venerdì 23 marzo 2012

Di quale morte doveva morire


   

Celebriamo domani 25 marzo la
V DOMENICA DI QUARESIMA
Anno B

Di seguito i testi del Messale con qualche commento e un testo dai Trattati su Giovanni
di sant'Agostino. Buona domenica! Pb. Vito Valente.

Celebriamo la vicina festa del Signore con autenticità di fede
Dalle «Lettere pasquali» di sant'Atanasio, vescovo (Lett. 14, 1-2; PG 26, 1419-1420)
Il Verbo, Cristo Signore, datosi a noi interamente ci fa dono della sua visita. Egli promette di restarci ininterrottamente vicino. Per questo dice: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20).
Egli è pastore, sommo sacerdote, via e porta e come tale si rende presente nella celebrazione della solennità. Viene fra noi colui che era atteso, colui del quale san Paolo dice: «Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato» (1 Cor 5, 7). Si verifica anche ciò che dice il salmista: O mia esultanza, liberami da coloro che mi circondano (cfr. Sal 31, 7). Vera esultanza e vera solennità è quella che libera dai mali. Per conseguire questo bene ognuno si comporti santamente e dentro di sé mediti nella pace e nel timore di Dio.
Così facevano anche i santi. Mentre erano in vita si sentivano nella gioia come in una continua festa. Uno di essi, il beato Davide, si alzava di notte non una volta sola ma sette volte e con la preghiera si rendeva propizio Dio. Un altro, il grande Mosè, esultava con inni, cantava lodi per la vittoria riportata sul faraone e su coloro che avevano oppresso gli Ebrei. E altri ancora, con gioia incessante attendevano al culto sacro, come Samuele ed il profeta Elia.
Per questo loro stile di vita essi raggiunsero la libertà e ora fanno festa in cielo. Ripensano con gioia al loro pellegrinaggio terreno, capaci ormai di distinguere ciò che era figura e ciò che è divenuto finalmente realtà.
Per prepararci, come si conviene, alla grande solennità che cosa dobbiamo fare? Chi dobbiamo seguire come guida? Nessun altro certamente, o miei cari, se non colui che voi stessi chiamate, come me, «Nostro Signore Gesù Cristo». Egli per l'appunto dice: «Io sono la via» (Gv 14, 6). Egli è colui che, al dire di san Giovanni, «toglie il peccato del mondo» (Gv 1, 29). Egli purifica le nostre anime, come afferma il profeta Geremia: «Fermatevi nelle strade e guardate, e state attenti a quale sia la via buona, e in essa troverete la rigenerazione delle vostre anime» (cfr. Ger 6, 16).
Un tempo era il sangue dei capri e la cenere di un vitello ad aspergere quanti erano immondi. Serviva però solo a purificare il corpo. Ora invece, per la grazia del Verbo di Dio, ognuno viene purificato in modo completo nello spirito.
Se seguiremo Cristo potremo sentirci già ora negli altri della Gerusalemme celeste e anticipare e pregustare anche la festa eterna. Così fecero gli apostoli, costituiti maestri della grazia per i loro coetanei ed anche per noi. Essi non fecero che seguire il Salvatore: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito »(Mt 19, 27).
Seguiamo anche noi il Signore, cioè imitiamolo, e così avremo trovato il modo di celebrare la festa non soltanto esteriormente, ma nella maniera più fattiva, cioè non solo con le parole, ma anche con le opere.
 
MESSALE
Antifona d'Ingresso  Sal 42,1-2
Fammi giustizia, o Dio, e difendi la mia causa
contro gente senza pietà;
salvami dall'uomo ingiusto e malvagio,
perché tu sei il mio Dio e la mia difesa.

Colletta
Vieni in nostro aiuto, Padre misericordioso, perché possiamo vivere e agire sempre in quella carità, che spinse il tuo Figlio a dare la vita per noi. Egli è Dio...

Oppure:
Ascolta, o Padre, il grido del tuo Figlio che, per stabilire la nuova ed eterna alleanza, si è fatto obbediente fino alla morte di croce; fa' che nelle prove della vita partecipiamo intimamente alla sua passione redentrice, per avere la fecondità del seme che muore ed essere accolti come tua messe nel regno dei cieli. Per il nostro Signore Gesù Cristo...
   
LITURGIA DELLA PAROLA
    
Prima Lettura  Ger 31, 31-34
Concluderò un’alleanza nuova e non ricorderò più il peccato.

Dal libro del profeta Geremìa
Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore –, nei quali con la casa d’Israele e con la casa di Giuda concluderò un’alleanza nuova. Non sarà come l’alleanza che ho concluso con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dalla terra d’Egitto, alleanza che essi hanno infranto, benché io fossi loro Signore. Oracolo del Signore.
Questa sarà l’alleanza che concluderò con la casa d’Israele dopo quei giorni – oracolo del Signore –: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Non dovranno più istruirsi l’un l’altro, dicendo: «Conoscete il Signore», perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande – oracolo del Signore –, poiché io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato.
    
Salmo Responsoriale
  Dal Salmo 50
Crea in me, o Dio, un cuore puro.
    
Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;
nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro.

Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
Non scacciarmi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito.

Rendimi la gioia della tua salvezza,
sostienimi con uno spirito generoso.
Insegnerò ai ribelli le tue vie
e i peccatori a te ritorneranno.
 
     
Seconda Lettura
  Eb 5,7-9
Imparò l'obbedienza e divenne causa di salvezza eterna.
Dalla lettera agli Ebrei
Cristo, nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito.
Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.
  
Canto al Vangelo
  Gv 12,26
Lode e onore a te, Signore Gesù!
Se uno mi vuole servire, mi segua, dice il Signore,
e dove sono io, là sarà anche il mio servitore.
Lode e onore a te, Signore Gesù! 
  
   

Vangelo  Gv 12,20-33
Se il chicco di grano caduto in terra muore, produce molto frutto.
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù».
Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome».
Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!».
La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire. Parola del Signore.

* * *

COMMENTI

1. Congregazione per il Clero

«Vogliamo vedere Gesù» (Gv 12,21). In questa quinta Domenica di Quaresima, la Chiesa ci permette di compiere un ulteriore, decisivo passo in questo cammino di spirituale combattimento, che ormai sta per volgere al termine.
I greci, rivolgendosi a San Filippo, quell’Apostolo, che, per nome e provenienza geografica, era loro più prossimo, esprimono una domanda disarmante per la sua concretezza: «vogliamo vedere Gesù»! Essi non domandano un sapere astratto, un’idea che riassuma tutte le altre, un insegnamento, anche etico, che li porti ad un qualche progresso, ma chiedono un incontro. Non chiedono che si parli loro del Signore, che si ricordi loro cosa Egli ha insegnato, quanto sia eticamente buono fare la Sua Volontà, ma vogliono vedere direttamente Lui.
«Vogliamo vedere Gesù». La concretezza di questa domanda raccoglie anche la commovente preghiera del Salmo 50 – «Crea in me, o Dio, un cuore puro» –, con la quale il salmista, prendendo atto del proprio peccato e del bisogno che accada “qualcosa di nuovo”, che possa cambiarlo interiormente, domanda a Dio di essere trasformato, ricreato, cosicché possa essere finalmente “nuovo”, vivo e libero, nel rapporto con Lui.
«Vogliamo vedere Gesù». Questa novità, questa vita e libertà che il salmista cerca, non possono essere ottenute dall’uomo con le sue sole forze, neanche, paradossalmente, compiendo ciò che è eticamente corretto. Infatti, anche ciò che è eticamente corretto, senza quella novità, vita e libertà, è ultimamente vuoto e sterile. Solo un’opera che non viene da noi, solo il dono di un incontro può salvarci.
«Vogliamo vedere Gesù». Non sta a noi decidere le circostanze, le modalità e la forma di questo dono. L’uomo non può “decidere” cosa lo salvi, né può permettere ad altri di deciderlo per lui, asservendosi così alla moda dell’ultimo minuto, alla più recente ricetta psicologica o alle “urgenze” con le quali, di volta in volta, i poteri dominanti indirizzano l’attenzione e le energie delle famiglie e dei lavoratori. L’uomo può solo “domandare” questa salvezza, attenderla e, una volta, incontrata, lasciare tutto e aggrapparvisi saldamente. Questo è accaduto agli Apostoli, uomini profondamente disponibili a quella perenne novità che era la Persona di Gesù per loro e che, lasciando tutti i loro cari, le loro occupazioni e i loro progetti, Lo hanno seguito. Essi hanno condiviso, così, la compagnia di Cristo, la comunione di vita con Lui, divenendo essi stessi quella “compagnia”, nella quale Cristo si rende incontrabile.
«Vogliamo vedere Gesù». Il grido dei greci è anche il grido di noi cristiani, perché è il grido di ogni uomo. La risposta del Redentore è misteriosa, ma Egli ha ascoltato attentamente la domanda che Andrea e Filippo Gli hanno rivolto, come sempre ascolta lo nostre domande, e precisamente risponde a questa domanda: «Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24). Anzitutto sembra enunciare una norma generale dell’essere umano: chi non muore, rimane solo; chi invece muore, produce molto frutto.
Al contempo, poi, annuncia come i greci, e tutti gli uomini, potranno incontrarLo: Egli, che è «il chicco di grano caduto in terra», il Verbo Eterno fatto uomo, assume per sé questa “norma di vita” inscritta dal Creatore nel cuore dell’uomo, e compie Lui per noi questo cammino: «Pur essendo Figlio – scrive San Paolo –, imparò l’obbedienza da ciò che patì». Egli non si accontenta di farsi incontrare in un modo superficiale ed esteriore, ma, morendo sulla Croce, vuole incontrarci più profondamente e rivelarci così la Gloria di Dio: «Allora […] non dovranno più istruirsi l’un l’altro, dicendo “conoscete il Signore”, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande» (Ger 31,34).
La Beata Vergine Annunziata, che per prima ha visto il Volto del Figlio di Dio nato da Lei, ci accompagni nel pronunciare il suo stesso “sì”, nel perdere la nostra vita per ritrovarla; ci mostri Lei, Clemente, Pia, Dolce Vergine Maria, dopo questo esilio, Gesù, il Frutto benedetto del Suo seno! Amen.
 * * *
2. p. Raniero Cantalamessa ofmcapp.
“Se il chicco di grano non cade in terra e non muore, rimane solo; se invece muore, porta molto frutto”. Non è il solo insegnamento che Gesù trae dalla vita dei contadini. Il Vangelo è pieno di parabole, immagini e spunti tratti dall’agricoltura che era a suo tempo (ed è ancora oggi per diversi popoli) la professione che occupa il maggior numero di persone. Egli parla del seminatore, del lavoro dei campi, della mietitura, di grano, vino, olio, del fico, della vigna, della vendemmia…
