giovedì 23 febbraio 2012

Don Gius... santo subito



MILANO, giovedì, 23 febbraio 2012. – La copiosa lista di santi e beati d’Italia si arricchirà presto del nome di Luigi Giussani. È stato ieri sera, in occasione della messa di suffragio a sette anni dalla scomparsa, che don Julian Carrón, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, ha formulato la richiesta dell’apertura della causa di beatificazione e canonizzazione per il suo predecessore.
Nel corso dell’omelia della messa di suffragio, celebrata nel Duomo di Milano, l’arcivescovo della diocesi ambrosiana, il cardinale Angelo Scola, ha messo in evidenza un passo dal libro del Qoèlet: “Nessun uomo è padrone del suo soffio vitale tanto da trattenerlo” (Qo 8,8).
Una citazione veterotestamentaria che, ad avviso del porporato, ben si armonizza con il pensiero di don Giussani della cui proposta educativa, ha ricordato Scola, un “aspetto geniale” fu “l’efficace riproposizione della verità cristiana che nessuno può salvarsi da sé”.
Il fondatore di CL ricevette dallo Spirito un “carisma cattolico”, fiorito nella Chiesa ambrosiana, che “la chiesa ha universalmente riconosciuto e di cui decine di migliaia di persone in tutti il mondo possono oggi godere”, ha aggiunto l’arcivescovo.
Il cardinale Scola è stato un figlio spirituale di don Giussani e - come sottolineato da don Julian Carrón nel saluto finale - il giorno del suo insediamento nella diocesi, ne ricordò il “genio educativo”.
Il fondatore di CL ebbe – tra i tanti meriti – quello di aver saputo affrontare l’“acuta tentazione”, oggi dominante, di una “frattura, apparentemente insanabile, tra fede e vita” e di aver prospettato ai suoi allievi la possibilità di “vivere nell’incontro con Cristo un cammino veramente umano”, ha proseguito don Carrón.
La sequela del carisma giussaniano ha rappresentato per molti cattolici la possibilità di “verificare ogni giorno la presenza del Salvatore come risposta a quel grido di bisogno di salvezza, che – come ha ricordato Lei stesso nel Suo intervento al recente convegno Gesù nostro contemporaneo − è del «cuore di ogni uomo di ogni tempo e luogo, per quanto confuso possa essere il suo incedere lungo la strada della vita»”, ha detto don Carrón rivolto all’arcivescovo.
“Non desideriamo altro – ha aggiunto - che vivere con la Chiesa e per la Chiesa e servire con tutto noi stessi e secondo le nostre possibilità, in filiale obbedienza a Lei, questa Chiesa ambrosiana in cui il carisma di don Giussani è fiorito fino a portare frutti copiosi in tutti i continenti”.
Al termine del suo intervento don Carrón ha presentato la richiesta di apertura della causa di beatificazione e canonizzazione di don Luigi Giussani. “Che la Madonna − «di speranza fontana vivace» − ci aiuti ogni giorno a diventare degni delle promesse di Cristo e della immensa grazia che nel carisma di don Giussani abbiamo ricevuto e ancora riceviamo”, ha poi concluso il presidente di CL.
La richiesta di beatificazione e canonizzazione di don Giussani è stata inoltrata il 22 febbraio 2012, giorno dell’anniversario e festa della Cattedra di San Pietro, attraverso la postulatrice nominata dal Presidente della Fraternità, canonicamente costituitosi Attore di detta Causa: si tratta della professoressa Chiara Minelli, docente di Diritto canonico ed ecclesiastico nell’Università degli Studi di Brescia.

 * * *

Di seguito riporto il testo della omelia che l'allora card. Joseph Ratzinger pronunziò presiedendo la celebrazione delle esequie di don Giussani.

