mercoledì 25 gennaio 2012

Se capire è impossibile, conoscere è necessario


Così Primo Levi. E Mario Monti questa mattina in Senato ha detto: "Preferirei che ci fosse il riferimento alle radici giudaico-cristiane nella Costituzione dell'Unione Europea".  Alla vigilia (il prossimo 27 gennaio) del giorno della memoria...
Per celebrare la prossima ricorrenza propongo il testo seguente,  tratto dal volume di  Aryeh Kaplan, «Le acque dell'Eden», Appendice I, a cura di Giuseppe Gennarini, Roma, Edizione Dehoniane, 1996











È noto che i rapporti tra la Chiesa primitiva e la Sinagoga nei primi secoli non sono quelli di due religioni separate.
In realtà i cristiani non solo continuano a sentirsi appartenenti a Israele, ma in molte città sono in grande maggioranza ebrei. Questo è vero in particolare per due città, Gerusalemme e Roma, dove fino al secondo secolo avanzato la maggior parte della comunità è costituito da ebrei.
Svetonio racconta che la predicazione di Cristo era causa di tumulti all'interno della comunità ebraica di Roma, creando una situazione che portò l'imperatore Claudio ad espellerli da Roma(1).
Tacito - raccontando la persecuzione di Nerone - descrive i cristiani arrestati come una ingens multitudo(2) . Non vi sono dubbi che di questa ingente moltitudine la gran parte erano ebrei. La stessa Lettera ai Romani, con l'insistenza sul tema degli ebrei, si situa nel contesto di una comunità in cui l'elemento ebraico aveva un peso sostanziale(3).
Lo stesso si può dire con certezza per Gerusalemme. Sicuramente fino al martirio del vescovo Simeone nel 107, ma probabilmente fino alla rivolta di Bar Kokba nel 132, la gran parte della comunità è formata da ebrei. Eusebio scrive che « moltissimi erano passati dalla circoncisione alla fede in Cristo»(4)
Il grande numero di ebrei convertiti al cristianesimo può anche essere dedotto da alcune semplici considerazioni demografiche. Se si calcola che il numero degli abitanti dell'impero romano ai tempi di Augusto era intorno agli 80 milioni, i demografi concordano nel ritenere che gli ebrei - della diaspora e non - costituivano circa il 10% della popolazione dell'impero, assommando press'a poco a otto milioni(5): una cifra per quei tempi considerevolissima, che corrisponderebbe oggi a circa 80 milioni!(6). Poiché - a parte le stragi di Tito e quelle occasionate dalla rivolta di Bar Kokba - non si registra, fino alle crociate, nessun consistente moto persecutorio, un fattore del radicale ridimensionamento del popolo d'Israele è certamente stato quello delle conversioni al cristianesimo. A conferma di questo fatto, alla fine del primo secolo le maggiori comunità cristiane si trovano proprio nelle città con le più alte concentrazioni di ebrei: Antiochia, Alessandria, Roma, Pergamo, Smirne, Efeso, Sardi, Laodicea, Corinto e Filippi.(7)
I rapporti tra ebrei e cristiani erano così profondi che anche nei primi secoli dell'era cristiana - senza considerare i gruppi giudeo-cristiani o ebioniti - molteplici furono i legami che continuarono a sussistere tra di essi.
Molti dei Padri della Chiesa vanno a studiare presso dei rabbini, e ancora alla fine del IV secolo san Girolamo studierà esegesi biblica dal rabbino Bar Chanina(8).
Nel IV secolo la comunità africana di Oea fece arbitrare una disputa biblica dai rabbini del luogo(9). Parecchio tempo prima Giustino aveva scritto un'opera, il Dialogo con Trifone, in cui dialoga con un rabbino: una figura probabilmente fittizia, ma che rispecchia concrete esperienze e una lunga consuetudine dell'autore con l'ambiente ebraico.
Molto presto da parte giudaica si cercherà in tutti i modi di tagliare i ponti con il cristianesimo, estirpando la predicazione cristiana e i cristiani dal corpo d'Israele. Secondo Giustino (Dial. 17,1) i giudei presero « uomini scelti in Gerusalemme e li inviarono per tutta la terra a dire che era apparsa una setta eretica ed empia, quella dei cristiani, e a recitare la lista delle accuse che adesso tutti ripetono contro di noi »(10). Secondo i Padri della Chiesa i giudei maledicevano i cristiani sia in generale sia durante i servizi sinagogali(11).
Poiché i rabbini hanno cercato di nascondere le tracce di anticristianesimo(12), trovare testimonianza di quest'atteggiamento di ostilità verso il cristianesimo da parte ebraica non è facile: qualsiasi allusione o discussione di eresia può infatti riferirsi al cristianesimo.