Ma Gesù non si fermava naturalmente al piano agricolo. L’immagine del chicco di grano gli serve per trasmetterci un sublime insegnamento che getta luce, prima di tutto, sulla sua vicenda personale e poi anche su quella dei suoi discepoli.
Il chicco di grano è, infatti, anzitutto Gesù stesso. Come un chicco di frumento, egli è caduto in terra nella sua passione e morte, è rispuntato e ha portato frutto con la sua risurrezione. Il “molto frutto” che egli ha portato è la Chiesa che è nata dalla sua morte, il suo corpo mistico.
Potenzialmente, il “frutto” è tutta l’umanità, non solo noi battezzati, perché egli è morto per tutti, tutti sono stati da lui redenti, anche chi ancora non lo sa. Il brano evangelico si conclude con queste significative parole di Gesù: “Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me”.
Ma la storia del piccolo chicco di grano aiuta anche, per un altro verso, a capire noi stessi e il senso della nostra esistenza. Dopo aver parlato del chicco di grano, Gesù aggiunge: “Chi ama la sua vita la perde e chi odia (un altro evangelista dice perde) la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna” (cfr. Mt 16, 25). Cadere in terra e morire, non è dunque solo la via per portare frutto, ma anche per “salvare la propria vita”, cioè per continuare a vivere! Che succede al chicco di grano che rifiuta di cadere in terra? O viene qualche uccello e lo becca, o inaridisce e ammuffisce in un angolo umido, oppure viene ridotto in farina, mangiato e tutto finisce lì. In ogni caso, il chicco, come tale, non ha seguito. Se invece viene seminato, rispunterà e conoscerà una nuova vita, come in questa stagione vediamo che è avvenuto dei chicchi di grano seminati in autunno.
Sul piano umano e spirituale ciò significa che se l’uomo non passa attraverso la trasformazione che viene dalla fede e dal battesimo, se non accetta la croce, ma rimane attaccato al suo naturale modo di essere e al suo egoismo, tutto finirà con lui, la sua vita va ad esaurimento. Giovinezza, vecchiaia, morte. Se invece crede e accetta la croce in unione con Cristo, allora gli si apre davanti l’orizzonte dell’eternità.
Ci sono situazioni, già in questa vita, sulle quali la parabola del chicco di grano getta una luce rasserenante. Hai un progetto che ti sta sommamente a cuore; per esso hai lavorato, era diventato lo scopo principale nella vita, ed ecco che in breve lo vedi come caduto in terra e morto. Fallito, oppure tolto a te e affidato a un altro che ne raccoglie i frutti. Ricordati del chicco di grano e spera. I nostri migliori progetti e affetti (a volte lo stesso matrimonio degli sposi) devono passare per questa fase di apparente buio e di gelido inverno, per rinascere purificati e ricchi di frutti. Se resistono alla prova, sono come l’acciaio dopo che è stato immerso in acqua gelida e ne è uscito “temprato”. Come sempre, costatiamo che il Vangelo non è lontano, ma vicinissimo alla nostra vita. Anche quando ci parla con la storia di un piccolo chicco di grano.
Alla fine, questi chicchi di grano che cadono in terra e muoiono, saremo noi stessi, i nostri corpi affidati alla terra. Ma la parola di Gesù ci assicura che anche per noi ci sarà una nuova primavera. Risorgeremo da morte e questa volta per non morire più.
* * *
3. Luciano Manicardi
Le letture della quinta domenica di Quaresima vertono sull’annuncio della nuova alleanza che si fonderà su un atto di perdono dei peccati da parte di Dio (I lettura). Questa alleanza è stabilita nel Figlio Gesù Cristo costituito sommo sacerdote grazie a un’investitura nella carne, ottenuta mediante l’obbedienza fino alla morte di croce (II lettura). Innalzato da terra, infatti, Cristo inizierà il raduno universale: ma l’attrazione che egli esercita non è solo alla gloria, ma anche all’assunzione della croce fino al dono di sé (vangelo).
Il passo evangelico ci pone di fronte al paradosso della rivelazione cristiana. Alla domanda di alcuni greci che chiedono: “Vogliamo vedere Gesù”, Gesù risponde nascondendosi. O meglio, vedendo nella ricerca di quei pagani il segno che ormai la sua ora è giunta. Di fronte ai pagani che vogliono incontrarlo, Gesù annuncia la sua morte. E anche questi greci non “vedranno” Gesù se non con sguardo di fede illuminato dallo Spirito santo a partire dall’evento pasquale; anch’essi godranno della beatitudine di chi crede senza avere visto (cf. Gv 20,29). Il cristiano è, costitutivamente,senza visione: l’esperienza e l’incontro con il Signore avvengono solo nella fede. I cristiani “amano Gesù Cristo pur senza averlo visto e, senza vederlo, credono in lui” (1Pt 1,8). Se la fede è “fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono” (Eb 11,1), lo sguardo della fede sa vedere in Gesù il Figlio di Dio, nel crocifisso l’innalzato, nella croce la gloria.
Questo sguardo di fede è vicino allo sguardo simbolico con cui Gesù vede la realtà e la assume per parlare in modo parabolico della sua morte e resurrezione. Nel chicco di grano caduto a terra e che deve morire per dare frutto, Gesù vede la necessità della sua passione e morte e l’inestricabile rapporto tra croce e gloria. Il portare molto frutto del chicco di grano caduto a terra (12,24) evoca l’attrazione universale esercitata da colui che è innalzato da terra (12,32). Ecco lo sguardo di fede: vedere (e credere) l’invisibile nel visibile e attraverso di esso. E in un visibile che sembra agli antipodi dell’invisibile: vedere la gloria nella croce infamante.

