sabato 18 febbraio 2012

... E pregate anche per me.


Poche parole, pronunciate alla fine del discorso ai cardinali, prima di imporre la berretta rossa ai nuovi porporati: «Pregate anche per me, affinché possa sempre offrire al popolo di Dio la testimonianza della dottrina sicura e reggere con mite fermezza il timone della santa Chiesa». Una frase che lascia intendere come Ratzinger non intenda dimettersi. Nonostante i veleni, i dossier, le manovre di palazzo alle quali abbiamo assistito negli ultimi tempi. 
Di seguito il testo del discorso del Papa.


ALLOCUZIONE DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Basilica Vaticana
Sabato, 18 febbraio 2012


 «Tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam».
Venerati Fratelli,
cari fratelli e sorelle!
Con queste parole il canto d’ingresso ci ha introdotto nel solenne e suggestivo rito del Concistoro ordinario pubblico per la creazione dei nuovi Cardinali, l’imposizione della berretta, la consegna dell’anello e l’assegnazione del titolo. Sono le parole efficaci con le quali Gesù ha costituito Pietro quale saldo fondamento della Chiesa. Di tale fondamento la fede rappresenta il fattore qualificativo: infatti Simone diventa Pietro – roccia – in quanto ha professato la sua fede in Gesù Messia e Figlio di Dio. Nell’annuncio di Cristo la Chiesa viene legata a Pietro e Pietro viene posto nella Chiesa come roccia; ma colui che edifica la Chiesa è Cristo stesso, Pietro deve essere un elemento particolare della costruzione. Deve esserlo mediante la fedeltà alla sua confessione fatta presso Cesarea di Filippo, in forza dell’affermazione: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
Le parole rivolte da Gesù a Pietro mettono bene in risalto il carattere ecclesiale dell’odierno evento. I nuovi Cardinali, infatti, tramite l’assegnazione del titolo di una chiesa di questa Città o di una Diocesi suburbicaria, vengono inseriti a tutti gli effetti nella Chiesa di Roma guidata dal Successore di Pietro, per cooperare strettamente con lui nel governo della Chiesa universale. Questi cari Confratelli, che fra poco entreranno a far parte del Collegio Cardinalizio, si uniranno con nuovi e più forti legami non solo al Romano Pontefice ma anche all’intera comunità dei fedeli sparsa in tutto il mondo. Nello svolgimento del loro particolare servizio a sostegno del ministero petrino, i neo-porporati saranno infatti chiamati a considerare e valutare le vicende, i problemi e i criteri pastorali che toccano la missione di tutta la Chiesa. In questo delicato compito sarà loro di esempio e di aiuto la testimonianza di fede resa con la vita e con la morte dal Principe degli Apostoli, il quale, per amore di Cristo, ha donato tutto se stesso fino all’estremo sacrificio.
E’ con questo significato che è da intendere anche l’imposizione della berretta rossa. Ai nuovi Cardinali è affidato il servizio dell’amore: amore per Dio, amore per la sua Chiesa, amore per i fratelli con una dedizione assoluta e incondizionata, fino all’effusione del sangue, se necessario, come recita la formula di imposizione della berretta e come indica il colore rosso degli abiti indossati. A loro, inoltre, è chiesto di servire la Chiesa con amore e vigore, con la limpidezza e la sapienza dei maestri, con l’energia e la fortezza dei pastori, con la fedeltà e il coraggio dei martiri. Si tratta di essere eminenti servitori della Chiesa che trova in Pietro il visibile fondamento dell’unità.
Nel brano evangelico poc’anzi proclamato, Gesù si presenta come servo, offrendosi quale modello da imitare e da seguire. Dallo sfondo del terzo annuncio della passione, morte e risurrezione del Figlio dell’uomo, si stacca con stridente contrasto la scena dei due figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, che inseguono ancora sogni di gloria accanto a Gesù. Essi gli chiesero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra» (Mc 10,37). Folgorante è la replica di Gesù e inatteso il suo interrogativo: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo?» (v. 38). L’allusione è chiarissima: il calice è quello della passione, che Gesù accetta per attuare la volontà del Padre. Il servizio a Dio e ai fratelli, il dono di sé: questa è la logica che la fede autentica imprime e sviluppa nel nostro vissuto quotidiano e che non è invece lo stile mondano del potere e della gloria.