Nonostante la scarsità di testimonianze, è tuttavia possibile dimostrare che le sfere dirigenti della comunità giudaica percepirono il rischio che la predicazione di Gesù come Messia fosse accolta dalla maggioranza del popolo ebreo, e adottarono quindi misure di così grande portata, da modificare radicalmente la religione giudaica. Non si trattava infatti di estirpare un corpo estraneo, ma di creare una nuova sintesi che escludesse dall'ebraismo ogni elemento liturgico, scritturale o teologico che potesse esser letto in chiave cristiana.

L'ASSEMBLEA DI YAVNE E L'AMIDAH

L'esempio più noto e documentabile del fatto che il cristianesimo fosse percepito come una minaccia radicale, si trova nella maledizione contro i cristiani introdotta nella Amidah verso la fine del primo secolo: per capire l'eccezionale importanza di questa nuova preghiera, basta ricordare che essa viene tuttora recitata quotidianamente tre volte al giorno; durante il sabbath e detta quattro volte e in occasione dello Yom Kippur addirittura cinque. Eccone il testo:
«Che gli apostati (calunniatori) non abbiano alcuna speranza e che l'impero dell'orgoglio sia sradicato prontamente, ai nostri giorni. Che i Nazareni e i Minim periscano in un istante, che siano cancellati dal libro della vita e non siano contati tra i giusti (Birkat Minim) ».
«Calunniatori » (Malshinim), era un epiteto diretto ai giudei convertiti al cristianesimo. In origine la parola era Meshmadim, « apostati », cioè gli ebrei battezzati. I testi più antichi identificano i nemici come Notzrim, « nazareni », termine che poi venne eliminato(13). Secondo la letteratura rabbinica, Gamaliele II istruì Samuele il Piccolo a comporre questa preghiera, che avrebbe obbligato al silenzio tutti i settari. Infatti, durante il primo secolo, fino all'introduzione della Birkat Minim, numerosi gruppi di cristiani continuavano a frequentare le feste ebraiche e la preghiera sinagogale. Secondo le testimonianze rabbiniche più antiche, i Minim appaiono mescolati alle comunità ebraiche ortodosse(14). L'iniziativa della rottura partì dai rabbini proprio con la Birkat Minim, che di fatto scomunicò i cristiani dal culto giudaico. Con questa maledizione, infatti, i cristiani erano costretti a palesare la loro fede. Ecco l'istruzione che il Talmud dà in proposito.
«Se qualcuno fa uno sbaglio recitando una preghiera, lo si lascerà continuare, ma se fa uno sbaglio recitando la Birkat Minim, lo si richiamerà al suo posto, perché significa che è un Min » (Berakoth 28b).
In pratica si trattava di un test, che di fatto, permise di epurare i cristiani, i quali - a quanto sembra - non volevano staccarsi dalla Sinagoga(15)
Questa operazione volta ad estirpare dal corpo dell'ebraismo ogni elemento cristiano - teologico, ma anche e soprattutto le persone concrete - si può situare storicamente: essa si svolse nel corso dell'Assemblea di Yavne, riunitasi a partire dal 70 d.C., fino al 132. Dopo la caduta di Gerusalemme, infatti, il Sinedrio si ricostituì a Yavne, sotto la presidenza, prima di rabban Jonathan e poi di rabban Gamaliele II.

Così Neusner definisce la rivoluzione apportata in quel tempo:
«Gli anni formativi del giudaismo rabbinico videro un piccolo gruppo di uomini che non erano dominati da un unico leader, ma che attuarono una radicale rivoluzione con estreme conseguenze nella vita della nazione ebraica »(16)
Non è difficile cogliere l'importanza di Yavne per la storia del giudaismo: ad esempio, vi fu redatto il canone definitivo della Scrittura; tra l'altro ne fu escluso il libro del Siracide, che aveva moltissime risonanze cristiane ed era uno dei più citati nei Vangeli. Tra le altre decisioni fondamentali di Yavne ci fu la formulazione dell'Amidah con la scomunica dei cristiani.
L'assemblea venne sciolta dopo la sconfitta di Bar Kokba e non venne più ricostituita.

LE ALTERAZIONI LITURGICHE
Numerose e ben documentate sono le tracce delle alterazioni apportate dai rabbini, durante i primi secoli dell'era cristiana, alla liturgia sinagogale per differenziarla dalla liturgia cristiana.
Secondo Tzvee Zahavy(17) « la tradizione rabbinica riporta aspetti di quelle che devono essere state amare e lunghe battaglie su compromessi liturgici ». Così ad esempio, secondo il Tamud Palestinese(18), chi conduceva il servizio nella sinagoga evitava di recitare le preghiere che menzionavano la risurrezione o la ricostruzione del Tempio: erano questi, infatti, temi centrali del cristianesimo.
