martedì 21 febbraio 2012

Quello che la legge comanda, la fede lo domanda

Domani 22 febbraio ricorre il settimo anniversario della morte di don Luigi Giussani...

A sette anni dalla morte, il carisma del fondatore di Cl rimane irriducibile a qualsiasi concettualizzazione. E continua a comunicarsi attraverso una "storia" di persone segnate da «un momento di verità raggiunta e detta».

Il ricordo di un suo discepolo, don Francesco Ventorino.


Pubblico di seguito l'articolo che appare sul numero 07/2012 di Tempi in edicola da giovedì 16 febbraio.

In queste pagine don Francesco Ventorino presenta il suo libro Luigi Giussani, la testimonianza di un rapporto di amicizia vissuto per quarantacinque anni con il fondatore di Comunione e Liberazione, scomparso il 22 febbraio del 2005. Ventorino, già ordinario di Storia e Filosofia nei licei, è docente emerito di Ontologia e di Etica presso lo Studio teologico San Paolo di Catania. Intorno
a lui, proprio a Catania, è nata la comunità siciliana di Cl, una delle prime realtà del movimento fuori Milano.


Questo libro, Luigi Giussani. La virtù dell’amicizia, che ha voluto essere come un rendimento di grazie a don Giussani, è la testimonianza di un amico, è il racconto di una storia, è la riflessione embrionale su una metodologia apologetica del cristianesimo, fondata su una concezione unitaria dell’uomo, dove fede e ragione sono amiche, anzi la prima è il compimento gratuito della dinamica dell’altra, dove soprannaturale e naturale si uniscono nell’unica destinazione dell’uomo storico, che è la visione di Dio. Ma soprattutto sulla convinzione che il cristianesimo non ha bisogno di altre ragioni o argomenti, per giustificare l’adesione ragionevole e libera dell’uomo, che se stesso. Infatti è nell’incontro cristiano che si palesa in modo immediato la sua corrispondenza a tutte le esigenze umane e si impone per la sua bellezza, cioè per lo splendore della sua verità. È per questo che – secondo don Giussani – all’origine della fede non ci sta un ragionamento, ma la grazia dell’avvenimento di un incontro.

Nel 2001, cioè pochi anni prima della sua morte, don Giussani avrebbe sintetizzato così il suo pensiero circa l’inizio della fede: «Non è il ragionamento astratto che fa crescere, che allarga la mente, ma il trovare nell’umanità un momento di verità raggiunta e detta. È la grande inversione di metodo che segna il passaggio dal senso religioso alla fede: non è più un ricercare pieno di incognite, ma la sorpresa di un fatto accaduto nella storia» (prefazione a All’origine della pretesa cristiana, Rizzoli, p. VI). Ecco perché il carisma di don Giussani è ultimamente irriducibile a qualsiasi concettualizzazione metodologica o teologica, perché esso consisteva nell’offrire nella sua umanità «un momento di verità raggiunta e detta», cioè nel rendere presente ed evidente nella propria umanità tutta la bellezza e la convenienza dell’essere cristiani.


Dall'archivio di 30Giorni

«La fede domanda»


Il 22 febbraio ricorre l’anniversario della morte di don Luigi Giussani.
Ricordandolo con gratitudine e speranza, pubblichiamo alcune sue frasi sulla preghiera.
Si potrebbero tutte riassumere nell’espressione di sant’Agostino: «Quello che la legge comanda la fede lo domanda»


Alcune frasi sulla preghiera di Luigi Giussani


L’ultimo incontro di don Giussani con Giovanni Paolo II, piazza San Pietro, 30 maggio 1998
L’ultimo incontro di don Giussani con Giovanni Paolo II, piazza San Pietro, 30 maggio 1998

Al grido disperato del pastore Brand nell’omonimo dramma di Ibsen («Rispondimi, o Dio, nell’ora in cui la morte m’inghiotte: non è dunque sufficiente tutta la volontà di un uomo per conseguire una sola parte di salvezza?») risponde l’umile positività di santa Teresa del Bambin Gesù che scrive: «Quando sono caritatevole è solo Gesù che agisce in me».
Tutto ciò significa che la libertà dell’uomo, sempre implicata dal Mistero, ha come suprema, inattaccabile forma espressiva, la preghiera. Per questo la libertà si pone, secondo tutta la sua vera natura, come domanda di adesione all’Essere, perciò a Cristo.