Le parole di Gesù indicano anche che egli si dispone non a subire, ma a fare della morte un atto, a viverla in quello stesso amore in cui ha vissuto. Gesù narra così che chi ha una ragione per vivere ha anche una ragione per morire. L’amore che ha animato la sua vita diviene ora l’amore che vivifica la sua morte. Ma mentre intravede la sua morte, Gesù scorge anche la via dolorosa (e gloriosa) che il credente dovrà percorrere per seguirlo. “Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io là sarà anche il mio servo” (Gv 12,26). Il “vedere Gesù” viene riportato nell’alveo dellaquotidiana prassi di sequela perseverante: non evoca visioni mistiche, né un approccio gnostico, né esperienze intense ma momentanee. Seguire Gesù è seguirlo ogni giorno nella via dell’amore e della donazione di sé. E grande gioia abita il credente quando nel suo opaco quotidiano perseverare sulle (confessate per fede) tracce di Gesù, egli sperimenta di soffrire a causa di Gesù. Allora egli può sapere, nella fede, di aver veramente qualcosa in comune con il suo Signore. Allora egli capisce come l’infamia e la sofferenza possano essere gloria.
Il desiderio del credente – “vedere Gesù” – deve conoscere il rischio della fede. Se il desiderio è sempre teso alla vita, il desiderio cristiano (vedere il volto del Signore) deve passare attraverso il vaglio del rischio della vita. La logica del chicco di grano vale anche per il credente (Gv 12,25). Ma questa logica è liberante: libera dalla tirannia del proprio “io”, della riuscita a ogni costo, dell’affermazione di sé a scapito degli altri, del vedere sempre e solo se stessi. Anzi, questo desiderio non deve evadere dalla storia e dalla compagnia degli uomini, ma discernere il volto di Cristo nel volto dei fratelli. Recita un detto non scritto di Gesù riportato da Clemente di Alessandria: “Hai visto tuo fratello? Hai visto Dio”.



  * * *


4. Enzo Bianchi
L’ora della passione di Gesù è ormai vicina, e così egli sale a Gerusalemme per celebrare una Pasqua che sarà la sua Pasqua, il suo esodo da questo mondo al Padre (cf. Gv 13,1). Entrato nella città santa accolto da acclamazioni messianiche, Gesù sembra al culmine del successo, al punto che i suoi avversari esclamano: “Tutto il mondo gli va dietro!” (Gv 12,19).
 Ed ecco accadere qualcosa che sembra confermare questo consenso popolare. L’evangelista annota che “tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa, c’erano anche alcuni greci”, cioè dei non-giudei, dei pagani provenienti dalle genti. Costoro desiderano vedere il rabbi e profeta Gesù, acclamato dalle folle e sulla bocca di tutti; sembrano però colti da timore al pensiero dell’incontro con Gesù, e non osano accostarsi a lui direttamente, ma si rivolgono a Filippo, un discepolo dal nome greco, originario di Betsaida di Galilea, villaggio abitato anche da non-ebrei… Lo stesso Filippo si mostra esitante a favorire questo incontro, e si rivolge ad Andrea; insieme, poi, si recano da Gesù.
 Gesù, dal canto suo, pare sottrarsi alla richiesta dei due discepoli, scorgendo in quella ricerca da parte dei pagani il segno che è giunta la sua ora, l’ora della sua morte. Per questo risponde ad Andrea e Filippo esclamando: “È giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo”. Se infatti la sua missione terrena era rivolta a Israele, la sua morte avrebbe permesso anche ai pagani di riconoscere la sua vera identità e, con ciò, di comprendere la sua autentica missione, quella di raccontare il Dio invisibile (cf. Gv 1,18). Di conseguenza, Gesù annuncia con una similitudine l’ora in cui tutte le genti potranno vederlo e incontrarlo: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. Ecco ciò che attende Gesù: la passione e morte, quell’evento in cui sarà innalzato e così potrà attrarre a sé tutti gli uomini: “Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me”. Solo allora la sua missione apparirà veramente universale, destinata non solo al popolo delle promesse…

