In questi giorni di polemica per la pièce "Sul concetto del Volto nel Figlio di Dio" di Romeo Castellucci, propongo la lettura di questa leggenda...
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Sotto la dominazione normanna,
all'inizio del secondo millennio, viveva in Sicilia un monaco di nome
Epifanio. Faceva parte di quel movimento italo-greco, originato dalla
fuga di monaci orientali dai monasteri di Siria, di Egitto e di Grecia, a
causa delie invasioni persiane e arabe prima e della persecurione
iconoclasta più tardi.
Forse solo
per talento naturale, o forse perché educato al culto delle immagini e
all'uso dei segni, Epifanio era quasi giunto alla maturità coltivando un
desiderio. Voleva dipingere una tavola, con un grande Cristo, che
esprimesse di lui tutto: la divinità e l'umanità , il mistero e la sua
manifestazione. A volte il santo monaco si esaltava a fantasticare come
sarebbe stata la sua tavola: ne vedeva i colorì, immaginava i lineamenti
del volto di Cristo, maestosi, da Pantocratore, ma anche dolci, da
amico. Altre volte, invece, cadeva in profondi scoramenti, perché
giudicava presuntuoso quel sogno e perché pensava che mai avrebbe potuto
trovare un modello per il Cristo.
Ma
il Cristo continuava a delincarsi, a disfarsi e a ricompotsi dentro il
suo animo. Spesso lo dipingeva con la fantasia e poi si inginocchiava a
pregarlo e passava così lunghe ore nella cella, sperando che Cristo
stesso gli ispirasse qualcosa e, ingenuamente, gli prometteva che lui,
il monaco Epifanio, avrebbe fatto accorrere attorno a quella tavola
tanti uomini e donne e bambini e che si sarebbero convertiti
all'osservanza dei suoi precetti, all'amore per il prossimo e alla
fedeltà verso la santa Chiesa. Purché lui, il Cristo, gli facesse la
grazia.
Un giorno il monaco
Epifanio venne chiamato dal vecchio superiore, il quale lo accolse con
benevolenza, si interessò alla salute della sua anima e del suo corpo e
poi gli disse: «Figliolo, ascoltami bene, perché ora ti parlo a nome di
Dio, come padre e responsabile del tuo cammino di perfezione. Io so che
tu sei già avanti nell'ascesa verso il santo monte del Signore. So anche
che nascondi nel segreto del tuo animo un grande disegno. Il nostro
Signore Gesù ama manifestarsi agli uomini attraverso vie misteriose,
usando tanti mezzi, e poteri, e segni. Ma sui cammini di Dio sono sempre
gli uomini a portare l'Annuncio, perché fu lui un giorno a dire: andate
e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del
Figlio e dello Spirito Santo. Io sarò con voi.
Lo diceva a uomini, che avevano ciascuno un volto, una voce, un cuore diversi.
Ebbene,
dopo aver tanto meditato, e pregato e chiesto illuminazione, sono
giunto a un discernimento, che io ritengo conforme ai piani di Dio e
utile alla tua anima.
Poiché tu
hai il dono dell'arte, questa è la tua voce e il Signore vuole che tu
percorra il cammino, annunciando la salvezza con le immagini che
riuscirai a dipingere. Lo farai con la grazia di Dio. che io invocherò
ogni giorno. Va dunque in pace e compi questa missione».
Dopo
aver pronunciato tali parole, il vecchio fece inginocchiare Epifanio,
gli impose le mani in segno di benedizione è lo salutò con il segno
della pace.
Cominciò dunque
Epifanio il lungo pellegrinaggio, del quale non conosceva la meta, ma
bensì lo scopo: doveva trovare un modello per dipingere il Cristo.
Senza
portare nulla con sé, fedele al comando evangelico, si mise in viaggio
verso Nord, vivendo di carità e fermandosi in tutti i villaggi e le
città , facendo di tanto in tanto anche piccoli lavori manuali e
mescolandosi alla gente nei mercati, nelle piazze, attorno ai castelli,
nei campi e nelle feste, ovunque potesse trovare il possibile volto di
Cristo.
Passarono così giorni,
mesi, anni, senza che Epifanìo riuscisse a trovare quello che cercava.