Ludwig Venetianer(19) analizza il lezionario cristiano e quello ebraico pretalmudico, dimostrando come il primo sia un calco preciso di quello sinagogale pretalmudico; successivamente - durante i primi due o tre secoli dell'era cristiana - gli sforzi anticristiani degli apologisti giudei crearono un nuovo lezionario ebraico, diverso dall'antico. Il Venetianer conclude:
«La Chiesa cattolica ha dunque preservato in modo più puro la liturgia della comunità giudaica primitiva ».
Anche il Werner ha analizzato il lezionario sinagogale, dimostrando come la Sinagoga abbia cambiato le letture dello Yom Kippur per distinguersi dal cristianesimo e come il lezionario cristiano si possa definire una pseudo-morfosi del giudaico(20).

Sofia Cavalletti(21) cita l'esempio della Pentecoste, che originariamente era una festa agricola; la celebrazione sinagogale glissa sul dono delle primizie per centrare esclusivamente sulla Legge il significato della festa, al preciso scopo di differenziarsi dalla Chiesa, che invece conservava l'aspetto agricolo(22). Conclude la Cavalletti:
La Chiesa conservava la più genuina tradizione ebraica ».
Le Déaut(23) riporta il caso della lettura del sacrificio d'Isacco, che nei primi tre secoli cristiani continuò a far parte del servizio sinagogale per la celebrazione della Pasqua, e solo più tardi fu trasferito al ciclo autunnale. Come per la Pentecoste, anche qui la Chiesa conservò la tradizione più antica proclamando a Pasqua la pericope della Genesi sul sacrificio di Isacco, mentre la Sinagoga modificò, per ragioni polemiche, il suo lezionario: era troppo evidente, infatti, il parallelo tra Cristo e l'Akedah d'Isacco, e sembrava portar acqua al mulino dell'interpretazione cristiana dell'Antico Testamento(24).

Un altro esempio di grande rilevanza fu l'eliminazione della recita del Decalogo nella preghiera quotidiana(25). La Mishnah ci informa d'un tempo in cui la recita dello Shema era preceduta da quella del Decalogo. Perché successivamente quest'ultimo fu espunto dal servizio liturgico? Il Talmud spiega:
«... affinché i Minim non potessero affermare che soltanto questi comandamenti furono dati a Mose sul Sinai ».

Questo accenno ai Minim si riferirebbe ai cristiani, che non si sentivano più obbligati dal secondo codice dell'Alleanza - di carattere soprattutto rituale - e dalla Torah orale dei rabbini. Questi perciò rimpiazzarono il Decalogo con una preghiera in cui si dichiara che Dio amò a tal punto Israele da dargli tutta la Torah, e non solo il Decalogo.
Nel corso dei secoli, poi, la Sinagoga si dotò di inni specificamente anticristiani, i Piyyutim. Famoso, fra i tardi innografi, sarà Yannai nel VI secolo. In un suo Piyyut egli afferma che i cristiani venerano un Dio morto piuttosto che il Dio vivente. Il Piyyut più fortemente anticristiano venne incorporato nella liturgia dello Yom Kippur. Era intitolato: Chi non ti teme, tu che sei il Dio dei gentili?; Gesù vi è presentato come il figlio d'una prostituta.
I rabbini non si limitarono a cambiare le lezioni, ma si videro costretti, nel perseguire il differenziamento, a cambiare perfino i gesti della liturgia. La Jewish Encyclopedia riporta due casi, l'unzione del sacerdote e l'ordinazione del rabbino(26).
Secondo l'antica tradizione rabbinica (Hor 12a; Ker 5b) i re ricevevano un'unzione in forma di corona: erano unti tutt'intorno alla testa. Il gran sacerdote, invece, veniva unto nella forma d'una chi greca (χ, Χ); in altre parole, nell'unzione del sacerdote(27) l'olio era versato prima sulla testa e poi sulla fronte(28). Secondo la Jewish Encyclopedia è probabile che - in opposizione alla croce cristiana - gli interpreti giudei adottarono la forma del kaph ebraico (
×›) al posto del chi, che a sua volta aveva preso quello dell'originario tau (Ï€) di Ezechiele (9.14).
L'altro caso e quello dell'ordinazione dei rabbini, indicata in tempi pretalmudici con la parola Semikah, che vuol dire « imposizione delle mani »(29), una cerimonia basata su Nm 27,20; 22-23 e Dt 34,9. Il rito dell'imposizione delle mani venne abolito dopo la rivolta di Bar Kokba. Tra le cause che probabilmente hanno contribuito all'abolizione sta il fatto che l'imposizione delle mani - quale mezzo di conferimento dell'ufficio di maestro - era stata adottata dai cristiani(30). L'uso era infatti divenuto un'istituzione cristiana verso la metà del secondo secolo, e questo fatto può aver indotto i giudei della Palestina ad abbandonarlo. Venne cambiata anche la denominazione: a Semikah o Semikuta venne preferito il termine Minnuy (istituzione, incarico).


