domenica 18 marzo 2012

Pura trasparenza di Dio


                                          
Giuseppe era discendente di David, e il vangelo di Matteo lo definisce sobriamente: «Lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato il Cristo» (Mt 1,16) e «uomo giusto» (Mt 1,19).
Egli ebbe il compito di legare Gesù alla discendenza davidica, di riassumere le figure dei patriarchi, che spesso avevano ricevuto in sogno la rivelazione di Dio, e di far ripercorrere al piccolo Gesù il cammino dell'esodo, inserendolo pienamente nella storia di Israele per renderlo erede delle promesse.
Uomo del silenzio, Giuseppe apprese nella sua quiete orante, giorno dopo giorno, la volontà del Signore. Dopo il ritorno dall'Egitto, nulla ci è detto a suo riguardo. Un'antica leggenda vuole che egli abbia terminato i suoi giorni in una grande pace, indicando nel figlio Gesù, riconosciuto come Messia, il motivo della sua serenità di fronte alla fine della vita terrena. Per questo motivo, nella tradizione occidentale si cominciò presto a invocarne l'intercessione per ricevere il dono di una buona morte.
Le chiese bizantine ricordano Giuseppe assieme a David e a Giacomo fratello del Signore nei giorni che seguono il Natale. Nella chiesa copta la sua memoria era celebrata già nel V secolo. In occidente, invece, una vera e propria festa di Giuseppe si sviluppò soltanto in epoca moderna e divenne festa di precetto nel 1621.
In epoca recente, malgrado il suo inserimento nel Canone romano per volere di papa Giovanni XXIII, la festa di Giuseppe è stata privata della solennità che da poco aveva acquisito, quasi a segnare la discrezione e il silenzio che accompagnano sin dai primi secoli la memoria di colui che fu il padre di Gesù secondo la Legge.

TRACCE DI LETTURA
Giuseppe dalle labbra chiuse è l'uomo dell'interiore; fa parte di quella coorte di silenziosi per i quali parlare è perdere tempo, è soprattutto tradire l'Intraducibile, l'Ineffabile. Giuseppe dalle labbra chiuse è l'uomo che comincia là dove Giobbe finisce, che nasce con la mano sulla bocca. Ha un senso enorme di Dio, della dismisura del suo Essere e della sua pazzia d'amore.
Dopo il ritorno dall'Egitto, Giuseppe scompare. Credetemi, questa morte, questo transitus del beato Giuseppe non ha nulla di triste. Il suo silenzio è lo stesso di Dio. E' riempito dalla forza dell'Amore.
Louis-Albert Lassus, da Pregare è una festa
PREGHIERA
Dio nostro,
tu hai voluto che tuo Figlio Gesù
fosse chiamato il figlio di Giuseppe
per adempiere la promessa fatta a David:
accordaci di accogliere con semplicità
il mistero dell'incarnazione,
come l'ha accolto
l'umile e giusto falegname di Nazaret.
Per Cristo nostro Signore.

In questa festa chiediamo a Dio Padre, per intercessione di san Giuseppe, il dono della buona morte in grazia di Dio; preghiamo per la Chiesa universale, che san Giuseppe assiste come Patrono. Tanti auguri a papa Joseph Ratzinger!

Riporto di seguito:

 un testo di don Divo Barsotti sulla figura di Giuseppe, tratto da un ritiro predicato nel 1973 e un ritratto del santo fatto dal fondatore dell'Opus Dei.




Ritiro a Casa San Sergio, 19 marzo 1973
Letture: 2 Sam 7,4-5.12-14.16; Rom 4,13.16-18.22; Mt 1,16.18-21.24
La collaborazione dell'uomo
Dalla prima lettura, si capisce come l'iniziativa della vita spirituale l'ha sempre il Signore. È Lui che interviene esigendo la fede dall'uomo. La collaborazione che Dio chiede all'uomo, perché si compiano le opere sue e rimangano opere di Dio, è soltanto l'umile abbandono dell'anima che si affida a Lui, è soltanto la fede dell'uomo che crede in Dio e spera contro ogni speranza. Solo così si permette a Dio di operare, perché proprio in questa fede noi si lascia spazio all'atto divino. La fede, infatti, indica per l'uomo quell'abbandono umile e pieno che è il non fidarsi di sé, ma l'affidarsi ed appoggiarsi unicamente alla parola di Dio. Nella fede tu permetti a Dio di essere Dio, perché è solo così che l'uomo, rimettendosi totalmente all'onnipotenza dell'amore divino, lascia che Dio operi in sé.
È proprio quello che ci dicono la prima e la seconda lettura. Sembrano le due letture non avere un rapporto fra loro, ma il rapporto è il più intimo che si possa pensare. Dio dice a Davide per mezzo del profeta Natan: «Tu mi vuoi costruire una casa, ma non sei tu che me la costruirai; sarò io che ti costruirò una casa e ti darò una discendenza che continui per sempre e tu regnerai; ma è opera mia». La casa di Dio non è tanto un tempio di pietre quanto l'uomo, quanto la Chiesa, che aduna tutti coloro che saranno il tempio santo del Signore. Perché, sì, la discendenza di Davide sarà il Cristo, ma saranno anche tutti quelli che annunciano il Cristo. L'umanità che è legata al Cristo venturo, questo è il tempio di Dio, di cui Cristo sarà il culmine, quello che corona l'edificio. In generale la Sacra Scrittura vede in Cristo soprattutto la pietra su cui tutto l'edificio poggia, ma può essere anche Colui che corona ogni cosa: "culmen et fons". Dio crea questo tempio proprio dal sangue di Davide. Dio non opera nulla senza di te, nemmeno l'Incarnazione del Verbo. Dio non opera nulla se non attraverso le tue stesse potenze, se non attraverso l'uomo. Ma per operare attraverso l'uomo, Dio esige dall'uomo l'abbandono alla promessa divina, esige che l'uomo creda alla parola che Dio gli annuncia. La fede dell'uomo, dicevo, lascia libero spazio alla divina potenza. E Davide crede, e proprio per questo diviene colui dal quale nascerà il Cristo.
Abramo
San Paolo parla di questa fede a proposito di Abramo: egli riceve Isacco come dalla morte, perché Dio aveva comandato ad Abramo di ucciderlo. E tuttavia quel figlio, nella cui discendenza sarebbero stati benedetti i popoli della terra, Abramo lo riottiene, non perché lo vuole salvare dalla parola di Dio che ne esige la morte, ma perché si rimette totalmente a Dio. E dal momento che Dio chiede che il figlio sia sacrificato, il padre è pronto anche ad ucciderlo. I disegni di Dio non si compiono attraverso i nostri mezzi, l'intelligenza, le nostre capacità, ma attraverso la purezza di una fede che implica l'assoluto abbandono. Isacco diverrà la radice santa, colui dal quale dipende la salvezza del mondo, proprio perché Abramo, senza dubitare della parola di Dio, è pronto ad ucciderlo.