Giacomo e Giovanni con la loro richiesta mostrano di non comprendere la logica di vita che Gesù testimonia, quella logica che - secondo il Maestro - deve caratterizzare il discepolo, nel suo spirito e nelle sue azioni. E la logica errata non abita solo nei due figli di Zebedeo perché, secondo l’evangelista, contagia anche «gli altri dieci» apostoli che «cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni» (v. 41). Si indignano, perché non è facile entrare nella logica del Vangelo e lasciare quella del potere e della gloria. San Giovanni Crisostomo afferma che tutti gli apostoli erano ancora imperfetti, sia i due che vogliono innalzarsi sopra i dieci, sia gli altri che hanno invidia di loro (cfrCommento a Matteo, 65, 4: PG 58, 622). E commentando i passi paralleli nel Vangelo secondo Luca, san Cirillo di Alessandria aggiunge: «I discepoli erano caduti nella debolezza umana e stavano discutendo l’un l’altro su chi fosse il capo e superiore agli altri … Questo è accaduto e ci è stato raccontato per il nostro vantaggio… Quanto è accaduto ai santi Apostoli può rivelarsi per noi un incentivo all’umiltà» (Commento a Luca, 12, 5, 24: PG 72, 912). Questo episodio dà modo a Gesù di rivolgersi a tutti i discepoli e «chiamarli a sé», quasi per stringerli a sé, a formare come un corpo unico e indivisibile con Lui e indicare qual è la strada per giungere alla vera gloria, quella di Dio: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti» (Mc 10,42-44).
Dominio e servizio, egoismo e altruismo, possesso e dono, interesse e gratuità: queste logiche profondamente contrastanti si confrontano in ogni tempo e in ogni luogo. Non c’è alcun dubbio sulla strada scelta da Gesù: Egli non si limita a indicarla con le parole ai discepoli di allora e di oggi, ma la vive nella sua stessa carne. Spiega infatti: «Anche il Figlio dell’uomo non è venuto a farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto di molti» (v. 45). Queste parole illuminano con singolare intensità l’odierno Concistoro pubblico. Esse risuonano nel profondo dell’anima e rappresentano un invito e un richiamo, una consegna e un incoraggiamento specialmente per voi, cari e venerati Fratelli che state per essere annoverati nel Collegio Cardinalizio.
Secondo la tradizione biblica, il Figlio dell’uomo è colui che riceve il potere e il dominio da Dio (cfrDn 7,13s). Gesù interpreta la sua missione sulla terra sovrapponendo alla figura del Figlio dell’uomo quella del Servo sofferente, descritto da Isaia (cfr Is 53,1-12). Egli riceve il potere e la gloria solo in quanto «servo»; ma è servo in quanto accoglie su di sé il destino di dolore e di peccato di tutta l’umanità. Il suo servizio si attua nella fedeltà totale e nella responsabilità piena verso gli uomini. Per questo la libera accettazione della sua morte violenta diventa il prezzo di liberazione per molti, diventa l’inizio e il fondamento della redenzione di ciascun uomo e dell’intero genere umano.
Cari Fratelli che state per essere annoverati nel Collegio Cardinalizio! Il dono totale di sé offerto da Cristo sulla croce sia per voi principio, stimolo e forza per una fede che opera nella carità. La vostra missione nella Chiesa e nel mondo sia sempre e solo «in Cristo», risponda alla sua logica e non a quella del mondo, sia illuminata dalla fede e animata dalla carità che provengono a noi dalla Croce gloriosa del Signore. Sull’anello che tra poco vi consegnerò, sono raffigurati i santi Pietro e Paolo, con al centro una stella che evoca la Madonna. Portando questo anello, voi siete richiamati quotidianamente a ricordare la testimonianza che i due Apostoli hanno dato a Cristo fino alla morte per martirio qui a Roma, fecondando così la Chiesa con il loro sangue. Mentre il richiamo alla Vergine Maria, sarà sempre per voi un invito a seguire colei che fu salda nella fede e umile serva del Signore.