(Parole pronunciate davanti a Giovanni Paolo II, Roma, piazza San Pietro, 30 maggio 1998)





È Cristo [la] presenza che salva. Allora a noi tocca domandarlo: la «domanda della presenza di Cristo dentro ogni situazione e occasione della vita»: si può riassumere in questa parola del Papa tutta l’ascesi.

(L’opera del movimento. La fraternità di Comunione e liberazione, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2002, p. 177)





E l’ascesi è proprio questo: che diventi in noi familiare, nonostante tutto, la domanda della presenza di Cristo in ogni situazione della vita: a Cristo, presenza che salva. A noi tocca camminare senza smettere di domandare.

(Alla ricerca del volto umano. Contributo ad una antropologia,
Rizzoli, Milano 1995, p. 92)





«La domanda della presenza di Cristo in ogni situazione e occasione della vita» – è una frase del Papa –, questo è l’ascesi.
Che diventi familiare in noi la domanda della presenza di Cristo in ogni situazione e occasione della vita, questo è l’ascesi.

(L’opera del movimento. La fraternità di Comunione e liberazione, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2002, p. 176)





«Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare». È stato uno dei primi titoli dei nostri raggi il primo anno al Berchet: «Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare». Invece c’è un’altra formula, che è quasi uguale – quasi uguale a parole –: «Tra il dire e il fare c’è di mezzo il domandare».

(Si può (veramente?!) vivere così?, Bur, Milano 1996, p. 377)





Allora la forza della domanda è l’altro che è presente, non tu. È questa la differenza tra tutta la grandezza d’animo dell’uomo – sia epicureo che stoico, secondo le varie versioni – e il cristiano. Per l’uomo normale quello che è importante è ciò che è capace di fare, capace di superare lui (stoico o epicureo). E per il cristiano… è come un bambino: è tutto teso alla presenza della madre, del padre, dell’altro. È la forza di Dio.

(Una presenza che cambia, Bur, Milano 2004, p. 122)





È questo il lavoro?
Certo; dove si capisce che il lavoro ultimamente è preghiera, cioè è una domanda: la domanda a Dio che ti rimetta in sesto, che ti rimetta in equilibrio, che ti renda di nuovo gli occhi lucidi, che ti dia forza al cuore. Allora tu capisci che leggere i salmi di Lodi, dell’Ora Media, di Vesperi e di Compieta, leggere i salmi con attenzione ti rinnova tutto, serve a rinnovarti tutto.

(Una presenza che cambia, Bur, Milano 2004, p. 115)





Lui [Gesù] è il destino, perché è Dio, che passa attraverso la proposta e l’indicazione che dà alla tua libertà, è il destino che si sottopone alla tua libertà, che ti ama talmente da condizionarsi alla tua libertà. E non alla tua libertà come avvenimento eroico, perché di fronte alla scelta del destino il tema è tale che ingiungerebbe all’immaginazione un gesto eroico: la libertà, la scelta della libertà (e tutti, infatti, pompano questa cosa qui!). Invece no: Gesù è il destino che indica e si propone alla tua libertà nel suo aspetto più infantile, più ingenuo e buono, più elementare, che è il pianto o la domanda.

(L’attrattiva Gesù, Bur, Milano 1999, p. 290)





Dobbiamo chiedere la forza del Padre, la forza di Dio. La forza di Dio è un uomo, la misericordia di Dio ha nella storia un nome: Gesù Cristo, dice il Papa nell’enciclica che ho citato. Noi dobbiamo chiedere Gesù! «Vieni, Signore Gesù. Vieni, Signore» è il grido che sintetizza tutta la storia umana, la storia del rapporto tra l’uomo e Dio nella Bibbia. Andate a prendere la Bibbia, all’ultima pagina, le ultime parole sono queste: «Vieni, Signore». Dobbiamo pregare. È una mendicanza, non è una forza, ma l’estrema debolezza, l’espressione estrema della consapevolezza della debolezza che è in noi. La coscienza della nostra debolezza diventa mendicanza. La mendicanza è l’ultima possibilità di forza adeguata al nostro destino, rende l’uomo adeguato al destino. Si chiama normalmente preghiera.