Davide
Quello che è vero per la fede di Abramo nei riguardi di Isacco, è vero anche a proposito di Davide nei riguardi del suo figlio. Secondo quanto riportato dalla Bibbia, gli ultimi anni di Davide furono funestati da lotte intestine; prima viene ucciso Amnon, poi Assalonne e infine Adonia: tutti i primogeniti. Sembrava che non dovesse rimanere più nulla a Davide. E invece colui dal quale nascerà Gesù, viene ad essere proprio il figlio della donna adultera, il figlio di Betsabea. Colui che doveva essere il ripudiato, quegli diviene lo strumento di Dio, perché si compiano le promesse divine.
Dio agisce sempre così, in un modo che ai nostri occhi sembra strano e che ci sconcerta continuamente. Ma è giusto che ci sconcerti, perché altrimenti noi seguiamo sempre i nostri modi di pensare e di vedere. Bisogna rinunciare ai nostri modi di vedere e di pensare per affidarci a una sapienza che infinitamente ci supera, a una onnipotenza che opera nel nulla.
Anche a noi il Signore ha fatto magnifiche promesse, come dice l'apostolo Pietro nella sua prima lettera e se vogliamo giudicare quello che possiamo fare umanamente parlando, rimaniamo sgomenti: la nostra santificazione, la beatitudine eterna, sembra un sogno pensarla. Per tutta l'eternità, vivere di Dio! Che Dio sia nostro! Che cosa ti chiede perché queste promesse si adempiano? Di credere nella sua parola, nonostante la tua debolezza, nonostante l'esperienza che hai giorno per giorno della tua imperfezione. Andando avanti negli anni cresce in noi la consapevolezza di quanto siamo miseri, imperfetti e impotenti, di quanto sono grandi i nostri peccati. È bene che sia così, perché la fede diviene più pura. Nasce in noi la coscienza viva della infinita distanza da Dio e della nostra impotenza anche a correggerci di un solo difetto.
Come facciamo a sperare? Oh! Proprio per questo dobbiamo sperare perché, più in noi cade ogni fiducia nelle nostre possibilità, più puro e perfetto è l'abbandono che dobbiamo avere nella misericordia infinita, nell'amore di Dio. Dio opera proprio nella misura che lasciamo libero spazio alla sua azione divina con una fede ogni giorno più grande.
San Giuseppe
Pensate un po' quel pover'uomo di Giuseppe! Discendeva dalla dinastia di Davide, ma non soltanto non sta più a Betlemme ma addirittura abita nella Galilea. E la Galilea per gli antichi Giudei era una nazione di rinnegati perché si erano confusi con i pagani e dunque erano Giudei che non vivevano più la perfetta adesione alla legge divina. Il vero giudeo è quello di Gerusalemme. «Da Nazareth può venire qualcosa di buono?». Anche se c'era andato a finire quel pover'uomo di Giuseppe era sempre un paese mezzo fra pagano e giudeo. E lui era andato a finir lassù per lavorare, perché la Galilea è più ricca economicamente della Giudea. La Giudea son tutti sassi; in Galilea invece ci sono anche orti e campi. Giuseppe discendeva da Davide, ma la dinastia di Davide nessuno la ricordava più ormai in Israele. Dopo Salatiel, tutto cade come nell'ombra, sono dimenticati tutti i discendenti di Davide. Non solo la discendenza di Davide è dimenticata, ma l'essere anche sradicata dalla sua terra, dalla Giudea, voleva dire ancora più per la dinastia perdere ogni speranza di una promozione politica e di arrivare alla regalità. L'avrà mai pensato Giuseppe nella sua vita che proprio attraverso questo sradicamento doveva divenire il padre di colui che è il "Kyrios", il Signore del cielo e della terra? Non solo il reuccio di cartapesta che comandasse soltanto a Gerusalemme, ma il Signore dei signori? Il "Kyrios", il Signore del cielo e della terra: Cristo Signore! Eppur tuttavia egli, nella semplicità della sua vita, si affida a Dio. Non sa dove Dio lo conduce, ma sa che si è affidato al Signore e non teme. Non dubita di prendere in casa questa giovane donna che ha un figlio che non è suo. Si rimette a Dio dal momento che Dio gli dice di esserne il padre e di dare il nome a questo bambino. È una obbedienza pura, è una fede perfetta, e da questa fede perfetta nasce la grande dignità di essere lui il padre putativo del Figlio di Dio.
Padre putativo, ma di fronte alla legge è veramente padre: come discendenza dinastica egli è veramente il padre che rappresenta Davide, la continuità della stirpe. E tutto per questa fede assoluta, per questo rimettersi totalmente nelle mani di un Dio che lo conduce attraverso questo cammino di oscurità. È certo grandissima la fede di Maria, ma dopo la fede di Maria credo a nessuno il Signore ha chiesto più fede che a quest'uomo che, essendo discendente di Davide, sapeva che proprio nell'obbedienza alla parola divina si sarebbero compiuti, attraverso la discendenza di Davide, i disegni di Dio.
Lasciar fare a Dio
Dobbiamo lasciar giocare Dio, ecco quello che c'insegna la vita di san Giuseppe: dobbiamo lasciare che Dio giochi con noi, rimettendoci a Lui. Fidiamoci di Dio, lasciamoci portare da Lui con semplicità ed amore, con abbandono perfetto, serenamente. Non ci turbiamo per tutto quello che avviene. Penso alla situazione del mondo e della Chiesa: più gravi sono le situazioni nelle quali ci troviamo, più grande può essere l'azione divina perché, certo, in queste situazioni, più pura è la fede dell'uomo che si abbandona e spera. Proprio per questo dobbiamo sperare. Son proprio sfortunati quelli che sono vissuti in tempi di pace, di serenità, quando tutto andava bene ma allora potevano avere meno fede di noi. Pensate la nostra fortuna! Vivendo in tempi così calamitosi, in tempi così bui, in tempi così tenebrosi, non possiamo fare altro che chiudere gli occhi e gettarci nelle mani di Dio. Bisogna fidarci del Signore, avere una fede assoluta in Dio il quale ci porta attraverso una via di oscurità, ma che sfocia nella luce di una sua presenza, nella manifestazione di una sua divina potenza. Ed è questo meraviglioso: che alcune volte questo sfociare nella luce avviene soltanto nel momento della morte, come certamente è avvenuto per Giuseppe perché questo pover'uomo è vissuto tutta la vita in questa fede e non ha visto nulla. Ha dovuto credere fino in fondo, e mai il Signore è uscito dal suo silenzio, ma gli ha chiesto la fede fino all'ultimo giorno e solo chiudendo gli occhi alla luce di quaggiù egli li ha aperti alla rivelazione di quel mistero che si era compiuto anche attraverso di lui, perché, attraverso di lui il Cristo, il Figlio di Dio, era entrato nel mondo.
