domenica 18 marzo 2012

19 marzo: San Giuseppe, sposo della Beata Vergine Maria



   
19 MARZO
SAN GIUSEPPE
 
SPOSO 
DELLA BEATA VERGINE MARIA

PATRONO DELLA CHIESA UNIVERSALE
Solennità


S. Efrem




Mt 1,16.18-21.24

Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo.
Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo.
Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto.
Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”.
Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo.

IL COMMENTO

Il timore di Giuseppe dinanzi ad un Figlio, il nostro stesso timore dinanzi a noi stessi, figli nel Figlio. In Maria abbiamo ricevuto le sembianze del Figlio, la stessa natura di Dio. Ma nonostante ciò, abbiamo paura di noi stessi. Temiamo per la nostra riuscita e per il possibile rifiuto di chi vorremmo amare. La paura d'essere noi stessi per non essere rifiutati. Per paura siamo schiavi, soggetti ad un padrone che, mostrandoci debolezze e difetti, ci induce a pensare male di noi stessi e di Dio che ci ha fatto così inadeguati.

E' la paura e lo scandalo di un'infinita distanza. La lacerazione come una ferita sempre aperta tra la sublimità della nostra vocazione e l'inadeguatezza di ciò che siamo. Lo scandalo e la paura di Giuseppe, giusto della rettitudine di voler "ag-giustarsi" in ogni circostanza alla volontà di DioPer questo è preda del dubbio e dell'angoscia dinanzi a qualcosa di straordinario, al di fuori della stessa Legge cui ha votato la vita. Forse intuisce, ma l'eccezionalità e l'imprevedibilità sono come uno tsunami. Giuseppe ama Maria, ma la giustizia appresa dalla sapienza del suo popolo non ammette deroghe, neanche per quella deliziosa fanciulla che attendeva di sposare. Il fatto era lì, incontrovertibile. Maria era incinta e Giuseppe non c'entrava nulla. La ragione umana era senza spiegazioni se non quelle rese dall'evidenza. E questa spingeva inesorabilmente Giuseppe al rifiuto di quella ragazza, proprio in virtù della Legge alla quale Giuseppe ha sempre adeguato la propria vita. Ma Dio appare dove nessuno se lo aspetta. Senza preavviso, senza chiedere il permesso, al di là di ogni legge. Maria incinta fuori del matrimonioPromessa sposa, ma non ancora sposa. Occorreva un cuore capace di dilatarsi e saltare fuori dallo stesso perimetro della Legge. Occorreva una giustizia che superasse quella dei farisei, una visione che trascendesse anche l'amore umano di Giuseppe che già aveva deciso di ripudiare in segreto Maria, proteggendola da un triste destino, e caricandosi così con conseguenze che avrebbero segnato anche la sua vita per sempre. L'amore di Giuseppe lo avevano spinto sino a condividere la stessa sorte di Maria, ed era qualcosa di grande, forse il massimo cui si possa chiedere alla carne. Ma in quell'istante in cui si giocavano le sorti dell'umanità Dio chiamava ad un salto più grande. 

E Giuseppe è lì assorto, tremante, impaurito, a cercare modi e parole per ovviare all'imponderabile. Come noi, oggi, dinanzi alla nostra storia, alle briciole di un'esistenza che vorrebbe avere capo e coda, e non ne trova in nessun percorso logico e umano. Anche oggi è un giorno decisivo per la sorte di nostra moglie, di nostro figlio, di quell'amico o di quel collega. Per salvare, Dio scende anche oggi a cercare chi è finito fuori legge, e ha scelto proprio noi per accogliere e custodire l'opera del suo amore.   "Giuseppe, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perchè quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo". Tua sposaLa promessa sposa è "già" sposa agli occhi di Dio, perchè la Provvidenza di Dio ha precorso il tempoHa infranto le regole del mondo, la biologia del cosmo, disegnando, dall'eterno e per l'eterno, un cammino di salvezza tra le piaghe dell'umanità peccatrice, ed esso passa per le nozze di Maria e Giuseppe. Essi sono le due braccia di Dio aperte ad accogliere ogni uomo in un abbraccio di misericordia.
Tutto è già pronto dall'eternità: Maria è piena di Grazia, Immacolata Concezione per dare alla luce il Messia Immacolato; Giuseppe è figlio della Giustizia misericordiosa di Dio per accogliere e il "Giusto che si addosserà il peccato di molti". Le loro nozze, già compiute nella volontà di Dio, si celebrano ora nel tempo e nella carne, perchè la volontà di salvezza giunga nel tempo e ad ogni carne. Nella pienezza dei tempi Dio ha aperto il Cielo e ha inviato l'officiante, l'angelo dell'annuncio. Perchè queste nozze sono l'annuncio della Buona Notizia e l'umanità è in attesa del loro "consenso": “Dalla tua bocca dipende la consolazione dei miseri, la redenzione dei prigionieri, la liberazione dei condannati, la salvezza di tutti i figli di Adamo, di tutto il genere umano. Non sia che mentre tu sei titubante, egli passi oltre e tu debba, dolente, ricominciare a cercare colui che ami. Levati su, corri, apri! Levati con la fede, corri con la devozione, apri con il tuo assenso. (San Bernardo, Omelie sulla Madonna).

E Maria ha detto eccomi, e Dio ha preso dimora nel suo seno, Il mistero di un Dio nascosto nella carne dell'uomo, sembra peccato invece è amore. Anche Lei, Immacolata Concezione, senza peccato s'è fatta peccato per partorire al mondo il Dio fatto peccato. Per salvare i peccatori, e farli figli di Dio, ha fatto peccato la Madre e il Figlio.
E Giuseppe è ora di fronte a quanto lo Spirito Santo ha generato, questo amore incipiente che Dio aveva deciso dovesse passare per la strettoia della sua angoscia. L'arduo cammino dell'amoreGesù al Giordano, nella fila dei peccatori, e Maria incinta fuori del matrimonio. E con Gesù e sua Madre, Giuseppe. Lo stesso amore fatto carne nel seno di Maria è ora deposto, inerme, sulla soglia della sua libertà; come per Maria, la sofferenza di ogni uomo bussa ora alla sua porta, la sua angoscia non è un affare privato, è la stessa angoscia dell'umanità che grida dentro di lui. Anche Giuseppe è agli occhi di Dio già sposato con Maria. E' l'ora del suo "consenso"Solo gli occhi di Dio vedono "oltre" l'angusto sguardo dell'uomo; solo gli occhi di Dio vedono la misericordia e il riscatto nel peccatore più turpe. E la Grazia dona a Giuseppe gli occhi di Dio, ed il suo sguardo su Maria si fa accoglienza di quanto lo Spirito Santo aveva operato nell'ombra del mistero.

La parola dell'Angelo è rivolta oggi a ciascuno di noi, come un balsamo di pace e di speranza: " Non temere", non temiamo di prendere con noi Maria, la Figlia di Sion, immagine di un Popolo e della sua storia, della nostra storia. In Lei siamo generati, e quello che è generato in Lei è opera dello Spirito Santo. Siamo dunque opera del respiro di Dio, la vita divina è dentro la nostra vita. La carne la sorregge a malapena, la tenda d'argilla che sono le nostre membra peccatrici, quelle zolle di terra che ci scandalizzano, ci bloccano, ci impauriscono non sono che la povera stalla di Betlemme dove Dio ha voluto nascere e prendere dimora. 

Non temiamo le nostre debolezze, l'astruso passato, l'incerto futuro. Quel che è in noi, quello che ci genera oggi a questo giorno come ad ogni giorno è il dito di Dio; il soffio del Suo Spirito dà vita alla nostra morte e a quella a cui siamo inviati. In Dio siamo "già" sposati con il Suo Figlio, siamo suoi da sempre, da prima della creazione del mondo. Noi siamo il suo destino e Lui è la nostra Patria. In ogni evento che ci impaurisce si nasconde l'annuncio di salvezza per noi e l'umanità intera. La storia ci è data perchè vi si compiano le nozze che diano alla luce il Salvatore del mondo. Siamo preziosi ai Suoi occhi, perchè in noi Dio vede il riscatto di questa generazione. I nostri occhi guardano la nostra vita riflessa in uno specchio, gli occhi di Dio guardano, e amano, il Suo Figlio in noi ed in ogni uomo. Come hanno guardato Maria, e come, per la Grazia, hanno imparato a guardarla gli occhi di Giuseppe.

Non temiamo oggi di accogliere lo straordinario amore di Dio, di incamminarci con Lui alla ricerca della pecora perduta, di prendere con noi quanto Egli sta operando, misteriosamente e al di là di ogni ragionevole limite imposto dalla stessa Legge religiosa che vorremmo seguire. Non temiamo di amare oltre la giustizia umana, oltre l'amore contenuto nella mostra povera carne. Non temiamo di lasciarci colmare dallo stesso Spirito che ha fecondato Maria, che sta operando in chi ci è accanto, affidato alle nostre cure di marito e padre e fratello. Non temiamo di lasciarci aprire gli occhi della fede e discernere  l'opera dell'infinito amore di Dio in quanto appare, alla giustizia della Legge, ingiusto e malvagio. Gli occhi della fede che Dio dona alla Chiesa inviata alla ricerca della pecora perduta, dei peccatori, dei falliti. Gli occhi di Giuseppe attratti in un amore più grande, infinitamente più grande della carne, occhi celesti sulla terra. Gli occhi che sorgono da un cuore rinnovato e trasformato nell'amore di Dio, il dono preparato per noi oggi, per guardare, accogliere, custodire ed amare, per compiere la missione per la quale siamo nati. 


Icona della Natività. Il dubbio di Giuseppe



Nella parte inferiore si trova Giuseppe rinchiuso anch’esso nel mantello dei propri pensieri, nel suo umanissimo dubbio di fronte al mistero. I vangeli apocrifi si dilungano dettagliatamente sui dubbi e sulle reazioni incredule di Giuseppe davanti al concepimento di Maria, e anche il Vangelo di Matteo lo dipinge mentre è in preda all’incertezza “Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto” ( Mt 1,19) Giuseppe, dunque, è l’uomo che si interroga davanti al mistero e di fronte a lui la tentazione del dubbio si materializza e si impersona in una figura di pastore coperto di pelli, la cui vera natura si rivela in alcune rappresentazioni, come in una cupola della Cattedrale dell’Annunciazione a Mosca, attraverso due piccoli corni che gli spuntano sul capo. La tradizione dà al pastore–diavolo il nome di Tirso, che è anche il nome del bastone di Dioniso e dei satiri.



APPROFONDIRE


Benedetto XVI: «Maestro col suo silenzio profondo»

Lasciamoci contagiare dal silenzio di san Giuseppe. Ne abbiamo tanto bisogno, in un mondo spesso troppo rumoroso, che non favorisce il raccoglimento e l’ascolto della voce di Dio». Così Benedetto XVI ha invitato a guardare a san Giuseppe durante l’Angelus del 18 dicembre scorso.
«È l’evangelista Matteo – spiegò il Papa in quell’occasione – a dare maggior risalto al padre putativo di Gesùsottolineando che, per suo tramite, il Bambino risultava legalmente inserito nella discendenza davidica e realizzava così le Scritture, nelle quali il Messia era profetizzato come "figlio di Davide". Ma il ruolo di Giuseppe – aggiunse il Pontefice – non può certo ridursi a questo aspetto legale. Egli è modello dell’uomo "giusto" (Mt 1,19), che in perfetta sintonia con la sua sposa accoglie il Figlio di Dio fatto uomo e veglia sulla sua crescita umana. Per questo è quanto mai opportuno stabilire una sorta di colloquio spirituale con san Giuseppe, perché egli ci aiuti a vivere in pienezza questo grande mistero della fede».
In quell’occasione Benedetto XVI citò anche la «mirabile meditazione» su questa figura proposta da Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica «Redemptoris custos». «Tra i molti aspetti che pone in luce – continuò Ratzinger –, un accento particolare dedica al silenzio di san Giuseppe. Il suo è un silenzio permeato di contemplazione del mistero di Dio, in atteggiamento di totale disponibilità ai voleri divini. In altre parole, il silenzio di san Giuseppe non manifesta un vuoto interiore, ma, al contrario, la pienezza di fede che egli porta nel cuore, e che guida ogni suo pensiero ed ogni sua azione.
Un silenzio grazie al quale Giuseppe, all’unisono con Maria, custodisce la Parola di Dio, conosciuta attraverso le Sacre Scritture, confrontandola continuamente con gli avvenimenti della vita di Gesù; un silenzio intessuto di preghiera costante, preghiera di benedizione del Signore, di adorazione della sua santa volontà e di affidamento senza riserve alla sua provvidenza. Non si esagera – concluse Benedetto XVI – se si pensa che proprio dal "padre" Giuseppe Gesù abbia appreso – sul piano umano – quella robusta interiorità che è presuppostodell’autentica giustizia, la "giustizia superiore", che Egli un giorno insegnerà ai suoi discepoli».