(Avvenimento di libertà. Conversazioni con giovani universitari, Marietti, Genova 2002, p. 56)

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Escono in questi giorni due libri assolutamente imperdibili, che presento di seguito:



Autore: Benedetto XVI
Titolo: Testimoni del Messaggio Cristiano
Editore: Mondadori

Presentazione:
Uomini "in cammino" sono quelli che Benedetto XVI presenta in questi interventi: personaggi straordinari, che hanno trasmesso e affermato con forza il messaggio cristiano attraverso gli scritti e la testimonianza della loro vita. Trenta ritratti che nascono dall'esigenza di "educare il popolo di Dio alla conoscenza di molti scrittori che hanno esemplarmente illustrato la fede viva della Chiesa": Ambrogio, Cipriano, Efrem il Siro, Giovanni Crisostomo, Girolamo, Guglielmo di Saint-Thierry, Ireneo di Lione, Tertulliano e molti altri autori, a volte poco conosciuti, dei quali tuttavia, dopo averne ascoltato gli insegnamenti, non si può non cogliere l'attualità. "Maestri della fede" le cui parole hanno segnato l'evoluzione della teologia cristiana. In queste pagine Benedetto XVI si sofferma, fra le altre, sulla figura di Agostino d'Ippona, che lui stesso ha indicato più volte come continua fonte d'ispirazione per il suo pensiero: la tormentata vicenda interiore del santo è assimilabile al travaglio dell'uomo contemporaneo, che fatica a credere, sperare, amare. Con Giovanni Climaco suggerisce invece il cammino lungo la Scala del Paradiso, un itinerario per avvicinarsi a Dio: trenta gradini, una salita certo difficile, ma alla portata dei fedeli. Con Cirillo e Metodio ci invita a riscoprire il coraggio dell'annuncio evangelico che caratterizzò la loro vita. Modelli cui ispirarsi, "punti di luce in grado, per qualche aspetto specifico, di rischiarare il cammino spirituale di tutti". 

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Autore:  Mons. Paul Joseph Cordes (*) (cur.) 
Titolo: "Benedetto XVI ispira i nuovi movimenti e le realtà ecclesiali. 
Il punto della situazione teologico-pastorale"
 Editore: Libreria Editrice Vaticana

 Presentazione:
Questo scritto, dal piccolo formato, prende in esame il pensiero teologico di Benedetto XVI ed in particolare propone un commento sulla sua visione dei nuovi movimenti nella Chiesa e le sue indicazioni a riguardo. L'autore, partendo dal pensiero di uno dei più grandi maestri di teologia, vuole così offrire ai sacerdoti e ai laici impegnati un ausilio concreto per la cura pastorale delle anime, aiutando ad orientare e sostenere i nuovi movimenti e le realtà ecclesiali.

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Da rileggere anche l'altro libro di Mons. Cordes, di qualche anno fa, sempre sul rapporto tra movimenti ecclesiali e  Nuova Evangelizzazione. Libro che fu presentato durante il Meeting di Rimini da Giampiero Donnini, Responsabile della Prima Comunità Neocatecumenale della Parrocchia dei Santi Martiri Canadesi di Roma e da S.E. Mons. Luigi Negri, Vescovo della Diocesi di San Marino-Montefeltro e docente di Antropologia Teologica presso la Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Dei quali di seguito riporto gli interventi...