LA SALVEZZA MESSIANICA SOSTITUITA DALLA SANTIFICAZIONE PER MEZZO DELLE OPERE
Oltre ai cambiamenti apportati al lezionario e in alcuni gesti liturgici, il confronto con il cristianesimo indusse i rabbini ad amputare l'ebraismo di alcune componenti fino allora essenziali o ad occultarle alle masse e a reinterpretarle.
Poiché la distinzione tra i giudei e i giodeocristiani era ancora incompleta, l'ebraismo uscì profondamente modificato dal confronto, mentre il cristianesimo conservò aspetti dell'antico giudaismo.
Scrive il Kaplan, riferendosi alla tradizione mistica del giudaismo prediasporico(31):
«Tutto questo cambio con la diaspora, che disperse i giudei in tutto il mondo. Si comprese che, se le masse fossero rimaste implicate nel misticismo profetico, le tentazioni che le avessero attratte all'idolatria le avrebbero in definitiva alienate dalla Torah. Gruppi isolati e sparsi sarebbero stati facile preda di falsi maestri e false esperienze. Perciò, intorno a questo tempo, le più avanzate forme di meditazione furono nascoste alle masse e divennero parte di un insegnamento segreto. Ora, soltanto gli individui più qualificati avrebbero partecipato dei segreti della meditazione profetica avanzata... (Dopo la costruzione del secondo Tempio) la dirigenza giudaica prese una decisione molto difficile. I benefici del coinvolgimento delle masse, nelle forme più sublimi di meditazione, furono valutati in base al confronto coi pericoli che ne potevano scaturire. Sebbene la nazione potesse scadere in fatto di spiritualità, in forza d'una decisione negativa avrebbe potuto almeno sopravvivere. Quindi la disciplina del carro di Ezechiele dovette esser ridotta a dottrina segreta, insegnata solo a individui selezionati. La Grande Assemblea - cioè la prima dirigenza giudaica nella seconda repubblica - decretò in questi termini: "La disciplina del carro può essere insegnata soltanto a studenti, individualmente (a uno per volta), ed essi devono essere saggi". La Grande Assemblea si rese altresì conto che la popolazione aveva bisogno d'una disciplina meditativa... comune a tutta la nazione giudaica, che sarebbe servita a unire tutto il popolo. Questa disciplina fu l'Amidah con le sue diciotto sezioni »(32).
Per disciplina del carro s'intendono tutte le speculazioni che muovevano dalla visione ezechielica della Merkabah (il carro) e della Shekinah (la gloria di Dio) per arrivare alla misteriosa figura dalle sembianze umane, il Messia.
L'idea messianica - che poteva o accreditare il cristianesimo o costituire una miscela esplosiva per il popolo, come era stato con la rivolta di Bar Kokba - venne quindi reinterpretata o eliminata(33).
Un esempio di questa messa in ombra della figura del Messia in funzione anticristiana e la Haggadah di Pasqua. Ne venne espunta qualsiasi menzione di Mosè. Nel giudaismo ellenistico della diaspora la figura di Mosè aveva assunto un carattere fortemente messianico, quasi divino. Perciò i rabbini cancellarono ogni riferimento a Mosè e trasformarono la Pasqua nel racconto del diretto intervento di Dio. Una revisione di questo tipo fu operata in tutte le celebrazioni ebraiche più importanti(34)
Secondo Giustino(35) i giudei della sua epoca si erano allontanati dall'interpretazione messianica tradizionale di certi testi e s'ingegnavano, in reazione contro i cristiani, a trovare altre applicazioni possibili(36)
Il Neusner - uno dei maggiori studiosi della trasformazione dell'idea messianica nel primo e secondo secolo - scrive che i redattori della Mishnah mutarono completamente il quadro di riferimento dottrinale del giudaismo:
«... la riduzione dell'importanza da attribuire agli eventi storici, operata dalla Mishnah, contraddice l'enfasi d'un migliaio d'anni di pensiero israelitico. Le storie bibliche, gli antichi profeti, i visionari apocalittici, tutti avevano testimoniato la fondamentale importanza degli eventi storici. Gli eventi recavano il messaggio del Dio vivente »(37).