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LA FESTA DI SAN GIUSEPPE. Benedetto XVI

Quel cuore tedesco sulle orme di Joseph...
(da “AVVENIRE” del 18 marzo 2006)
Tra chiese e immagini i segni di una devozione fiorita a partire dall'età barocca e rilanciata nel mondo operaio
Da Monaco Di Baviera Diego Vanzi
Per tutti ormai è Benedetto, ma di battesimo si chiama Joseph il Papa venuto dalla Germania. Porta, dunque, il nome del santo di cui domani ricorre la festa. Una figura la cui importanza lui stesso ha voluto richiamare già in questo primo anno di Pontificato, come ricordiamo nell'articolo qui a fianco. Viene dunque spontanea la domanda: chi è san Giuseppe per il mondo tedesco?
La risposta la si trova nelle tante chiese intitolate a Sankt Joseph, l'uomo chiamato dalla Divina Provvidenza a vegliare sul Figlio di Dio fatto uomo. Espressione di una devozione forse menovistosa rispetto all'Italia, eppure radicata nella fede semplice di generazioni di tedeschi. È ciò che, nella cittadina di Kevelaer nei pressi di Münster, nel Nord/Reno-Vesfalia, si propone di indagare il principale centro di studi giosefologici della Germania. Si tratta di un gruppo specifico di lavoro costituito nel quadro dell'Imak (Internationaler Mariologischer ArbeitskreisKevelaer) il Centro internazionale di studi mariani che ha Kevelaer ha la sua sede.
Il 19 marzo ogni anno l'istituto di giosefologia pubblica uno studio sulla figura del santo cheviene allegato al giornale cattolico TagespostE il suo direttore, German Rovina, è autore del volume «San Giuseppe padre e marito», che in lingua tedesca riassume in undici capitoli ciò che la Scrittura e la Tradizione della Chiesa afferma sul padre putativo di GesùProprio aKevelaer, inoltre, nell'autunno scorso, si è svolto il simposio internazionale di studi su san Giuseppe, che si tiene ogni quattro anniSette giorni di conferenze e confronti che hanno avuto come tema conduttore «L'importanza di san Giuseppe nella storia della salvezza».
Un segno, dunque, dell'interesse anche culturale intorno a questa figura. Anche se, va ricordato, quella specifica verso san Giuseppe è una devozione dalle radici relativamente recenti. «Inizialmente - commenta padre Bernhard Paal, gesuita di Monaco, predicatore nellaStMichaelskirche - nell'iconografia la sua figura appariva sempre nel contesto della Sacra Famiglia. Lo troviamo rappresentato insieme a Maria e Gesù, sulla via di Betlemme, nella fuga in Egitto, alla nascita di Gesù o nella visita al Tempio. È a partire dall'epoca barocca, invece - continua padre Paal -, che san Giuseppe inizia ad assumere un proprio profilo più marcato e ad essere raffigurato anche singolarmente». Di qui il fiorire della devozione che raggiungerà il suo culmine nel 1870, quando Pio IX lo proclamerà patrono della Chiesa universale. Anche in Germania questa stagione ha lasciato segni a volte semplici, ma comunque significativi.
«Nella StMichaelskirche, qui nel cuore della cattolicissima Baviera- esemplifica padre Paal -, èraffigurato su numerosi medaglioni d'argento in vari calici e in un quadro sull'altare centrale». All'inizio del ventesimo secolo è legato, infine, il capitolo più recente della devozione a san Giuseppe, quello legato al mondo del lavoro. L'artigiano di Nazareth è diventato il punto di riferimento per la presenza della Chiesa in ambiente operaio. Un'attenzione sviluppata in maniera particolare nei länder a forte vocazione industrialeE che rimane viva anche attraverso le chiese intitolate specificamente a san Giuseppe lavoratore.

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San Bernardo, abate.. Giuseppe meritò da Dio di essere detto e creduto padre di Dio.

Era costume degli ebrei che dal giorno del fidanzamento a quello delle nozze la sposa fosse affidata alla custodia dello sposo, perché tanto meglio fosse conservata la loro pudicizia quanto più vicendevolmente essi erano fedeli. Ora, come Tommaso col suo dubbio e poi con il suo incontro tangibile con Cristo fu il testimonio più tenace della risurrezione del Signore, così Giuseppe, fidanzandosi a Maria e bene conoscendola durante il periodo di preparazione alle nozze, fu il teste più fedele della di lei pudicizia. Splendida convenienza dell'uno e dell'altro fatto: del dubbio di Tommaso e del fidanzamento di Maria.
Fu dunque necessario che Maria fosse sposata a Giuseppe, affinchè le cose sante rimanessero nascoste agli infedeli (cfr. Mt 7,6), la verginità di lei fosse accertata dallo sposo, e intatta restasse la sua pudicizia e la sua fama. Nulla di più saggio e di più degno della Provvidenza divina. Con un solo atto è ammesso un teste ai segreti celesti, ne è escluso il nemico, si conserva integro l'onore della Vergine. Però qualcuno potrebbe obiettare: «Giuseppe, come uomo, non poteva fare a meno di dubitare della fedeltà della sua sposa; ma, poiché era uomo giusto, non voleva certamente coabitare con lei a motivo di questo sospetto, né tuttavia (dal momento che era anche uomo pio) voleva esperia all'infamia come sospetta: perciò egli aveva deciso di lasciarla segretamente».
Rispondo in poche parole che anche questo dubbio di Giuseppe era necessario, per avere da Dio l'opportuna chiarificatrice assicurazione: «Mentre egli stava pensando a queste cose», di lasciarla cioè segretamente, «gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo» (Mt 1,20).
Per queste ragioni, dunque, Maria andò sposa a Giuseppe o, come dice l'evangelista, «di un uomo chiamato Giuseppe» (Le 1,27). L'evangelista lo dice un uomo, non perché sposo di una donna, ma perché uomo di virtù; ossia perché, come nota un altro evangelista (Mt 1,19), egli non era semplicemente un uomo, ma lo sposo di lei: chiamato dunque così perché tale appunto la gente lo considerava.
Dovette, perciò, essere detto lo sposo di lei, perché necessariamente così doveva essere ritenuto; come anche meritò di essere reputato il padre del Salvatore, pur non essendolo in realtà: «Gesù aveva circa trent'anni quando cominciò il suo ministero; ed era figlio, come si credeva di Giuseppe» (Le 3,23).
Giuseppe, dunque, non fu né il marito della madre, né il padre del figlio, sebbene, come abbiamo spiegato, data la situazione in cui necessariamente si trovava, per un certo tempo egli come tale fosse chiamato e reputato. Da tutto ciò deduciamo: Giuseppe meritò da Dio di essere detto e creduto padre di Dio; Giuseppe fu un uomo assolutamente straordinario. Nessun dubbio che sia stato sempre un uomo buono e fedele questo Giuseppe, la cui sposa era la Madre del Salvatore.
Servo fedele e saggio, scelto dal Signore per confortare la Madre sua e provvedere al di lei sostentamento; il solo coadiutore fedelissimo, sulla terra, del grande disegno di Dio.


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San Giuseppe. In I VANGELI DELL'INFANZIA DI GESU'. Di René Laurentin

Problema e programma di Giuseppe
II problema che si pone a Giuseppe, erede davidico, privato della discendenza, è esposto immediatamente, e Maria trova qui il suo posto, il primo, nel racconto:
Maria, sua Madre, essendo concessa in matrimonio a Giuseppe (mnésteu-theisés), prima ch'essi fossero stati insieme, fu trovata avere nel ventre (en gastri) da (ek) lo Spirito Santo (1, 18: rispettiamo letteralmente le formule complicate del testo greco).
Questo versetto enuncia il problema che si pone a Giuseppe: non il fatto bruto che Maria sia incinta, ma la Causa trascendente di questo fatto fuori dell'ordinario: lo Spirito Santo.
Il versetto successivo descrive così la reazione dell'erede davidico:
Giuseppe, il suo uomo, essendo giusto, non volle denunciarla, ma decise di ripudiarla in segreto (1, 19).
Questo racconto di Matteo è del tutto estraneo al sospetto di Giuseppe. La sua decisione è spiegata col fatto ch'egli era « giusto ». S'egli avesse giudicato la sua sposa colpevole, la giustizia avrebbe richiesto ch'egli applicasse la legge, e questa non conosceva procedure segrete, ma soltanto un libello ufficiale di ripudio (Dt 24, 1).
Come potrebbe Giuseppe esser qualificato come giusto, se nasconde il crimine della sua sposa? osservava già san Girolamo (In Mattbeum 1, PL 26, 24).
Se, sospettando l'adulterio, egli avesse voluto risparmiare Maria, il suo atteggiamento avrebbe dovuto essere caratterizzato con la mansuetudine. Se la sua decisione è messa sul conto della giustizia, lo è in coerenza con l'enunciato del versetto precedente. Ciò che Giuseppe sapeva, secondo Mt 1, 18, è che questo bambino proveniva da Dio soltanto. È a motivo della giustizia ch'egli non vuole appropriarsi d'una posterità sacra che non è sua, né di questa sposa che appartiene a Dio. Egli si ritira con discrezione, evitando di attirare su Maria delle conseguenze incresciose, e lascia il seguito a Dio, autore dell'evento, che farà il resto. Il racconto non precisa ulteriori dettagli, che sono senza importanza per il senso.
LE RAGIONI DI GIUSEPPE IL GIUSTO
La situazione sembra definita dalla legge del Dt 22, 23-25: « Se una giovane vergine è fidanzata a un uomo, e un altro uomo la trova in città e giace con lei, li condurrete fuori tutti e due alla porta di quella città e li lapiderete: moriranno, la giovane perché non ha invocato aiuto nella città, e l'uomo perché ha usato la donna del suo prossimo ». Ma il versetto 25 scusa la giovane, se il fatto è avvenuto in campagna, ove ella non poteva né gridare, né chiamare aiuto (2, 25-27).
Su questa base sono state date tre spiegazioni:
1. Giuseppe è detto « giusto » perché obbedisce alla legge (come Zaccaria e Elisabetta in Le 1, 6). È la tesi fatta prevalere dal Protovangelo di Giacomo 14, 1, ove Giuseppe dice: « Se nascondo il suo peccato mi trovo in contrasto con la legge del Signore; e se la denuncio..., temo che quel che è in lei sia forse da un angelo e che io sia trovato colpevole di consegnare un sangue innocente a una condanna a morte » (Strycker, pp. 126-129). Dal che la sua soluzione d'uri ripudio in segreto. Quest'interpretazione domina l'esegesi a partire da Giustino, Ambrogio, Agostino, Crisostomo ecc. Essa si è evoluta nel senso del « sospetto di Giuseppe ».
2. Per R. PESCH, Ausfuhrungsformel, in Bibl. Zeit. 11 (1967) 91 e per C. SPICQ, in Rev. Bibl. 71 (1964) 206-209, la giustizia di Giuseppe è la sua volontà misericordiosa e la sua moderazione, conformi al Sai 112, 4, che invita ad unire la bontà alla giustizia (cf Sai 37, 21 e Sp 12, 19, Filone ecc.). Ma in tal caso Giuseppe dovrebbe essere qualificato per la sua mansuetudine e non per la suagiustizia; né si comprende più la formula dell'angelo, che tende a vincere uno scrupolo: « Non temere di prendere Maria, tua' sposa » (1, 20).
3. Con Xavier Léon-Dufour (numerosi articoli riportati nella nostra bibliografia) e A. Pelletier (ivi), che aggiunge degli argomenti strettamente grammaticali, bisogna concludere: Giuseppe è giusto, perché non ha voluto appropriarsi d'una discendenza che veniva da Dio e non era dunque sua. Egli è giusto per il rispetto del piano di Dio, che protegge col segreto. Questa soluzione sembra richiesta da Mt 1, 18, che pone con chiarezza in partenza i termini del problema di Giuseppe: Maria incinta a motivo d'un'azione trascendente e misteriosa dello Spirito Santo.Tale è la posizione di Eusebio, Efrem, Teofilatto, Giuseppe agisce per timore di Dio, per non usurpare una posterità che deriva soltanto da Lui e per non prendere una donna che Dio ha preso nella sua orbita sacra (in un senso per nulla sessuale, come indica la redazione di Matteo).
Questa soluzione incontrovertibile è avvalorata nella sua logica dal fatto che, in quell'epoca, la relazione adultera d'una donna interdiceva al marito le relazioni sessuali con lei. Questa concezione rimase in vigore per molto tempo. Nella legislazione del medioevo l'adulterio d'una donna era una specie di impedimento per il marito. E questa norma fu fatta valere per molti nelle autorizzazioni concesse allo sposo (o alla sposa) non colpevole di contrarre un nuovo matrimonio in caso di adulterio della legittima sposa. Tale concezione entrava in gioco nei confronti di Dio, che assumeva la consacrazione delle vergini o il parto verginale di Maria.
Questa terza interpretazione, che guadagna terreno, è ostacolata dalla traduzione liturgica francese, che misconosce le sfumature grammaticali messe in luce da Pelletier.
R. GUNDRY, Matthew, p. 22, riporta diversi testi rabbinici, che mostrano la complessità del sostrato: se l'accordo di matrimonio secondo la legislazione ebraica era molto più d'un fidanzamento e faceva dell'uomo un vedovo in caso di morte della donna (p. 21), dall'altro lato la giurisprudenza tendeva a scartare la lapidazione (Strack-Billerbeck 1, 50-53), qualora non si fosse identificato un maschio colpevole. Secondo Gundry (p. 22), Giuseppe temeva di « violare la giustizia prendendo Maria in moglie, dal momento che ella era incinta per causa divina ». Mt 1, 18 non è una « semplice informazione anticipata per il lettore », ma manifesta i termini del problema di Giuseppe: i dati su cui la sua giustizia ha ragionato. Di qui la formula con cui l'angelo elimina il suo scrupolo: « Non temere... » (1, 20). Mt 1, 16-20 presenta contemporaneamente Maria come fidanzata (1, 18) e come sposa (1, 20-24). E Giuseppe è chiamato suo sposo in 1, 16: due formule (sposa = donna con possessivo, sposo) evitate dalla delicatezza di Lc 2, 7.
ll mandato di Giuseppe
È in risposta a questo progetto che l'angelo del Signore gli appare in sogno. Secondo il gioco delle particelle greche (gar... de), messo bene in luce da A. Pelletier (Pelletier presenta due serie di esempi: 1° Quelli in cui si trova la formula completa: men gar... de, per introdurre successivamente una obiezione e poi l'affermazione contraria. - Rom 2, 25: « Benché (men gar) la circoncisione sia utile, qualora tu pratichi la legge, se al contrario (de) trasgredisci la legge, la tua circoncisione diventa incirconcisione. — Rom 5, 16: « Benché (men gar) il peccato di uno solo conduca al giudizio, il dono invece (de) conduce alla giustizia per un gran numero di peccati ». - 1 Cor 5, 3: « Io, sebbene (men gar)assente col corpo, essendo tuttavia ben (de) presente con lo spirito, ho giudicato come fossi presente ». Si veda inoltre 1 Cor 11, 7; 2 Cor 9, 1-3. in cui manca il de; Ebr 7, 18-19; At 13, 36-37; At 4, 16-17 dove il de è sostituito conalla. 2° Le citazioni dal Vangelo: in esse il men iniziale è omesso, il che da alla formula un tono più didattico, più insinuante. - Mt 22, 14: «Benché (gar) vi siano molti chiamati, poco numerosi (de) sono gli eletti ». - Gv 20, 17: « Benché(gar) io non sia ancora risalito verso il Padre, va' tuttavia (de) a dire ai miei fratelli che io salgo verso il Padre mio »; cf Mt 18, 7 (con plén invece del de) eMt 24, 6 con atta. L'elemento comune di questa dialettica (quella di Mt 1, 20-21) è che l'articolazione del ragionamento si fonda sul gar seguito dal de, per eliminare una obiezione desunta da un fatto incontestabile. Pelletier traduce prudentemente: CERTO, MA, oppure: «PER QUANTO ciò possa essere, non è meno vero che». A noi sembra più chiaro e conforme al senso di queste espressioni tradurre con benché l'obiezione che viene eliminata, e sottolineare enfaticamente l'affermazione mantenuta con vigore.

bisogna tradurre:
Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere in casa Maria, tua sposa, perché, quantunque ciò che è stato generato in lei venga dallo Spirito Santo, sarai tu a chiamare il Figlio ch'ella genererà col nome di Gesù, perché egli salverà il popolo dai suoi peccati (1, 20-21).