Miei cari fratelli, la grandezza di Giuseppe! Di questa fede assoluta in un Dio che, sì, operava attraverso di lui e ha compiuto attraverso di lui l'opera sua ma in un modo così sconcertante per gli uomini, in un modo che andava al di là di ogni previsione umana. E tuttavia Giuseppe rimaneva tranquillo, sereno, non si lasciava turbare. Proseguiva il suo cammino lavorando ogni giorno senza veder nulla. Forse non ha visto nemmeno il primo miracolo di Gesù, forse era già morto quando Gesù iniziava la vita pubblica. È vissuto sotto il medesimo tetto con il Figlio di Dio senza che gli apparisse mai nemmeno uno spiraglio, umanamente parlando, di quell'avvenimento che proprio sotto il suo tetto giorno per giorno si realizzava.
Vivere così! Del resto anche noi viviamo così, più o meno, perché anche in noi il Signore è presente, anche attraverso di noi il Signore vuole operare. Fede, fede umile in Dio, ecco che cosa ci dice la festa di oggi.
Prima meditazione
Una vita nascosta
San Giuseppe, il suo compito così modesto, eppure di tanto sacrificio! Il suo lavoro in tutto simile agli altri, eppure quale missione! Anche noi, chiamati a compiere un lavoro molto spesso ingrato o per il quale non abbiamo nemmeno una grande gratitudine, anche per noi questo lavoro rimane sempre la condizione della nostra santificazione prima di tutto, l'espressione del nostro amore alla Comunità e finalmente anche lo strumento per vivere la nostra vocazione religiosa. Certe situazioni in cui Dio ci pone sono provvidenziali perché misurano la purezza della nostra dedizione al Signore, perché fanno conoscere di più quanto sia verace la nostra dedizione a lui e il nostro amore alla Comunità. Pretendere di misurare dalla risposta degli altri la sincerità del nostro amore sarebbe falso, perché chi lo vede? È Dio soltanto che misura gli uomini, è Dio soltanto che pesa la purezza dell'amore e la capacità di sacrificio che ciascuno ha vissuto in ordine a una comunità religiosa e in ordine anche alla vita della Chiesa intera. Smettiamo dunque di pensare a volere una cosa o l'altra, per aderire perfettamente alla sua volontà santa e adorabile, perché è soltanto in questa adesione che si può contribuire efficacemente non solo alla nostra santificazione personale ma al bene della comunità intera. Non è mai vero che la Comunità possa vivere soltanto delle doti, delle capacità di ciascuno; vive in massima parte per la purezza d'intenzione con la quale si lavora e per l'amore col quale si lavora. Per tal motivo nel nome del Signore vi chiedo questo, e ve lo chiedo proprio oggi che è la festa di san Giuseppe, la festa di colui che ha lavorato così: ha lavorato nell'umiltà, nel nascondimento per tutta la vita senza che il suo lavoro potesse agli occhi degli uomini apparire necessario mentre di fatto per il suo lavoro viveva il Figlio di Dio, per il suo lavoro il Figlio di Dio era difeso, protetto. Senza Giuseppe, come senza Maria, non ci sarebbe la redenzione. Di fatto, la redenzione del mondo, la salvezza degli uomini si deve senza alcun dubbio a Cristo, ma il Cristo stesso deve in qualche modo la sua vita al lavoro di Giuseppe e di Maria perché se no non si mangiava. E voi vedete quale sproporzione vi è fra la umiltà di questo lavoro di un artigiano e l'opera di cui questo lavoro è stato frutto: l'opera è l'Incarnazione del Verbo, l'opera è la vita di Gesù, l'opera è la difesa del Cristo; poteva essere ucciso dai sicari di Erode. L'umiltà di quest'uomo! La devozione semplice, umile e continua di quest'uomo, che è vissuto soltanto nell'oscurità, è stata la condizione perché il Cristo un giorno potesse presentarsi al popolo come Salvatore di tutti. Se non ci fosse stato lui, come se non ci fosse stata Maria, Gesù non era.
Agire nell'umiltà
È una cosa che fa impressione. Non dipende da avvenimenti grandiosi, non dipende da un'opera gigantesca il fatto che Gesù sia vissuto e abbia potuto parlarci. È dipeso dal lavoro umile di quest'uomo. Così anche noi non disprezziamo il nostro lavoro. Tante volte una persona può sentirsi umiliata perché sta in cucina. Ma che volete che faccia anch'io se poi non ho da mangiare?
Non bisogna considerare dall'importanza che gli danno gli uomini l'importanza di un lavoro; la conosce soltanto Dio. Sia per quanto riguarda la Comunità sia per quanto riguarda la Chiesa, sia per quanto riguarda il mondo. Per questo non abbiamo il diritto di chiedere una grande missione, perché le grandi missioni sono tante volte puramente rappresentative, se ne può fare a meno, mentre le funzioni più umili sono più sostanziali. Se invece di averci Vittorio Emanuele III c'era anche un carciofo più grande di lui, perché anche lui era un carciofo, in fondo, le cose andavano lo stesso, perché sono uomini rappresentativi, basta che vadano al Parlamento, leggano un discorso che gli hanno fatto gli altri, poi si mettono tranquillamente a sedere, non fanno mica altro: e firmano. Ma siccome pensano gli altri a dirgli cosa devono firmare, loro non hanno altro che la preoccupazione d'imparare a far la loro firma, non importa che facciano di più. Molto spesso è così, le condizioni più grandi tante volte son quelle che più facilmente si possono sostituire, quelle rappresentative, dico. Sapete, vi sto facendo un discorso che fece una volta un personaggio molto importante a un Vescovo. E sapete chi è il personaggio importante? Giovanni XXIII. Il Vescovo di Brescia, che prima era professore di morale al seminario di Bergamo, fu fatto vescovo di Frosinone da Giovanni XXIII. Quest'uomo era tutto preoccupato e sgomento, e va dal Papa. «Che hai? - gli disse papa Giovanni - ma lascia fare! Non te ne rendi conto? Facevi il professore, no? È una cosa molto più facile esser vescovi che fare il professore e il canonico della cattedrale. Se poi ti fanno Papa è più facile ancora, perché tanto fanno tutto gli altri». E infatti è anche vero.
Su tutto, l'amore
La cosa che conta, dunque, non è tanto la funzione in sé quanto, nel cristianesimo, è l'amore; la vera misura dell'uomo rimane sempre questa. Rendiamoci dunque conto di quello che il Signore ci chiede e dedichiamo giorno per giorno la nostra attenzione a Lui con semplicità, con amore, con purezza d'intenzione. Soprattutto - è la cosa più importante di tutte - vogliamoci bene, ma sul serio; cerchiamo di aprirci l'un l'altro, di essere fiduciosi l'uno verso l'altro senza chiuderci mai nei confronti di alcuno. La difficoltà di questa fiducia nasce dalla diversità del temperamento e anche dalla maggiore o minore perfezione che uno può conseguire. Ma è proprio questo: se gli altri sono più cattivi di noi dobbiamo esser più buoni noi, è semplice. E se gli altri sono caratteri più difficili cerchiamo di avere un carattere più facile noi: cerchiamo cioè di non scontrarci troppo per poter vivere insieme, perché la cosa importante rimane sempre questa e cioè che nulla vale quanto la carità. Dobbiamo compiere qualunque sacrificio perché questa carità non venga mai meno, né venga offesa. E che la carità non sia offesa si manifesta nel fatto che ci sia una comunione reale fra noi, che non diffidiamo l'uno dell'altro; abbiamo fiducia. Se anche gli altri non l'hanno meritata, diamo loro fiducia. Quella fiducia che noi dimostreremo, pian piano conquisterà anche gli altri, anche se sono dei caratteri impossibili. La carità vince tutto. L'amore ha la forza di vincere tutte le opposizioni, quando è amore vero, quando è amore paziente, quando è amore che non si lascia mai superare o dalla cattiveria o dalla incomprensione o dalla ingratitudine degli altri. Ma dove non è amore metti amore e riceverai amore! È san Giovanni della Croce che lo disse proprio gli ultimi mesi della sua vita quando fu buttato fuori dalla consulta e dalla sua provincia, e dovette andare a finire, per morirci, in un convento dove il suo priore non faceva altro che fargli delle grandissime prediche.
