veglia Pasquale del 2011




Dal Vangelo secondo Marco 2,23-28.


In giorno di sabato Gesù passava per i campi di grano, e i discepoli, camminando, cominciarono a strappare le spighe. I farisei gli dissero: «Vedi, perché essi fanno di sabato quel che non è permesso?». Ma egli rispose loro: «Non avete mai letto che cosa fece Davide quando si trovò nel bisogno ed ebbe fame, lui e i suoi compagni? Come entrò nella casa di Dio, sotto il sommo sacerdote Abiatàr, e mangiò i pani dell'offerta, che soltanto ai sacerdoti è lecito mangiare, e ne diede anche ai suoi compagni?». E diceva loro: «Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato! Perciò il Figlio dell'uomo è signore anche del sabato».


IL COMMENTO



Il Figlio dell'Uomo è Signore del Sabato, il Signore delle nozze. E noi con Lui, nella libertà dei figli. La Scrittura disegna il rapporto tra Dio e l'uomo con i tratti gioiosi di un banchetto di nozze. Per Israele il sabato sono le nozze, e la gioia e il riposo ne costituiscono l'essenza. Nulla di più lontano da una religione fatta di precetti e divieti, di regole da applicare, di un tedioso dare ed avere tra la divinità e l'uomo. Spesso viviamo così i nostri rapporti matrimoniali, le nostre amicizie, le relazioni sul lavoro, anche quelle tra genitori e figli. Contratti che contemplino il rispetto e la giustizia, intesa però secondo la carne, stretta nell'angusto perimetro di leggi e codicilli, nel vano tentativo di fissare il tutto ad un precario equilibrio di coesistenze protette dallo scudo dei diritti e dei doveri. Buoni in sè, utili a non far straripare i fiumi ed il male; ma i precetti, inevitabilmente, restano confinati al di fuori del cuore.


Il cuore, da parte sua, quando è coinvolto emotivamente, si ritrova stretto nelle passioni, a volte travolgenti, che scambiamo per amore. Fallace il cuore dice la Scrittura, solo Dio può conoscerlo sino in fondo. Il Vangelo di oggi sconvolge questo malfermo sistema di leggi e cuore in tenzone, che dovrebbe garantire il buon esito della nostra vita. Le parole del Signore vanno diritte al centro del problema: il cuore. L'intimo dell'uomo, le sue stesse viscere. E' da lì che sgorgano i pensieri, le decisioni, gli atteggiamenti. E i peccati. Nessuna legge può nulla nei confronti del cuore. Essa è un pedagogo, un tentativo di arginare gli esiti del cuore malato, ma nulla più. I sacrifici, la fitta rete di prescrizioni che, superando la stessa Scrittura, i Farisei avevano teso a protezione della religione e della sua purezza, la giustizia umana basata sull'adempimento della Legge attraverso le proprie forze, il tentativo di accaparrarsi la giustificazione per mezzo delle opere, tutta questa trama di precetti che teleguidavano la vita, non ha condotto ad altro che ad una smisurata superbia gravida di giudizi e disprezzo. E al rifiuto di Cristo, sino alla sua crocifissione. Agli occhi orgogliosi e moralisti, quel Profeta galileo che scardinava le pseudo certezze di una religione ridotta a caricatura, appariva come un bestemmiatore. Sì, l'Autore stesso della Legge, che incarnandosi l'aveva resa accessibile e finalmente possibile da compiere, era condannato come colui che attentava alla sua divinità e sacralità. I farisei e i legalisti di ogni tempo si appropriano della Legge, la stravolgono e ne fanno uno strumento di potere. 