 


Relatori:
Giampiero Donnini, Responsabile per le Comunità del Cammino Neocatecumenale della Diocesi di Roma
Luigi Negri, Docente di Antropologia Teologica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano

Lettura del messaggio di Mons. Cordes: "Carissimi sono particolarmente grato agli organizzatori del Meeting per l’amicizia fra i popoli che hanno previsto un incontro per la presentazione del libro Segni di speranza che ho pubblicato lo scorso maggio. Questo volume è nato dalla mia esperienza e dal mio apprezzamento per l’opera che i diversi movimenti e le diverse comunità svolgono a favore della nuova evangelizzazione. Li ho conosciuti durante la mia lunga attività di Vice presidente del Pontificio Consiglio per i laici e ancora oggi mi sento molto legato ad essi.
Il vostro importante compito è stato riconosciuto in particolare dal Santo Padre Giovanni Paolo II nello storico incontro di Roma alla vigilia della pentecoste di quest’anno. Il Papa ha affermato che i movimenti sono la risposta che la provvidenza ha ispirato per venire incontro alle necessità della Chiesa e dell’uomo di oggi. Perciò vi ringrazio per questa iniziativa e per la vostra presenza, ma vi ringrazio soprattutto per l’impegno che quotidianamente dimostrate a servizio della diffusione del regno di Dio. Auspico che il Meeting di quest’anno raggiunga con successo i suoi scopi e possa contribuire a far conoscere la persona di Cristo che si mostra nella Chiesa.

Donnini: Questo libro è un’occasione unica per conoscere i movimenti direttamente dagli iniziatori di queste esperienze che oggi hanno portato un rinnovamento profondo nel mondo della Chiesa in Italia; è nello stesso tempo un’opera molto utile per capire il disegno originale di Dio per ciascuno di noi.
Vorrei ora dire brevemente cosa ha significato per me l’incontro con il Cammino Neocatecumenale. Avevo 26 anni; avevo lasciato la Chiesa, pur profondamente attratto dalla figura di Gesù Cristo che però rimaneva un’utopia, mentre la mia vita e la sua applicazione morale erano da un’altra parte. Di fronte al cristianesimo mi sentivo come di fronte a una bellissima serie di ideali, di impegni, di norme, ma la preoccupazione del quotidiano era tutt’altra cosa. Per questo lasciai la Chiesa, perché non trovavo una risposta. Agli inizi del mese di ottobre del ‘68, mi trovavo a Roma per lavoro; entrai in una Chiesa a sentire una catechesi che stava facendo il pittore spagnolo Kiko Arguello, la prima che faceva in Italia. Lo sentii dire: noi siamo cristiani non perché facciamo molte opere sociali, né perché andiamo molto a Messa o facciamo la comunione; né siamo cristiani perché viviamo una vita casta e pura. Noi siamo cristiani per una sola cosa perché amiamo i nostri nemici.
Questa parola dell’amore al nemico per me fu come un lampo,e in una frazione di secondo capii che se aveva ragione, se l’unica discriminante dell’essere cristiani è amare il nemico, io non ero mai stato cristiano. Alla fine dell’incontro, domandai come si può amare il nemico, che sforzo bisogna fare. E Kiko mi rispose: nessuno sforzo, tu ti siedi e ascolti, e se vedi che quello che ti dico in te risuona vedrai che un giorno ti troverai ad amare il nemico, perché l’amore al nemico non è uno sforzo dell’uomo, è il frutto della presenza di Gesù Cristo dentro il cuore dell’uomo.
Quello che manca a noi a volte nel nostro essere cristiani è l’annuncio del kerygma. Il kerygma è l’incontro con un apostolo, l’incontro con una persona, con uno che nella tua vita ti dice una parola profonda, che ti annuncia una buona notizia. Per molti di noi esseri cristiani significa invece osservare leggi, prescrizioni, portare pesi: ci dimentichiamo che l’essere cristiani è il dono più grande che l’uomo possa ricevere, perché è l’incontro con la libertà, è una chiamata alla festa. La parola dovere, nel cristianesimo, è da cancellare.
La novità di Gesù Cristo è che Dio, conoscendo la realtà dell’uomo - che l’uomo è schiavo della morte - ha inviato un uomo nella carne, nella mia carne e nella tua carne, ha assunto una carne come la tua e come la mia, ed ha assunto questa impossibilità ad amare l’altro accettando di morire per l’altro, accettando di perdere la vita, perché sapeva che il Padre gliela avrebbe ridata. Dio infatti quando crea l’uomo, lo crea per l’eternità: Dio ci ha creato non per la morte ma per la vita. La Chiesa esiste per dire al mondo una buona notizia: la morte è vinta. La Chiesa non è né dispensatrice di opere sociale, né dispensatrice di buoni consigli, né curatrice della morale del mondo. La Chiesa esiste per dire al mondo che esiste la vita eterna, che esiste per l’uomo la possibilità di amare. Quello che la Chiesa annuncia è che Dio mi ama. E mi ama assumendo la mia storia.
La novità del cristianesimo è una sola: che mentre tutti gli altri di fronte ai nostri peccati ci guardano e ci giudicano, Gesù ci perdona. Dio non ci ha giudicato, in Gesù Cristo Dio ci ha amato nella nostra realtà più profonda, assumendo i nostri peccati, prendendo la nostra natura, sposando le nostre debolezze. Questo è quello che ha significato per me l’incontro ed il Cammino catecumenale: credere che Dio, in Gesù Cristo, è capace di amare uno come me. 