Seconda meditazione
La grandezza di Maria
Stamani si è detto come san Giuseppe può insegnarci a lavorare umilmente e a comprendere come il lavoro più umile può essere tanto efficace che tutto dipende da questo lavoro. Ma noi dobbiamo dire qualcosa di più. La figura di quest'uomo che è vissuto sempre nel nascondimento e nel silenzio, che nessuno mai ha conosciuto, ha una importanza eccezionale per la vita della Chiesa e per la vita delle anime.
Così anche Maria. Chi avrebbe mai pensato che quell'umile donna doveva essere, dopo il Signore, la creatura alla quale tutto l'universo deve la sua salvezza, la sua gioia: la Vergine Maria!
Si può ripetere quello che diceva Pascal: è difficile renderci conto ora della legge con la quale Dio ha voluto governare l'universo perché vediamo la Madonna attorniata dagli angeli, la vediamo circonfusa di luce. Ma quando Ella viveva chi la conobbe così? Coloro che vivevano con lei, essi stessi non si rendevano conto minimamente della sua grandezza. Non dico degli uomini che stavano a Nazareth, ma gli stessi apostoli. Quando Gesù ha voluto iniziare la vita pubblica, la Madonna ritornò nella sua famiglia e nella famiglia di Giuseppe, e come vedova non ebbe nessun ruolo; fu ai margini non solo del mondo, ma della famiglia stessa nella quale ella visse. Questo sul piano umano è vero per tutti noi: fintanto che una è sposa e ha il marito, fintanto che è madre e ha i figli ha un certo valore sul piano umano; ma lei praticamente non aveva più né sposo né Figlio, perché anche il Figlio si era allontanato da lei per iniziare la sua missione. E quando i fratelli di Gesù attraverso la Madre cercarono di nuovo di riprendere Gesù, Gesù sembrò perfino sconfessare sua Madre: «Chi sono i miei fratelli? Chi è mia madre? Coloro che ascoltano la parola di Dio». Agli occhi degli uomini le parole del Signore furono estremamente dure. Lei, che aveva ascoltato sempre la parola di Dio, le comprese; ma per tutti i discepoli di Gesù queste parole sembrarono quasi una sconfessione della Madre. Ella, dunque, viene dimenticata da tutti, e sembrò anche sconfessata dal suo medesimo Figlio nel silenzio più puro: eppure chi più grande di Maria? La grandezza si paga con questa fede umile, totale, in un Dio che ti porta per le vie le più impensate, le più sconcertanti.
Dio si affida a Giuseppe
E dopo Maria, chi più grande di Giuseppe? Eppure, come tutta la Chiesa e tutta l'umanità deve riconoscere in Maria la sua Madre, così tutta la Chiesa, tutta l'umanità, deve riconoscere in Giuseppe l'uomo a cui Dio affida tutta la sua ricchezza, tutta la sua gloria, tutto il suo amore. Perché Dio ha affidato a Giuseppe, alle sue cure, alla sua protezione, al suo lavoro, la ricchezza più grande che Egli possiede. Il Padre celeste non ha nulla di più grande del Figlio Suo, possiede tutto nel Figlio. Ma anche indipendentemente da Gesù, che cosa possiede Dio di più grande della Vergine? Che cosa ama di più della Madonna? E Maria Santissima e Gesù furono affidati a lui. E furono affidati a lui quasi che Dio non avesse altro modo di salvare Gesù e Maria, di poter difendere Gesù e Maria che le braccia e il lavoro di quest'uomo. Perché Dio non fece miracoli; li ha fatti quando è entrato nel mondo con la concezione verginale della Madre. Ma poi, se Gesù ha voluto mangiare è stato Giuseppe che gli ha dato da mangiare; se Gesù ha potuto essere salvato dall'ira d'Erode è per l'attenzione di quest'uomo, per il sacrificio di questo uomo che salvava una donna e un Figlio che non gli apparteneva, che aveva ricevuto da Dio. Dio dipendeva da lui, da quest'uomo. La grandezza di Giuseppe!
Ora se tutta l'umanità deve tutto a Maria dopo che a Gesù, deve tutto anche a Giuseppe, dopo Gesù. Noi ci rendiamo conto della venerazione, dell'amore, della devozione dei santi per san Giuseppe. Sono passati circa 1400 anni, senza che i padri della Chiesa dicessero nulla su san Giuseppe; ci volevano proprio delle anime mistiche che, vivendo il mistero del Cristo, potessero comprendere l'importanza che ha avuto Giuseppe nel piano divino e che ha sempre, perché quello che Dio dà una volta lo dà per sempre.
Protettore della Chiesa
Quello che diceva san Bernardo a proposito di Maria Santissima, è vero anche a proposito di san Giuseppe. Come ella fu Madre di Gesù e così fu Madre di tutta la Chiesa, così san Giuseppe che fu il padre putativo di Gesù, in qualche modo diviene il protettore e il difensore di tutta la Chiesa. Noi dobbiamo renderci conto di questa protezione. Noi sappiamo che la Chiesa sarà salva indefettibilmente per la presenza dello Spirito Santo in lei. Ma come lo Spirito Santo salva la Chiesa? Come lo Spirito Santo difenderà la Chiesa? Attraverso la protezione di quest'uomo. Ho detto che sono stati i santi che hanno messo in luce la figura e il mistero di questa presenza di Giuseppe nelle Chiesa: san Bernardino da Siena, santa Teresa di Gesù e ultimamente i santi dell'800 hanno tutti una grandissima venerazione per san Giuseppe. Mi sembra che fosse Daniele Comboni che metteva le chiavi di casa ai piedi della statua di san Giuseppe: era il padrone. Altri santi, quando non c'era nulla in cassa, mettevano la cassa lì; devi riempirla tu, sei il padre di casa! Quando mancava da mangiare doveva pensarci lui; aveva pensato lui al suo Bambino, a Gesù, e la Chiesa non è il prolungamento dell'Incarnazione del Verbo di Dio? Allora deve pensare anche a noi. Noi non siamo ricchi, la Comunità non è ricca, è una cosa bella. Noi non gli chiediamo milioni, ci basta di vivere; quello che ci importa è che egli ci difenda e ci protegga, che sia presente, come un padre, che ci guida con una presenza viva di amore. La paternità di Dio deve giungere a noi anche attraverso l'intercessione e la preghiera di Giuseppe, che deve essere sempre sollecito per noi come fu sollecito per Maria e per il Signore.