Fin dalle prime parole Giuseppe è qualificato come figlio di Davide, appellativo essenziale secondo il programma narrativo stabilito all'inizio. Il programma davidico, spezzato dalla rottura genealogica di Mt 1, 16, è ristabilito dalla missione affidata a Giuseppe: benché egli non sia generante (1, 16) e la generazione sia d'origine divina (dallo Spirito Santo: 1, 18.20), sarà lui a svolgere il ruolo di padre. Egli « PRENDERÀ in casa » Maria, sua sposa (1, 20.24) e prenderà il bambino come figlio adottivo (2, 13.14.20.21). Farà atto di padre imponendogli il nome di Gesù, un nome ricco di senso, poiché significa Salvatore( 1, 21 ). Il nome aveva allora un'importanza essenziale, cumulante l'essere, il significato e la potenza. Dio affida dunque qui a Giuseppe un ruolo decisivo.
Matteo risolve così un problema sconosciuto alla tradizione ebraica, che non s'aspettava una concezione verginale, e ne trova la giustificazione nella profezia d'Is 7, 14:
Tutto ciò avvenne' affinchè si adempisse quanto era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco che la Vergine avrà nel suo ventre e partorirà un figlio, e sarà chiamato col nome di Emmanuele, che significa: Dio con noi (1, 23).
Fino ad allora questa profezia non era stata compresa in questo senso. Secondo il testo ebraico si trattava di una ragazza, non necessariamente d'una vergine, ed era lei a imporre il nome al bambino. Matteo, traducendo vergine (parthenos),segue forse la traduzione dei LXX. Ma nei LXX è Acaz l'invitato a imporre il nome:Tu lo chiamerai. Ciò non serviva allo scopo di Matteo, così come non serviva il testo ebraico seguito da Lc 1, 31. Acaz ha poca importanza, è a Giuseppe che, nella prospettiva di Matteo spetta di dare il nome. Egli traduce dunque in modo vago « sarà chiamato » (senza precisare chi chiama) e attualizza la profezia in funzione dell'evento inatteso ch'è la concezione verginale.
Pelletier presenta due serie di esempi: 1° Quelli in cui si trova la formula completa: men gar... de, per introdurre successivamente una obiezione e poi l'affermazione contraria. - Rom 2, 25: « Benché (men gar) la circoncisione sia utile, qualora tu pratichi la legge, se al contrario (de) trasgredisci la legge, la tua circoncisione diventa incirconcisione. — Rom 5, 16: « Benché (men gar) il peccato di uno solo conduca al giudizio, il dono invece (de) conduce alla giustizia per un gran numero di peccati ». - 1 Cor 5, 3: « Io, sebbene (men gar) assente col corpo, essendo tuttavia ben (de) presente con lo spirito, ho giudicato come fossi presente ». Si veda inoltre 1 Cor 11, 7; 2 Cor 9, 1-3. in cui manca il de; Ebr 7, 18-19; At 13, 36-37; At 4, 16-17 dove il de è sostituito con alla. 2° Le citazioni dal Vangelo: in esse il men iniziale è omesso, il che da alla formula un tono più didattico, più insinuante. - Mt 22, 14: «Benché (gar) vi siano molti chiamati, poco numerosi (de) sono gli eletti ». - Gv 20, 17: « Benché (gar) io non sia ancora risalito verso il Padre, va' tuttavia (de) a dire ai miei fratelli che io salgo verso il Padre mio »; cf Mt 18, 7 (con plén invece del de) e Mt 24, 6 con atta. L'elemento comune di questa dialettica (quella di Mt 1, 20-21) è che l'articolazione del ragionamento si fonda sul gar seguito dal de, per eliminare una obiezione desunta da un fatto incontestabile. Pelletier traduce prudentemente: CERTO, MA, oppure: «PER QUANTO ciò possa essere, non è meno vero che». A noi sembra più chiaro e conforme al senso di queste espressioni tradurre con benché l'obiezione che viene eliminata, e sottolineare enfaticamente l'affermazione mantenuta con vigore. A. PELLETIER, L'annonce a Joseph, in Recherches de Sciences religieuses, 54(1966)67-68.
L'esecuzione (Mt. 1,24-25)
Il versetto 24 racconta l'esecuzione dell'ordine divino, che qualifica Gesù come Messia e figlio di Davide:
Svegliatosi dal sonno, Giuseppe fece come l'angelo del Signore gli aveva ordinato: prese la sua sposa e non la conobbe fino a che ella partorì un figlio, e gli diede il nome di Gesù.
Il termine egertheis (da egeiró: svegliarsi), che indica anche la risurrezione (Mt 27, 52.63.64 ecc.), ricorre quattro volte al termine di ciascuno dei sogni. Esso tende a sottolineare la lucidità attiva di Giuseppe, che « prende » la sposa, che aveva progettato di « ripudiare in segreto » (1, 19). Questa coabitazione è importante per dare al Messia, oltre a un nome, una casa e una famìglia normalmente stabilite. Però, precisa Matteo, Giuseppe « non la conobbe fino a che ella partorì ». « Fino a che » non pregiudica affatto quel che succederà dopo. Secondo l'uso semitico questa formula segna il termine e il limite d'interesse. Là dove 2 Sam 6,23 dice che Mikal non ebbe figli « fino alla sua morte », è evidente ch'ella non ne ebbe neppure dopo. L'importante, secondo il programma narrativo, sono le ultime parole della pericope, la sua conclusione: è lui, Giuseppe, a imporre il nome di Gesù (1, 25). Questa è la prova qualificante, che lo abilita a esercitare la sua autorità protettrice lungo tutto il capitolo 2.
Tutto il programma narrativo mira dunque a mostrare come Gesù è figlio di Davide, anche se Giuseppe non l'ha generato. Il destinatore ripara questa disgiunzione collegando il Messia a Davide mediante una missione di paternità adottiva. Così viene superata una difficoltà notevole per l'uomo di quei tempi: Gesù giustifica bene il titolo di « figlio di Davide », ritenuto allora essenziale per la sua autenticità messianica
Formalizzazione
Formalizzando in termini semiotici, possiamo dire: il Messia (soggetto virtuale) doveva esser congiunto al re Davide (1, 1.6) per mezzo di «Giuseppe, figlio di Davide» (1, 16.20). La disgiunzione genealogica (Giuseppe non genera Gesù) è riparata da Dio destinatore, che conferisce a Giuseppe una paternità adottiva. Questa disgiunzione paradossale è l'inverso d'una congiunzione trascendente del Messia con Dio, che sarà presto precisata come figliazione divina (2, 15). Questa pericope precisa soltanto che l'origine di Gesù sta unicamente in Dio, nello Spirito Santo (2, 18.20), la qual cosa fa passare la regalità messianica (realizzata sotto il segno della rovina dinastica e della cattività, 1, 7) a un piano trascendente.
Nello stesso tempo Giuseppe, congiunto a Maria dai legami del matrimonio, decide il ripudio (disgiunzione), poiché il bambino appartiene a Dio e non a lui. Su ordine dello stesso Dio egli mantiene la congiunzione del matrimonio, ma senza «conoscerla»: la congiunzione sarà coniugale, ma non sessuale (1, 24). Egli dona così al Messia una famiglia legittima fondata da Dio stesso.
Le tre fasi di Mt 1, 18-25 possono essere formalizzate così: (Davide A Giuseppe A Maria) (Giuseppe v Maria A Gesù) (Giuseppe A Maria A Gesù), il che significa:
1. Giuseppe, congiunto a Davide dalla catena genealogica, è congiunto aMaria dall'accordo di matrimonio.
2. Egli progetta il ripudio (disgiunzione) a motivo della concezione di Gesù per opera di Dio soltanto.
3. L'angelo l'invita a prendere Maria in casa come sposa (congiunzione del legame matrimoniale e dell'abitazione, ma senza congiunzione sessuale), unitamente al bambino cui imporrà il nome.


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NEL MITE GIUSEPPE IL VERO COLPO DI SCENA di GIANFRANCO RAVASI

Anni fa, mentre ero in viaggio verso Montréal in Canada, rimasi stupito vedendo in lontananza ergersi ai bordi della città un’enorme mole bianca su un colle: seppi poi che si trattava del santuario di s. Giuseppe, eretto nel 1904 da fratel André (frate laico della Congregazione della S. Croce) e divenuto una sorta di tempio nazionale cattolico canadese. Era la testimonianza di una devozione derivata, certo, dall’Europa, ma ormai ramificata in tutti i continenti (sono un’ottantina le congregazioni religiose che hanno s. Giuseppe nel loro titolo). Ebbene, nel giorno dedicato a questo santo così popolare – il cui nome è il più diffuso (coi vari diminutivi e vezzeggiativi) in Italia – vorremmo evocare qualche tratto del suo volto che Luca con una pennellata dipinge come «uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe, fidanzato di Maria» (1,27).
In verità, a raffigurare maggiormente questo personaggio, tanto caro alla tradizione cristiana (la voce a lui riservata nella Bibliotheca Sanctorum occupa quaranta grandi colonne) e alla storia dell’arte, è Matteo che s’incrocia con Luca nel dichiarare innanzitutto la sua discendenza davidica. Entrambi gli evangelisti ribadiscono che era «figlio di Davide» (Matteo 1,20), ossia «della casa e della famiglia di Davide» (Luca 2,4), e confermano questo dato, in modo indiretto, attraverso la nascita di Gesù a Betlemme, patria del celebre re ebraico, e in modo diretto attraverso le due genealogie di Gesù che essi offrono. Sono note le discrepanze tra questi due elenchi (Matteo 1 e Luca 3), persino sul nome del padre di Giuseppe, Giacobbe per Matteo ed Eli per Luca. Lo scopo però di quelle liste nell’antico Vicino Oriente non era storiografico bensì celebrativo: si voleva, così, mostrare che Gesù – oltre che figlio di Adamo, cioè vero uomo – era partecipe della stirpe ebraica attraverso Abramo ed era inserito nella linea davidica che in séconteneva la promessa messianica.
Giuseppe è, perciò, attraverso un phylum generazionale, il tramite della messianicità di Cristo, "incarnata" nella vicenda della "casa di Davide". Il ritratto più accurato – come si diceva – ci è, però, offerto da Matteo in quella sua pagina che è stata definita "l’annunciazione a Giuseppe", parallela all’analoga di Luca che vede Maria come protagonista (Matteo 1, 18-25). Non è questo il luogo, in cui affrontare un simile testo, così pieno di colpi di scena ma anche di difficoltà interpretative. Certo è che, dalle pagine di Matteo e di Luca, emerge nitidamente la funzione di Giuseppe: egli sarà il padre legale di Gesù. Sarà lui, perciò, a recarsi con Maria incinta a Betlemme per la nascita, sarà lui a imporgli il nome durante la circoncisione, sarà lui a dirigere la piccola famiglia nei primi drammatici eventi, sarà ancora lui a partecipare alla vicenda collegata alla maggior età di Gesù, a dodici anni nel tempio di Gerusalemme («Tuo padre e io angosciati ti cercavamo», dirà Maria) e sarà lui con la sua sposa a guidare il giovane figlio («stava loro sottomesso»).
Ma a quel punto Giuseppe si ritira dalla ribalta della vita di Cristo. Vi affiorerà indirettamente solo nelle occasioni in cui si ironizzerà su Gesù e sulle sue origini da parte dei suoi avversari. Ne vogliamo citare solo una, ambientata proprio a Nazaret, allorché i suoi concittadini, un po’ sprezzantemente, dicono di Gesù: «Non è egli forse il figlio del tékton?» (Matteo 13,55). Abbiamo lasciato la parola greca – che tra l’altro in Marco (6, 3) è applicata allo stesso Gesù – perché su di essa si è aperto un piccolo dibattito. Non è mancato, infatti, qualche studioso, come G.W. Buchanan, che ha immaginato che quel vocabolo potesse applicarsi anche a un piccolo imprenditore o a un amministratore commerciale di impresa di costruzioni (il titolo del saggio era in inglese significativo: Jesus and the upper class!).
In realtà il termine greco indica di per sé chi lavora materiale duro come legno, pietra, corno, avorio, forse anche il ferro (pur se il vocabolo meno s’ada tta all’idea di "fabbro"). La resa "carpentiere" o, quella più tradizionale, di "falegname" è quindi corretta. Si è cercato di elevare questa attività ricorrendo al vocabolo aramaico equivalente, aggara’, che vuol dire sia "carpentiere" o "artigiano" ma anche "artista", "mastro". Sta di fatto che Giuseppe non può essere collocato in una sorta di middle class, come ha voluto qualche esegeta, perché la struttura sociale della Galilea – accuratamente vagliata dallo studioso americano S. Freyne – comprendeva solo due classi: da un lato, i latifondisti, i notabili, i mercanti, gli ufficiali e i sovrintendenti fiscali (ad esempio, Zaccheo) e dall’altro, una classe modesta di artigiani, agricoltori, pescatori, braccianti e pubblicani (ossia piccoli impiegati). Oltre queste due fasce, c’era solo la povertà assoluta e l’emarginazione.
Giuseppe e Gesù, quindi, si ritrovano in questa seconda fascia, certo fluida, non riducibile alla povertà ma non comparabile alla nostra piccola o media borghesia, tant’è vero che i contemporanei di Cristo ironizzavano proprio sul contrasto tra la modestia delle sue origini e le "pretese" delle sue parole e opere. E’, dunque, nel lavoro semplice e quotidiano che Giuseppe ha condotto la sua vita e ha educato quel figlio che aveva accolto come dono assicurandogli la sua paternità legale.
Null’altro di lui sappiamo: saranno gli apocrifi a intessere sul silenzio evangelico le loro dolci creazioni, fino a quell’estremo trapasso, tanto caro all’arte cristiana. L’apocrifa "Storia di Giuseppe il falegname", scoperta nel 1722 dallo svedese G. Wallin, mette sulle labbra dell’agonizzante Giuseppe questa suggestiva invocazione: «O Gesù nazareno, o Gesù mio consolatore, Gesù liberatore della mia anima, Gesù mio protettore, Gesù nome soavissimo sulla mia bocca e su quella di tutti coloro che l’amano!».
da “AVVENIRE” del 19 marzo 2004