L’halakà concedeva di entrare nel campo a raccolto ultimato, dopo che i poveri avevano spigolato la loro parte secondo i dettami della Torah: «Quando è permesso a chiunque di spigolare? Quando l’ultimo povero se n’è andato» (Mishnah, Peah 8:1). I discepoli di Gesù non avevano infranto la Legge, al contrario: seguendo le orme del loro Maestro avevano raggiunto l'ultimo posto, i più poveri tra i più poveri, e per questo liberi davvero. Nulla da difendere, tutto da ricevere. Il discepolo è piccolo, indifeso, bisognoso di tutto, un segno di contraddizione, un interrogativo posto dinanzi al cuore di ogni uomo perchè sia svelato il cuore della Legge, il cuore stesso di Dio. Una parte dei farisei considerava anche lo spigolare dei poveri illecito nel giorno di sabato, anteponendo la lettera della Legge al suo spirito. Gesù e la sua comunità - la Chiesa - svelano il contenuto autentico della Legge, il sì di Dio all'uomo, il Sabato della vita più forte della quotidianità di morte che affama e getta nel bisogno le esistenze. La Legge, comprendendo ogni aspetto della vita dell'uomo per rivestirlo della santità di Dio, fa presente il Paradiso perduto, l'oggetto della nostalgia insopprimibile che punge il cuore di ogni uomo: "Dio ha fatto il mondo, perché ci sia un luogo dove Egli possa comunicare il suo amore e dal quale la risposta d’amore ritorni a Lui. Davanti a Dio, il cuore dell’uomo che gli risponde è più grande e più importante dell’intero immenso cosmo materiale..." (Benedetto XVI). La Legge doveva accogliere l'uomo per proteggerlo e, nel sabato, farlo risplendere come la "cosa molto buona" creata da Dio, la creatura cui donarsi perchè essa si doni a sua volta. La Legge era il luogo dell'Alleanza, ma i farisei con le loro interpretazioni restrittive l'avevano pervertita così da farne una barriera invalicabile che precludeva il riposo e la pace ai più poveri, ai deboli, agli affamati e ai bisognosi. Donata per proteggere e guidare nel cammino (halakà deriva dal verbo halak, “camminare”) verso l'intimità con Dio, la Legge era divenuta un impedimento e un inciampo. Come capita a noi quando recintiamo le nostre vite e quelle altrui di leggi figlie dei nostri criteri, che si tramutano ben presto in aguzzine violentatrici della libertà e dell'amore. 


Il Signore oggi ci mostra la libertà e la gioia d'essere figli, carne della stessa carne del Figlio di Dio. Era quello che mancava alla fredda ragione dei farisei, come ad ogni etica senza Spirito Santo. Occorreva una carne capace di compiere quello che la Legge disegnava e stabiliva: l'uomo nuovo libero dalla schiavitù del peccato. "Infatti ciò che era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente, Dio lo ha reso possibile: mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e in vista del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della legge si adempisse in noi, che non camminiamo secondo la carne ma secondo lo Spirito" (Rom. 8, 1 ss). Oggi il Signore ci mostra le delizie del banchetto di nozze a cui ci chiama instancabilmente. Le nozze della misericordia, l'amore che ha sempre la meglio nel giudizio. Il suo amore che ci strappa dai lacci della Legge, dalla maledizione che pesa su chi, aspettando da essa la salvezza, non la compie divenendone trasgressore colpevole. La sua misericordia che ci introduce nel suo Regno, dove con Lui siamo sacerdoti, re, profeti, liberi di mangiare dei pani di vita preparati per l'offerta rituale. In Cristo siamo condotti al cuore della Legge, per poterla vivere nella sua autenticità, come ne fossimo anche noi gli autori. La Legge non è più qualcosa di esterno all'uomo, ma sgorga come vita, dal suo cuore nel quale vi è stato riversato l'amore di Dio per mezzo dello Spirito Santo.


La nostra vita impregnata del Suo amore diviene una liturgia, dove ogni rapporto sgorga da un cuore sanato, capace di amore e di misericordia. L'amore è la cifra del Sabato, del Riposo, del Cielo. Il Signore Gesù è lo Sposo che scende a cercare l'amata per donarle se stesso e raccogliere i frutti a Lui destinati, la sua Grazia fatta carne, parole e opere vive in Colei che gli ha rapito il cuore: "Sono venuto nel mio giardino, sorella mia, sposa, e raccolgo la mia mirra e il mio balsamo; mangio il mio favo e il mio miele, bevo il mio vino e il mio latte. Mangiate, amici, bevete; inebriatevi, o cari" (Ct. 5,1). L'amore muove Cristo e così i suoi discepoli, in una dinamica che supera le ottusità e gli schemi moralistici per vivere in semplicità e letizia. La fame e il bisogno di pace, di pienezza, di verità trovano nella libertà di Gesù la fonte cui attingere e inebriarsi, l'alimento di cui mangiare e saziarsi. La fame e il bisogno di Davide in fuga da Saul, altro non erano che la fame e il bisogno di ciascuno di noi perseguitati dalla gelosia e dalla schiavitù di rapporti malsani, carnali, appiattiti sui criteri mondani. In Cristo la fuga dal mondo trova il porto sospirato, il suo campo di grano dove camminare e raccogliere i frutti di una vita rinnovata nell'amore vero, libero, capace di donarsi e ricevere senza spesa, sforzi o alchimie stressanti e inappaganti: "Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Ora invece, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, voi raccogliete il frutto che vi porta alla santificazione e come destino avete la vita eterna" (Rom. 6, 4ss).