Amore sincero per san Giuseppe
Si è parlato troppe volte di san Giuseppe. Una volta si fece un ritiro forse più bello anche di questo che facciamo oggi. Ma anche se si è fatto un ritiro e fu bello, noi dobbiamo essere più concreti, dobbiamo scendere più al pratico. Che cosa facciamo per coltivare la nostra devozione per questo grande santo? Per sentire la sua presenza nella nostra vita? Per vivere come i figli sempre in questa attenzione a lui? La presenza del padre in una famiglia è più discreta di quella della madre e, sotto certi aspetti, anche più necessaria. Così è vero che sentiamo più la Madonna, ma è vero anche che la presenza di san Giuseppe, anche se meno sensibile, non è meno efficace. Dobbiamo cercare di realizzare nella nostra fede questa presenza e di vivere veramente in un rapporto costante di filiale venerazione ed amore per lui sia per quanto riguarda la nostra vita individuale che per quanto riguarda la nostra famiglia religiosa. Noi dobbiamo chiedere a san Giuseppe proprio questo: la difesa e la protezione della Chiesa ma anche difesa, protezione e aiuto per la Comunità. Prima di tutto la sua intercessione. È così difficile vivere la sua santità! È una santità più difficile di quella della Madonna, perché richiede una fede più pura e un sacrificio più grande; la Madonna amava il suo Dio, ma era anche il suo Figlio. San Giuseppe, invece, doveva vivere totalmente per Gesù ed era Figlio, ma non era del suo sangue. Era un sacrificio più puro. Per questo che è più difficile imitare san Giuseppe che la Madonna. Per questo non osiamo dire di volerlo imitare, eppure dobbiamo anche far questo. Comunque non osiamo nemmeno dirlo, ma prima ancora di imitarlo sentiamo di poter contare sulla sua protezione, sentiamo di poter contare sulla sua difesa, sentiamo di poterci affidare alle sue cure; sentiamo che possiamo sperare in quel lavoro che si deve compiere perché la nostra famiglia cresca, viva nell'unione, nella concordia, in un impegno semplice ma sincero di risposta al Signore.
Mai separare Dio dai santi
È una cosa grande pensare a quanti santi sono con noi, quanti santi non ci abbandonano mai. La presenza di Dio spesso sfuma in un sentimento vago; la presenza di Dio per noi, si fa invece concreta nella presenza del Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, nella presenza dei santi che sono come il prisma attraverso il quale la luce divina giunge a noi in diversi colori, con diverse sfumature di affetto, di protezione, di luce. La protezione divina, la paternità divina giunge a noi attraverso il prisma di questa presenza, la presenza di Giuseppe. Non possiamo separare Dio dai suoi santi. Se si separa Dio dai suoi santi non solo non ci sono più i santi, ma non c'è più nemmeno Dio, perché Dio si comunica a noi nel mistero della Chiesa vivente. E il mistero della Chiesa vivente è la Santa Famiglia, dicevano i nostri vecchi, la Sacra Famiglia che è Maria, Giuseppe e tutti gli altri, ma prima di tutto Maria e Giuseppe. Sentire tutto questo.
Non mi rimproverate perché qui non c'è nessuna immagine di san Giuseppe; noi dobbiamo avere di lui una immagine più viva nel nostro cuore, dobbiamo sentirlo più vivamente presente nella nostra vita che attraverso soltanto una immagine. E dobbiamo vivere con lui.
Come diviene più umano e più familiare il rapporto con Dio se passa attraverso questa comunione dei santi, se specialmente questi santi, come Maria e Giuseppe, non trattengono nulla per sé, sono come pura trasparenza attraverso la quale non ci giunge che Dio! Oh! Il nascondimento, l'umiltà, il silenzio di lui sono davvero un cristallo. La sua fede così pura, così assoluta, fa sì davvero che non vi è schermo fra noi e Dio nella presenza di lui. Per questo Dio si fa a noi presente, sì, nella presenza di un uomo, ma la presenza di un uomo non toglie nulla al mistero di Dio, non toglie nulla alla purezza dell'amore divino, non toglie nulla a quello che san Francesco dice: «Tu es humilitas». L'umiltà del Signore.
Vivere nella presenza di Giuseppe! Realizzare questa presenza, affidare a lui la nostra vita e soprattutto la Comunità. In questo giorno di festa, dopo l'Adunanza del Consiglio di ieri, mentre le Assistenti di Famiglia che sono state elette riprendono il loro lavoro, mi sembra che sia anche bello poter affidare a lui, al padre di Gesù la nostra famiglia perché egli la difenda e la protegga. I gesti che facevano i santi di deporre le chiavi, di portare la cassaforte davanti a Giuseppe forse oggi sarebbero soltanto ingenui, atti nei quali non crediamo perché non riusciamo più ad avere questa semplicità di fede. Ma se non facciamo questo, dobbiamo sentire ugualmente nella nostra fede che è lui che deve provvedere a noi. Quando vi trovate in una difficoltà, chi deve sciogliere la difficoltà se non il padre di famiglia? Quando vi trovate in qualche preoccupazione per la famiglia, a chi parlare di queste preoccupazioni se non a lui? Come è importante averlo presente per dirgli: «Pensaci tu!».
Tutti noi abbiamo un motivo per avere un rapporto particolare con lui, ma soprattutto quelli che hanno un compito, nella Comunità, di difesa, di protezione, di lavoro. E dobbiamo sapere che non solo Egli intercederà per noi e ci sarà vicino, ma ci dovrà aiutare; aiutare a capire, aiutare a risolvere problemi difficili, a mandare avanti la nostra missione. Impariamo a vivere il mistero cristiano con l'umiltà di chi, nella sua fede semplice di bambina, sa tradurre il mistero di Dio nel linguaggio umano di una vita di famiglia: Maria, Giuseppe, Gesù. Alla Trinità divina, al mistero imperscrutabile di Dio risponde questa trinità così umana, come è umana la vita di ogni famiglia. E noi dobbiamo imparare a vivere nella nostra vita la grandezza del mistero di Dio, avendo cura di quello che Dio ci ha affidato; con quel medesimo amore vigile, attento, pieno di delicatezza che ebbe Giuseppe nei confronti di Maria e di Gesù.
