martedì 26 giugno 2012

La porta stretta

Di seguito il Vangelo di oggi, 26 giugno, martedi della XII settimana del T.O., con un commento e un testo di san Benedetto.


Giacobbe ed Esaù

La vera amicizia con Gesù si esprime nel modo di vivere: 
si esprime con la bontà del cuore, con l’umiltà, 
la mitezza e la misericordia, 
l’amore per la giustizia e la verità, 
l’impegno sincero ed onesto per la pace e la riconciliazione. 
Questa, potremmo dire, è la ‘carta d’identità’ 
che ci qualifica come suoi autentici ‘amici’; 
questo è il ‘passaporto’ che ci permetterà di entrare nella vita eterna.

Benedetto XVI




Mt 7,6.12-14


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 
«Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi.
Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti.
Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi entrano. Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano!».


Il commento


La primogenitura è una cosa molto seria. Siamo stati eletti da prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati nell'amore al cospetto di Dio e degli uomini. I doni di Grazia ricevuti durante tutta la nostra vita sono i segni di una chiamata speciale, ed essa non è un fatto esclusivamente personale. Dio ha pensato per noi una missione importante, molti uomini sono legati alla nostra vita. Ma il rischio di disprezzare la primogenitura è molto serio: gettare le cose sante ai cani e le nostre ai porci significa proprio non dare valore all'aopera di Dio nella nostra vita. Significa entrare nella storia di ogni giorno per la porta spaziosa e larga del compromesso, dell'annacquamento della fede per lasciar spazio alla carne e ai suoi desideri, quelli che muovono guerra allo Spirito: disprezzare come Esaù la primogenitura per un piatto di lenticchie, per rispondere, infantilmente, ai capricci della carne. E non si tratta solo della sessualità; le lenticchie fumanti dinanzi ai nostri occhi sono i criteri mondani circa il denaro, il lavoro, i beni, la salute, la famiglia, l'amicizia, la politica. Ogni giorno possiamo dare ai cani, che è l'epiteto duro con il quale Israele chiamava i pagani, le cose sante, le cose della nostra vita "separate", "messe da parte" dal mondo perchè siano segno dell'altro mondo; il Signore oggi ci ricorda l'altissima vocazione nella quale ci ha riscattati e per la quale ci ha introdotto nella Chiesa. Ci ha santificato, comprato al caro prezzo del suo sangue, ed ogni cosa, ogni momento e ambito della nostra vita è una "perla" che anticipa il Cielo. Il matrimonio e la famiglia, l'amicizia e il fidanzamento, la scuola e il lavoro, tutto di noi costituisce come un filo di perle che il suo amore e la sua Grazia ci fa indossare perchè chi ci è accanto possa vedere Lui e il destino eterno a cui è chiamato. Siamo nel mondo ma non siamo del mondo: per questo il combattimento che ci attende ogni mattina è serio, e ci chiama a non scendere dalla Croce che ci unisce a Cristo, a scegliere la porta stretta e la via angusta che ci fa donare la vita per amore. Il Signore oggi ci chiama a rimanere nel suo amore che ci santifica, che ci purifica, che fa della nostra vita una liturgia di santità per il mondo. I porci erano gli animali immondi, che si rorolano nel loro vomito. Toccarli e mangiarli rendeva immondi, incapaci a celebrare il culto di Israele che era segno della presenza e della vita di Dio. Gettare le perle ai porci significa dunque buttar via l'intimità con Dio, uscire dalla comunione del Popolo Santo, disprezzare la primogenitura e la missione speciale alla quale Israele è chiamato. E' il pericolo che incombe anche su di noi, dimenticare la nostra identità per mondanizzarci: il risultato sarà sempre quello di chiuderci nel nostro egoismo e voltare le spalle ai fratelli. Il Signore ha fatto a noi quello che avrebbe voluto fosse fatto a Lui: sulla Croce ci ha accolti e amati così come siamo. E' questa la santità vera, il Cielo sulla terra, la presenza viva e autentica di Dio tra gli uomini. La porta stretta del sacrificio e della sottomissione, dell'obbedienza e del perdono, la via angusta dell'amore che la Chiesa e i cristiani sono chiamati a percorrere per attirare e condurre ogni uomo alla Vita vera, eterna, salvata. 




San Benedetto (480-547), monaco 
Regola, Prologo


« Entrate per la porta stretta »


        Quando il Signore cerca il suo operaio tra la folla, insiste dicendo: "Chi è l'uomo che vuole la vita e arde dal desiderio di vedere giorni felici?" (Sal 33,13). Se a queste parole tu risponderai: "Io!", Dio replicherà: "Se vuoi avere la vita, quella vera ed eterna, preserva la tua lingua dal male e le tue labbra dalla menzogna. Allontanati dall'iniquità, opera il bene, cerca la pace e seguila" (Sal 33, 14-15)... Fratelli carissimi, che può esserci di più dolce per noi di questa voce del Signore che ci chiama? Guardate come nella sua misericordiosa bontà ci indica la via della vita! Armati dunque di fede (Ef 6,14) e di opere buone, sotto la guida del Vangelo, incamminiamoci per le sue vie in modo da meritare la visione di lui, che ci ha chiamati nel suo Regno (1 Tes 2,12). Se, però, vogliamo trovare dimora sotto la sua tenda, ossia nel suo Regno, ricordiamoci che è impossibile arrivarci senza correre verso la meta, operando il bene. Ma interroghiamo il Signore, dicendogli con le parole del profeta: "Signore, chi abiterà nella tua tenda e chi dimorerà sul tuo monte santo?" (Sal 14,1). E dopo questa domanda, fratelli, ascoltiamo la risposta con cui il Signore ci indica la via che porta a quella tenda...
Bisogna dunque istituire una scuola del servizio del Signore nella quale ci auguriamo di non prescrivere nulla di duro o di gravoso; ma se, per la correzione dei difetti o per il mantenimento della carità, dovrà introdursi una certa austerità, suggerita da motivi di giustizia, non ti far prendere dallo scoraggiamento al punto di abbandonare la via della salvezza, che in principio è necessariamente stretta e ripida. Mentre invece, man mano che si avanza nella vita monastica e nella fede, si corre per la via dei precetti divini (Sal 118,32) col cuore dilatato dall'indicibile sovranità dell'amore. Così, non allontanandoci mai dagli insegnamenti di Dio e perseverando fino alla morte nel monastero in una fedele adesione alla sua dottrina, partecipiamo con la nostra sofferenza ai patimenti di Cristo (1 Pt 4,13) per meritare di essere associati al suo regno.