 Ma c’è di più. Gesù legge nella morte di croce la propria gloria, e ciò lo porta ad affermare con forza: “Chi ama la sua vita e la vuole tenere saldamente per sé, la perde; chi invece la spende e la dona, in verità la conserva come vita per sempre!”. Gesù ha davvero una ragione per cui vale la pena dare la propria vita fino a morire, e dunque ha anche una ragione per cui vivere. Questo dovrebbe valere non solo per lui, ma anche per chi si mette alla sua sequela: “Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo”. I cristiani, discepoli di Gesù Cristo, sono chiamati a un’esistenza spesa a servizio degli altri e di Dio, fino a fare della propria morte un atto, nella consapevolezza dello straordinario frutto che attende quanti vivono e muoiono nell’amore: la vita eterna, la vita per sempre.
 Bisogna però anche registrare il turbamento di Gesù al pensiero della propria morte imminente; eppure, nell’ottica del quarto vangelo, dove la via della croce è via della gloria, Gesù reagisce immediatamente mostrando una fede salda: “Ora l’anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest’ora? Ma per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome”. Una vita spesa nell’amore può essere deposta solo per amore degli uomini, anche a costo di concludersi con una morte ingiusta… Ed ecco che la risposta di Dio non si fa attendere: “Venne allora una voce dal cielo: L’ho glorificato e di nuovo lo glorificherò!”. Sì, la parola del Padre mette un sigillo su Gesù: la gloria del Padre riposa su di lui in modo particolare nell’ora della passione. E Gesù mostrerà la gloria, il “peso” di Dio che opera nella sua vita, in un solo modo: “amando i suoi all’estremo, fino alla fine” (cf. Gv 13,1).
 In questo episodio, posto alla vigilia della Pasqua, il quarto vangelo unisce due eventi che, secondo i vangeli sinottici, hanno luogo in momenti distinti: il turbamento di Gesù al Getsemani (cf. Mc 14,32-42 e par.) e la voce del Padre su di lui alla trasfigurazione (cf. Mc 9,1-8 e par.). È la via di Giovanni per esprimere che nell’ora della prova Dio è presente più che mai, e fa della morte del chicco di grano un evento fecondo, in grado di moltiplicare la vita. Siamo disposti anche noi ad assumere questa dinamica di morte e resurrezione, identificandoci con il chicco di grano caduto a terra? È un’immagine semplice e quotidiana, ma capace di accompagnare e ispirare la nostra vita, fino alla fine…


* * *

COMMENTI DALLA TRADIZIONE PATRISTICA

DAI "TRATTATI SU GIOVANNI" DI SANT'AGOSTINO

OMELIA 51


L'annunzio della morte e della vittoria.


Cristo era il grano di frumento che doveva morire per dare molto frutto. Morto a causa dell'infedeltà dei giudei, è fruttificato mediante la fede dei popoli.