Patroni dei moribondi
Intercessione, dunque, di Giuseppe e imitazione; ma dobbiamo aver anche presente san Giuseppe per un altro motivo, quale patrono dei moribondi. Tutti ci incamminiamo per questo stesso cammino: che egli ci sia vicino! Vicino a lui che moriva, c'erano Gesù e la Madonna e proprio per questo egli ha vissuto la morte più bella. Maria Santissima nel giorno della sua morte non ebbe presente Gesù come lo ebbe presente san Giuseppe. Se Gesù fu presente a Maria, fu presente però d'una presenza invisibile, d'una presenza che non era sensibile. Anche se le fosse apparso il Signore, non era più il Gesù passibile, il Gesù che era il suo Figlio, che aveva tenuto nelle sue braccia. L'immensa grandezza del Kyrios dopo la resurrezione, sembra che abbia dovuto impedire a Maria, fintanto che ella stessa non fu assunta nella gloria, quel rapporto di intimità, quel rapporto di semplicità che doveva avere invece Maria prima che Gesù fosse morto. Ma invece quando moriva Giuseppe, Gesù era al suo fianco ed era il suo Figlio, uno che aveva lavorato con lui, che era stato con lui tutta la vita: era lì la sua sposa, la Vergine. Nessuna morte fu più dolce, nessuna morte sarà mai più dolce di quella di Giuseppe. Come luminosa fu quella morte! Non fu che il trionfo dell'amore. Come desidererei morire con una certa imitazione di quella morte! Come vorrei che mi fosse ugualmente così vicino il Signore, la Vergine, san Giuseppe, perché il mio passaggio da questa vita al cielo, non avesse le angosce, il timore, non conoscesse il turbamento, non avesse poi soprattutto quelle terribili tentazioni contro la fede che assalgono l'anima in quel momento! Ma se egli è il nostro padre putativo, potete credere che egli faccia morire un suo piccolo bambino, come siamo noi, senza portarlo nelle braccia? Ecco noi dobbiamo morire nelle braccia di lui. Allora ci si potrà addormentare tranquilli, senza timore. Dobbiamo chiedere a Giuseppe anche questo; di esserci presente durante tutta la vita per insegnarci come si vive, ma che ci sia presente anche durante la nostra morte per insegnarci come si muore.
Terza meditazione
Chi era san Giuseppe?
Che cosa dice di san Giuseppe il Vangelo? Se non ci fossero stati i Vangeli dell'infanzia nulla avremmo saputo di lui; e anche i Vangeli dell'infanzia soltanto occasionalmente parlano di lui. La Madonna, almeno nei Vangeli dell'infanzia è il personaggio principale, soprattutto in san Luca. Ma san Giuseppe no; di lui si parla soltanto perché si vuole assicurare Maria, il suo concepimento verginale non deve prestarsi a interpretazioni malevole e per questo si dice che ella è fidanzata.
In san Matteo la presenza di san Giuseppe è più accentuata e la minima cosa sembra abbia l'iniziativa sua: quando deve salvare il Bambino e la Madre è a Giuseppe che appare l'angelo. Ma tranne questo, le altre apparizioni di Giuseppe sono assolutamente fugaci, sono piuttosto supposte che narrate. Così nel ritrovamento al Tempio: è la Madre che prende l'iniziativa di parlare. In generale il padre ha più autorità della madre, ma qui sta zitto, non si ricorda nemmeno una parola di lui. La Madonna ha detto qualche parola, ma Giuseppe nessuna. Vive, si direbbe, in una adorazione senza fine; la grandezza del mistero sembra sopraffarlo, non esce dal suo silenzio.
Il Vangelo ci dice un'altra cosa di Giuseppe, quello che faceva, che era un po' di tutto, intendiamoci: il fabbro, il carpentiere. Era un artigiano, un uomo tutto fare, un uomo che sapeva fare un po' di tutto.
E un'altra cosa più grande: nel Vangelo di Luca, si dice che Gesù era conosciuto come il figlio di Giuseppe. Quando infatti parla nella sinagoga, gli uomini dicono di Gesù: «Non è il figlio di Giuseppe?». Giuseppe che vive nell'ombra e Gesù che vive nell'ombra di lui, nell'ombra della sua ombra. Null'altro ci dice il Vangelo.
Crediamo ai sogni?
A me questo mistero insegna un poco una legge del governo divino: Dio che ama, di quale amore doveva amare Giuseppe! Eppure, non solo non permette che il suo silenzio venga violato, che egli esca dal suo nascondimento, ma sembra volerlo, sembra difendere questo nascondimento, perché egli non fa nulla. Ha solo una iniziativa, quella di salvare il suo Figlio. «Va', prendi il Figlio e la Madre e fuggi in Egitto». Ma è una iniziativa in cui l'azione umana rimane totalmente in dipendenza di Dio, in una obbedienza pura a una parola di Dio ricevuta in sogno. Ed ecco la prima cosa più importante: tutto si rivela nel sogno. Dio lo conduce ma attraverso avvenimenti comuni e una vita religiosa che non ha nulla di straordinario. Dobbiamo credere ai sogni? Credo che la risposta sia molto semplice: per un'anima così pura come quella di Giuseppe, è evidente che tutta la sua psicologia rimane in una pura dipendenza dall'azione della grazia, sia che egli sia desto sia che egli dorma. Nel sogno, dice Freud, si può capire di più quali siano le nostre più profonde inclinazioni, il subcosciente emerge. Ma in san Giuseppe non c'è un subcosciente indipendente da Dio. È talmente trasparente la sua anima, talmente pura, che tutto quello che avviene, sia che egli dorma o sia desto, tutto in lui è in dipendenza dall'azione divina. Avverrebbe così anche di noi, se in noi tutto fosse trasparente, perché l'uomo è creatura, e perciò dipende sempre dagli spiriti. È certo che questa dipendenza implica o una purificazione totale dell'essere umano in una dipendenza esclusiva da Dio o invece la dipendenza dallo spirito della gelosia, dallo spirito della lussuria, dallo spirito dell'ambizione, dagli spiriti che, secondo Evagrio, sono anche i demoni, che possono essere le nostre passioni, in quanto, come diceva Clemente Alessandrino, portiamo le stigmate della nostra servitù al peccato. Fintanto che in noi non c'è questa perfetta purezza, non possiamo pretendere che le ispirazioni che abbiamo, sia da svegli, sia dormendo, siano di Dio. Quando l'anima invece è totalmente pura, nulla vi è in lei che non implichi il segno di un'azione divina. Quando siamo desti, è più facile subire l'influenza di Dio che non quando dormiamo, probabilmente. Non lo so; probabilmente, dico, è così. Perché da svegli possiamo volontariamente sottrarci alle inclinazioni della nostra natura, vulnerata dal peccato, possiamo liberarci da quello che c'è in noi di meno puro, di meno limpido, di meno santo e perciò metterci nelle condizioni migliori per potere essere attenti all'azione divina. Mentre quando non siamo perfettamente coscienti, quando non siamo perfettamente liberi, è normale che la nostra natura insorga: ecco il subcosciente. Voi sapete che la purificazione, per essere purificazione del peccato, deve soltanto purificare le intenzioni, la volontà cioè; non raggiungerà mai un livello più profondo. Sicché anche i santi, fintanto che non sono grandi santi, nel subcosciente ancora subiscono le impressioni della natura sensibile, che conosce tutte le inclinazioni del male. Perciò si dice che non dobbiamo credere ai sogni, non dobbiamo crederci proprio per questo, perché anche se abbiamo raggiunto una certa santità di vita, però nel sogno, quando non siamo noi a dominare la nostra natura ancora schiava del male nelle sue radici profonde, il subcosciente insorge e può manifestarsi in forme meno pure, perché non c'è volontà, non c'è coscienza. Quando siamo desti, se insorge in noi un sentimento, possiamo dominarlo; ma di notte non ci dominiamo, la nostra natura si manifesta qual è nelle sue radici, nel subcosciente. La purificazione delle radici più profonde dell'essere viene raggiunta soltanto dai grandi santi negli ultimi anni della vita. Allora anche il sogno può essere un segno di Dio ed espressione di una vita divina. Per noi può esserlo qualche volta ma più spesso non lo è perché siamo peccatori.