Concludendo questa breve riflessione, vorrei rivolgere il mio cordiale saluto e ringraziamento a tutti voi presenti, in particolare alle Delegazioni ufficiali di vari Paesi e alle Rappresentanze di numerose Diocesi. I nuovi Cardinali, nel loro servizio, sono chiamati a rimanere sempre fedeli a Cristo, lasciandosi guidare unicamente dal suo Vangelo. Cari fratelli e sorelle, pregate perché in essi possa rispecchiarsi al vivo il nostro unico Pastore e Maestro, il Signore Gesù, fonte di ogni sapienza, che indica la strada a tutti. E pregate anche per me, affinché possa sempre offrire al Popolo di Dio la testimonianza della dottrina sicura e reggere con mite fermezza il timone della santa Chiesa. Amen!


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CHI SONO I NUOVI CARDINALI


«Ed ora, con grande gioia, annuncio che il prossimo 18 febbraio terrò un Concistoro nel quale nominerò 22 nuovi membri del collegio cardinalizio». Era lo scorso venerdì 6 gennaio, giorno dell’Epifania, quando il Papa annunciava il prossimo Concistoro. Quello odierno è il quarto del pontificato di Benedetto XVI, dopo quelli del 2006, 2007 e 2010. Nel Concistoro odierno il Papa creerà 22 cardinali, sette dei quali sono italiani. Gli ultraottantenni, senza diritto di voto, sono quattro. Tratteggiamo brevemente le figure dei neo cardinali, a partire dai sette italiani, elencandoli proprio come annunciato dal Papa.
Fernando Filoni, nato a Manduria, nel Tarantino, il 15 aprile 1946, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli; Antonio Maria Vegliò, nato a Macerata Feltria, nelle Marche, il 3 febbraio 1938, presidente del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti; Giuseppe Bertello, nato a Foglizzo, nel Torinese, il 1° ottobre 1942, presidente della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano e presidente del Governatorato dello Stato; Francesco Coccopalmerio, nato a San Giuliano Milanese il 6 marzo 1938, presidente del Pontificio Consiglio per i testi legislativi; Domenico Calcagno, nato a Tramontana di Parodi Ligure, nell’Alessandrino, il 3 febbraio 1943, presidente dell’Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica; Giuseppe Versaldi, nato a Villarboit, nel Vercellese, il 30 luglio 1943, presidente della Prefettura degli affari economici della Santa Sede e, infine, l’ultimo degli italiani, Giuseppe Betori, nato a Foligno, in Umbria, il 25 febbraio 1947, arcivescovo di Firenze.

Passando ai cardinali stranieri, riceveranno la porpora il portoghese Manuel Monteiro De Castro, nato a Santa Eufemia il 29 marzo 1938, Penitenziere maggiore; lo spagnolo Santos Abril Y Castelló, nato il 21 settembre 1935 ad Alfambra, arciprete della Basilica papale di Santa Maria Maggiore; il brasiliano Joâo Braz De Aviz, nato a Mafra il 24 aprile 1947, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica; lo statunitense Edwin Frederik O’Brien, nato a New York l’8 aprile 1939, Pro-Gran Maestro dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme; l’indiano George Alencherry, nato a Thuruthy il 19 aprile 1945, arcivescovo maggiore di Ernakulam-Angamaly dei Siro-Malabaresi; il canadese Thomas Christopher Collins, nato a Guelf il 16 gennaio 1947, arcivescovo di Toronto; Dominik Duka, nato a Hradec Králové il 26 aprile 1943, arcivescovo di Praga; Willem Jacobus Eijk, nato a Duivendrecht il 22 giugno 1953, arcivescovo di Utrecht nei Paesi Bassi; Timothy Michael Dolan, nato a Saint Louis il 6 febbraio 1950, arcivescovo di New York; Rainer Maria Woelki, nato a Colonia il 18 agosto 1956, arcivescovo di Berlino; John Tong Hon, vescovo di Hong Kong, dove è nato il 31 luglio 1939. E ancora
Lucian Muresan, arcivescovo maggiore di Fagaras e Alba Iulia dei Romeni in Romania, nato a Ferneziu il 23 maggio 1931 e tre ecclesiastici, Julien Ries, nato ad Arlon, in Belgio il 19 aprile 1920, sacerdote della diocesi di Namur e professore emerito di storia delle religioni all’Università cattolica a Louvain; Prosper Grech nato il 24 dicembre 1925 a Vittoriosa, a Malta, docente emerito di varie Università romane e Consultore presso la Congregazione per la Dottrina della fede e, infine, il tedesco padre Karl Becker, nato a Colonia il 18 aprile 1928, docente emerito della Pontificia Università Gregoriana, consultore della Congregazione per la dottrina della fede.
