La Maddalena che chiede perdono nella Crocifissione di Francesco Hayez, è l’immagine emblema della terza via crucis quaresimale della diocesi di Milano, guidata ieri sera nel Duomo dal cardinale arcivescovo, Angelo Scola.
ARCIDIOCESI DI MILANO
Via Crucis con l’Arcivescovo
Per
le sue piaghe noi siamo stati guariti (Is 53,5)
L’umiliazione dell’amore (Stazioni
VIII-XI)
Lc 23,27-31; Is 53,7-8; Gv 19,23-24; Mc
15,22-27
Testi di Thomas Stearns Eliot, Mario Luzi, Olivier
Clément e Georges Bernanos
Martedì
della III settimana di Quaresima
Monizione iniziale di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano
Amici, qui presenti e che in vario modo ci accompagnate
da lontano, questa sera la Via Crucis ci porta verso le ultime
stazioni sulla strada del Calvario. Vogliamo percorrerle fino in
fondo, dietro a Lui che ci «amò fino alla fine» (Gv
13,1) e prostrarci ai Suoi piedi, come la Maddalena rappresentata da
Hayez, mendicando il Suo perdono. Vogliamo lasciarci invadere dalla
forza rigenerante del Suo sacrificio. Vogliamo rispondere alla
chiamata che Cristo, «sposo e Signore» rivolge a noi dalla
croce (cf. Prima Orazione).
Dalle ferite del Crocifisso sgorga il sangue che copre e
rigenera il cuore della Maddalena. Certo la donna aveva amato in un
modo stravolto e peccaminoso, ma la grazia, Gesù stesso, la Sua
persona, i Suoi gesti e le Sue parole avevano spalancato la
possibilità dell’amore vero, oggettivo e perciò effettivo, a
questo suo amore sgraziato e impuro. E così la carezza di Maria
Maddalena ai piedi di Gesù, richiama il bacio della peccatrice:
l’umiliazione dell’amore - è il titolo della tappa
odierna della Via Crucis - del Maestro contagia la discepola.
Nel silenzio della crocifissione risentiamo l’eco
delle parole di Gesù: «Sono perdonati i suoi molti peccati,
perché ha molto amato» (Lc 7,47): il perdono
sovrabbondante viene incontro al pentimento mosso dall’amore. E la
misericordia ricrea: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose»
(Ap 21,5). Questa nuova creazione si intravvede giÃ
sull’orizzonte attraversato dalla luce sfolgorante della
resurrezione, di cui Maddalena sarà la prima testimone: nella Sua
morte la morte è vinta (il teschio che la raffigura rotola via).
Il nostro cammino di questa sera sia tutto attraversato
dalla supplica: “Donami, amato Gesù, di compiere l’esperienza
piena dell’amore nel rapporto con Dio, con il prossimo, con me
stesso”.
Catechesi di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano
Meditiamo,
ora, l’umiliazione dell’amore inflitta a Gesù, l’Uomo dei
dolori.
VIII.
Gesù incontra le donne di Gerusalemme
«Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di
donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma
Gesù, voltandosi verso di loro, disse: “Figlie di Gerusalemme, non
piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli”»
(Lc 23,28). Il testo potrebbe indirettamente riferirsi ad
un’usanza, descritta nel Talmud, propria delle donne aristocratiche
di Gerusalemme (quello di Luca è il vangelo delle donne…) di
preparare bevande calmanti e di porgerle ai condannati, in un gesto
di materna compassione.
«Ma Gesù voltandosi verso di loro
disse…». Non rimuoviamo la forza di questo “ma”! Gesù,
che ha pianto su Gerusalemme, stremato lungo la via dolorosa,
corregge ora il pianto delle donne - e anche il nostro – aprendo la
compassione alla conversione. Lo porta in profondità : penitus,
penitenza.
Non possiamo, infatti, volgere lo sguardo a Gesù se non
nella coscienza di essere peccatori. Mentre le nostre giornate,
troppo spesso dominate dalla distrazione e dalla dimenticanza del
Crocifisso glorioso, sono segnate da un cuore arido, imperturbabile.