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Il padre nascosto. San Giuseppe nell'iconografia

di Fabrizio Bisconti
L'arte cristiana dei primi secoli sembra dimenticare la figura di Giuseppe. Il fenomeno è stato spiegato riconducendo la formazione del più antico repertorio figurativo cristiano a una intenzione significativa di ordine eminentemente cristologico. Persino le prime scene di Natività pongono al centro della rappresentazione il Bambino, sorretto da Maria, anch'essa attrice coprotagonista e, spesso, ridotta a mera "chiave di lettura" dell'episodio evangelico, assurgendo al ruolo di "seggio" o di "cattedra", sulle cui ginocchia siede il piccolo re.
Eppure del padre putativo di Gesù, i vangeli (Luca e Matteo) rievocano dettagliatamente la genealogia come per collocare nella storia umana e nella discendenza di Abramo e di Davide la nascita del Cristo. Altre notizie provengono da Marco (6, 3) e ancora da Matteo (13, 55) che definiscono Giuseppe come tèkton, una professione di larga accezione, che tocca l'attività del carpentiere, del falegname, ma anche del faber o del maniscalco.
Se i vangeli canonici designano Giuseppe come uomo giusto, israelita coerente e perfetto, osservante nei confronti della volontà del Padre, molte notizie provengono dai vangeli dell'Infanzia, dove si insiste sul parto verginale di Maria e sul ruolo di Giuseppe come rappresentante della Madonna e di Gesù dinanzi alla legge (Protovangelo di Giacomo, 9, 13-19).
La fortuna di Giuseppe si sviluppa nel corso del medioevo, per esaltarne la dedizione, la premura e l'affetto nei confronti di Maria e del Bambino, talché Bernardo di Chiaravalle riprende una vecchia giustapposizione patristica tra le due economie testamentarie, che mettono in parallelo Giuseppe l'ebreo (Genesi, 39, 40-41) con il padre putativo, riconoscendo nel matrimonio con Maria, la congiunzione di Cristo con la Chiesa (Sermone, 146).
Tornando alla produzione artistica, dobbiamo rilevare che, fatta eccezione per qualche immagine tanto rara quanto discussa nei sarcofagi dell'intero orbis Christianus antiquus, l'ingresso della figura di Giuseppe nel repertorio figurativo si avvista soltanto nel pieno v secolo e, in particolare, nel maestoso scenario musivo del santuario mariano, commissionato da Papa Sisto iii (432-440), all'indomani di quel concilio di Efeso che, nel 431, sancisce il dogma del parto verginale di Maria. Ebbene, nel celebre arco trionfale della basilica che si innalza sull'Esquilino, sfilano, in una sequenza continua, gli episodi salienti dell'infantia Salvatoris, ora ispirata ai vangeli canonici, ora agli scritti apocrifi.
Proprio in questo prezioso e monumentale documento iconografico si fa strada una narrazione più dettagliata e meno sintetica, in modo tale che il cono d'ombra, che fino a quel momento aveva oscurato la figura di Giuseppe, si riduce, a cominciare dalla complessa scena dell'annunciazione, ispirata al vangelo dello Pseudo Matteo (ix, 2), che coglie la Vergine nel momento in cui fila la porpora per il Tempio, mentre l'angelo Gabriele vola nell'aria, assieme alla colomba dello Spirito e mentre altri angeli si pongono stanti come guardiani eccellenti e un quarto serve a dare avvio alla scena seguente. Qui Giuseppe ascolta un'altra persona angelica, con chiaro riferimento a un'annunciazione a lui riservata, secondo quanto è evocato da Matteo (1, 20-21), ma anche dai vangeli apocrifi di Giacomo (ix) e dello Pseudo Matteo (xi).
La lettura in questo senso è stata comprovata dall'analisi delle sinopie del testo musivo, che ha denunciato, tra i pentimenti in corso d'opera, la presenza di un angelo in volo sulla scena, in perfetta coerenza e simmetria con l'annunciazione a Maria. La correzione figurativa, rispetto ai referenti evangelici e acanonici, che comporta un annuncio de visu a Giuseppe, serve soltanto a diversificare la scena da un'altra relativa al sogno di Giuseppe, situata all'estremità destra del registro, allorquando l'angelo ordina la fuga di Egitto (Matteo, 2, 13; Pseudo Matteo, 17, 2). Questo secondo sogno prevale per importanza evocativa a livello semantico, per cui ricostruisce l'atmosfera sospesa della visione, mentre l'annuncio a Giuseppe, seppure avvenuto in sogno, si adegua alla struttura iconografica dell'annunciazione adiacente e storica.
Se la figura di Giuseppe appare anche in altre scene del mosaico sistino e, segnatamente, negli episodi della presentazione al tempio e della conversione di Afrodisio, la fortuna iconografica del padre putativo, seppure come figura secondaria e utile a creare un contesto figurativo complesso, interessa anche i monumenti di manifattura orientale, come la sontuosa cattedra eburnea del presule ravennate Massimiano, attivo nella città esarcale al tempo di Giustiniano.
Ebbene, alcune scene scolpite nelle formelle che decorano il prezioso manufatto, recuperano gli episodi dell'infanzia del Salvatore, tanto è vero che in un unico riquadro sono rappresentati simultaneamente l'esortazione alla fuga da parte di un angelo che parla in sogno a Giuseppe adagiato su un giaciglio e la fuga stessa con la Vergine seduta su un asino guidato da un altro angelo, accompagnata dallo sposo.
Se nella cattedra di Massimiano appare anche il raro episodio apocrifo delle acque amare, dal momento bizantino l'immaginario giuseppino si espande e torna anche negli episodi della Natività, dove era stato dimenticato fino a quel tempo.
In queste scene più tarde, che si sviluppano specialmente nei manufatti eburnei, il presepe accoglie anche la figura di Giuseppe, seduto su una roccia, vestito di una tunichetta da lavoro, appoggiato a un arnese, spesso una sega. Questo schema torna nelle arti minori di diversa tipologia: dalle gemme alle ampolle metalliche provenienti dalla Terra Santa, dai monili preziosi di manifattura alessandrina agli evangelari miniati, come quello celebre di Rabula, conservato nella Biblioteca Laurenziana. In questo prezioso documento Maria siede in atteggiamento pensoso, mentre Giuseppe spunta dietro alla culla in estatica contemplazione del Bambino, secondo un'organizzazione estremamente simile a quella riscontrabile in una formella della cattedra di Massimiano, dove spunta anche la rara immagine della levatrice incredula Salome, ricordata dagli scritti apocrifi.
Ormai, nello scorcio della stagione bizantina e nell'avvio dell'altomedioevo, la figura di Giuseppe, per tanti secoli disattesa, tanto da assurgere al ruolo di "padre nascosto", si innerva nelle rappresentazioni della Sacra Famiglia, mostrando i caratteri del faber lignarius, ma anche del pater familias, umile, colto nell'operosità quotidiana, rivestendo un ruolo ormai stabile di coprotagonista e mai di primo attore, eppure con un suo posto, iconograficamente non trascurabile se in alcuni rari monumenti egli assume quell'atteggiamento pensoso, che raggiunge il livello della tristezza, assai spesso attribuito a Maria. Non è escluso che questa variante iconografica, forse desunta dal tipo classico dell'Ercole seduto di Lisippo, vuole tradurre in figura la mestizia di Giuseppe in seguito all'avvertimento avuto in sogno, ma anche il turbamento che riempie il semplice animo di pensieri contrastanti, che vuole rendere l'impatto traumatico con il delicato mistero dell'incarnazione. 

(L'Osservatore Romano - 19 marzo 2010)

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REDEMPTORIS CUSTOS. Esortazione Apostolica di Giovanni Paolo II sulla figura e la missione di San Giuseppe nella vita di Cristo e della Chiesa