Fonte: Avvenire


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Di seguito la relazione con la quale l’Arcivescovo di New York, il cardinale designato Timothy Dolan, ha introdotto ieri, venerdì 17 febbraio, la Giornata di preghiera e di riflessione per i membri del Collegio Cardinalizio. Il tema della giornata era: L’annuncio del Vangelo oggi, tra missio ad gentes e nuova evangelizzazione.

***
Beatissimo Padre, Signor Cardinale Sodano, carissimi fratelli,
Sia lodato Gesù Cristo!
Risale all’ultimo comando di Gesù, “Andate, ammaestrate tutte le genti!,” ma è tanto attuale quanto la Parola di Dio che abbiamo ascoltato nella liturgia stamattina ...
Mi riferisco al sacro dovere della nuova evangelizzazione. È “sempre antica, sempre nuova”. Ilcome, quando, il dove cambiare, ma il mandato rimane lo stesso, così il messaggio e l’ispirazione: “Gesù Cristo ... lo stesso ieri e oggi e nei secoli.”
Siamo radunati nella caput mundi, dagli stessi Apostoli, Pietro e Paolo; nella città dal quale il successore di Pietro “ha mandato” evangelizzatori ad offrire la Persona, il messaggio, e l’invito che stanno al cuore dell’evangelizzazione, per tutta l’Europa, sino al “nuovo mondo”, nell’epoca delle “scoperte geografiche”, nonché l’Africa e Asia in tempi più recenti.
Siamo riuniti presso la Basilica dove l’ardore evangelico della Chiesa si espanse durante il Concilio Vaticano Secondo; vicino alla tomba del Sommo Pontefice che ha reso il termine “Nuova Evangelizzazione” familiare a tutti.
Siamo radunati con la gratitudine per la fraterna compagnia di un Pastore che ci fa ricordare ogni giorno la sfida della nuova evangelizzazione.
Sì, siamo qui insieme come missionari, evangelizzatori.
Noi accogliamo l’insegnamento del Concilio Vaticano Secondo, specialmente come viene espresso nei documenti Lumen Gentium, Gaudium et Spes, ed Ad Gentes, che specificano più come la Chiesa intenda il proprio dovere evangelico, definendo l’intera Chiesa missionaria; vale a dire che tutticristiani, in virtù del Battesimo, la Cresima e ’Eucaristia, sono evangelizzatori.
Sì, il Concilio ha ribadito, soprattutto nell’Ad Gentes, che, se ci sono missionari espliciti, è quelli che sono mandati a luoghi in cui la gente non ha mai sentito il nome mediante il quale gli uomini sono stati salvati, non c’è tuttavia nessun ristiano che venga escluso dal di testimoniare Gesù, trasmettendo ad altri l’invito del Signore nella vita quotidiana.
Così, la missione è diventata punto centrale della vita di ogni chiesa locale, di ogni credente. L’indole missionaria viene rinnovata non solo nel senso geografico, ma nel senso, in quanto il destinatario della ‘missione’ non è solo il non-credente, ma il credente.
Alcuni si chiedevano se questo allargamento del concetto di evangelizzazione  involontariamente indebolito il significato della missione ‘ad gentes’.
Il Beato Giovanni Paolo Secondo ha sviluppato questa nuova comprensione del termine, sottolineando l’evangelizzazione delle culture, quanto il confronto tra fede e cultura ha il rapporto tra Chiesa e Stato che predominava fino al Concilio, e questo spostamento nell’accento comporta il compito di ri-evangelizzare che costituivano una volta il vero motore dei valori evangelici. Così laNuova Evangelizzazione la sfida per applicare il richiamo di Gesù alla conversione del cuore non soload extra anche ad intra; credenti e culture dove il sale del Vangelo ha perso il suo sapore. Perciò, la missio indirizza non solo alla Guinea ma anche a New York.
Nella Redemptoris Missio, al numero 33, il Beato Giovanni Paolo ha presentato questa impostazione, facendo una distinzione tra l’evangelizzazione primaria – l’annuncio di Gesù a popoli e contesti socio-culturali in cui Cristo e il suo vangelo non sono conosciuti – e la nuova evangelizzazione – il riaccendere la fede in persone e culture in cui si è spenta – e la cura pastorale chiese che vivono la fede e hanno riconosciuto il loro impegno universale.