Donaci Signore «le lacrime che sciolgono la colpa, il pianto che
merita il perdono» (Sant’Ambrogio, Esposizione sul Vangelo
di Luca, X, 90). Insegnaci a chiamare per nome il nostro peccato
per provarne autentico dolore. Come avranno reagito le donne di
Gerusalemme al severo richiamo di Gesù? Eliot – lo abbiamo sentito
– legge il loro sgomento: «Dio ci ha sempre lasciato una
speranza, uno scopo./ Ma adesso siamo macchiate da un terrore
nuovo,/… Dio ci sta abbandonando…». «Dio mio perché mi
hai abbandonato?» è il grido della preghiera di Gesù sulla
croce.
Gesù, lasciandosi trattare da peccatore (cf. 2Cor
5,21), accettò di sperimentare nella sua persona il dolore radicale
della separazione, apparentemente definitiva, dal Padre amato. Il
peccato infatti separa, distrugge ogni relazione. Che significa
questo? Può voler dire soltanto che Gesù si abbassò
volontariamente a fare, in nostro favore, l’esperienza del dolore e
della sofferenza più radicale: la perdita dell’Amore.
Perché non compiere ogni giorni in questo tempo
benedetto di Quaresima, un piccolo esercizio di pietà ? Prendiamo
fisicamente in mano il crocifisso e contempliamolo intensamente. Come
avvenne con Pietro, il suo sguardo ci muoverà a riconoscere il
nostro peccato, a provarne dolore, accostandoci al benefico
sacramento della riconciliazione.
IX.
Gesù cade la terza volta
«Si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca»
(Is 53,7). Quest’ultima espressione è ripetuta due volte in
un solo versetto. Il silenzio del Servo è estremamente insolito.
«Era come agnello condotto al macello» (Is 53,7): in
aramaico un unico termine (talya) designa sia l’agnello che
il servo, la figura della vittima innocente.
«Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di
mezzo… Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi» (Is
53,8). È la solitudine più radicale, il Crocifisso è il più
emarginato degli uomini. Nel Responsorio di De Victoria si usa un
verbo ancora più forte: «Venite,… eradamus eum de terra
viventium», strappiamolo via fin dalle radici dalla terra dei
viventi.
È l’assalto rabbioso del Maligno che è il Divisore
(dia-ballos), colui che svelle l’uomo dalle sue appartenenze
costitutive. La terza caduta di Gesù, perché «il peso per le
membra è troppo grave» (Luzi), dice quanto sia greve la Sua
solitudine. L’uomo abbandonato a se stesso non può che rimanere
schiacciato dal peso del male.
E l’amore dell’Uomo-Dio accetta di essere
schiacciato a terra, umiliato. Davanti al male e alla sofferenza noi
ci ribelliamo, Lui accetta: è il Paziente. «Tutto ha sofferto
con la sua pazienza, per dare un insegnamento alla nostra pazienza»
(Sant’Agostino, Sermone 175, 3, 3).
Così fanno anche i martiri. Ricordiamo il martirio del
sangue dei nostri fratelli cristiani perseguitati in troppe parti del
mondo. E quello di tutti coloro che sono perseguitati o uccisi per la
verità e la giustizia. «Ci sono anime innocenti, /creature
pietose che si angosciano, /non si danno pace. E questi, ti prego,
prediligili. …/Tra gente come loro ho seminato le beatitudini,
/erano meravigliati - alcuni un giorno capiranno» (Luzi). Anche
noi ci scandalizziamo di fronte alla “strana necessità del
sacrificio”. Eppure è nel sacrificio che tutto diventa vero.
X.
Gesù è spogliato delle vesti
«Quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue
vesti… e la tunica. Ma quella tunica era senza
cuciture, tessuta tutta d'un pezzo da cima a fondo» (Gv
19,23). Il vestiario dei condannati, di diritto, veniva scelto dagli
esecutori della sentenza: senza saperlo, il pragmatico Pilato
riconosce a Gesù il ruolo del sommo sacerdote, la cui tunica doveva
essere senza cuciture.
Il Signore viene spogliato. La nudità di Gesù, il
nuovo Adamo, ci riporta in qualche modo alla nudità del primo Adamo.
Eppure c’è una radicale differenza. Non siamo più di fronte
all’innocenza originaria in cui il corpo risplendeva in tutta la
sua natura relazionale, come segno di comunione con Dio e con
l’altro. L’uomo era nudo perché nulla nascondeva la sua verità ,
il suo rapporto col Creatore. Ora, invece, dopo la rottura della
relazione costitutiva con Dio, la nudità , ferita mortalmente da
quella perdita, soffre vergogna.