INTRODUZIONE
1. Chiamato ad essere il CUSTODE DEL REDENTORE, «Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa» (Mt 1,24).
Ispirandosi al Vangelo, i Padri della Chiesa fin dai primi secoli hanno sottolineato che san Giuseppe, come ebbe amorevole cura di Maria e si dedicò con gioioso impegno all’educazione di Gesù Cristo (1), così custodisce e protegge il suo mistico corpo, la Chiesa, di cui la Vergine Santa è figura e modello.
Nel centenario della pubblicazione dell’Epistola Enciclica Quamquam pluries di papa Leone XIII (2) e nel solco della plurisecolare venerazione per san Giuseppe, desidero offrire alla vostra considerazione, cari Fratelli e Sorelle, alcune riflessioni su colui al quale Dio «affidò la custodia dei suoi tesori più preziosi» (3). Con gioia compio questo dovere pastorale, perché crescano in tutti la devozione al Patrono della Chiesa universale e l’amore al Redentore, che egli esemplarmente servì.
In tal modo l’intero popolo cristiano non solo ricorrerà con maggior fervore a san Giuseppe e invocherà fiduciosamente il suo patrocinio, ma terrà sempre dinanzi agli occhi il suo umile, maturo modo di servire e di «partecipare» all’economia della salvezza (4).
Ritengo, infatti, che il riconsiderare la partecipazione dello Sposo di Maria al riguardo consentirà alla Chiesa, in cammino verso il futuro insieme con tutta l’umanità, di ritrovare continuamente la propria identità nell’ambito di tale disegno redentivo, che ha il suo fondamento nel mistero dell'Incarnazione.
Proprio a questo mistero Giuseppe di Nazareth «partecipò» come nessun’altra persona umana, ad eccezione di Maria, la Madre del Verbo Incarnato. Egli vi partecipò insieme con lei, coinvolto nella realtà dello stesso evento salvifico, e fu depositario dello stesso amore, per la cui potenza l’eterno Padre «ci ha predestinati ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo» (Ef 1,5).
IL Quadro EVANGELICO
Il matrimonio con Maria
2. «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio, e tu lo chiamerai Gesù; egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1,20-21).
In queste parole è racchiuso il nucleo centrale della verità biblica su san Giuseppe, il momento della sua esistenza a cui in particolare si riferiscono i Padri della Chiesa.
L’evangelista Matteo spiega il significato di questo momento, delineando anche come Giuseppe lo ha vissuto. Tuttavia, per comprenderne pienamente il contenuto ed il contesto, è importante tener presente il passo parallelo del Vangelo di Luca. Infatti, riferendoci al versetto che dice: «Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo» (Mt 1,18), l’origine' della gravidanza di Maria «per opera dello Spirito Santo» trova una descrizione più ampia ed esplicita in quel che leggiamo in Luca circa l’annunciazione della nascita di Gesù:«L’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria» (Lc l, 26-27). Le parole dell’angelo: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te» (Lc 1,28), provocarono un turbamento interiore in Maria ed insieme la spinsero a riflettere. Allora il messaggero tranquillizza la Vergine ed al tempo stesso le rivela lo speciale disegno di Dio a suo riguardo: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco, concepirai e partorirai un figlio, e lo chiamerai Gesù. Egli sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre» (Lc 1,30-32).
L’evangelista aveva poco prima affermato che, al momento dell’annunciazione, Maria era «promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe». La natura di queste «nozze» viene spiegata indirettamente, quando Maria, dopo aver udito ciò che il messaggero aveva detto della nascita del figlio, chiede: «Come avverrà questo? Non conosco uomo» (Lc 1,34). Allora le giunge questa risposta: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su di te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato figlio di Dio» (Lc1,35). Maria, anche se già «sposata» con Giuseppe, rimarrà vergine, perché il bambino, concepito in lei sin dall’annunciazione, era concepito per opera dello Spirito Santo.
A questo punto il testo di Luca coincide con quello di Mt 1,18 e serve a spiegare ciò che in esso leggiamo. Se, dopo le nozze con Giuseppe, Maria «si trovò incinta per opera dello Spirito Santo», questo fatto corrisponde a tutto il contenuto dell’annunciazione e, in particolare, alle ultime parole pronunciate da Maria:«Avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,38). Rispondendo al chiaro disegno di Dio, Maria col trascorrere dei giorni e delle settimane si rivela davanti alla gente e davanti a Giuseppe come «incinta», come colei che deve partorire e porta in sé il mistero della maternità.
3. In queste circostanze «Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto» (Mt 1,19). Egli non sapeva come comportarsi di fronte alla «mirabile» maternità di Maria. Certamente cercava una risposta all’inquietante interrogativo, ma soprattutto cercava una via di uscita da quella situazione per lui difficile. «Mentre dunque stava pensando a queste cose, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio, e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” » (Mt 1,20-21).
Esiste una stretta analogia tra l’«annunciazione» del testo di Matteo e quella del testo di Luca. Il messaggero divino introduce Giuseppe nel mistero della maternità di Maria. Colei che secondo la legge è la sua «sposa», rimanendo vergine, è divenuta madre in virtù dello Spirito Santo. E quando il Figlio, portato in grembo da Maria, verrà al mondo, dovrà ricevere il nome di Gesù. Era, questo, un nome conosciuto tra gli Israeliti ed a volte veniva dato ai figli. In questo caso, però, si tratta del Figlio che – secondo la promessa divina – adempirà in pieno il significato di questo nome: Gesù - Yehossuà, che significa: Dio salva.
Il messaggero si rivolge a Giuseppe come allo «sposo di Maria», a colui che a suo tempo dovrà imporre tale nome al Figlio che nascerà dalla Vergine di Nazareth, a lui sposata. Si rivolge, dunque, a Giuseppe affidandogli i compiti di un padre terreno nei riguardi del Figlio di Maria.
«Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore eprese con sé la sua sposa» (Mt 1,24). Egli la prese in tutto il mistero della sua maternità, la prese insieme col Figlio che sarebbe venuto al mondo per opera dello Spirito Santo: dimostrò in tal modo una disponibilità di volontà, simile a quella di Maria, in ordine a ciò che Dio gli 'chiedeva per mezzo del suo messaggero.
II
IL DEPOSITARIO DEL MISTERO DI DIO
4. Quando Maria, poco dopo l’annunciazione, si recò nella casa di Zaccaria per visitare la parente Elisabetta, udì, proprio mentre la salutava, le parole pronunciate da Elisabetta «pieno di Spirito Santo» (cfr. Lc 1,41). Oltre alle parole che si ricollegavano al saluto dell’angelo nell’annunciazione, Elisabetta disse: «E beata colei che ha creduto nell’adempimento 4elle parole del Signore» (Lc 1,45). Queste parole sono state il pensiero-guida dell’enciclica Redemptoris Mater, con la quale ho inteso approfondire l’insegnamento del Concilio Vaticano II che afferma: «La beata Vergine avanzò nella peregrinazione della fede e serbò fedelmente la sua unione col Figlio sino alla Croce» (5), «andando innanzi» (6) a tutti coloro che mediante la fede seguono Cristo.
Ora, all’inizio di questa peregrinazione la fede di Maria si incontra con la fede di Giuseppe. Se Elisabetta disse della Madre del Redentore: «Beata colei che ha creduto», si può in un certo senso riferire questa beatitudine anche a Giuseppe, perché rispose affermativamente alla parola di Dio, quando gli fu trasmessa in quel momento decisivo. Per la verità, Giuseppe non rispose all’ «annuncio» dell’angelo come Maria, ma «fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa». Ciò che egli fece è purissima «obbedienza della fede» (cfr. Rm 1,5; 16,26; 2 Cor 10,5-6).
Si può dire che quello che Giuseppe fece lo unì in modo del tutto speciale alla fede di Maria: egli accettò come verità proveniente da Dio ciò che ella aveva già accettatonell’annunciazione. Il Concilio insegna: «A Dio che rivela è dovuta “l’obbedienza della fede”, per la quale l’uomo si abbandona totalmente e liberamente a Dio, presentandogli “il pieno ossequio dell’intelletto e della volontà” e assentendo volontariamente alla rivelazione da lui fatta» (7). La frase sopracitata, che tocca l’essenza stessa della fede, si applica perfettamente a Giuseppe di Nazareth.
5. Egli, pertanto, divenne un singolare depositario del mistero «nascosto da secoli nella mente di Dio» (cfr. Ef 3,9), come lo divenne Maria, in quel momento decisivo che dall’Apostolo è chiamato «la pienezza del tempo», allorché «Dio mandò il suo Figlio, nato da donna» per «riscattare coloro che erano sotto la legge» perché «ricevessero l’adozione a figli » (cfr. Gal 4,4-5) «Piacque a Dio – insegna il Concilio – nella sua bontà e sapienza di rivelare se stesso e manifestare il mistero della sua volontà (cfr. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura (cfr. Ef 2,18; 2 Pt 1,4)» (8).
Di questo mistero divino Giuseppe è insieme con Maria il primo depositario. Insieme con Maria – ed anche in relazione a Maria – egli partecipa a questa fase culminante dell’autorivelazione di Dio in Cristo, e vi partecipa sin da primo inizio. Tenendo sotto gli occhi il testo di entrambi gli evangelisti Matteo e Luca, si può anche dire che Giuseppe è il primo a partecipare alla fede della Madre di Dio, e che, così facendo, sostiene la sua sposa nella fede della divina annunciazione. Egli è anche colui che è posto per primo da Dio sulla via della «peregrinazione della fede», sulla quale Maria – soprattutto dal tempo del Calvario e della Pentecoste – andrà innanzi in modo perfetto (9).
6. La vita propria di Giuseppe, la sua peregrinazione della fede si concluderà prima,cioè prima che Maria sosti ai piedi della Croce sul Golgota e prima che ella – ritornato Cristo al Padre – si ritrovi nel Cenacolo della Pentecoste nel giorno della manifestazione al mondo della Chiesa, nata nella potenza dello Spirito di verità.
Tuttavia, la via della fede di Giuseppe segue la stessa direzione, rimane totalmente determinata dallo stesso mistero, del quale egli insieme con Maria era divenuto il primo depositario. L’incarnazione e la redenzione costituiscono un’unità organica ed indissolubile, in cui l’«economia della rivelazione avviene con eventi e parole intimamente connessi tra loro» (10). Proprio per questa unità papa Giovanni XXIII, che nutriva una grande devozione per san Giuseppe, stabilì che nel Canone romano della Messa, memoriale perpetuo della redenzione, fosse inserito il suo nome accanto a quello di Maria, e prima degli Apostoli, dei Sommi Pontefici e dei Martiri (11).
Il servizio della paternità
7. Come si deduce dai testi evangelici, il matrimonio con Maria è il fondamento giuridico della paternità di Giuseppe. È per assicurare la protezione paterna a Gesù che Dio sceglie Giuseppe — una relazione che lo colloca il più vicino possibile a Cristo, termine di ogni elezione e predestinazione (cfr. Rm 8,28-29) – passa attraverso il matrimonio con Maria, cioè attraverso la famiglia.
Gli evangelisti, pur affermando chiaramente che Gesù è stato concepito per opera dello Spirito Santo e che in quel matrimonio è stata conservata la verginità (cfr. Mt1,18-25; Lc I, 26-38), chiamano Giuseppe sposo di Maria e Maria sposa di Giuseppe (cfr. Mt 1,16; 18-20. 24; Lc 1,27; 2,5).
Ed anche per la Chiesa, se è importante professare il concepimento verginale di Gesù, non è meno importante difendere il matrimonio di Maria con Giuseppe, perché giuridicamente è da esso che dipende la paternità di Giuseppe. Di qui si comprende perché le generazioni sono state elencate secondo la genealogia di Giuseppe. «Perché – si chiede sant’Agostino – non lo dovevano essere attraverso Giuseppe? Non era forse Giuseppe il marito di Maria? (...) La Scrittura afferma, per mezzo dell’autorità angelica, che egli era il marito. Non temere, dice, di prendere con te Maria come tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Gli viene ordinato di imporre il nome al bambino, benché non nato dal suo seme. Ella,dice, partorirà un figlio, e tu lo chiamerai Gesù. La Scrittura sa che Gesù non è nato dal seme di Giuseppe, poiché a lui preoccupato circa l’origine della gravidanza di lei è detto: viene dallo Spirito Santo. E tuttavia non gli viene tolta l’autorità paterna, dal momento che gli è ordinato di imporre il nome al bambino. Infine anche la stessa Vergine Maria, ben consapevole di non aver concepito Cristo dall’unione coniugale con lui, lo chiama tuttavia padre di Cristo» (12).
Il figlio di Maria è anche figlio di Giuseppe in forza del vincolo matrimoniale che li unisce: «A motivo di quel matrimonio fedele meritarono entrambi di essere chiamati genitori di Cristo, non solo quella madre, ma anche quel suo padre, allo stesso modo che era coniuge di sua madre, entrambi per mezzo della mente, non della carne» (13). In tale matrimonio non mancò nessuno dei requisiti che lo costituiscono: «In quei genitori di Cristo si sono realizzati tutti i beni delle nozze: la prole, la fedeltà, il sacramento. Conosciamo la prole, che è lo stesso Signore Gesù; la fedeltà, perché non c’è nessun adulterio; il sacramento, perché non c’è nessun divorzio» (14).
Analizzando la natura del matrimonio, sia sant’Agostino che san Tommaso la collocano costantemente nell’«indivisibile unione degli animi», nell’«unione dei cuori», nel «consenso» (15), elementi che in quel matrimonio si sono manifestati in modo esemplare. Nel momento culminante della storia della salvezza, quando Dio rivela il suo amore per l’umanità mediante il dono del Verbo, è proprio il matrimonio di Maria e Giuseppe che realizza in piena «libertà» il «dono sponsale di sé» nell’accogliere ed esprimere un tale amore (16). «In questa grande impresa del rinnovamento di tutte le cose in Cristo, il matrimonio, anch’esso purificato e rinnovato, diviene una realtà nuova, un sacramento della nuova Alleanza. Ed ecco che alle soglie del Nuovo Testamento, come già all’inizio dell’Antico, c’è una coppia. Ma, mentre quella di Adamo ed Eva era stata sorgente del male che ha inondato il mondo, quella di Giuseppe e di Maria costituisce il vertice, dal quale la santità si espande su tutta la terra. Il Salvatore ha iniziato l’opera della salvezza con quella unione verginale e santa, nella quale si manifesta la sua onnipotente volontà di purificare e santificare la famiglia, questo santuario dell’amore e questa culla della vita» (17).
Quanti insegnamenti da ciò derivano oggi per la famiglia! Poiché «l’essenza ed i compiti della famiglia sono ultimamente definiti dall’amore» e «la famiglia riceve la missione di custodire, rivelare e comunicare l’amore, quale riflesso vivo e reale partecipazione dell’amore di Dio per l’umanità e dell’amore di Cristo Signore per la Chiesa sua sposa» (18), è nella santa Famiglia, in questa originaria «Chiesa domestica» (19) che tutte le famiglie cristiane debbono rispecchiarsi. In essa, infatti, «per un misterioso disegno di Dio è vissuto nascosto per lunghi anni il Figlio di Dio: essa, dunque, è il prototipo e l’esempio di tutte le famiglie cristiane» (20).
8. San Giuseppe è stato chiamato da Dio a servire direttamente la persona e la missione di Gesù mediante l’esercizio della sua paternità: proprio in tal modo egli coopera nella pienezza dei tempi al grande mistero della redenzione ed è veramente «ministro della salvezza» (21). La sua paternità si è espressa concretamente «nell’aver fatto della sua vita un servizio, un sacrificio al mistero dell’incarnazione e alla missione redentrice che vi è congiunta; nell’aver usato dell’autorità legale, che a lui spettava sulla sacra Famiglia, per farle totale dono di sé, della sua vita, del suo lavoro; nell’aver convertito la sua umana vocazione all’amore domestico nella sovrumana oblazione di sé, del suo cuore e di ogni capacità, nell’amore posto a servizio del Messia germinato nella sua casa» (22).
La liturgia, ricordando che sono stati affidati «alla premurosa custodia di san Giuseppe gli inizi della nostra redenzione» (23), precisa anche che «Dio lo ha messo a capo della sua famiglia, come servo fedele e prudente, affinché custodisse come padre il suo Figlio unigenito» (24). Leone XIII sottolinea la sublimità di questa missione: «Egli tra tutti si impone nella sua augusta dignità, perché per divina disposizione fu custode e, nell’opinione degli uomini, padre del Figlio di Dio. Donde conseguiva che il Verbo di Dio fosse sottomesso a Giuseppe, gli obbedisse e gli prestasse quell’onore e quella riverenza che i figli debbono al loro padre» (25).
Poiché non è concepibile che a un compito così sublime non corrispondano le qualità richieste per svolgerlo adeguatamente, bisogna riconoscere che Giuseppe ebbe verso Gesù «per speciale dono del Cielo, tutto quell’amore naturale, tutta quell’affettuosa sollecitudine che il cuore di un padre possa conoscere» (26).
Con la potestà paterna su Gesù, Dio ha anche partecipato a Giuseppe l’amore corrispondente, quell’amore che ha la sua sorgente nel Padre, «dal quale prende nome ogni paternità nei cieli e sulla terra» (Ef 3,15).
Nei Vangeli è presentato chiaramente il compito paterno di Giuseppe verso Gesù. Difatti, la salvezza, che passa attraverso l’umanità di Gesù, si realizza nei gesti che rientrano nella quotidianità della vita familiare, rispettando quella «condiscendenza » inerente all’economia dell’incarnazione. Gli evangelisti sono molto attenti a mostrare come nella vita di Gesù nulla sia stato lasciato al caso, ma tutto si sia svolto secondo un piano divinamente prestabilito. La formula spesso ripetuta: «Così avvenne, affinché si adempissero...» e il riferimento dell’avvenimento descritto a un testo dell’Antico Testamento tenendo a sottolineare l’unità e la continuità del progetto, che raggiunge in Cristo il suo compimento.
Con l’incarnazione le «promesse» e le «figure» ’dell’Antico Testamento divengono «realtà». luoghi, persone, avvenimenti e riti si intrecciano secondo precisi ordini divini, trasmessi mediante il ministero angelico e recepiti da creature particolarmente sensibili alla voce di Dio. Maria è l’umile serva del Signore, preparata dall’eternità al compito di essere Madre di Dio; Giuseppe è colui che Dio ha scelto per essere l’«ordinatore della nascita del Signore» (27), colui che ha l’incarico di provvedere all’inserimento «ordinato» del Figlio di Dio nel mondo, nel rispetto delle disposizioni divine e delle leggi umane. Tutta la vita cosiddetta «privata» o «nascosta» di Gesù è affidata alla sua custodia.