È chiaro che non c’è nessuna opposizione tra la missio ad gentes la Nuova Evangelizzazione: si tratta di aut-aut di et-et. Nuova Evangelizzazione missionari , e coloro che sono impegnati nellamissio ad gentes lasciarsi evangelizzare .
Sin dal Nuovo Testamento, la generazione stessa che ha ricevuto la missio ad gentes al momento della Ascensione aveva bisogno che San Paolo la esortasse a “ravvivare il carisma di Dio”, riaccendendo la fiamma della fede depositata in loro. Questo è senz’altro uno dei primi esempi di nuova evangelizzazione.
E più recentemente, durante l’incoraggiante Sinodo sull’Africa, abbiamo sentito le voci dei nostri fratelli che esercitano il loro ministero in luoghi dove la raccolta della missio ad gentes ricca, ma, adesso che sono passate due o tre generazioni, avvertono anche essi il bisogno di Nuova Evangelizzazione.
L’acclamato missionario-televisivo, l’Arcivescovo Fulton J. Sheen, disse, “La prima parola di Gesù ai suoi discepoli era ‘venite’, e l’ultima era ‘andate’. Uno non può ‘andare’ a meno che prima non sia ‘venuto’ a lui”.
Una sfida enorme, sia alla missio ad gentes alla Nuova Evangelizzazione, è il cosidetto secolarismo.come il Santo Padre lo descrive: “La secolarizzazione, che si presenta nelle culture come impostazione del mondo e dell’umanità senza riferimento alla Trascendenza, invade ogni aspetto della vita quotidiana e sviluppa una mentalità in cui Dio è di fatto assente, in tutto o in parte, dall’esistenza e dalla coscienza umana. Questa secolarizzazione non è soltanto una minaccia esterna per i credenti, ma si manifesta già da tempo in seno alla Chiesa stessa. Snatura dall’interno e in profondità la fede cristiana e, di conseguenza, lo stile di vita e il comportamento quotidiano dei credenti. Essi vivono nel mondo e sono spesso segnati, se non condizionati, dalla cultura dell’immagine che impone modelli e impulsi contraddittori, nella negazione pratica di Dio: non c’è più bisogno di Dio, di pensare a Lui e di ritornare a Lui. Inoltre, la mentalità edonistica e consumistica predominante favorisce, nei fedeli come nei pastori, una deriva verso la superficialità e un egocentrismo che nuoce alla vita ecclesiale”. (Discorso di Sua Santità Benedetto XVI ai partecipanti all’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura, .III.2008)
Questa secolarizzazione ci chiama ad un’efficace strategia di evangelizzazione.
Permettetemi di esporla in sette punti:
1. A dire la verità, nell’invitarmi a parlare su questo tema – “L’Annuncio del Vangelo oggi: missio ad gentes la nuova evangelizzazione” – l’Eminentissimo Segretario di Stato, mi ha di contestualizzare ilsecolarismo, intendere che la mia Arcidiocesi di New è forse “la capitale della cultura secolarizzata” .
Però – e credo che il mio amico e confratello, il Cardinale Edwin O’Brien, che è cresciuto a New York, sarà d’accordo – oserei dire che New York – sebbene dia l’impressione di essere secolarizzata– è ciononostante una città molto religiosa.
Anche in luoghi che solitamente vengono classificati come ‘materialistici’  - come ad esempio i mass media, mondo dello spettacolo, della finanza, della politica, dell’arte, della letteratura – un’innegabile apertura alla trascendenza, al divino!
I cardinali che servono Gesù e la sua Chiesa nella Curia Romana possono ricordarsi del discorso natalizio di Sua Santità due anni fa, nel quale ha celebrato quest’apertura naturale al anche in quelli che si vantano di aderire al secolarismo: “ …considero importante soprattutto il fatto che anche le persone che si ritengono agnostiche o atee, devono stare a cuore a noi come credenti. Quando parliamo di una nuova evangelizzazione, queste persone forse si spaventano. Non vogliono vedere se stesse come oggetto di missione, né rinunciare alla loro libertà di pensiero e di volontà. Ma la questione circa Dio rimane tuttavia presente anche per loro… Come primo passo dell’evangelizzazione dobbiamo cercare di tenere desta tale ricerca; dobbiamo preoccuparci che l’uomo non accantoni la questione su Dio come questione essenziale della sua esistenza. Preoccuparci perché egli accetti tale questione e la nostalgia che in essa si nasconde. … Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di “atrio dei gentili” dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa.”
