venerdì 29 giugno 2012

Liturgia dei Santi Pietro e Paolo, apostoli - 4



Alle ore 9 di oggi, Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Benedetto XVI ha imposto il sacro Pallio, preso dalla Confessione dell’Apostolo Pietro, a 43 nuovi Arcivescovi Metropoliti. Ad altri tre Presuli il sacro Pallio verrà consegnato nelle loro Sedi metropolitane.


Di seguito il Papa ha presieduto la Concelebrazione Eucaristica con i nuovi Arcivescovi Metropoliti.


Come di consueto in occasione della Festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, Patroni della Città di Roma, è stata presente alla Santa Messa una Delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, composta da: Sua Eminenza Emmanuel Adamakis, Metropolita di Francia, Direttore dell’Ufficio della Chiesa ortodossa presso l’Unione Europea; Sua Grazia Ilias Katre, Vescovo di Philomelion (U.S.A,); Rev.do Diacono Paisios Kokkinakis, Codicografo del Santo Sinodo del Patriarcato Ecumenico.


Nel corso della Celebrazione Eucaristica, dopo la lettura del Vangelo, il Papa ha pronunciato  l’omelia che riporto di seguito:



OMELIA DEL SANTO PADRE

Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

Siamo riuniti attorno all’altare per celebrare solennemente i santi Apostoli Pietro e Paoloprincipali Patroni della Chiesa di Roma. 
Sono presenti, ed hanno appena ricevuto il Pallio, gli Arcivescovi Metropoliti nominati durante l’ultimo anno, ai quali va il mio speciale e affettuoso saluto. E’ presente anche, inviata da Sua Santità Bartolomeo I, una eminente Delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, che accolgo con fraterna e cordiale riconoscenza. In spirito ecumenico sono lieto di salutare e ringraziare “The Choir of Westminster Abbey”, che anima la Liturgia assieme alla Cappella Sistina. Saluto anche i Signori Ambasciatori e le Autorità civili: tutti ringrazio per la presenza e per la preghiera.
Davanti alla Basilica di San Pietro, come tutti sanno bene, sono collocate due imponenti statue degli Apostoli Pietro e Paolo, facilmente riconoscibili dalle loro prerogative: le chiavi nella mano di Pietro e la spada tra le mani di Paolo. 
Anche sul portale maggiore della Basilica di San Paolo fuori le mura sono raffigurate insieme scene della vita e del martirio di queste due colonne della Chiesa. La tradizione cristiana da sempre considera san Pietro e san Paolo inseparabili: in effetti, insieme, essi rappresentano tutto il Vangelo di Cristo. 
A Roma, poi, il loro legame come fratelli nella fede ha acquistato un significato particolare. Infatti, la comunità cristiana di questa Città li considerò come una specie di contraltare dei mitici Romolo e Remo, la coppia di fratelli a cui si faceva risalire la fondazione di Roma. 
Si potrebbe pensare anche a un altro parallelismo oppositivo, sempre sul tema della fratellanza: mentre, cioè, la prima coppia biblica di fratelli ci mostra l’effetto del peccato, per cui Caino uccide Abele, Pietro e Paolo, benché assai differenti umanamente l’uno dall’altro e malgrado nel loro rapporto non siano mancati conflitti, hanno realizzato un modo nuovo di essere fratelli, vissuto secondo il Vangelo, un modo autentico reso possibile proprio dalla grazia del Vangelo di Cristo operante in loro. 
Solo la sequela di Gesù conduce alla nuova fraternità: ecco il primo fondamentale messaggio che la solennità odierna consegna a ciascuno di noi, e la cui importanza si riflette anche sulla ricerca di quella piena comunione, cui anelano il Patriarca ecumenico e il Vescovo di Roma, come pure tutti i cristiani.
Nel brano del Vangelo di san Matteo che abbiamo ascoltato poco fa, Pietro rende la propria confessione di fede a Gesù riconoscendolo come Messia e Figlio di Dio; lo fa anche a nome degli altri Apostoli. In risposta, il Signore gli rivela la missione che intende affidargli, quella cioè di essere la «pietra», la «roccia», il fondamento visibile su cui è costruito l’intero edificio spirituale della Chiesa (cfr Mt 16,16-19). 
Ma in che modo Pietro è la roccia? Come egli deve attuare questa prerogativa, che naturalmente non ha ricevuto per se stesso? 
Il racconto dell’evangelista Matteo ci dice anzitutto che il riconoscimento dell’identità di Gesù pronunciato da Simone a nome dei Dodici non proviene «dalla carne e dal sangue», cioè dalle sue capacità umane, ma da una particolare rivelazione di Dio Padre. 
Invece subito dopo, quando Gesù preannuncia la sua passione, morte e risurrezione, Simon Pietro reagisce proprio a partire da «carne e sangue»: egli «si mise a rimproverare il Signore: … questo non ti accadrà mai» (16,22). 
E Gesù a sua volta replicò: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo...» (v. 23). 
Il discepolo che, per dono di Dio, può diventare solida roccia, si manifesta anche per quello che è, nella sua debolezza umana: una pietra sulla strada, una pietra in cui si può inciampare – in greco skandalon.  Appare qui evidente la tensione che esiste tra il dono che proviene dal Signore e le capacità umane; e in questa scena tra Gesù e Simon Pietro vediamo in qualche modo anticipato il dramma della storia dello stesso papato, caratterizzata proprio dalla compresenza di questi due elementi: da una parte, grazie alla luce e alla forza che vengono dall’alto, il papato costituisce il fondamento della Chiesa pellegrina nel tempo; dall’altra, lungo i secoli emerge anche la debolezza degli uomini, che solo l’apertura all’azione di Dio può trasformare.