Chi ama è cittadino del Sabato, le nozze sono compiute, è passato all'altra riva, vive sulla sponda dove la Legge e i sacrifici sono compiuti nell'amore, perchè è la vita intera ad essere donata nella misericordia. Il Padre non vuole sacrificio ed olocausto, ci ha preparato un corpo. La nostra vita, le ore che ci attendono, gli eventi che ci vengono incontro. I luoghi e i tempi della misericordia nei quali vivere e sfamarsi delle spighe mature fatte pane di vita nel corpo del Signore donato per noi. Misericordia per misericordia, e la vita come il campo di Dio dove ogni uomo possa incontrare il cibo di vita capace di saziare, di infondere pace, verità e giustizia anche all'esistenza più difficile. Il Signore è libertà, gioia e amore, tutto quello che, solo, può colmare la nostra fame e il nostro bisogno.  




Benedetto XVI. Il sabato

Omelia nella Veglia Pasquale del 2011

Per Israele, il Sabato era il giorno in cui tutti potevano partecipare al riposo di Dio, in cui uomo e animale, padrone e schiavo, grandi e piccoli erano uniti nella libertà di Dio. Così il Sabato era espressione dell’alleanza tra Dio e uomo e la creazione. In questo modo, la comunione tra Dio e uomo non appare come qualcosa di aggiunto, instaurato successivamente in un mondo la cui creazione era già terminata. L’alleanza, la comunione tra Dio e l’uomo, è predisposta nel più profondo della creazione. Sì, l’alleanza è la ragione intrinseca della creazione come la creazione è il presupposto esteriore dell’alleanza. Dio ha fatto il mondo, perché ci sia un luogo dove Egli possa comunicare il suo amore e dal quale la risposta d’amore ritorni a Lui. Davanti a Dio, il cuore dell’uomo che gli risponde è più grande e più importante dell’intero immenso cosmo materiale che, certamente, ci lascia intravedere qualcosa della grandezza di Dio. A Pasqua e dall’esperienza pasquale dei cristiani, però, dobbiamo ora fare ancora un ulteriore passo. Il Sabato è il settimo giorno della settimana. Dopo sei giorni, in cui l’uomo partecipa, in un certo senso, al lavoro della creazione di Dio, il Sabato è il giorno del riposo. Ma nella Chiesa nascente è successo qualcosa di inaudito: al posto del Sabato, del settimo giorno, subentra il primo giorno. Come giorno dell’assemblea liturgica, esso è il giorno dell’incontro con Dio mediante Gesù Cristo, il quale nel primo giorno, la Domenica, ha incontrato i suoi come Risorto dopo che essi avevano trovato vuoto il sepolcro. La struttura della settimana è ora capovolta. Essa non è più diretta verso il settimo giorno, per partecipare in esso al riposo di Dio. Essa inizia con il primo giorno come giorno dell’incontro con il Risorto. Questo incontro avviene sempre nuovamente nella celebrazione dell’Eucaristia, in cui il Signore entra di nuovo in mezzo ai suoi e si dona a loro, si lascia, per così dire, toccare da loro, si mette a tavola con loro. Questo cambiamento è un fatto straordinario, se si considera che il Sabato, il settimo giorno come giorno dell’incontro con Dio, è profondamente radicato nell’Antico Testamento. Se teniamo presente quanto il corso dal lavoro verso il giorno del riposo corrisponda anche ad una logica naturale, la drammaticità di tale svolta diventa ancora più evidente. Questo processo rivoluzionario, che si è verificato subito all’inizio dello sviluppo della Chiesa, è spiegabile soltanto col fatto che in tale giorno era successo qualcosa di inaudito. Il primo giorno della settimana era il terzo giorno dopo la morte di Gesù. Era il giorno in cui Egli si era mostrato ai suoi come il Risorto. Questo incontro, infatti, aveva in sé qualcosa di sconvolgente. Il mondo era cambiato. Colui che era morto viveva di una vita, che non era più minacciata da alcuna morte. Si era inaugurata una nuova forma di vita, una nuova dimensione della creazione. Il primo giorno, secondo il racconto della Genesi, è il giorno in cui prende inizio la creazione. Ora esso era diventato in un modo nuovo il giorno della creazione, era diventato il giorno della nuova creazione. Noi celebriamo il primo giorno. Con ciò celebriamo Dio, il Creatore, e la sua creazione. Sì, credo in Dio, Creatore del cielo e della terra. E celebriamo il Dio che si è fatto uomo, ha patito, è morto ed è stato sepolto ed è risorto. Celebriamo la vittoria definitiva del Creatore e della sua creazione. Celebriamo questo giorno come origine e, al tempo stesso, come meta della nostra vita. Lo celebriamo perché ora, grazie al Risorto, vale in modo definitivo che la ragione è più forte dell’irrazionalità, la verità più forte della menzogna, l’amore più forte della morte. Celebriamo il primo giorno, perché sappiamo che la linea oscura che attraversa la creazione non rimane per sempre. Lo celebriamo, perché sappiamo che ora vale definitivamente ciò che è detto alla fine del racconto della creazione: "Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona" (Gen 1,31). Amen.