Cosa è il peccato?
È anche vero però che non tutto quello che facciamo è peccato. Perché il peccato esista, bisogna che vi sia una mia presa di coscienza e una mia libera volontà di disobbedienza alla legge divina, il mio sottrarmi al Signore. Nell'intimo però, nelle radici più profonde, ci sfugge il nostro essere stesso, non ci dominiamo mai perfettamente. Tanto non ci dominiamo che, appunto, dobbiamo distinguere quello che è temperamento da quelli che sono invece i nostri peccati, quello che è carattere da quello che sono i nostri peccati. Quello che dipende dal temperamento molto spesso sfugge a un libero controllo. Se fossimo dei santi nulla ci sfuggirebbe e infatti è questo il processo della santità. Non è un processo che ci libera solo dal peccato ma anche dalle imperfezioni, perché tende a riplasmare tutto l'uomo, in tal modo che non c'è più un atto in cui sia soltanto il subconscio che si manifesta. Nel santo, è sempre la limpida coscienza che l'uomo vive, come dicevano gli antichi padri del deserto e questa coscienza di sé non si perde mai. Ma quanti atti ci sfuggono! Di quanti atti, che anche se non ci sfuggono, non siamo pienamente responsabili perché non pienamente deliberati, non pienamente voluti! Portati dalla passione si può giungere al punto che anche atti intrinsecamente gravi non siano peccato, o almeno, non siano un peccato grave, perché per il peccato grave ci vuole la piena avvertenza e la deliberata volontà. Allora vedete come sia difficile la santità; implica una purificazione fino alle intime radici dell'essere, che non si raggiunge mai. Diceva Lallemant che il cuore dell'uomo è come un pozzo profondo: quanta più melma porti via, tanta più ti sembra ne resti. Avanti di arrivare alla sorgente pura, ti ci vuole una fatica enorme e un lavoro estremamente lungo. Ed è così anche per la nostra vita interiore prima che sia giunta a questa purezza.
Per il santo, tutto è segno di Dio
Ma san Giuseppe no, san Giuseppe vive in questa purezza, così che ogni cosa che nel sogno egli sente, comprende che è Dio che gli parla. Perché? Fintanto che il vetro della finestra è sudicio, la luce non penetra; ma se è perfettamente limpido, la luce di Dio entra. Così, tanto più Dio opera in noi quanto più è grande la purezza del nostro spirito. San Giuseppe ci dice precisamente questo, ci dice che l'uomo vive in una dipendenza continua da Dio, può vivere in un tale accordo con un Dio che lo ama che non vi è istante in cui Dio non intervenga nella sua vita, non possa manifestargli la sua volontà: da desto, nel sogno, attraverso le creature, attraverso gli stessi nostri sentimenti. Noi viviamo in tale impurità di coscienza che abbiamo bisogno che Dio intervenga dal di fuori: con le prediche, con le esortazioni. Invece per un'anima pura, anche i propri sentimenti sono un segno di Dio.
La "psiche" è il segno o della tua servitù al peccato - se tu non sei santo - o il segno d'una presenza di Dio che ti illumina tutto ed è la santità. L'uomo è sempre dipendente, perché creatura; dovrebbe dipendere totalmente da Dio, e la sua vita sarebbe tutta luce, tutta grazia, e tutta amore. Invece abitualmente dipende, per il peccato, dal peccato stesso. È il Maligno? Secondo i padri della Chiesa sì, cioè la schiavitù al male che vive in noi implica una dipendenza da questa potenza personale del Maligno. Tante volte si è detto questo: non vi è atto in cui l'uomo non sia schiavo del demonio o servo di Dio.
Non viviamo mai una nostra vita, ma viviamo sempre o una obbedienza pura in una adesione perfetta al Signore che ci ama, o viviamo invece sempre più una opacità, un chiuderci in noi stessi, un rifiutarci al Signore e un abbandono alle forze del male che ci dissacrano, che ci sconvolgono, che ci deturpano. Perciò nella nostra dipendenza dal maligno è la nostra dissociazione. Dissociazione, notatelo bene: i mali del mondo moderno, le nevrosi, questi atti patologici dipendono dal male. Rimane vero quello che hanno insegnato certe comunità protestanti: che un cristiano vero non deve aver bisogno dei medici; la vita religiosa è la medicina più perfetta. Immediatamente per quanto riguarda la "psiche": i sentimenti, le malattie mentali: poi, pian piano, anche sul piano fisico. Naturalmente il piano fisico è più lontano da questo centro e perciò l'influenza della grazia su questo è più indiretta.
Salute e salvezza
Ma io mi allontano troppo da san Giuseppe. Volevo dirvi questo: come la santità di Giuseppe implichi di per sé la dipendenza continua, totale, dà Dio. L'uomo vive in una perfetta comunione con Dio e Dio in una perfetta comunione con l'uomo a tal punto che Dio non si salva senza di lui; se Gesù vuol essere salvato è san Giuseppe che deve salvarlo: né Dio opera senza l'uomo, né l'uomo opera più senza Dio. Questo, in fondo, è il mistero della santità divina, questa trasparenza totale. Il Paradiso è anche questo, perché il Paradiso, dicevano i padri del deserto, è la santità dell'uomo. Che cosa cerchi? La salvezza; e la salvezza è la salute. Infatti in latino c'è lo stesso termine: salus, la salute. La salute dell'uomo è la sua unità. Noi non siamo più uno, siamo dissociati. La nostra volontà viene da Dio e sentiamo invece che dentro di noi tutto o almeno molta parte di noi resiste: nel nostro orgoglio, nella nostra sensualità, nel nostro egoismo, non siamo ancora trasparenti. Ma lasciate che Dio vi investa sempre di più. La luce divina prima di tutto rafforzerà la vostra volontà; poi la volontà ridonerà luce alla vostra intelligenza; poi saranno tutte le potenze intime che sempre più saranno penetrate dalla grazia, trasformate dal Signore; poi tutto l'uomo. Non è soltanto tutto l'uomo come organismo, è tutta la sua vita: quando è desto e quando dorme, quando mangia e quando riposa, sempre. E non vi è più atto allora che non sia divino, perché in ogni atto tu vivi questa dipendenza assoluta da Dio, in tal modo che non c'è più differenza tra un atto sacro e un altro atto. Mangi? Preghi? È la stessa cosa, perché nel mangiare, nel pregare, tu vivi la tua unità col Signore. Gesù certamente era Figlio di Dio quando mangiava e quando dormiva. La natura umana che egli aveva assunto, perfettamente pura, non viveva più che come strumento non solo di una divina potenza, ma di una divina santità. In Gesù questo è evidente, ma anche in Maria e in Giuseppe, in quanto la nostra natura è chiamata per vocazione divina a vivere questa unità col Signore, ad essere pura trasparenza a un'azione di Dio.