Il censimento
9. Recandosi a Betlemme per il censimento in ossequio alle disposizioni della legittima autorità, Giuseppe adempì nei riguardi del bambino il compito importante e significativo di inserire ufficialmente il nome «Gesù, figlio di Giuseppe di Nazareth » (cfr. Gv 1,45) nell’anagrafe dell’Impero. Tale iscrizione manifesta in modo palese l’appartenenza di Gesù al genere umano, uomo fra gli uomini, cittadino di questo mondo, soggetto alle leggi e istituzioni civili, ma anche «salvatore del mondo».Origene descrive bene il significato teologico inerente a questo fatto storico, tutt’altro che marginale: «Poiché il primo censimento di tutta la terra avvenne sotto Cesare Augusto, e tra tutti gli altri anche Giuseppe si fece registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta, poiché Gesù venne alla luce prima che il censimento fosse compiuto, a chi consideri con diligente attenzione sembrerà esprimere una sorta di mistero il fatto che nella dichiarazione di tutta la terra dovesse essere censito anche Cristo. In tal modo, con tutti registrato, tutti egli poteva santificare, con tutta la terra inscritto nel censimento, alla terra offriva la comunione con sé, e dopo questa dichiarazione tutti gli uomini della terra scriveva nel libro dei viventi, onde quanti avessero creduto in lui, fossero poi inscritti nel cielo con i Santi di colui a cui è la gloria e l’impero nei secoli dei secoli. Amen» (28).
La nascita a Betlemme
10. Quale depositario del mistero «nascosto da secoli nella mente di Dio», e che comincia a realizzarsi davanti ai suoi occhi «nella pienezza del tempo», Giuseppe è insieme con Maria, nella notte di Betlemme, testimone privilegiato della venuta del Figlio di Dio nel mondo. Così scrive Luca: «Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo»(Lc 2,6-7).
Giuseppe fu testimone oculare di questa nascita, avvenuta in condizioni umanamente umilianti, primo annuncio di quella «spoliazione » (cfr. Fil 2,5-8), a cui Cristo liberamente accondiscese per la remissione dei peccati. Nello stesso tempo egli futestimone dell’adorazione dei pastori, giunti sul luogo della nascita di Gesù dopo che l’angelo aveva recato loro questa grande, lieta notizia (cfr. Lc 2, 15-16); più tardi fu anche testimone dell’omaggio dei Magi, venuti dall’Oriente (cfr. Mt 2,11).
La circoncisione
11. Essendo la circoncisione del figlio, il primo dovere religioso del padre, Giuseppe con questo rito (cfr. Lc 2, 21) esercita il suo diritto-dovere nei riguardi di Gesù.
Il principio secondo il quale i riti dell’Antico Testamento sono l’ombra della realtà (cfr.Eb 9, 9 s.; 10,1), spiega perché Gesù li accetti. Come per gli altri riti, anche quello della circoncisione trova in Gesù il «compimento». L’Alleanza di Dio con Abramo, di cui la circoncisione era segno (cfr, Gn 17,13), raggiunge in Gesù il suo pieno effetto e la sua perfetta realizzazione, essendo Gesù il «sì» di tute le antiche promesse (cfr. 2 Cor 1,20).
L’imposizione del nome
12. In occasione della circoncisione, Giuseppe impone al bambino il nome di Gesù. Questo nome è il solo nel quale si trova la salvezza (cfr. At 4,12); ed a Giuseppe ne era stato rivelato il significato al momento della sua «annunciazione». «E tu lo chiamerai Gesù: egli, infatti, salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1, 21). Imponendo il nome, Giuseppe dichiara la propria legale paternità su Gesù e, pronunciando il nome, proclama la di lui missione di salvatore.
La presentazione di Gesù al tempio
13. Questo rito, riferito da Luca (2, 22-24), include il riscatto del primogenito e illumina la successiva permanenza di Gesù dodicenne nel tempio.
Il riscatto del primogenito è un altro dovere del padre, che è adempiuto da Giuseppe. Nel primogenito era rappresentato il popolo dell’Alleanza, riscattato dalla schiavitù per appartenere a Dio. Anche a questo riguardo Gesù, che è il vero «prezzo» del riscatto (cfr. 1 Cor 6,20; 7,23; 1 Pt 1,19), non solo «compie» il rito dell’Antico Testamento, ma nello stesso tempo lo supera, non essendo egli un soggetto da riscattare, ma l’autore stesso del riscatto.
L’evangelista rileva che «il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui» (Lc 2,33) e, in particolare, di ciò che disse Simeone, indicando Gesù, nel suo cantico rivolto a Dio, come la «salvezza preparata da Dio davanti a tutti i popoli» e «luce per illuminare le genti e gloria del suo popolo Israele» e, più avanti, anche come «segno di contraddizione»
(cfr. Lc 2,30-34).
La fuga in Egitto
14. Dopo la presentazione al tempio l’evangelista Luca annota: «Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazareth. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui» (Lc 2, 39-40).
Ma, secondo, il testo di Matteo, prima ancora di questo ritorno in Galilea, è da collocare un evento molto importante, per il quale la divina Provvidenza ricorre di nuovo a Giuseppe. Leggiamo: «Essi (i Magi) erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode, sta cercando il bambino per ucciderlo”» (Mt 2,13). In occasione della venuta dei Magi dall’Oriente, Erode aveva saputo della nascita del «re dei Giudei» (Mt 2,2). E quando i Magi partirono, egli «mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù» (Mt 2,16). In questo modo, uccidendo tutti, voleva uccidere quel neonato «re dei Giudei», del quale era venuto a conoscenza durante la visita dei Magi alla sua corte. Allora Giuseppe, avendo udito in sogno l’avvertimento, «prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto,dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo de! profeta: “Dall’Egitto ho chiamato mio figlio”» (Mt 2, 14-15; cfr.Os 11,1).
In tal modo la via del ritorno di Gesù da Betlemme a Nazareth passò attraverso l’Egitto. Come Israele aveva preso la via dell’esodo «dalla condizione di schiavitù» .per iniziare l’Antica Alleanza, così Giuseppe, depositario e cooperatore del mistero provvidenziale di Dio, custodisce anche in esilio colui che realizza la Nuova Alleanza.
La permanenza di Gesù al tempio
15. Dal momento dell’annunciazione Giuseppe insieme con Maria si trovò in un certo senso nell’intimo del mistero nascosto da secoli nella mente di Dio e che si' era rivestito di carne: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14). Egli abitò in mezzo agli uomini, e l’ambito della sua dimora fu la santa Famiglia di Nazareth – una delle tante famiglie di questa cittadina della Galilea, una delle tante famiglie della terra di Israele. Ivi Gesù cresceva e «si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui» (Lc 2, 40). I Vangeli riassumono in poche parole illungo periodo della vita «nascosta», durante il quale Gesù si prepara alla sua missione messianica. Un solo momento è sottratto da questo «nascondimento» ed è descritto dal Vangelo di Luca: la pasqua di Gerusalemme, quando Gesù aveva dodici anni.
Gesù partecipò a questa festa come un giovane pellegrino insieme con Maria e Giuseppe. Ed ecco: «Trascorsi i giorni della festa, mentre riprendeva la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero» (Lc 2,43). Passato un giorno, se ne resero conto ed iniziarono le ricerche «tra i parenti e i conoscenti». «Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio,seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che lo adivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte (Lc 2,46-47). Maria domanda: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo» (Lc.2,48). La risposta di Gesù fu tale che i due «non compresero le sue parole». Aveva detto: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49-50).
Udì questa risposta Giuseppe, per il quale Maria aveva appena detto «tuo padre». Difatti così tutti dicevano e pensavano: «Gesù era figlio, come si credeva, di Giuseppe» (Lc 3,23). Nondimeno, la risposta di Gesù nel tempio doveva rinnovare nella consapevolezza del «presunto padre», ciò che questi aveva udito una notte, dodici anni prima: «Giuseppe.. non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo». Già da allora egli sapeva di essere depositario del mistero di Dio, e Gesù dodicenne evocò esattamente questo mistero: «Devo occuparmi delle cose del Padre mio».
Il sostentamento e l'educazione di Gesù a Nazareth
16. La crescita di Gesù «in sapienza, in età e in grazia» (Lc 2, 52) avvenne nell’ambito della santa Famiglia sotto gli occhi di Giuseppe, che aveva l’alto compito di «allevare», ossia di nutrire, di vestire e di istruire Gesù nella Legge e in un mestiere, in conformità ai doveri assegnati al .padre.
Nel sacrificio eucaristico la Chiesa venera la r6emoria anzitutto della gloriosa sempre Vergine Maria, ma anche del beato Giuseppe (29), perché «nutrì colui che i fedeli dovevano mangiare come pane di vita eterna» (30).
Da parte sua, Gesù «era loro sottomesso» (Lc 2, 51), ricambiando col rispetto le attenzioni dei suoi «genitori». In tal modo volle santificare i doveri della famiglia e del lavoro, che prestava accanto a Giuseppe.
III
L’UOMO GIUSTO - LO SPOSO
17. Nel corso della sua vita, che fu una peregrinazione nella fede, Giuseppe, come Maria, rimase fedele sino alla fine alla chiamata di Dio. La vita di lei fu il compimento sino in fondo di quel primo fiat pronunciato al momento dell’annunciazione, mentre Giuseppe – come è già stato detto – al momento della sua «annunciazione» non proferì alcuna parola: semplicemente egli «fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore» (Mt 1, 24). E questo primo «fece» divenne l’inizio della «via di Giuseppe».Lungo questa via i Vangeli non annotano alcuna parola detta da lui. Ma il silenzio di Giuseppe ha una speciale eloquenza: grazie ad esso si può leggere pienamente la verità contenuta nel giudizio che di lui dà il Vangelo: il «giusto» (Mt 1, 19).
Bisogna saper leggere questa verità, perché vi è contenuta una delle più importanti testimonianze circa l’uomo e la sua vocazione. Nel corso delle generazioni la Chiesa legge in modo sempre più attento e consapevole una tale testimonianza, quasi estraendo dal tesoro di questa insigne figura «cose nuove e cose antiche» (Mt 13, 52).
18. L’uomo «giusto» di Nazareth possiede soprattutto le chiare caratteristiche dello sposo. L’evangelista parla di Maria come di «una vergine, promessa sposa di un uomo... chiamato Giuseppe » (Lc 1, 27). Prima che cominci a compiersi «il mistero nascosto da secoli» (Ef 3,9), i Vangeli pongono dinanzi a noi l’immagine dello sposo e della sposa. Secondo la consuetudine del popolo ebraico, il matrimonio si concludeva in due tappe: prima veniva celebrato il matrimonio legale (vero matrimonio), e solo dopo un certo periodo, lo sposo introduceva la sposa nella propria casa. Prima di vivere insieme con Maria, Giuseppe quindi era già il suo “sposo”; Maria, però, conservava nell’intimo il desiderio di far dono totale di sé esclusivamente a Dio. Ci si potrebbe domandare in che modo questo desiderio si conciliasse con le «nozze». La risposta viene soltanto dallo svolgimento degli eventi salvifici, cioè dalla speciale azione di Dio stesso. Fin dal momento dell’annunciazione Maria sa che deve realizzare il suo desiderio verginale di donarsi a Dio in modo esclusivo e totale proprio divenendo madre del Figlio di Dio. La maternità per opera dello Spirito Santo è la forma di donazione, che Dio stesso si attende dalla Vergine, «promessa sposa» di Giuseppe. Maria pronuncia il suo fiat.
Il fatto di esser lei «promessa sposa» a Giuseppe è contenuto nel disegno stesso di Dio. Ciò indicano entrambi gli evangelisti citati, ma in modo particolare Matteo. Sono molto significative le parole dette a Giuseppe:.«Non temere di prendere con te Maria,tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo» (Mt 1,20). Esse spiegano il mistero della sposa di Giuseppe: Maria è vergine nella sua maternità. In lei «il Figlio dell’Altissimo» assume un corpo umano e diviene «il figlio dell’uomo».
Rivolgendosi a Giuseppe con le parole dell’angelo, Dio si rivolge a lui come allo sposo della Vergine di Nazareth. Ciò che si è compiuto in lei per opera dello Spirito Santo esprime al tempo stesso una speciale conferma del legame sponsale,esistente già prima tra Giuseppe e Maria, Il messaggero chiaramente dice a Giuseppe: «Non temere di prendere con te Maria, tua sposa». Pertanto, ciò che era avvenuto prima – le sue nozze con Maria – era avvenuto per volontà di Dio e, dunque, andava conservato. Nella sua divina maternità Maria deve continuare a vivere come «una vergine, sposa di uno sposo» (cfr. Lc 1,27).
19. Nelle parole dell’«annunciazione» notturna Giuseppe .ascolta non solo la verità divina circa l’ineffabile vocazione della sua sposa, ma vi riascolta, altresì, la verità circa la propria vocazione. Quest’uomo «giusto» che, nello spirito delle più nobili tradizioni del popolo eletto, amava la Vergine di Nazareth ed a lei si era legato con amore sponsale, è nuovamente chiamato da Dio a questo amore.
«Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa», quello che è generato in lei «viene dallo Spirito Santo ». da tali espressioni non bisogna forse desumere che anche il suo amore di uomo viene rigenerato dallo Spirito Santo? Non bisogna forse pensare che l’amore di Dio, che è stato riversato nel cuore umano per mezzo dello Spirito Santo (cfr. Rm 5,5), forma nel modo più perfetto ogni amore umano? Esso forma anche – ed in modo del tutto singolare – l’amore sponsale dei coniugi, approfondendo in esso tutto ciò che umanamente è degno e bello, ciò che porta i segni dell’esclusivo abbandono, dell’alleanza delle persone e dell’autentica comunione sull’esempio del Mistero trinitario.
«Giuseppe... prese con sé la sua sposa, la quale, senza che egli la conoscesse,partorì un figlio» (cfr. Mt 1,24-25). Queste parole indicano un’altra vicinanza sponsale. La profondità di questa vicinanza, la spirituale intensità dell’unione e del contatto tra le persone – dell’uomo e della donna – provengono in definitiva dallo Spirito, che dà la vita (cfr. Gv 6, 63). Giuseppe, ubbidiente allo Spirito, proprio in esso ritrovò la fonte dell’amore, del suo amore sponsale di uomo, e fu questo amore più grande di quello che «l’uomo giusto» poteva attendersi a misura del proprio cuore umano.
20. Nella liturgia Maria è celebrata come «unita a Giuseppe, uomo giusto, da un vincolo di amore sponsale e verginale» (31). Si tratta, infatti, di due amori che rappresentano congiuntamente il mistero della Chiesa, vergine e sposa, la quale trova nel matrimonio di Maria e Giuseppe il suo simbolo. «La verginità e il celibato per il Regno di Dio non solo non contraddicono alla dignità del matrimonio, ma la presuppongono e la confermano, il matrimonio e la verginità sono i due modi di esprimere e di vivere l’unico mistero dell’Alleanza di Dio col suo popolo» (32), che è comunione di amore tra Dio e gli uomini.
Mediante il sacrificio totale di sé Giuseppe esprime il suo generoso amore verso la Madre di Dio, facendole «dono sponsale di sé». Pur deciso a ritirarsi per non ostacolare il piano di Dio che si stava realizzando in lei, egli per espresso ordine angelico la trattiene con sé e ne rispetta l’esclusiva appartenenza a Dio.
D’altra parte, è dal matrimonio con Maria che sono derivati a Giuseppe la sua singolare dignità e i suoi diritti su Gesù. «E certo che la dignità di Madre di Dio poggia sì alto, che nulla vi può essere di più sublime; ma perché tra la beatissima Vergine e Giuseppe fu stretto un nodo coniugale, non c’è dubbio che a quell’altissima dignità, per cui la Madre di Dio sovrasta di gran lunga tutte le creature, egli si avvicinò quanto mai nessun altro. Poiché il connubio è la massima società e amicizia, a cui di sua natura va unita la comunione dei beni, ne deriva, che, se Dio ha dato come sposo Giuseppe alla Vergine, glielo ha dato non solo a compagno della vita, testimone della verginità e tutore dell’onestà, ma anche perché partecipasse, per mezzo del patto coniugale, all’eccelsa grandezza di lei» (33).
21. Un tale vincolo di carità costituì la vita della santa Famiglia prima nella povertà di Betlemme, poi nell’esilio in Egitto e, successivamente, nella dimora a Nazareth. La Chiesa circonda di profonda venerazione questa Famiglia, proponendola quale modello a tutte le famiglie. Inserita direttamente nel mistero dell’incarnazione, la Famiglia di Nazareth costituisce essa stessa uno speciale mistero. Ed insieme – così come nella incarnazione – a questo mistero appartiene la vera paternità: la forma umana della famiglia del Figlio di Dio – vera famiglia umana, formata dal mistero divino. In essa Giuseppe è il padre: non è la sua una paternità derivante dalla generazione; eppure, essa non è «apparente», o soltanto «sostitutiva», ma possiede in pieno l’autenticità della paternità umana, della missione paterna nella famiglia. E contenuta in ciò una conseguenza dell’unione ipostatica: umanità assunta nell’unità della Persona divina del Verbo-Figlio. Gesù Cristo. Insieme con l’assunzione dell’umanità, in Cristo è anche «assunto» tutto ciò che è umano e, in particolare, la famiglia, quale prima dimensione della sua esistenza in terra. In questo contesto è anche «assunta» la paternità umana di Giuseppe.
In base a questo principio acquistano il loro giusto significato le parole rivolte da Maria a Gesù dodicenne nel tempio: «Tuo padre ed io... ti cercavamo». Non è questa una frase convenzionale: le parole della Madre di Gesù indicano tutta la realtà dell’incarnazione, che appartiene al mistero della Famiglia di Nazareth. Giuseppe, il quale sin dall’inizio accettò mediante «l’obbedienza della fede » la sua paternità umana nei riguardi di Gesù, seguendo la luce dello Spirito Santo, che per mezzo della fede si dona all’uomo, certamente scopriva sempre più ampiamente il dono ineffabile di questa sua paternità.
IV. IL LAVORO ESPRESSIONE DELL’AMORE