Negri: Il libro Segni di speranza, dopo un breve ma intenso incontro con quelli che vengono chiamati i fondatori dei movimenti e aver posto a loro domande sostanziali sulla loro esperienza personale, nella seconda parte cerca di comporre il quadro della situazione della Chiesa nella quale lo Spirito ha suscitato questi movimenti, e di leggere quindi la funzione che storicamente hanno avuto e potranno sempre più avere, secondo l’ottica - cui è dedicato un intero capitolo - dell’approccio che Giovanni Paolo II ha avuto con i movimenti.
Per dettagliare questa seconda parte monsignor Cordes dà prova di una eccezionale competenza, polimorfica, perché è presente la migliore teologia, la migliore sociologia, la migliore psicologia, la migliore filosofia; non è soltanto una lettura intraecclesiale o ecclesiastica, è una lettura del fenomeno dei movimenti a tutto campo. I movimenti sono significativi perché tendono a riempire quella che già Giovanni XXIII nella Mater et Magistra indicava essere la crisi della Chiesa moderna, la separazione fra la fede e la cultura. O la fede in Cristo illumina e dà significato a tutti i problemi o è una fede preziosa ma inutile. La fede non è una appendice preziosa ma inutile della vita: è invece la verità stessa dell’esistenza.
C’è stata nel corso della storia della Chiesa in questi ultimi decenni quella che monsignor Cordes chiama una crisi di comunicazione. I contenuti fondamentali della fede a livello catechetico e culturale, non sono riusciti ad entrare in contatto con la situazione degli uomini reali, quegli stessi uomini impegnati in una delle avventure più grandi e aberranti, l’avventura della modernità, l’avventura di un uomo senza Dio, di una società senza Dio, di una società in cui l’uomo si è concepito come portatore in modo assoluto dei valori della sua esistenza, come capace di risolvere tutti i problemi da sé in forza della sua intelligenza e moralità, in forza della sua capacità scientifica e tecnologica. Questa crisi di comunicazione è espressione di una crisi più profonda, una crisi di identità. È come se la Chiesa non sapesse più chi è.
La grande stagione dei movimenti è stata salutare per questo, perché queste nuove realtà hanno proposto a tutta la Chiesa un punto di identificazione. La Chiesa non si identifica né sul mondo, né contro il mondo: la Chiesa si identifica in Cristo. La Chiesa è in Cristo, per Cristo e con Cristo: Cristo è il significato definitivo della realtà, la luce delle genti. I movimenti hanno riproposto in modo molto radicale questo principio aureo: la Chiesa è corpo del Signore, si identifica per questo radicale riferimento a Cristo, perché vive totalmente nell’ambito della Sua Presenza, come ci ha insegnato in maniera indimenticabile la Redemptor hominis. I movimenti hanno insegnato questo vivendo nella realtà del carisma la presenza di Cristo nella Chiesa e il Suo diventare incontro per l’uomo di oggi. Quale che sia il movimento, ciò che identifica la Chiesa è il suo rapporto con Cristo, ed è un rapporto con Cristo nel presente. Cristo presente nella Chiesa qui ed ora, che solo può spiegare e trasformare l’esistenza dell’uomo.