La Mishnah, quindi, modificò drasticamente il mito del Messia, trasformandolo in un paradigma filosofico e definendolo come teleologia d'una santificazione eternamente presente, ottenuta per mezzo dell'obbedienza ai modelli di santità esposti nella Torah(38)
Ecco quindi che la fede nella venuta di un Messia personale, che libererà il popolo dal peccato e scriverà la Legge nei cuori dei fedeli, viene trasformata nel suo opposto: è il popolo che - se sarà fedele alla Legge - farà venire il Messia. La redenzione, pertanto, viene fatta dipendere dalla santificazione, cioè dalle opere della Legge. Il Bamberger(39) scrive che «... il sorgere del cristianesimo... portò i rabbini ad accentuare le esigenze halachiche del giudaismo e la legge orale ».
Lo scontro con l'antilegalismo dei Vangeli e di san Paolo - secondo cui la giustificazione e gratuità e avviene per opera di Gesù Cristo - porterà la sinagoga ad accentuare l'aspetto legalistico della Torah in contrapposizione all'idea della grazia. In questa prospettiva divenne centrale l'applicazione di molti passi messianici al popolo d'Israele.

LE IPOSTASI DI DIO NELLA TRADIZIONE EBRAICA PRECRISTIANA

Un esempio di questa trasformazione dottrinale conseguente allo scontro con il cristianesimo si può trovare nel dibattito - già centrale nei vangeli - sui due poteri, la dove, cioè, si discute se in Dio sia una pluralità di persone o ipostasi. Nei vangeli Gesù afferma la sua divinità. In Mt 22,42 40 egli cita il Sal 110:
«Che ne pensate del Messia? Di chi è figlio? ». Gli risposero: « Di Davide ». Ed egli a loro: « Come mai, allora, Davide, sotto ispirazione, lo chiama Signore, dicendo: Ha detto il Signore al mio Signore: "Siedi alla mia destra, finché io non abbia posto i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi? ". Se dunque Davide lo chiama Signore, come può essere suo figlio? ». Nessuno era in grado di rispondergli nulla.
Si trattava di affermazioni ereticali? È del tutto improbabile che Gesù facesse affermazioni del genere senza che queste fossero ricollegate a una tradizione interna all'ebraismo.
Anche Afraate(41) si richiama a tutta una serie di precedenti scritturali per giustificare la divinità di Cristo e per affermare che non v'è nulla di eccezionale - rispetto alla tradizione ebraica - nel chiamare Gesù « figlio di Dio »(42)
E di fatto Filone nel Sui sogni chiama il Logos un dèuteros Theos, cioè un «secondo Dio»:
«Eppure non vi è terrore per l'uomo che si affida alla speranza della compartecipazione divina, al quale sono indirizzate le parole: Io sono il Dio che apparve a te al posto di Dio (Gen 31,31). Certamente, nobile ragione di vanto è per l'anima che Dio si degni di mostrarsi ad essa e di conversare con essa. E non mancare di notare il linguaggio usato, ma attentamente ricerca se vi sia un secondo Dio, poiché leggiamo: Io sono il Dio che apparve a te, e non al mio posto, ma al posto di Dio, come se si trattasse d'un altro Dio. Che dobbiamo dire? Colui che è veramente Dio è uno, ma coloro che impropriamente sono così chiamati sono più d'uno. Qui il testo sacro chiama Dio il suo Logos più antico.» (Sui sogni I, 227-229).
In precedenza Filone aveva definito il termine « posto » (maqom) come sinonimo allegorico di Logos. Quindi al posto di Dio vuol dire Logos di Dio. E quello stesso Logos che Filone definisce in molti luoghi figlio primogenito di Dio. Ad es.:
«Esistono, con evidenza, due santuari di Dio: uno è questo nostro mondo, di cui è sommo sacerdote il figlio suo primogenito, il Logos divino » (Sui sogni I, 215).
Questi passi filoniani dimostrano che all'interno dell'ebraismo si discuteva su come interpretare le manifestazioni di Dio: se, cioè, ascriverle a diverse ipostasi divine o a un angelo, come vorrà la soluzione adottata dal giudaismo rabbinico. Pur con dei distinguo, Filone è disposto a usare l'espressione un secondo Dio o a parlare di manifestazioni divine, pur di restare attaccato alla lettera della Scrittura, che nella versione dei LXX conteneva la parola « Dio » in due accezioni diverse.
In Filone questo Logos divino è preesistente alla creazione, allo stesso modo in cui anche il Messia - nella tradizione ebraica anteriore a Cristo - aveva assunto il carattere della pre-esistenza.
Secondo il Talmud il Messia e addirittura coeterno a Dio. Del resto, già in Daniele la figura messianica del figlio dell’Uomo è un essere soprannaturale che discenderà dall'alto dei cieli sulla terra.
Nell'ambiente degli Esseni qumraniti l'attesa di un Messia personale con caratteri divini è affermata con grande forza.