Nella spogliazione Gesù accetta di seguirci «sino
al fondo abissale, infernale, della condizione mortale. Ed è lì -
trasfigurazione a rovescio, trasfigurazione non sul monte ma
nell'abisso - è proprio lì, proprio per quello che lì avviene che
egli è glorificato. La sua discesa nelle tenebre, alla ricerca
dell'Adamo smarrito che è in ciascuno di noi, fa esplodere in tutto
il suo splendore l'amore di Dio per l'uomo» (Clément).
Con gli occhi fissi su Colui che sta per essere
crocifisso ripetiamo col versetto dello Stabat Mater: «Fac ut
ardeat cor meum in amando Christum Deum».
E la supplica al Signore perché il nostro cuore arda
nel Suo amore diventa domanda di verità . Come scrive Giovanni Paolo
II nel Trittico romano nel Giudizio saremo nudi davanti
a Dio. Completamente svelati. L’umiliazione del Crocifisso
testimonia che senza la verità legittimata dall’amore alla lunga
non viene rispettata la dignità di ogni uomo e di ogni donna. In
tempi come i nostri grande è la tentazione di dire “addio alla
verità ” per accomodarsi in una sorta di “rassegnazione
gaia”. Il Cristo denudato diventa allora per noi, soprattutto
per i fedeli laici, impegno ad edificare, anche in questa nostra
società plurale, la civiltà della verità e dell’amore.
XI.
Gesù è inchiodato alla croce
«Poi lo crocifissero» (Mc 15,24).
Gli evangelisti riferiscono quello che Cicerone definì «il
castigo più crudele e ripugnante» (In Verrem, 5,64) in
termini sobri e asciutti che nulla concedono alla
spettacolarizzazione del dolore, purtroppo così abituale per la
comunicazione massmediatica di oggi. Non c’è bisogno infatti di
aggiungere troppe parole. La Croce di Cristo è esplicita, dice con
chiarezza quanto è accaduto: «Hanno travestito da schiavo e
inchiodato come uno schiavo il padrone del Creato» (Bernanos).
«Cuius livore sanati sumus» (Responsorio, Ecce
vidimus eum): il corpo del Signore che pochi giorni prima si era
manifestato sfolgorante di bellezza sul monte Tabor ora, si lascia
illividire sul palo ignominioso della croce. «Colui che non aveva
conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in
lui noi potessimo diventare giustizia di Dio» (2Cor 5,21).
La croce di Cristo fa esplodere la consapevolezza del
male morale. Una delle censure più pesanti della mentalitÃ
contemporanea è quella che riguarda il riconoscimento del proprio
peccato. Tutt’al più quando il disagio diventa incontenibile, se
ne tollera un travestimento (il senso di colpa a cui abbiamo giÃ
fatto riferimento la volta scorsa). Chi ha coscienza del proprio
peccato, invece, prova dolore dinanzi all’amore del Crocifisso e da
Lui mendica liberazione dal male.
Bernanos, nel brano che abbiamo ascoltato, descrive la
sofferenza e la morte dell’Innocente Crocifisso come il «colmo
dei travestimenti» del vero: «… hanno travestito da
schiavo il Padrone del Creato». Ma «la Terra e l’Inferno
insieme non hanno potuto andare più in là di quella mostruosa e
sacrilega birbanteria». Perché nella morte singolare di Cristo
è vinta la nostra comune morte. L’ultima parola sulla vita
dell’uomo non è più la morte, ma la gloria del Crocifisso
risorto.
Preghiera, carità , digiuno, documentati in gesti
puntuali, siano l’ordito della settimana quaresimale che ci
attende.
Signore
Gesù,
nel
Tuo cammino verso il Calvario,
non
hai voluto risparmiarTi nessuna umiliazione.
Per
amore Ti sei lasciato schiacciare dal peso della solitudine,
hai
patito la vergogna della nudità nella spogliazione
e
l’infamia dell’essere per noi inchiodato sul palo della croce.
Più
noi ci allontaniamo dal Padre,
più
Tu prendi su di Te le conseguenze del nostro smarrimento.
Donaci,
o Redentore,
«le
lacrime che sciolgono la colpa, il pianto che merita il perdono»
(Sant’Ambrogio, Esposizione sul Vangelo di Luca X, 90).