Si coglie così il senso profondo di una prima osservazione che è diventata comune per chi ha seguito l’insegnamento del magistero del Papa sui movimenti, fino a quello impartito durante l’udienza del 13 agosto: l’avvenimento di Cristo che è all’origine della Chiesa e del suo Spirito guida la Chiesa attraverso due grandi modalità che non sono in contrapposizione, ma sono profondamente sinergiche: il modo della istituzione e il modo del carisma. È rovinoso, ha detto il Papa, contrapporle, perché sono le due modalità con cui lo Spirito di Dio rende presente il mistero di Cristo nella Chiesa. L’istituzione assicura la presenza di Cristo, la Sua permanenza e la sua comunicabilità; il carisma lo rende esperienza viva e concreta, per coloro a cui il carisma è dato e per quelli che si legano a colui che ha ricevuto nella Chiesa dallo Spirito questo carisma, senza contrapposizione, perché il carisma accetta l’ultimo riferimento all’istituzione che è dotata del potere del discernimento, e d’altra parte l’istituzione deve accettare di non essere la sorgente della vita ecclesiale, ma il luogo di raccolta e di conduzione della vita ecclesiale. Ma la vita ecclesiale nasce dall’assoluta gratuità con cui lo spirito ubi vult spirat, dove vuole spira.
Una seconda osservazione riguarda la riscoperta della identificazione della Chiesa, la riscoperta di una realtà che proprio perché si identifica in Cristo e rende presente Cristo, è rivolta all’uomo e in dialogo con l’uomo. Questa esperienza della Chiesa, soprattutto nella flessione e nel modo con cui se ne fa esperienza nelle realtà carismatiche, non si chiude intraecclesialmente, è invece per l’uomo, ha la pretesa di parlare all’uomo e di porre Cristo come centro del cosmo e della storia. Come ebbe a dire Giovanni Paolo II, la Chiesa vive per rendere continuo il dialogo fra Cristo e il cuore dell’uomo: in queste parole riecheggia la grande intuizione dell’ultimo magistero di Paolo VI, che si è concretizzato nella Evangelii Nuntiandi.
La terza ed ultima osservazione tocca invece una intuizione formidabile di Giovanni Paolo II, che monsignor Cordes ha riproposto e che il 30 maggio ha reso esperienza sensibile: c’è qualche cosa che misura la realtà istituzionale e la vita carismatica. Questa è la missione. La chiesa è per la missione, la comunione è per la missione, come ha detto Papa Paolo VI nel Concilio Vaticano II. Il Concilio ha affermato l’esistenza di una comunione per la missione, non una comunione che si chiude in sé, ma la comunione per l’uomo, per il mondo, perché il contenuto esauriente e definitivo dell’esperienza dei cristiani venga proposto a tutti gli uomini come via, verità e vita. L’istituzione che non volesse la missione tradisce la sua funzione di guida della Chiesa a tutti i livelli, così come un carisma che non volesse servire la missione si tirerebbe fuori dalla linfa vitale della comunità. O la Chiesa vive questa missione o l’uomo del terzo millennio morirà disperato. L’uomo del terzo millennio infatti ha già alle sue spalle il fallimento della modernità, che voleva un uomo senza Dio e una società senza Dio e ha distrutto l’uomo: come diceva padre De Lubac, si può costruire il mondo contro Dio, ma una volta che si sia costruito il mondo contro Dio ci si rende conto amaramente che si costruisce il mondo contro l’uomo. L’uomo dell’inizio del terzo millennio è un uomo deluso, segnato dall’esperienza di fallimento della modernità. A questo uomo occorre riportare la speranza, e la speranza è riportata da una Chiesa autenticamente missionaria. Occorre che tutta la Chiesa, sia l’istituzione che i carismi, si rendano conto che ciò che li misura e li giudica, oggi e sempre, è la loro capacità di essere fattore determinante della vita missionaria. Che coloro che vivono l’esperienza dei movimenti sappiano per questa esperienza ritrovare il fascino e il gusto, e quindi il sacrificio, la fatica di una missione che consiste nell’aprire davanti al cuore di ogni uomo la certezza che Cristo è il redentore dell’uomo, perché solo in Cristo l’uomo sa veramente chi è. 

 
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(*): Il Cardinal Paul Joseph Cordes è Presidente del Pontificio Consiglio "Cor Unum".