1. In seguito alla risurrezione del morto di quattro giorni che il Signore compì fra lo stupore dei Giudei, alcuni di essi vedendo credettero in lui, altri per invidia si perdettero; sempre per quel buon odore che conduce alcuni alla vita e altri alla morte (cf. 2 Cor 2, 15). Dopo aver partecipato alla cena, in cui Lazzaro risuscitato da morte era commensale, e durante la quale fu versato sui suoi piedi l'unguento del cui profumo si era riempita la casa; dopo che i Giudei avevano concepito nel loro cuore perverso la vana crudeltà e lo stolto e delittuoso proposito di uccidere Lazzaro; dopo che di tutte queste cose, come abbiamo potuto e con l'aiuto del Signore, abbiamo parlato nei precedenti sermoni, invito ora la vostra Carità a considerare i frutti copiosi prodotti dalla predicazione del Signore prima della sua passione, e quanto numeroso sia stato il gregge delle pecore perdute della casa d'Israele, che ascoltò la voce del pastore.
2. Ecco le parole del Vangelo di cui avete appena ascoltato la lettura: L'indomani, la gran folla venuta per la festa, sentendo che Gesù si recava a Gerusalemme, prese i rami delle palme e gli andò incontro gridando: Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d'Israele (Gv 12, 12-13). Le palme sono un omaggio e un simbolo di vittoria; perché, morendo, il Signore avrebbe vinto la morte, e, mediante il trofeo della croce, avrebbe riportato vittoria sul diavolo principe della morte. Il grido "Osanna" poi, secondo alcuni che conoscono l'ebraico, più che altro esprime affetto; un po' come le interiezioni in latino: diciamo "ahi!" per esprimere dolore, "ah!" per esprimere gioia, "oh, che gran cosa!" per esprimere meraviglia. Al più "oh!" esprime un sentimento di ammirazione affettuosa. Così è per la parola ebraica "Osanna", che tale è rimasta in greco e in latino, essendo intraducibile; come quest'altra: Chi dirà "racha" a suo fratello (Mt 5, 22). La quale, come riferiscono, è una interiezione intraducibile che esprime un sentimento di indignazione.
[L'umiltà non è scapito della sua divinità.]
3. Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d'Israele. "Nel nome del Signore" sembra doversi intendere nel nome di Dio Padre, quantunque si possa intendere altresì nel nome di Cristo, dato che anch'egli è il Signore. Per questo altrove sta scritto: Il Signore fece piovere da parte del Signore (Gn 19, 24). Ma è il Signore stesso che ci aiuta a capire queste parole, quando dice: Io sono venuto nel nome del Padre mio, e non mi avete accolto; se un altro viene in nome proprio, lo accogliereste (Gv 5, 43). Maestro di umiltà è Cristo, che umiliò se stesso, fattosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce (cf. Fil 2, 8). E non perde certo la divinità quando ci insegna col suo esempio l'umiltà: in quella egli è uguale al Padre, in questa è simile a noi. E in quanto è uguale al Padre ci ha creati perché esistessimo, in quanto è simile a noi ci ha redenti perché non ci perdessimo.
[Non promozione ma degnazione.]
4. La folla gli tributava questo omaggio di lode: Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d'Israele. Quale atroce tormento doveva soffrire l'animo invidioso dei capi dei Giudei, nel sentire una così grande moltitudine acclamare Cristo come proprio re! Ma che cos'era mai per il Signore essere re d'Israele? Era forse una gran cosa per il re dei secoli diventare re degli uomini? Cristo non era re d'Israele per imporre tributi, per armare eserciti, per debellare clamorosamente dei nemici: egli era re d'Israele per guidare le anime, per provvedere la vita eterna, per condurre al regno dei cieli coloro che credono, che sperano, che amano. Che il Figlio di Dio quindi, uguale al Padre, il Verbo per mezzo del quale sono state create tutte le cose, abbia voluto essere re d'Israele, non fu una elevazione per lui ma un atto di condiscendenza verso di noi: fu un atto di misericordia non un accrescimento di potere. Colui infatti che in terra fu chiamato re dei Giudei, è in cielo il Signore degli angeli.
5. Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra. Qui vien narrato con grande concisione ciò che gli altri evangelisti raccontano con ricchezza di particolari (cf. Mt 21, 1-16; Mc 11, 1-11; Lc 19, 29-48). Giovanni conferma questo fatto con una testimonianza profetica, per sottolineare che i maligni capi dei Giudei non comprendevano che in lui si adempivano le profezie da essi conosciute: Gesù trovato un asinello, vi montò sopra, secondo quel che è scritto: Non temere, figlia di Sion: ecco, il tuo re viene, seduto su di un puledro d'asina (Gv 12, 14-15; Zach 9, 9). Fra quel popolo c'era la figlia di Sion (Sion è lo stesso di Gerusalemme); ripeto: in mezzo a quel popolo, cieco e riprovato, c'era tuttavia la figlia di Sion alla quale erano rivolte le parole: Non temere, figlia di Sion: ecco, il tuo re viene, seduto su di un puledro d'asina. Questa figlia di Sion, cui era rivolto l'oracolo profetico, era presente in quelle pecore che ascoltavano la voce del pastore; era presente in quella moltitudine che con tanta devozione cantava le lodi del Signore che veniva, e che lo seguiva compatta. Ad essa il profeta diceva: Non temere, cioè riconosci colui che acclami, e non temere quando lo vedrai soffrire; perché il suo sangue viene versato per cancellare il tuo peccato e ridonarti la vita. Il puledro di asina sul quale nessuno era ancora salito (è un particolare che troviamo negli altri evangelisti), simboleggia il popolo dei gentili, che ancora non avevano ricevuto la legge del Signore. E l'asina (ambedue i giumenti furono portati al Signore) simboleggia il suo popolo proveniente dalla nazione d'Israele, non certo quella parte che rimase incredula ma quella che riconobbe il presepe del Signore.