Nei famosi cinquanta rotoli, non resi noti per quasi quarant'anni e finalmente pubblicati da Eisenmann e Wise, così si presenta il Messia:
«Egli sarà chiamato il Figlio di Dio: essi lo chiameranno il figlio dell'Altissimo. Come le stelle cadenti, così sarà il loro regno. Il suo regno sarà un regno eterno ».
Ne Il Messia del cielo e della terra se ne annuncia la venuta in questi termini:
«I cieli obbediranno al suo Messia... sull'umile si poserà il suo Spirito, e ristorerà il fedele con il suo potere. Libererà i prigionieri, ridarà la vista ai ciechi, risolleverà gli oppressi... allora risanerà i malati e farà risorgere i morti, e annuncerà agli umili felici notizie ».
Il cristianesimo non costituiva una rottura rispetto all'ambiente ebraico in cui era nato, e anzi era in piena continuità con esso. La divinità di Gesù, l'idea di un Messia sofferente per espiare le colpe del suo popolo, non sono affatto scandalose per l'ebraismo. Lo diventeranno invece dopo, attraverso un'operazione di rilettura e di reinterpretazione di tutto il patrimonio della tradizione ebraica.
Così le speculazioni sulle manifestazioni divine - che divennero centrali nel dibattito con i cristiani - indussero, nel secondo secolo, i rabbini a mettere in guardia contro di esse, affermando che parlare di « persone divine » poneva in pericolo il monoteismo. Una traccia di questo confronto si trova in una discussione rabbinica sull'Io sono il Signore tuo Dio d. Es 20,2:
«... la Scrittura perciò non avrebbe lasciato ai goyim del mondo una scusa per dire che vi sono due poteri, ma egli dichiara: Io sono il Signore tuo Dio... Rabbi Nathan dice: "Da questo uno può dedurre una confutazione degli eretici che dicono vi sono due poteri. Perché quando il Santo, benedetto egli sia si levò ed esclamò: Io sono il Signore tuo Dio, ci fu la qualcuno che protestò contro di lui..." »(43)
Si tratta dunque d'una polemica contro chi afferma l'esistenza di due poteri divini appoggiandosi sul fatto che la Scrittura ha due parole per indicare Dio.
Un altro dei passi famosi chiamati in causa dai cristiani per giustificare una pluralità di ipostasi divine e quello della distruzione di Sodoma e Gomorra. In Gen 19,24, infatti, si legge:
«... quand'ecco che il Signore fece piovere dal cielo sopra Sodoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco proveniente dal Signore ».
Il principio fondamentale dell'esegesi rabbinica è che nella Bibbia non c'è alcuna parola superflua, e i pleonasmi o le apparenti ripetizioni nascondono necessariamente un senso più profondo. Quindi la discussione su questo passo verte sulla ripetizione della parola (Signore). A Sephoris, nella cerchia di rabbi Ishmael ben Jose, discepolo di rabbi Jehuda ha Kadosh - siamo verso il 170 d.C. - un min, un settario, si serve di questo passo per attaccare l'opinione dell'assoluta unità di Dio:
«Il Signore fece piovere fuoco e zolfo da parte del Signore. Si sarebbe dovuto dire piuttosto da parte di lui... »(44)
La medesima discussione compare nel Dialogo di Giustino(45):
« ... e il Signore (il Figlio) che ha ricevuto dal Signore che è nei cieli (il Padre), cioè dal creatore di tutte le cose, il compito d'infliggere il castigo a Sodoma e Gomorra... ».
Molti altri passi della Scrittura(46) furono abbondantemente utilizzati dai cristiani che si rifacevano alla tradizione ebraica. La crisi cristiana spinse i rabbini ad applicare agli angeli ogni passo biblico che accennasse a una pluralità di manifestazioni di Dio. Cristianesimo e giudaismo rabbinico si evolvettero perciò in direzioni opposte, pur a partire dalla stessa radice(47); ma quello che se ne allontanò di più fu proprio il giudaismo rabbinico.
Parti della spiritualità d'Israele sopravviveranno, in forma mistica e nascosta, nella cabbala, riemergendo in certi periodi storici come un fiume sotterraneo, vedi il caso del falso messia Sabbatai Zvi(48). Sarà proprio il desiderio di amputare la parte cristiana dal corpo di Israele a trasformare profondamente il giudaismo, eliminando o ponendo in secondo piano intere parti del suo credo fino allora centrali.
Il messianismo era incentrato sull'attesa del Servo di , mite e umile, che cavalca un'asina, che non fa violenza, che è il vero compimento dell'agnello sacrificato nel Tempio - preannunziato da Isacco, che si fa legare per compiere la volontà del Padre - e che effonderà un nuovo spirito su ogni israelita. Questa figura personale - che era il cuore dell'ebraismo - dopo Gesù Cristo verrà di fatto eliminata e sostituita dalla sua variante politica o dalla santificazione per mezzo delle opere della Legge.