Qualche volta gli era sembrato di scoprire il modello e aveva iniziato a
dipingere. Ma poi si era fermato e aveva distrutto la tavola coperta
dai primi segni, o già dai primi colori. Si accorgeva che mancava sempre
qualcosa al modello: o era troppo umano, o troppo angelico, o femmineo o
rude o banale.
Attraversò
momenti di scoraggiamelo durante i quali avrebbe senza dubbio rinunciato
al progetto, se il ricordo delle parole del superiore — che del resto
Epifanio aveva accolto come parola di Dio — non lo avesse sostenuto e
spronato.
Un giorno Epifanio
riflettè sul fatto che spesso gli accadeva di scorgere in un volto
qualcosa, magari solo un particolare che corrispondeva al modello
immaginato. Ma tutto il resto non era adatto a completare il dipinto. Fu
questa, per il monaco, una grande illuminazione. Ecco come avrebbe
potuto condurre a termine l'impresa: cercando in tanti volti diversi le
parti che avrebbero composto il suo Cristo.
Da quel giorno mutò il modo di guardare la gente, perché andava cercando soltanto i particolari del modello.
Quando
avvenne tale cambiamento si trovava all'incirca nella campagna attorno a
Roma e decise di continuare il viaggio verso Nord, sempre fermandosi in
tutti i luoghi dove fosse stato possibile incontrare uomini e donne di
ogni specie.
A poco a poco Epifanio riprese coraggio e cominciò a tracciare i primi segni sulla tavola.
Incontrò la gioia in una fanciulla che cantava, chissà ? forse pensando all'innamorato.
Incontrò la forza in un contadino che trasportava pesanti sacchi di grano.
Scoprì la solennità nel volto di un vescovo che celebrava il pontificale, circondato da preti, da monaci e da umili fedeli.
Ritrasse la malinconia dagli occhi rassegnati di una povera prostituta.
Contemplò il segno della presenza di Dio sulla faccia implorante di un mendicante.
La bontà gli si rivelò nell'atteggiamento di un prete che assisteva un ammalato;
la sofferenza dagli occhi di questi.
Poi
scopri la severità in un monaco che predicava la penitenza; e la
giustizia in un saggio principe ornato dai sudditi. Una donna che
allattava la creatura gli ispirò la tenerezza; un ladro inseguito dalle
guardie la paura.
Lesse nel
pianto di una madre che accompagnava il figlio alla sepoltura, un dolore
immenso, vicino alla disperazione. Mentre l'allegria sprigionava dal
canto di un giullare e la misericordia dalla mano benedicente di un
vecchio confessore. Epifanio raccolse tanti altri particolari del
modello; li mescolava, li sovrapponeva, li completava l'uno con l'altro e
infine li traduceva in segni e colori, cercando in ognuno anche la
forma esteriore degli occhi, della fronte, dei capelli, del collo, delle
mani. Il Cristo andava prendendo sempre più consistenza, ma il monaco
non ne era ancora contento. Gli sembrava che mancasse qualcosa,
nonostante i lunghi anni trascorsi a cercare, a dipingere, magari solo
un breve tratto di pennello, per aspettare poi ancora giorni e giorni e
riprendere improvvisamente, in seguito a un fortunato incontro. Che cosa
mancava al suo Cristo?
Aveva
intanto raggiunto la valle del Po e un giorno stava riposandosi, seduto
ai margini di un prato, quando sentì il suono di un campanello che gli
annunciava, come era prescritto, l'avvicinarsi di un lebbroso.
Sentì
un brivido attraversargli tutto il corpo, ma non si mosse, sia perché
era molto stanco e sia perché non gli sembrava caritatevole fuggire
davanti a un fratello sventurato, tanto più che il lebbroso sapeva che
non avrebbe potuto superare la distanza prescritta.
Infatti
il lebbroso si fermò appena lo vide e gli parlò: «Non avresti un pezzo
di pane, anche duro, giacché non mangio da diversi giorni, fratello?».
Aveva il volto coperto dalle bende e da un velo e la sua voce si diffondeva come se giungesse da un luogo invisibile.
«Certo
che te lo posso dare un pezzo di pane, fratello mio. Te Io lascerò qui
accanto, perché tu lo possa raccogliere. Ma dimmi, chi sei tu, che mi
sembri parlare con una voce nobile e dolce? ».
«
Che importa dirti il mio nome. Vedo che hai dipinto un'immagine di
Cristo. Dovresti sapere, fratello, che lui ha detto di essere in
ciascuno di noi che soffriamo. Dunque questo io sono: il Cristo che tu
dipingi».