22. Espressione quotidiana di questo amore nella vita della Famiglia di Nazareth è il lavoro. Il testo evangelico precisa il tipo di lavoro, mediante il quale Giuseppe cercava di assicurare il mantenimento alla Famiglia: quello di carpentiere. Questa semplice parola copre l’intero arco della vita di Giuseppe. Per Gesù sono questi gli anni della vita nascosta, di cui parla l’evangelista dopo l’episodio avvenuto al tempio: «Partì dunque con loro e tornò a Nazareth e stava loro sottomesso» (Lc 2, 51). Questa«sottomissione», cioè l’obbedienza di Gesù nella casa di Nazareth, viene intesaanche come partecipazione al lavoro di Giuseppe. Colui che era detto il «figlio del carpentiere» aveva imparato il lavoro dal suo «padre» putativo. Se la Famiglia di Nazareth nell’ordine della salvezza e della santità è l’esempio e il modello per le famiglie umane, lo è analogamente anche il lavoro di Gesù a fianco di Giuseppe carpentiere. Nella nostra epoca la Chiesa ha messo questo in rilievo pure con la memoria liturgica di san Giuseppe Artigiano, fissata al primo maggio. Il lavoro umanoe, in particolare, il lavoro manuale trovano nel Vangelo un accento speciale. Insieme all’umanità del Figlio di Dio esso è stato accolto nel mistero dell’incarnazione, come anche è stato in particolare modo redento. Grazie al banco di lavoro presso il quale esercitava il suo mestiere insieme con Gesù, Giuseppe avvicinò il lavoro umano al mistero della redenzione.
23. Nella crescita umana di Gesù «in sapienza, in età e in grazia» ebbe una parte notevole la virtù della laboriosità, essendo «il lavoro un bene dell’uomo» che «trasforma la natura» e rende l’uomo «in un certo senso più uomo» (34).
L’importanza del lavoro nella vita dell’uomo richiede che se ne conoscano ed assimilino i contenuti «per aiutare tutti gli uomini ad avvicinarsi per il suo tramite a Dio, creatore e redentore, a partecipare ai suoi piani salvifici nei riguardi dell’uomo e del mondo e per approfondire nella loro vita l’amicizia con Cristo, assumendo mediante la fede viva una partecipazione alla sua triplice missione: di sacerdote, di profeta e di re» (35).
24. Si tratta, in definitiva, della santificazione della vita quotidiana, che ciascuno deve acquisire secondo il proprio stato e che può esser promossa secondo un modello accessibile a tutti: «San Giuseppe è il modello degli umili che il cristianesimo solleva a grandi destini; san Giuseppe è la prova che per essere buoni ed autentici seguaci di Cristo non occorrono “grandi cose”, ma si richiedono solo virtù comuni, umane, semplici. ma vere ed autentiche» (36).
V. IL PRIMATO DELLA VITA INTERIORE
25. Anche sul lavoro di carpentiere nella casa di Nazareth si stende lo stesso clima di silenzio, che accompagna tutto quanto si riferisce alla figura di Giuseppe. È unsilenzio, però, che svela in modo speciale il profilo interiore di questa figura. I Vangeli parlano esclusivamente di ciò che Giuseppe «fece»; tuttavia, consentono di scoprire nelle sue «azioni», avvolte dal silenzio, un clima di profonda contemplazione.Giuseppe era in quotidiano contatto col mistero «nascosto da secoli», che «prese dimora » sotto il tetto di casa sua. Questo spiega, ad esempio, perché santa Teresa di Gesù, la grande riformatrice del Carmelo contemplativo, si fece promotrice del rinnovamento del culto di san Giuseppe nella cristianità occidentale.
26. Il sacrificio totale, che Giuseppe fece di tutta la sua esistenza alle esigenze della venuta del Messia nella propria casa, trova la ragione adeguata nella «sua insondabile vita interiore, dalla quale vengono a lui ordini e conforti singolarissimi, e derivano a lui la logica e la 'forza, propria delle anime semplici e limpide, delle grandi decisioni, come quella di mettere subito a disposizione dei disegni divini la sua libertà, la sua legittima vocazione umana, la sua felicità coniugale, accettando della famiglia la condizione, la responsabilità ed il peso, e rinunciando per un incomparabile virgineo amore al naturale amore coniugale che la costituisce e la alimenta» (37). Questa sottomissione a Dio, che è prontezza di volontà nel dedicarsi alle cose che riguardano il suo servizio, non è altro che l’esercizio della devozione, la quale costituisce una delle espressioni della virtù della religione (38).
27. La comunione di vita tra Giuseppe e Gesù ci porta a considerare ancora il mistero dell’incarnazione proprio sotto l’aspetto dell’umanità di Cristo, strumento efficace della divinità in ordine alla santificazione degli uomini: «In forza della divinità le azioni umane di Cristo furono per noi salutari, causando in noi la grazia sia in ragione del merito, sia per una certa efficacia» (39).
Tra queste azioni gli evangelisti privilegiano quelle riguardanti il mistero pasquale, ma non omettono di sottolineare l’importanza del contatto fisico con Gesù in ordine alle guarigioni (cfr., ad es. Mc 1, 41) e l’influsso da lui esercitato su Giovanni il Battista, quando entrambi erano ancora nel grembo materno (cfr. Lc 1, 41-44).
La testimonianza apostolica non ha trascurato – come si è visto – la narrazione della nascita di Gesù, della circoncisione, della presentazione al tempio, della fuga in Egitto e della vita nascosta a Nazareth a motivo del «mistero» di grazia contenuto in tali «gesti, tutti salvifici, perché partecipi della stessa sorgente di amore: la divinità di Cristo. Se questo amore attraverso la sua umanità si irradiava su tutti gli uomini, ne. erano certamente beneficiari in primo luogo coloro che la volontà divina aveva collocato nella sua più stretta intimità: Maria sua madre e il padre putativo Giuseppe (40).
Poiché l’amore «paterno» di Giuseppe non poteva non influire sull’amore «filiale» di Gesù e, viceversa, l’amore «filiale» di Gesù non poteva non influire sull’amore «paterno» di Giuseppe, come ino1trarsi nelle profondità di questa singolarissima relazione? Le anime più sensibili agli impulsi dell’amore divino vedono a ragione in Giuseppe un luminoso esempio di vita interiore.
Inoltre, l’apparente tensione tra la vita attiva e quella contemplativa trova in lui un ideale superamento, possibile a chi possiede la perfezione della carità. Seguendo la nota distinzione tra l’amore della verità (caritas veritatis) e l’esigenza dell’amore(necessitas caritatis) (41), possiamo dire che Giuseppe ha sperimentato sia l’amore della verità, cioè il puro amore di contemplazione della Verità divina che irradiava dall’umanità di Cristo, sia l’esigenza dell’amore, cioè l’amore altrettanto puro del servizio, richiesto dalla tutela e dallo sviluppo di quella stessa umanità.
VI
PATRONO DELLA CHIESA DEL NOSTRO TEMPO
28. In tempi difficili per la Chiesa Pio IX, volendo affidarla alla speciale protezione del santo patriarca Giuseppe, lo dichiarò «Patrono della Chiesa cattolica» (42). Il Pontefice sapeva di non compiere un gesto peregrino, perché a motivo dell’eccelsa dignità concessa da Dio a questo suo fedelissimo servo, «la Chiesa, dopo la Vergine Santa, sposa di lui, ebbe sempre in grande onore e ricolmò di lodi il beato Giuseppe, e di preferenza a lui ricorse nelle angustie» (43).
Quali sono i motivi di tanta fiducia? Leone XIII li espone così: «Le ragioni per cui il beato Giuseppe deve essere considerato speciale Patrono della Chiesa, e la Chiesa, a sua volta, ripromettersi moltissimo dalla tutela e dal patrocinio di lui, nascono principalmente dall’essere egli sposo di Maria e padre putativo di Gesù (...). Giuseppe fu a suo tempo legittimo e naturale custode, capo e difensore della divina Famiglia (...). È dunque cosa conveniente e sommamente degna del beato Giuseppe, che, a quel modo che egli un tempo soleva tutelare santamente in ogni evento la famiglia di Nazareth, così ora copra e difenda col suo celeste patrocinio la Chiesa di Cristo» (44).
29. Questo patrocinio deve essere invocato ed è necessario tuttora alla Chiesa non soltanto a difesa contro gli insorgenti pericoli, ma anche e soprattutto a conforto del suo rinnovato impegno di evangelizzazione nel mondo e di rievangelizzazione in quei «paesi e Nazioni dove – come ho scritto nell’Esortazione Apostolica Christifideles laici – la religione e la vita cristiana erano un tempo quanto mai fiorenti», e che «sono ora messi a dura prova» (45). Per portare il primo annuncio di Cristo o per riportarlo laddove esso è trascurato o dimenticato, la Chiesa ha bisogno di una speciale «virtù dall’alto» (cf. Lc 24, 49; At 1, 8), donazione certo dello Spirito del Signore non disgiunta dall’intercessione e dall’esempio dei suoi Santi.
30. Oltre che nella sicura protezione, la Chiesa confida anche nell’insigne esempio di Giuseppe, un esempio che supera i singoli stati di vita e si propone all’intera Comunità cristiana, quali che siano in essa la condizione e i compiti di ciascun fedele.
Come è detto nella Costituzione del Concilio Vaticano II sulla divina Rivelazione, l’atteggiamento fondamentale di tutta la Chiesa deve essere quello del «religioso ascolto della Parola di Dio» (46), ossia dell’assoluta disponibilità a servire fedelmente la volontà salvifica di Dio, rivelata in Gesù. Già all’inizio della redenzione umana troviamo incarnato il modello dell’obbedienza, dopo Maria, proprio in Giuseppe, colui che si distingue per la fedele esecuzione dei comandi di Dio.
Paolo VI invitava a invocarne il patrocinio «come la Chiesa», in questi ultimi tempi, è solita fare, per sé, innanzi tutto, con una spontanea riflessione teologica sul connubio "dell’azione divina con l’azione umana nella grande economia della redenzione, nel quale la prima, quella divina, è tutta a sé sufficiente ma la seconda, quella umana, la nostra, sebbene di nulla capace (cfr. Gv 15, 5), non è mai dispensata da un’umile, ma condizionale e nobilitante collaborazione. Inoltre, protettore la Chiesa lo invoca per un profondo e attualissimo desiderio di rinverdire la sua secolare esistenza di veraci virtù evangeliche, quali in san Giuseppe rifulgono» (47).
31. La Chiesa trasforma queste esigenze in preghiera. Ricordando che Dio ha affidato gli inizi della nostra redenzione alla custodia premurosa di san Giuseppe, gli chiede di concederle di collaborare fedelmente all’opera di salvezza, di donarle la stessa fedeltà e purezza di cuore che animò Giuseppe nel servire il Verbo Incarnato e di camminare sull’esempio e per l’intercessione del santo, davanti a Dio nelle vie della santità e della giustizia (48).
Già cento anni fa papa Leone XIII esortava il mondo cattolico a pregare per ottenere la protezione di San Giuseppe, patrono di tutta la Chiesa. L’Epistola EnciclicaQuamquam pluries si richiamava a quell’ «amore paterno» che Giuseppe «portava al fanciullo Gesù», ed a lui, «provvido custode della divina Famiglia», raccomandava «la cara eredità che Gesù Cristo acquistò col suo sangue». Da allora la Chiesa –come ho ricordato all’inizio – implora la protezione di san Giuseppe – «per quel sacro vincolo di carità che lo strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio» e gli raccomanda tutte le sue sollecitudini, anche per le minacce che incombono sulla famiglia umana.
Ancora oggi abbiamo numerosi motivi per pregare nello stesso modo: «Allontana da noi, o padre amantissimo, questa peste di errori e di vizi..., assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre...; e come un tempo scampasti dalla morte la minacciata vita del bambino Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità» (49). Ancora oggi abbiamo perduranti motivi per raccomandare a san Giuseppe ogni uomo.
32. Auspico vivamente che il presente ricordo della figura di Giuseppe rinnovi anche in noi gli accenni della preghiera che un secolo fa il mio Predecessore raccomandò di innalzare a lui. È certo, infatti, che questa preghiera e la figura stessa di Giuseppe acquistano una rinnovata attualità per la Chiesa del nostro tempo, in relazione al nuovo Millennio cristiano.
Il Concilio Vaticano II ha di nuovo sensibilizzato tutti alle «grandi cose di Dio», aquell’«economia della salvezza», della quale Giuseppe fu speciale ministro. Raccomandiamoci, dunque, alla protezione di colui al quale Dio stesso «affidò la custodia dei suoi tesori più preziosi e più grandi» (50), impariamo al tempo stesso da lui a servire l’«economia della salvezza». Che san Giuseppe diventi per tutti un singolare maestro nel servire la missione salvifica di Cristo, compito che nella Chiesa spetta a ciascuno e a tutti: agli sposi ed ai genitori, a coloro che vivono del lavoro delle proprie mani o di ogni altro lavoro, alle persone chiamate al3a vita contemplativa come a quelle chiamate all’apostolato.
L’uomo giusto, che portava in sé tutto il patrimonio dell’Antica Alleanza, è stato ancheintrodotto nell’ «inizio» della nuova ed eterna Alleanza in Gesù Cristo. Che egli ci indichi le vie di questa Alleanza salvifica sulla soglia del prossimo Millennio, nel quale deve perdurare e ulteriormente svilupparsi la «pienezza del tempo» ch’è propria del mistero ineffabile della incarnazione del Verbo.
Che san Giuseppe ottenga alla Chiesa ed al mondo, come a ciascuno di noi, la benedizione del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 15 agosto – solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria – dell’anno 1989, undicesimo di pontificato.
Joannes Paulus P.P. II
NOTE
(l) Cfr. S. Ireneo, Adversus haereses, IV, 23, 1: S.Ch. 100/2, pp. 692-694.
(2) Leone XIII, Epist. Enc. Quamquam pluries (15 agosto 1889): Leonis XIII P.M. Acta, IX (1890), pp. 175-182.
(3) Sacror. Rituum Congreg., Decr. Quemadmodum Deus (8 dicembre 1870): Pii IX P.M. Acta, pars I, vol.V; p. 282; Pio IX, Lett. Apost. Inclytum Patriarcham (7 luglio 187l), l.c., pp. 331-335.
(4) Cfr. S. Giovanni Crisostomo, In Matth. Hom.V. 3: PG 57., 57 s.; Dottori della Chiesa e Sommi Pontefici, anche in base all’identità dei nome, hanno indicato il prototipo di Giuseppe di Nazareth in Giuseppe d’Egitto, per averne in qualche modo adombrato il ministero e la grandezza di custode dei più preziosi tesori di Dio. Padre, il Verbo Incarnato e la sua Santissima Madre: cfr. ad esempio, San Bemardo, Super, «Missus est», Hom II, 16: S. Bernardi Opera, Ed. Cist., IV, 33 s.; Leone XIII, Epist. Enc. Quamquam pluries (15 agosto 1889): l.c.,p. 179.
(5) Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 58.
(6) Cfr. ibid., 63.
(7) Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 5.
(8) Ibid., 2.
(9) Cfr. Conc. Ecumen. Vat. Il, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 63.
(10) Conc. Ecum. Vat. Il, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 2.
(11) S. Congreg. Rituum, Decr. Novis hisce temporibus (13 novembre 1962): AAS54 (1962), p. 873.
(12) S. Agostino, Sermo 5I, 10, 16: PL 38, 342.
(13) S. Agostino, De nuptiis et concupiscentia, I, 11, 12: PL 44, 421; cfr. De consensu evangelistarum, II, l, 2: PL 34, l071; Contra Faustum, III, 2: PL 42, 214.
(14) S. Agostino, De nuptiis et concupiscentia, I, 11, 13: PL 44, 421; cfr. Contra 1ulianum, V, 12, 46: PL 44, 810.
(15) Cfr. S. Agostino, Contra Faustum, XXIII, 8: PL 42, 470 s.; De consensu evangelistarum, II, 1, 3: PL 34, 1072; Sermo, 51, 13, 21: PL 38, 344 s.; S. Tommaso, Summa Theol., III, q. 29, a. 2 in conclus.
(16) Cfr. Allocuzioni dal 9, 16 gennaio, 20 febbraio 1980: Insegnamenti, IIVI (1980), pp. 88-92; 148-152; 428431.
(17) Paolo VI Allocuzione al Movimento «Equipes Notre-Dame» (4 maggio 1970), n. 7: AAS 62 (1970), p. 431. Analoga esaltazione della Famiglia di Nazareth come assoluto esemplare della comunità domestica si trova, ad esempio, in Leone XIII, Lett. Apost. Neminem fugit (l4 giugno 1892): Leonis XIII P.M. Acta, XII (1892), pp. 149 s.; Benedetto XV, Motu proprio Bonum sane (25 luglio 1920): AAS 12 (1920), pp. 313-317.
(18) Esort. Apost. Familiaris consortio (22 novembre 1981), 17 AAS 74 (1982), p. 100.
(19) Ibid., 49: I.c., p. 140; cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Dogm. sulla ChiesaLumen gentium, 11; Decr. sull’Apostolato dei laici Apostolicam actuositatem, I l.
(20) Esort. Apost. Familiaris consortio (22 novembre. 1981), 85; l.c., pp. 189 s.
(21) Cfr. S. Giovanni Crisostomo, In Matth, Hom. V, 3. PG 57, 57 s.
(22) Paolo VI, Allocuzione (19 marzo 1966): Insegnamenti, IV (1966), p. 110.
(23) Cfr. Missale Romanum, Collecta in «Sollemnitate S. Ioseph Sponsi B.M.V.».
(24) Cfr. Ibid., Praefatio in «Sollemnitate S. Ioscph Sponsi B.M.V.».
(25) Leone XIII, Epist. Enc. Quamquam pluries (15; agosto 1889): l.c., p. 178.
(26) Pio XII, Radiomessaggio agli studenti delle scuole cattoliche degli Stati Uniti d’America (19 febbraio 1958): AAS 50 (1958), p. 174.
(27) Origene, Hom. XIII in Lucem, 7: S. Ch. 87, pp. 214 s.
(28) Origene, Hom XI in Lucam, 6: S. Ch. 87, pp. 196 s.
(29) Cfr. Missale Romanum, Prex Eucharistica I.
(30) Sacror. Rituum Congreg., Decr. Quemadmodum Deus (8 dicembre 1870):l.c., p. 282.
(31) Collectio Missarum de Beata Maria Virgine, I, «Sancta Maria de Nazareth»,Praefatio.
(32) Esort. Apost. Familiaris consortio (22 novembre 1981), 16: l.c., p. 98.
(33) Leone XIII, Epist. Enc. Quamquam pluries (15 agosto 1889): l.c., pp. 177 s.
(34) Cfr. Lett. Enc. Laborem exercens (14 settem-bre l981), 9: AAS 73 (198l), pp. 599 s.
(35) Ibid., 24: l.c., p. 638. I Sommi Pontefici nel periodo più recente hanno costantemente presentato san Giuseppe come «modello» degli operai e dei lavoratori; cfr., ad esempio, Leone XIII, Epist. Enc. Quamquam pluries (l5 agosto l889): l.c., p. 180; Benedette XV, Motu proprio Bonum sane (25 luglio l920): l.c., pp. 314-3l6; Pio XII Allocuzione (11 marzo l945), 4: AAS 37 (1945), p. 72; Allocuzione(1º maggio 1955): AAS 47 (1955), p. 406; Giovanni XXIII, Radiomessaggio .(1º maggio 1960): AAS 52 (1960), p. 398.
(36) Paolo VI, Allocuzione (19 marzo 1969): Insegnamenti, VII (1969), p. 1268.
(37) Ibid.: l.c., p. 1267.
(38) Cfr. S. Tommaso, Summa Theol., II-IIae. q. 82, a. 3, ad 2.
(39) Ibid., III, q. 8, a. l, ad l.
(40) Cfr. Pio XII, Lett. Enc. Haurietis aquas (15 maggio 1956), III: AAS 48 (1956), pp. 329 s.
(41) Cfr. S. Tommaso, Summa Theol., II-II“, q. 182, a. 1, ad 3.
(42) Cfr. Sacror. Rituum Congreg., Decr. Quemadmodum Deus (8 dicembre 1870): l.c., p. 283.
(43) Ibid., l.c., p. 282 s.
(44) Leone XIII, Epist. Enc. Quamquam pluries (l5 agosto 1889): l.c., pp. 177-179.
(45) Esort. Apost. post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), 34: AAS Sl (1989), p. 456.
(46) Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 1.
(47) Paolo VI, Allocuzione (19 marzo 1969): Insegnameeti, VII (1969), p. l269.
(48) Cfr. Missale Romanum, Collecta; Super oblata in «Sollemnitate S. Ioseph Sponsi B.M,V.», Post commun. in «Missa votiva S. Ioseph».
(49) Cfr. Leone XIII, «Oratio ad Sanctum Iosep-hum~, contenuta subito dopo il testo dell’Epist. Enc. Quanrquam pluries (15 agosto 1889): Leonis XIII P.M. Acta, IX (1890), p. 183.
(50) Sacror. Rituum Congreg., Decr. Quemadmodum Deus (8 dicembre 1870):l.c.. p. 282.