La variante politica era stata una componente dell'attesa messianica; ma i profeti e la letteratura sapienziale avevano sempre più messo l'accento sulla liberazione dal peccato, sul cuore nuovo, sulla rigenerazione attraverso lo Spirito. Dopo Gesù Cristo, invece, la componente politica diverrà l'unica: così l'enfasi sull'unicità di Dio assoluta, senza ipostasi, accentuerà la lontananza di Dio dall'uomo e aprirà la via concettuale alla formulazione del Dio dell'Islam, anch'egli inaccessibile all'uomo.
La santificazione, poi, per mezzo della Legge costituiva proprio la negazione di tutta l'esperienza storica d'Israele, illuminata dalla parola dei profeti. Dopo Gesù, invece, la posizione dell'uomo di fronte alla salvezza sarà sempre più basata - soprattutto nelle sue forme popolari - sulle forze dell'uomo, compimento della Legge.
Rifiutando Gesù Cristo, l'ebraismo perderà la sua anima più profonda, che continuerà a vivere nella setta cristiana.

1. SVETONIO, Claud. 25,4: « Iudaeos impulsore Chresto assidue tumul-cuantes Roma expulit ».
2. TACITO, Annal. 15-44.
3. J. DANIÉLOU, Les Quatre-Temps de Septembre, in La Maison Dieu, 46
(1956), 133: «On sait l'importance que l'élément juif a joué dans la première communauté de Rome... jusqu'au temps de Callixte, c'est a dire a une epoque où l'élément judaisant était encore très vivant a Rome, comme en témoignent les controverses de Caîus contre les millénaristes... ».
4. EUSEBIO, Historia Ecclesiastica 3,35.
5. The Times Atlas of World History.
6. Fare delle proiezioni di questo tipo è estremamente difficile. È certo, comunque, che ai tempi dell'impero romano il popolo ebraico era uno dei più numerosi del bacino del Mediterraneo. Questo spiega perché il problema ebraico costituisse una preoccupazione tanto grave per Roma. Inoltre l'eccezionale prolificità degli ebrei è testimoniata da vari autori antichi, ad es. Polibio.
7. The Harper Concise Atlas of Bible, New York 1991.
8. Praef. in Job 1. Cf G. BARDY, St. Jéróme et ses maîtres hébreux, in Revue Bénédictine 46 (1934), 145 ss.; M. SIMON, Verus Israel, Paris 1964, 220, secondo cui anche Origene ed Eusebio avevano mutuato le loro cognizioni dell’ebraismo da maestri ebrei. Cf inoltre C.J. ELLIOT, Hebrew learning among the Fathers, in Dict. Of Christ. Biograf. V, 859 s.
9. Si veda la corrispondenza fra Agostino e Girolamo: Epist. 71,5 e 75,22.
10. M. SIMON, Op. Cit., 328.
11. E. RIVKIN, A hidden Revolution: The Pharisees Search for the Kingdom Nashville 1978, 270.
12. A. SEGAL, Rebecca's Children, Harvard 1986, 140.
13. M. SIMON, op. cit., 235.
14. Ib.; cf R.T. HERFORD, Christianity in Talmud Midrash, New York 1903
15. La Jewish Encyclopedia, nell'articolo Amidah scrive, a proposito della Birkat Minim, la maledizione contro i cristiani: « È opinione comune che questa nuova formula mirasse a obbligare i giudeo-cristiani a uscire dalla comunità ebraica ».