Epifanio fu turbato
dalle parole del lebbroso e, dopo aver deposto il pezzo di pane,
raccolse la bisaccia, la tavola e il bordone, salutò lo sconosciuto e
riprese il cammino.
Poco lontano
si fermò e diede alcuni tocchi di pennello sulla tavola dipinta. Ecco
che cosa mancava a quel volto: il mistero del Cristo velato anche dopo
la sua manifestazione. La tavola era, così, completata e il monaco
cercava un luogo dove fermarsi per sempre, lui e il suo Cristo, giacché
era diventato ormai molto vecchio e doveva prepararsi a morire.
Trovò
un prato in mezzo a un bosco; depose la tavola sotto una grande
quercia, nel cui tronco si era formata una specie di grotta naturale.
Quando il tempo era bello stava nel prato a pregare e a meditare; quando
pioveva o il vento lo flagellava, si nascondeva dentro la quercia.
Ma
la gente del villaggio vicino si accorse dell'arrivo di quel monaco che
aveva portato una grande tavola con il Cristo raffigurato e
cominciarono a venire uomini, donne e bambini a offrire doni al santo
monaco e a pregare davanti al Cristo.
I
romei aumentarono sempre più, finché divennero una discreta folla.
Passarono altri anni e il Signore concedeva ancora lunga vita al vecchio
Epifanio. La devozione al Cristo era tanto aumentata che gli uomini
avevano costruito attorno al dipinto una chiesa e poi alcuni di loro
avevano voluto rimanere sempre col monaco e farsi essi stessi monaci e
allora costruirono anche un monastero. Un giorno Epifanio chiamò i
fratelli e raccontò loro la storia del suo Cristo e così concluse: «
Poiché io ho conservato di ciascuno dei miei modelli il nome e il luogo
dove li ho incontrati, vi domando la grazia di andarli a cercare, quelli
che ancora troverete vivi e di portarli qui affinchè vedano come il
Signore si sia servito di loro per dare agli uomini la grazia ». I
monaci andarono e con gran fatica e dopo lungo cercare, tornarono
portando quegli uomini e quelle donne che avevano trovato ancor vivi.
Quando
furono tutti davanti al Cristo, ciascuno cominciò a riconoscersi
nell'immagine e prima ne furono contenti, ma poi cominciarono a
litigare, perché ognuno sosteneva che il Cristo fosse solo la copia di
se stesso. La gente che aveva costruito il santuario, invece, fu presa
da molta delusione, perché diceva: ma allora quello non è il volto di
Gesù Cristo, bensì di questi uomini e donne, che ora sono vecchi e
brutti e anche cattivi: infatti litigano tra loro e non si amano come
comanda il Vangelo.
La chiesa di
pietra e di calce risuonava di grida, di imprecazioni, mentre di solito
non si sentivano che le preghiere dei fedeli e i canti dei monaci.
Il
vecchio Epifanio allora si alzò lentamente dal centro del coro dove si
trovava e appoggiato ritto al bordone, appena si fece un gran silenzio,
cominciò a parlare: « Figlioli miei, sono venuti qui oggi a venerare il
volto di Cristo, coloro che hanno contribuito a dipingerlo: donne,
uomini, vescovi, preti, monaci, prìncipi, ladri e prostitute. Ma nessuno
di voi è uguale al Cristo. È Cristo che è simile a tutti voi, allo
stesso modo che un giorno decise di farsi uomo, senza cessare di essere
Dio e come ogni volta che si fa cibo consacrando il pane formato da
tanti chicchi di grano. Questo volto di Cristo non sarebbe mai stato
compiuto, se un giorno non avessi incontrato un santo romeo dal volto
velato, che ora non è in mezzo a voi. Egli mi disse: "io sono il
Cristo". Quel giorno il mio Cristo fu compiuto, perché mi fu ispirato il
mistero che nessuno di voi mi avrebbe potuto rivelare. Il mistero è
questo: non cercate mai nel Cristo il volto di un solo uomo, ma cercate
in ogni uomo il volto di Cristo.
E ora andate e annunciate il Mistero, perché tutti gli uomini possano scoprire il Volto».
Da
quel giorno si incontrano sempre, in qualche parte del mondo, uomini e
donne che svelano il mistero del santo monaco Epifanio.