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Liturgia greca 
Menaion




L'amministratore dei misteri di Dio (1 Cor 4, 1)

Giuseppe, lo sposo di Maria, vide con i propri occhi la realizzazione delle profezie. Scelto per il più illustre matrimonio, ricevette la rivelazione per bocca degli angeli che cantavano: Gloria al Signore ! Perché ha dato la pace alla terra.
Annuncia, o Giuseppe, a Davide, l'antenato dell'Uomo-Dio, i prodigi che i tuoi occhi hanno contemplato : hai visto il bambino sul seno della Vergine ; lo hai adorato insieme con i magi ; hai reso gloria a Dio insieme con i pastori, secondo la parola dell'angelo. Prega il Cristo Dio affinché le nostre anime siano salvate.
Tu, Giuseppe, hai ricevuto in braccio il Dio immenso davanti al quale tremano le potenze celesti, quando egli nacque dalla Vergine ; e ne fosti consacrato. Perciò ti rendiamo onore.
La tua anima fu obbediente al divino precetto; pieno di una purezza senza pari, meritasti di ricevere in moglie colei che è pura e immacolata fra le donne ; fosti il custode di questa Vergine, quando essa meritò di diventare il tabernacolo del Creatore...
Colui che, con una sola parola, ha plasmato il cielo, la terra e il mare, è stato chiamato il figlio dell'artigiano, di te, ammirabile Giuseppe! Sei stato chiamato padre di colui che è senza principio e ti ha glorificato come ministro di un mistero che supera ogni intelligenza... Custode sacro della Vergine benedetta, con lei hai cantato questo cantico : « Benedite, opere tutte del Signore, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli ! Amen » (Dn 3, 57).