Essere una cosa sola con Dio
Da tutto questo se ne deduce, dato che Dio è sempre all'opera, che se noi ora non viviamo un atto divino è perché ancora vi sono delle impurità in noi, perché ancora la luce divina filtra faticosamente nei meandri della nostra anima. Sia pure che non abbiamo peccato, però il fatto che non abbiamo dei peccati, non implica davvero che noi siamo divenuti totalmente docili a Dio. Altra cosa è l'assenza del peccato, altra cosa è questa purezza che ci trasforma in qualche modo in Dio stesso, ci fa organo dello Spirito divino. Il primo passo per arrivare a questo è liberarci dai peccati e questo ci dice in fondo il Vangelo, riguardo a san Giuseppe: «egli era uomo giusto». Ma basta questa giustizia? No, anche se il "giusto" del Vangelo vuol dire la giustizia perfetta. Quello che di Giuseppe ci dice il Vangelo è molto di più: in lui vi è una fede, una umiltà, una trasparenza assoluta; lui è come se non fosse. Ma questa passività non è forse la distruzione dell'uomo? No: è invece la distruzione di una indipendenza dell'uomo da Dio che è il suo peccato, che è la distruzione dell'uomo, se l'uomo è creatura. Nella misura invece che tu realizzi te stesso, come creatura, non puoi farlo che in questa dipendenza assoluta dall'essere divino che ti porta ad essere come sacramento di Dio, come icona della divinità. Ora, di tutte le icone della divinità nessuna, dopo Maria, può paragonarsi a Giuseppe. Proprio per questo nessuno può vivere la missione che ha vissuto Giuseppe di essere padre di Gesù, sia pure putativo.
Papà di Gesù
Che vuol dire essere padre putativo? È stato per il Figlio di Dio l'immagine stessa del Padre. Il Figlio di Dio, quando vedeva Giuseppe, vedeva il suo Padre, perché lo chiamava suo padre. Gesù nella sua preghiera chiamava Dio "Abbà, Padre". Lo dice tutto il Vangelo, lo dice anche san Paolo; è una delle cose più sicure. Ora è evidente che prima di chiamar papà il Padre dei Cieli, Gesù ha detto questa parola all'uomo che viveva con lui, che lavorava per lui, che era sotto il suo tetto. Lo stesso nome che Gesù dice al Padre dei Cieli, lo dice al padre che è quaggiù sulla terra. Ma sono due padri per lui? Giuseppe è la pura trasparenza, la pura icona del Padre per nostro Signore. È questa la grandezza dell'uomo: divenire una immagine di Dio. «Chi vede me vede il Padre», dirà Gesù. Ma Giuseppe poteva dire: «Tu mi vedi e vedi il Padre tuo». E questa è una cosa ancora più grande, perché vedere il Padre in Gesù non è tanto difficile perché è il Figlio di Dio; ma Gesù vede il Padre suo nell'uomo che è sotto il suo tetto! Ecco la vocazione ultima dell'uomo: questa trasparenza pura, questo puro silenzio dell'essere che lascia posto totalmente a Dio nella sua vita. Sia che tu dorma sia che tu sia desto quello che si opera in te è Dio solo che l'opera, tu non fai che consentire all'azione divina, tu non fai che aprirti all'azione divina, tu non fai che lasciarti modellare, plasmare da Dio.
Che il Signore ci doni di vivere, anche sia pur lontanamente, questa medesima grazia, perché davvero questa è la grazia delle grazie: essere quello che Dio ci ha voluto fin dall'inizio, pura immagine sua.

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IMPARARE DA SAN GIUSEPPE


Il santo falegname secondo il fondatore dell'Opus Dei

di San Josemaría Escrivá De Balaguer
 San Giuseppe è realmente un padre e signore che protegge e accompagna nel cammino terreno coloro che lo venerano, come protesse e accompagnò Gesù che cresceva e diveniva adulto. Dall'intimità con lui si scopre inoltre che il santo Patriarca è maestro di vita interiore: ci insegna infatti a conoscere Gesù, a convivere con Lui, a sentirci parte della famiglia di Dio. San Giuseppe ci insegna tutto ciò apparendoci così come fu: un uomo comune, un padre di famiglia, un lavoratore che si guadagna la vita con lo sforzo delle sue mani. E anche questo fatto ha per noi un significato che è motivo di riflessione e di gioia.
(E' Gesù che passa, 39)
Maestro di vita interiore, lavoratore impegnato nel dovere quotidiano, servitore fedele di Dio in continuo rapporto con Gesù: questo è Giuseppe. Andate da Giuseppe. Da Giuseppe il cristiano impara che cosa significa essere di Dio ed essere pienamente inserito tra gli uomini, santificando il mondo. Frequentate Giuseppe e incontrerete Gesù. Frequentate Giuseppe e incontrerete Maria, che riempì sempre di pace la bottega di Nazaret.
(E’ Gesù che passa, 56)
Fede, amore, speranza: sono i cardini della vita di Giuseppe, come lo sono di ogni vita cristiana. La dedizione di Giuseppe risulta da questo intrecciarsi di amore fedele, di fede amorosa, di speranza fiduciosa. La sua festa è dunque un'ottima occasione per rinnovare il nostro impegno di fedeltà alla vocazione di cristiani, che il Signore ha concesso a ognuno di noi.
E’ Gesù che passa, 43)
Guarda quanti motivi per venerare San Giuseppe e per imparare dalla sua vita: fu un uomo forte nella fede...; mandò avanti la sua famiglia - Gesù e Maria - con il suo lavoro gagliardo...; custodì la purezza della Vergine, che era sua Sposa...; e rispettò - amò! - la libertà di Dio, che non solo scelse la Vergine come Madre, ma scelse anche lui come Sposo della Madonna.
(Forgia, 552) 
Padre e Signore
San Giuseppe, Padre e Signore nostro, castissimo, limpidissimo, che hai meritato di portare in braccio Gesù Bambino, e di lavarlo e abbracciarlo: insegnaci a trattare il nostro Dio, a essere puri, degni di essere altri Cristi.
E aiutaci a percorrere e a indicare, come Cristo, i cammini divini - nascosti e luminosi -, dicendo agli uomini che, sulla terra, possono avere costantemente un'efficacia spirituale straordinaria.
(Forgia, 553)
Si merita il tuo affetto
Ama molto San Giuseppe, amalo con tutta l'anima, perché è la persona, assieme a Gesù, che ha amato di più la Madonna e che più è stato in rapporto con Dio: colui che più lo ha amato, dopo nostra Madre.
- Merita il tuo affetto, e ti conviene frequentarlo, perché è Maestro di vita interiore, ed è molto potente presso il Signore e presso la Madre di Dio.
(Forgia, 554)
San Giuseppe, Padre di Cristo, è anche Padre tuo e tuo Signore. — Ricorri a lui.
(Cammino, 559)
Per ogni approfondimento: http://www.it.josemariaescriva.info/