Cari fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio,«i discepoli al vedere Gesù gioirono». Queste parole del Vangelo ora letto ci indicano il centro della personalità e della vita del nostro caro don Giussani. 
Don Giussani era cresciuto in una casa – come dice – povera di pane, ma ricca di musica, e così dall’inizio era toccato, anzi ferito, dal desiderio della bellezza e non si accontentava di una bellezza qualunque, di una bellezza banale: cercava la Bellezza stessa, la Bellezza infinita, e così ha trovato Cristo, in Cristo la vera bellezza, la strada della vita, la vera gioia.
Già da ragazzo ha creato con altri giovani una comunità che si chiamava Studium Christi; il loro programma fu di parlare di nient’altro se non Cristo, perché tutto il resto appariva come perdita di tempo. Naturalmente ha saputo poi superare l’unilateralità, ma la sostanza gli è sempre rimasta, che solo Cristo dà senso a tutto nella nostra vita, sempre ha tenuto fisso lo sguardo della sua vita e del suo cuore verso Cristo. Ha capito in questo modo che il cristianesimo non è un sistema intellettuale, un pacchetto di dogmi, un moralismo, ma che il cristianesimo è un incontro, una storia di amore, è un avvenimento. Questo innamoramento in Cristo, questa storia di amore che è tutta la sua vita era tuttavia lontana da ogni entusiasmo leggero, da ogni romanticismo vago; realmente, vedendo Cristo, ha saputo che incontrare Cristo vuol dire seguire Cristo, che questo incontro è una strada, un cammino, un cammino che attraversa – come abbiamo sentito nel salmo – anche la «valle oscura». E nel Vangelo, nel secondo Vangelo abbiamo sentito proprio l’ultimo buio della sofferenza di Cristo, della apparente assenza di Dio, dell’eclisse del Sole del mondo. Sapeva che seguire è attraversare una «valle oscura», vuol dire andare sulla via della croce, e tuttavia vivere nella vera gioia. Perché è così? Il Signore stesso ha tradotto questo mistero della croce, che in realtà è il mistero dell’amore, con una formula nella quale si esprime tutta la realtà della nostra vita. Il Signore dice: «Chi cerca la sua vita, vuol avere per sé la vita, la perde e chi perde la sua vita, la trova ». Don Giussani realmente voleva non avere per sé la vita, ma ha dato la vita, e proprio così ha trovato la vita non solo per sé, ma per tanti altri. Ha realizzato quanto abbiamo sentito nel primo Vangelo: non voleva essere un padrone, voleva servire, era un fedele servitore del Vangelo, ha distribuito tutta la ricchezza del suo cuore, ha distribuito la ricchezza divina del Vangelo, della quale era penetrato e, servendo così, dando la vita, questa sua vita ha portato un frutto ricco come vediamo in questo momento, è divenuto realmente padre di molti e, avendo guidato le persone non a sé, ma a Cristo, proprio ha guadagnato i cuori, ha aiutato a migliorare il mondo, ad aprire le porte del mondo per il cielo. Questa centralità di Cristo nella sua vita gli ha dato anche il dono del discernimento, di decifrare in modo giusto i segni dei tempi in un tempo difficile, pieno di tentazioni e di errori, come sappiamo. Pensiamo agli anni ’68 e seguenti,un primo gruppo dei suoi era andato in Brasile e qui si trovò a confronto con questa povertà estrema, con questa miseria. Che cosa fare? Come rispondere? E la tentazione fu grande di dire: adesso dobbiamo, per il momento, prescindere da Cristo, prescindere da Dio, perché ci sono urgenze più pressanti, dobbiamo prima cominciare a cambiare le strutture, le cose esterne, dobbiamo prima migliorare la terra, poi possiamo ritrovare anche il cielo. Era la tentazione grande di quel momento di trasformare il cristianesimo in un moralismo, il moralismo in una politica, di sostituire il credere con il fare.
Perché, che cosa comporta il credere? Si può dire: in questo momento dobbiamo fare qualcosa. E tuttavia, di questo passo, sostituendo la fede col moralismo, il credere con il fare, si cade nei particolarismi, si perdono soprattutto i criteri e gli orientamenti, e alla fine non si costruisce, ma si divide. Monsignor Giussani, con la sua fede imperterrita e immancabile, ha saputo, che anche in questa situazione, Cristo, l’incontro con Cristo rimane centrale, perché chi non dà Dio, dà troppo poco e chi non dà Dio, chi non fa trovare Dio nel volto di Cristo, non costruisce, ma distrugge, perché fa perdere l’azione umana in dogmatismi ideologici e falsi, come abbiamo visto molto bene.
 Don Giussani ha conservato la centralità di Cristo e proprio così ha aiutato con le opere sociali, con il servizio necessario l’umanità in questo mondo difficile, dove la responsabilità dei cristiani per i poveri nel mondo è grandissima e urgente. Chi crede deve attraversare – abbiamo detto – anche la «valle oscura», le valli oscure del discernimento, e così anche delle avversità, delle opposizioni, delle contrarietà ideologiche che arrivavano fino alle minacce di eliminare i suoi fisicamente per liberarsi da questa altra voce che non si accontenta del fare, ma porta un messaggio più grande, così anche una luce più grande.