16. J. NEUSNER, Judaism in the Matrix of Christianity, Philadelphia 1986, 141.
17. T. ZAHAVY, The politics of piety, in AA.VV., The Making of Jewish and Christian Worship, Notre Dame 1991, 49.
18. Talmud di Gerusalemme, trattato Berakoth 9c.
19. L. VENETIANER, Ursprung und Bedeutung der Propheten-Lektionen, in Zeitschrift der Deutschen Morgenlandischen Gesellschaft, Leipzig 1910. Il Venetianer dimostra come, settimana per settimana, la Chiesa cattolica ricalchi le letture della Sinagoga [lo afferma anche Sofia Cavalletti nel suo libro "Ebraismo e spirtualità Cristiana", Studium, 1966 -ndR] e le integri con il loro compimento in Gesù Cristo. Qualche esempio: il sabato Shekalim e la corrispondente domenica Invocabit (I di Quaresima) avevano in comune una lettura, Ez 34,11-16, alla quale seguivano per la Sinagoga Es 30,12-20, che parla del giorno del tributo (« Chiunque verrà sottoposto al censimento pagherà un mezzo siclo... ogni persona da vent'anni in su paghi l'offerta prelevata per il Signore... », per la Chiesa Mt 17,24 ss. (« Il vostro maestro non paga la tassa per il Tempio... »; il sabato Zachor (cioè: ricorda) e la domenica II di Quaresima Reminiscere (cioè: ricorda; anche la denominazione e identica!), si cantava in entrambe le tradizioni il Sal 79. Poi la Sinagoga proclamava Es 17,8-16 (Mosè che si reca a pregare sul monte durante la battaglia con gli Amalecití), mentre la Chiesa proclamava (e proclama tuttora) Mt 17,1-9 (la trasfigurazione di Gesù sul Tabor). L'articolo del Venetianer e uno studio di fondamentale importanza sui rapporti tra Chiesa e Sinagoga; è alla base di quelli di altri autori, quali il Werner, il Baumstark, Le Déaut ecc. Pur essendo, quindi, ben noto agli addetti ai lavori, è però rimasto nascosto nelle vecchie pagine d'una rivista specialistica e del tutto sconosciuto al più largo pubblico.
20. E. WERNER, Il sacro ponte, Napoli 1983; Cf A. BAUMSTARK, Liturgie comparée, Paris 1934.
21. S. CAVALLETTI, The Jewish Roots of Christian Liturgy, New York 1990, 36-39 (cf S. CAVALLETTI, Ebraismo e spiritualità cristiana, Roma 1966).
22. Si veda la Tosefta Megilla 4, testo pretalmudico in cui si cita il dono della Legge insieme con le primizie dei campi.
23. R. LE DÉAUT, La nuit paschale, Rome 1963, 133.
24. Ancora più esplicito nel riferire dell'Akedah e il targum Neophyti, una delle versioni in uso al tempo di Gesù: « E Isacco parlò a suo padre e disse: "Padre mio!". E disse: "Eccomi, figlio mio!". E disse: "Ecco il fuoco e la legna, pero dov'e l'agnello per l'olocausto?". E disse Abramo: "Dinanzi a si preparerà un agnello per l'olocausto: se no, tu sei l'agnello per l'olocausto". E camminarono i due insieme con il cuore perfetto... "Padre mio, legami bene [Akedah!], perché io non ti dia calci e si renda invalido il sacrificio"... » (Targum a Gen 22,8-10).
25. P. BRADSHAW, The Changing Face of Jewish and Christian Worship, Nôtre Dame 1991, 32.
26. Jewish Encyclopedia, voci Ordination e Anointing.
27. RASHI, Aruk, s.v.
28. PLATONE, Timeo, 36, cit. da GIUSTINO, Apologia I, 60: « Egli impresse l'anima come una unzione nella forma della lettera chi (chiasma) sull’universo ».
29. Tosef., Sanhed., I, I Ket 112a.
30. At 6,6; 13,3; 1 Tm 4,14; 2 Tm 1,6.
31. A. KAPLAN, Jewish Meditation, New York 1953, 43.
32. Gran parte delle antiche tradizioni giudaiche sopravvisse in forma esoterica nella Cabbala.
33. G. SHOLEM, The Messianic Idea in Judaism, New York 1971, 180 («La neutralizzazione del messianismo nello hassidismo primitivo»): « Lo hassidismo cercò di eliminare l'elemento del messianismo con il suo amalgama, abbagliante ma fortemente pericoloso, di misticismo e di tendenza apocalittica .
34. E. SEGAL, Rehecca's Children, op. cit., 140 s.
35. Dial. 34,2-6; 64,6; 68,7.
36. M. SIMON, Verus Israel, op. cit., 192.
37. J. NEUSNER, Judaism in the Matrix of Christianity, op. cit., 130; cf Id., Messiah in Context, Philadelphia 1984.
38. J. NEUSNER, Messiah in Context, op. cit., 230.
39. A. BAMBERGER, Proselytism in the Tamudic Period, Cincinnati 1939, 31.
40. Mc 12,35-37; Lc 20,41-44.
41. AFRAATE, Hom. 17,1.
42. Così infatti furono chiamati Israele (Es 4,22), Mosè (Es 7,1) Salomone (2 Sam 7,14) e Adamo.
43. Melkhita Shirta e Bahodesh 5.
44. Talmud di Babilonia, trattato Sanhedrin 38b.
45. Dial. 56,22-23.
46. Cf il « facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza » (Gen 1,26) e i tre angeli della quercia di Mamre (Gen 18).
47. E. SEGAL, Rebecca's Children, op. cit., 141 ss.
48. Quello delle risonanze cristiane della cabbala e un capitolo complesso, che però è stato studiato più volte e da parte cristiana e da parte ebraica: fra i nomi più famosi si possono citare Giovanni Pico della Mirandola tra i cristiani e, alla fine del '700, Jakob Frank, che oscillò per tutta la vita tra giudaismo e cristianesimo.