Questo è il mio primo punto: Noi condividiamo la convinzione dei filosofi e dei poeti del passato, i quali non avevano il vantaggio di aver ricevuto la rivelazione. E cioè che anche una persona che si vanta di aderire al secolarismo e di disprezzare le religioni, ha dentro di sé una scintilla d’interesse nell’aldilà, e riconosce che l’umanità e il creato sarebbero un enigma assurdo senza un qualche concetto di ‘creatore’.
Nei cinema c’è adesso un film intitolato The Way – “la Via” – in cui uno dei protagonisti è un attore ben conosciuto, Martin Sheen. Forse l’avete visto.
Lui recita la parte di un padre, il cui figlio estraniato muore mentre percorre il Cammino di Santiago di Compostella Spagna. Il padre angosciato decide di portare a termine il pellegrinaggio al posto del figlio perduto. Egli è l’icona di un uomo secolare: di sé, nei confronti di Dio e della religione, uno che si definisce un “ex–cattolico”, cinico verso la fede ... ma che, nondimeno, incapace di negare che dentro di sé vi sia un interesse di conoscere l’aldilà , una sete di qualcosa in più – anzi, un qualcuno più – che in lui lungo la strada.
Sì, potremmo prendere in prestito quello che gli apostoli dicono a Gesù nel Vangelo della Domenica scorsa: “tutti ti cercano”! E ti stanno cercando ancora oggi ...
2. Ciò mi porta al secondo punto: questo fatto ci dà una fiducia e un coraggio determinato per compiere il sacro dovere della missione della Nuova Evangelizzazione.
“Non abbiate paura”, come dicono, è l’esortazione più ripetuta nella Bibbia.
Dopo il Concilio, la bella notizia era che il trionfalismo Chiesa era morto.
Ma, purtroppo anche la fiducia!
Noi siamo convinti, fiduciosi, e coraggiosi nella Nuova Evangelizzazione al potere Persona che ci ha affidato questa missione – si dà il caso che egli sia la Seconda Persona della Santissima Trinità – e grazie alla verità del suo messaggio e la profonda apertura al divino, pure nelle persone più secolarizzate nella nostra società odierna.
Sicuri, sì!
Trionfalisti, mai!
Quello che ci tiene a larga dall'arroganza e dalla superbia del trionfalismo è il riconoscimento di ciò che ci ha insegnato Papa Paolo Sesto nella Evangelii Nuntiandi: Chiesa ha sempre bisogno di essere evangelizzata!
Ciò ci dà l’umiltà di ammettere che nemo dat quod non habet, la Chiesa ha il profondo bisogno di una conversione interiore, il midollo della chiamata alla evangelizzazione.
3. Un terzo elemento di una missio è la consapevolezza che Dio non disseta la sete cuore umano con un concetto, ma tramite una Persona, che si chiama Gesù.
L’invito implicito nella missio ad gentes la Nuova Evangelizzazione è una dottrina, ma un appello a conoscere, amare e servire – non qualcosa, qualcuno.
Beatissimo Padre – quando Lei ha iniziato il Suo Pontificato, ci ha invitato ad una amicizia con Gesù,espressione con cui Lei ha definito la santità.
E' l’amore di una Persona, un rapporto personale che è all’origine della nostra fede.
Come scrisse San Agostino: “Ex una sane doctrina impressam fidem credentium cordibus singulorum qui hoc idem credunt verissime dicimus, sed aliud sunt ea quae creduntur, aliud fides creduntur” (De Trinitate, , 2.5)
4. Ed ecco il quarto punto: questa Persona, questo Gesù di Nazaret, ci dice che Egli è la verità.
Perciò, la nostra missione ha una sostanza, un contenuto. A venti anni dalla pubblicazioneCatechismo della Chiesa Cattolica, nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, ed alla soglia di quest’Anno della fede, siamo davanti alla sfida di combattere l’analfabatismo catechetico.
È vero che la Nuova Evangelizzazione è urgente perché qualche volta il secolarismo soffocato il granello della fede; ma ciò è stato possibile perchè molti credenti non avevano il minimo idea della sapienza, la bellezza, e la coerenza della Verità.