6. Sulle prime, i suoi discepoli non compresero questo, ma quando Gesù fu glorificato - cioè quando egli manifestò la potenza della sua risurrezione - si ricordarono che queste cose erano state scritte di lui, e queste gli avevano tributato (Gv 12, 16), cioè non gli avevano tributato se non quanto di lui era stato scritto. Ripensando infatti alla luce delle Scritture le cose che si realizzarono tanto prima che durante la passione del Signore, si accorsero pure che egli si era seduto sul puledro dell'asina proprio come era stato predetto dal profeta.
7. La folla, che era con lui quando aveva chiamato Lazzaro dal sepolcro e lo aveva risuscitato dai morti, gli dava testimonianza. E anche perché aveva udito che egli aveva fatto questo miracolo, la folla gli andò incontro. I farisei, allora, si dissero: Vedete che non riusciamo a nulla! Ecco, il mondo gli è corso dietro (Gv 12, 17-19). La folla turbava la folla. Perché, o folla cieca, provi invidia nel vedere che il mondo va dietro a colui per mezzo del quale il mondo è stato fatto?
[Il bacio di pace sigillo dell'unica fede.]
8. C'erano alcuni gentili tra i pellegrini venuti per adorare durante la festa. Costoro avvicinarono Filippo, che era di Betsaida di Galilea, e gli chiesero: Signore, vogliamo vedere Gesù. Filippo va a dirlo ad Andrea; Andrea e Filippo vanno a dirlo a Gesù (Gv 12, 20-22). Sentiamo cosa rispose il Signore. Ecco che i Giudei vogliono ucciderlo, mentre i gentili vogliono vederlo; e di questi gentili fanno parte anche quei Giudei che lo acclamano gridando: Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d'Israele (Gv 12, 13). Circoncisi e incirconcisi, erano come due pareti di opposta provenienza, convergenti mediante il bacio di pace nell'unica fede in Cristo. Ascoltiamo dunque la voce della "pietra angolare".Gesù risponde loro: E' venuta l'ora in cui il Figlio dell'uomo deve essere glorificato (Gv 12, 23). Qualcuno potrebbe pensare che egli si considera già glorificato, per il fatto che i pagani volevano vederlo. Non è così. Egli prevedeva che i gentili d'ogni nazione avrebbero creduto in lui dopo la sua passione e risurrezione; perché, come dice l'Apostolo,la cecità parziale d'Israele durerà finché entrerà la pienezza delle genti (Rm 11, 25). Prendendo quindi occasione da questi gentili che volevano vederlo, annuncia la futura pienezza delle genti; e assicura che la sua glorificazione celeste, in seguito alla quale le genti crederanno in lui, è ormai imminente. Così era stato predetto: Innalzati sopra i cieli, Dio, e su tutta la terra spandi la tua gloria (Sal 107, 6). Questa è la pienezza delle genti di cui parla l'Apostolo: La cecità parziale d'Israele durerà finché entrerà la pienezza delle genti.
[Glorificazione attraverso l'umiliazione.]
9. Ma bisognava che la sublime grandezza della glorificazione fosse preceduta dall'umiliazione della passione. Perciò il Signore aggiunge: In verità, in verità vi dico: se il granello di frumento non cade in terra e vi muore, resterà solo; se, invece, muore, porta molto frutto (Gv 12, 24-25). Parlava di se stesso. Era lui il granello che doveva morire per moltiplicarsi: sarebbe morto per la incredulità dei Giudei, si sarebbe moltiplicato per la fede dei popoli.
10. E invero, esortandoci a seguire le orme della sua passione, egli dice: Chi ama la propria anima, la perderà (Gv 12, 25). Il che può intendersi in due modi: Chi ama perderà,cioè: Se ami la tua anima, devi essere disposto a perderla; se vuoi conservare la vita in Cristo, non devi temere la morte per Cristo. E in altro modo si può intendere la fraseChi ama la propria anima, la perderà: cioè non amarla se non vuoi perderla, non amarla in questa vita se non vuoi perderla nella vita eterna. Questa seconda interpretazione ci sembra più consona al senso del brano evangelico. Il seguito infatti dice: e chi odia la propria anima in questo mondo, la conserverà per la vita eterna (Gv 12, 25). La frase precedente, quindi, va così completata: Chi ama la propria anima in questo mondo, costui la perderà; chi invece odia la propria anima, sempre in questo mondo, questi la conserverà per la vita eterna. Solenne e meravigliosa affermazione, che dice come dipenda, la salvezza o la dannazione dell'uomo, dall'amore o dall'odio che egli porta alla sua anima. Se ami in modo sbagliato, tu odi; se odi in senso buono, ami. Beati coloro che sanno odiare la propria anima in maniera da salvarla, evitando, per un malinteso amore, di perderla. Ma per carità non ti venga in mente di sopprimerti, intendendo così l'odio che devi portare alla tua anima in questo mondo. Così intendono certuni, malvagi e perversi, e tanto più crudeli e scellerati omicidi in quanto uccidono se stessi: essi cercano la morte gettandosi nel fuoco o nelle acque, o precipitandosi dall'alto. Non è questo che insegna Cristo. Anzi, al diavolo che gli suggeriva di precipitarsi dall'alto, rispose: Indietro, Satana! sta scritto: Non tenterai il Signore Dio tuo (Mt 4, 7). A Pietro al contrario, indicandogli con qual morte avrebbe glorificato Dio, disse: Quando eri giovane ti cingevi e andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio stenderai le braccia e un altro ti cingerà e ti condurrà dove tu non vorrai (Gv 21, 18-19). Parole queste che abbastanza chiaramente ci indicano che chi segue le orme di Cristo deve lasciarsi mettere a morte dagli altri, non deve essere lui a darsela. Quando però si pone l'alternativa, di trasgredire il comandamento di Dio o di morire sotto la spada del persecutore, dovendo scegliere tra le due cose, uno scelga allora la morte per amore di Dio piuttosto che la vita offendendo Dio; così avrà in senso giusto odiato la propria anima in questo mondo al fine di salvarla per la vita eterna.