Sua Eminenza il Cardinale George Pell ha osservato che “non è tanto vero che la gente abbia perso la loro fede, quanto che non la aveva sin dall'inizio; e se l’aveva in qualche modo, era così insignificante che gli poteva essere strappata molto facilmente”.
Ecco perchè il Cardinal Avery Dulles ci ha chiamato ad una neo-apologetica, radicata in vuote polemiche, ma nella Verità che ha un nome, Gesù.
Allo stesso modo, quando Il Beato John Henry Newman ricevette il biglietto di nomina al Collegio Cardinalizio, ci mise in guardia sui pericoli del liberalismo in religione, cioè, “la dottrina secondo cui non c’è alcuna verità positiva nella religione, ma un credo vale quanto un altro ... la religione rivelata non è una verità, ma un sentimento e una preferenza personale.”
Quando Gesù ci dice “Io sono la Verità”, dice anche di essere “la Via e la Vita”.
La Via Gesù è all'interno e attraverso Sua Chiesa che una Madre Santa che ci dona la Vita del Signore.
“Come avrei conosciuto Lui se non per Lei?” chiede De Lubac, facendo allusione al rapporto inscindibile tra Gesù e la Sua Chiesa.
Di conseguenza, la nostra missione, Nuova Evangelizzazione, delle dimensioni catechetiche eecclesiali.
Questo ci spinge a pensare la Chiesa in un modo rinnovato: a concepirla come missione stessa. Come ci ha insegnato il Beato Giovanni Paolo Secondo nella Redemptoris Missio, Chiesa non hamissione, come se la “missione” fosse una cosa tra molte che la Chiesa fa. No, la Chiesa è missione, e ciascuno di noi che riconosce Gesù come Signore e dovrebbe interrogarsi sulla efficacia propria nella missione.
In questi ultimi cinquant’anni dalla apertura del Concilio, abbiamo visto la Chiesa passare per le ultime fasi della Controriforma e riscoprirsi come un'opera missionaria. In qualche luogo ciò ha significato una nuova scoperta del Vangelo. In paesi già cristiani ha comportato una rievangelizzazione che abbandona le acque stagnanti della conservazione istituzionale e come Paolo II ha insegnato nella Novo Millennio Ineunte, ci invita a prendere il largo per una efficace.
In molti dei paesi qui rappresentati, la cultura e l'ambiente sociale una volta trasmetteva il vangelo, ma oggi non è più così. Ora dunque l'annuncio del Vangelo – l'esplicito invito a entrare nell'amicizia del Signore Gesù – deve essere al centro della vita cattolica e di tutti i cattolici. Ma in ogni occasione, il Concilio Vaticano II e i grandi papi che ne hanno dato interpretazione autorevole, ci spingono a chiamare la nostra gente a pensarsi come una schiera di missionari ed evangelizzatori.
5. Quando ero seminarista al Collegio Nordamericano tutti gli studenti di teologia del primo anno di tutti gli atenei romani furono invitati ad una messa in San Pietro celebrata dal prefetto della Congregazione per il Clero, il Cardinal John Wright.
Ci aspettavamo una omelia cerebrale. Ma lui iniziò chiedendoci: “Seminaristi, fate a me e alla Chiesa un favore: quando girate per le strade di Roma, sorridete!”
Così, punto cinque: il missionario, l'evangelizzatore, deve essere una persona di gioia.
“La gioia è il segno infallibile della presenza di Dio,” afferma Leon Bloy.
Quando sono diventato arcivescovo di New York un prete mi ha detto: “faresti meglio a smetterla di sorridere quando giri per le strade di Manhattan o finirai per farti arrestare!”
Un malato terminale di AIDS alla Casa Dono della Pace tenuta dalle Missionarie della Carità, nella arcidiocesi di Washington del Cardinale Donald Wuerl, ha chiesto il battesimo.
Quando il sacerdote li ha chiesto una espressione di fede lui ha mormorato: “quello che so è che io sono infelice, e le suore invece sono molto felici anche quando le insulto e sputo loro addosso.
Ieri finalmente ho chiesto loro il motivo della loro felicità. Esse hanno risposto “Gesù”. Io voglio questo Gesù così posso essere felice anche io.
Un autentico atto di fede, vero?