11. Chi mi vuol servire mi segua (Gv 12, 26). Che vuol dire mi segua, se non mi imiti? Cristo infatti soffrì per noi - dice l'apostolo Pietro - lasciandoci un esempio, affinché seguiamo le sue orme (1 Pt 2, 21). Questo è il senso della frase: Chi mi vuol servire mi segua. E con quale frutto, con quale ricompensa, con quale premio? E dove sono io, - dice - ivi sarà anche il mio servo. Amiamolo disinteressatamente, per ottenere, come ricompensa del nostro servizio, di essere con lui. Come si può star bene senza di lui, o male con lui? Ascolta che parla in maniera più esplicita: Se uno mi serve, il Padre mio lo onorerà (Gv 12, 26). Con quale onore, se non con quello di poter essere suo figlio? Questa frase: Il Padre mio lo onorerà, appare come una spiegazione di quella precedente: Dove sono io, ivi sarà anche il mio servo. Quale maggiore onore può ricevere il figlio adottivo di essere là dove è il Figlio unico, non uguagliato nella sua divinità, ma associato a lui nell'eternità.
[Non i propri interessi ma quelli di Cristo.]
12. Piuttosto dobbiamo chiederci cosa si intende per servire Cristo, servizio al quale viene riservata una così grande ricompensa. Se per servire Cristo intendiamo provvedere alle sue necessità corporali, cucinare e servirlo a tavola, versargli da bere e presentargli la coppa, ebbene questo è quanto fecero coloro che poterono godere della sua presenza fisica, come Marta e Maria allorché Lazzaro era uno dei commensali. In questo senso, però, anche il perfido Giuda servì Cristo. Egli infatti teneva la borsa; e, quantunque fosse solito rubare sacrilegamente il denaro che vi metteva dentro, tuttavia provvedeva il necessario (cf. Gv 12, 26). Perciò, quando il Signore gli disse: Ciò che devi fare, fallo al più presto, alcuni credettero che il Signore gli avesse ordinato di preparare il necessario per la festa, o di dare qualche elemosina ai poveri (cf. Gv 13, 27-29). Il Signore non pensava certo a siffatti servitori quando diceva: Dove sono io, ivi sarà anche il mio servo, e: se uno mi serve, il Padre mio lo onorerà. Vediamo infatti che in tal senso Giuda era servitore di Cristo, condannato e non onorato. Ma perché cercare altrove cosa si deve intendere per servire Cristo, quando possiamo apprenderlo da queste medesime parole? Dicendo infatti: chi mi vuol servire, mi segua, egli ha voluto farci intendere che chi non lo segue non lo serve. Servono dunque Gesù Cristo, coloro che non cercano i propri interessi ma quelli di Gesù Cristo (cf. Fil 2, 21). Mi segua vuol dunque dire: segua le mie vie, non le sue, così come altrove sta scritto: Chi dice di essere in Cristo, deve camminare così come egli camminò (1 Io 2, 6). Così, ad esempio, se uno porge il pane a chi ha fame, deve farlo animato da misericordia, non per vanità, non deve cercare in quel gesto altro che l'opera buona, senza che sappia la sinistra ciò che fa la destra (cf. Mt 6, 3), di modo che l'opera di carità non debba essere sciupata da secondi fini. Chi opera in questo modo, serve Cristo; e giustamente sarà detto di lui: Ogni volta che l'avete fatto ai più piccoli dei miei fratelli, lo avete fatto a me (Mt 25, 40). Chi compie per Cristo, non solamente opere di misericordia corporali, ma qualsiasi opera buona [e qualsiasi opera è buona se tiene conto del principio che il fine di tutta la legge è Cristo, a giustizia di ognuno che crede (Rm 10, 4)], egli è servo di Cristo, specie se giungerà fino a quella grande opera di carità che consiste nell'offrire la propria vita per i fratelli, che equivale a offrirla per Cristo. Perché anche questo dirà riferendosi alle sue membra: Quanto hai fatto per essi, lo hai fatto per me. A questo riguardo egli stesso si degnò farsi e chiamarsi servo, quando disse: Come il Figlio dell'uomo non venne per farsi servire ma per servire, e dare la sua vita per molti (Mt 20, 28). Donde ne segue che ciascuno è servo di Cristo per quelle medesime opere per cui anche Cristo è servo. E chi serve Cristo in questo modo, il Padre suo lo onorerà con quel singolare onore di accoglierlo con suo Figlio in una felicità senza fine.
13. Sicché, o fratelli, quando sentite il Signore che dice: Dove sono io, ivi sarà anche il mio servo, non vogliate pensare solamente ai vescovi e sacerdoti degni. Anche voi, ciascuno a suo modo, potete servire Cristo, vivendo bene, facendo elemosine, facendo conoscere a quanti vi è possibile il suo nome e il suo insegnamento. E così ogni padre di famiglia si senta impegnato, a questo titolo, ad amare i suoi con affetto veramente paterno. Per amore di Cristo e della vita eterna, educhi tutti quei di casa sua, li consigli, li esorti, li corregga, con benevolenza e con autorità. Egli eserciterà così nella sua casa una funzione sacerdotale e in qualche modo episcopale, servendo Cristo per essere con lui in eterno. Molti come voi, infatti, hanno compiuto il supremo sacrificio, offrendo la propria vita. Tanti che non erano né vescovi né chierici, tanti fanciulli e vergini, giovani e anziani, sposi e spose, padri e madri di famiglia, hanno servito il Cristo fino alla suprema testimonianza del sangue; e poiché il Padre onora chi serve il Cristo, hanno ricevuto fulgidissime corone.