La nuova evangelizzazione si compie con il sorriso, non con il volto accigliato.
La missio ad gentes è fondamentalmente un sì a tutto ciò che di dignitoso, buono, vero, bello e nobile che c'è nella persona umana.
La Chiesa è fondamentalmente un sì!, non un no!
6. E, penultimo punto, la Nuova Evangelizzazione, è un atto di amore.
Recentemente hanno chiesto al nostro confratello John Thomas Kattrukudiyil, vescovo di Itanagar, nel nordest dell'India, il motivo della enorme crescita della Chiesa nella sua diocesi, che registra oltre dieci mila conversioni adulte l'anno.
“Perché noi presentiamo Dio come un Padre amorevole, e perché la gente vede che la Chiesa li ama” ha risposto.
Non un amore etereo, ha aggiunto, ma un amore incarnato in meravigliose scuole per bambini, cliniche per i malati, case per gli anziani, centri accoglienza per gli orfani, cibo per gli affamati.
A New York anche il cuore del più convinto laicista si intenerisce quando visita una delle nostre scuole cattoliche della città. Quando uno dei nostri benefattori, che si definiva agnostico, ha chiesto a suor Michelle perché alla sua età con i dolori di artrite che aveva alle ginocchia continuasse a lavorare in una bella ma assai impegnativa scuola; lei ha risposto: “Perché Dio mi ama e io lo amo e voglio che questi bambini scoprano questo amore.”
7. Gioia, amore e... ultimo punto.. mi spiace doverlo dire, il sangue.
Domani, ventidue di noi udranno quello che la maggior parte di voi ha già udito:
“A gloria di Dio e ad onore della Sede Apostolica ricevi questa berretta, segno della dignità cardinalizia sappi che dovrai desiderare di comportarti con fortezza fino allo spargimento del tuo sangue: per la diffusione della fede cristiana, la pace e la tranquillità del popolo di Dio, e la libertà e la crescita della Santa Romana Chiesa.”
Beatissimo Padre, potrebbe, per favore, saltare “fino allo spargimento del tuo sangue” quando mi presenterà la berretta?
Ovviamente no! Ma noi siamo audiovisivi scarlatti per tutti i nostri fratelli e sorelle anche essi chiamati a soffrire e morire per Gesù.
Fu Paolo VI a notare saggiamente che l'uomo moderno impara più dai testimoni che dai maestri, e la suprema testimonianza è il martirio.
Oggi, tristemente, abbiamo martiri in abbondanza.
Grazie Padre Santo, perché ci ricorda così spesso coloro che oggi soffrono la persecuzione a causa della loro fede in tutto il mondo.
Grazie Cardinal Koch, perché ogni anno chiami la Chiesa al “giorno di solidarietà” con i perseguitati a causa del vangelo, e per l'invito ai nostri interlocutori nell'ecumenismo e nel dialogo interreligioso ad un “ecumenismo nel martirio.”
Mentre piangiamo i cristiani martiri; mentre li amiamo, preghiamo con e per loro; mentre interveniamo con forza a loro difesa, noi siamo anche molto fieri di essi, ci vantiamo in essi e annunciamo la loro suprema testimonianza al mondo.
Essi accendono la scintilla della missio ad gentes della Nuova Evangelizzazione.
Un giovane a New York mi ha detto di essere ritornato alla fede cattolica, abbandonata nell'adolescenza, dopo aver letto I monaci di Tibhirine, sui trappisti martirizzati in Algeria quindici anni fa, e aver visto la loro storia nel film francese Uomini di Dio.
Tertulliano non si sarebbe sorpreso.
Grazie a voi, Santo Padre e confratelli per aver sopportato il mio italiano primordiale.
Quando il Cardinal Bertone mi ha chiesto di parlare in italiano, mi sono preoccupato perché io parlo italiano come un bambino.
Ma poi ho ricordato quando, da giovane prete fresco di ordinazione, il mio primo pastore mi disse mentre andavo a fare catechismo ai bambini di sei anni: “ora vedremo che fine farà tutta la tua teologia – e se ti riesci a parlare della fede come un bambino!”
E forse conviene concludere proprio con questo pensiero: abbiamo bisogno dire di nuovo come un bambino la eterna verità, la bellezza e la semplicità di Gesù e della sua Chiesa.
Sia lodato Gesù Cristo!