E nel Vangelo di oggi emerge con forza la chiara promessa di Gesù: «le porte degli inferi», cioè le forze del male, non potranno avere il sopravvento, «non prevalebunt». Viene alla mente il racconto della vocazione del profeta Geremia, al quale il Signore, affidando la missione, disse: «Ecco, oggi io faccio di te come una città fortificata, una colonna di ferro e un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese. Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti» (Ger 1,18-19).
In realtà, la promessa che Gesù fa a Pietro è ancora più grande di quelle fatte agli antichi profeti: questi, infatti, erano minacciati solo dai nemici umani, mentre Pietro dovrà essere difeso dalle «porte degli inferi», dal potere distruttivo del male. Geremia riceve una promessa che riguarda lui come persona e il suo ministero profetico; Pietro viene rassicurato riguardo al futuro della Chiesa, della nuova comunità fondata da Gesù Cristo e che si estende a tutti i tempi, al di là dell’esistenza personale di Pietro stesso.
Passiamo ora al simbolo delle chiavi, che abbiamo ascoltato nel Vangelo. Esso rimanda all’oracolo del profeta Isaia sul funzionario Eliakìm, del quale è detto: «Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide: se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude, nessuno potrà aprire» (Is 22,22). 
La chiave rappresenta l’autorità sulla casa di Davide. E nel Vangelo c’è un’altra parola di Gesù rivolta agli scribi e ai farisei, ai quali il Signore rimprovera di chiudere il regno dei cieli davanti agli uomini (cfr Mt 23,13). Anche questo detto ci aiuta a comprendere la promessa fatta a Pietro: a lui, in quanto fedele amministratore del messaggio di Cristo, spetta di aprire la porta del Regno dei Cieli, e di giudicare se accogliere o respingere (cfr Ap 3,7). 
Le due immagini – quella delle chiavi e quella del legare e sciogliere – esprimono pertanto significati simili e si rafforzano a vicenda. L’espressione «legare e sciogliere» fa parte del linguaggio rabbinico e allude da un lato alle decisioni dottrinali, dall’altro al potere disciplinare, cioè alla facoltà di infliggere e di togliere la scomunica. Il parallelismo «sulla terra … nei cieli» garantisce che le decisioni di Pietro nell’esercizio di questa sua funzione ecclesiale hanno valore anche davanti a Dio.
Nel capitolo 18 del Vangelo secondo Matteo, dedicato alla vita della comunità ecclesiale, troviamo un altro detto di Gesù rivolto ai discepoli: «In verità vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo» (Mt 18,18). E san Giovanni, nel racconto dell’apparizione di Cristo risorto in mezzo agli Apostoli alla sera di Pasqua, riporta questa parola del Signore: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (Gv 20,22-23). 
Alla luce di questi parallelismi, appare chiaramente che l’autorità di sciogliere e di legare consiste nel potere di rimettere i peccati. 
E questa grazia, che toglie energia alle forze del caos e del male, è nel cuore del ministero della Chiesa. Essa non è una comunità di perfetti, ma di peccatori che si debbono riconoscere bisognosi dell’amore di Dio, bisognosi di essere purificati attraverso la Croce di Gesù Cristo. 
I detti di Gesù sull’autorità di Pietro e degli Apostoli lasciano trasparire proprio che il potere di Dio è l’amore, l’amore che irradia la sua luce dal Calvario. Così possiamo anche comprendere perché, nel racconto evangelico, alla confessione di fede di Pietro fa seguito immediatamente il primo annuncio della passione: in effetti, Gesù con la sua morte ha vinto le potenze degli inferi, nel suo sangue ha riversato sul mondo un fiume immenso di misericordia, che irriga con le sue acque risanatrici l’umanità intera.
Cari fratelli, come ricordavo all’inizio, la tradizione iconografica raffigura san Paolo con la spada, e noi sappiamo che questa rappresenta lo strumento con cui egli fu ucciso. Leggendo, però, gli scritti dell’Apostolo delle genti, scopriamo che l’immagine della spada si riferisce a tutta la sua missione di evangelizzatore. Egli, ad esempio, sentendo avvicinarsi la morte, scrive a Timoteo: «Ho combattuto la buona battaglia» (2 Tm 4,7). Non certo la battaglia di un condottiero, ma quella di un annunciatore della Parola di Dio, fedele a Cristo e alla sua Chiesa, a cui ha dato tutto se stesso. 
E proprio per questo il Signore gli ha donato la corona di gloria e lo ha posto, insieme con Pietro, quale colonna nell’edificio spirituale della Chiesa.
Cari Metropoliti: il Pallio che vi ho conferito vi ricorderà sempre che siete stati costituiti nel e per il grande mistero di comunione che è la Chiesa, edificio spirituale costruito su Cristo pietra angolare e, nella sua dimensione terrena e storica, sulla roccia di Pietro. 
Animati da questa certezza, sentiamoci tutti insieme cooperatori della verità, la quale – sappiamo – è una e «sinfonica», e richiede da ciascuno di noi e dalle nostre comunità l’impegno costante della conversione all’unico Signore nella grazia dell’unico Spirito. 
Ci guidi e ci accompagni sempre nel cammino della fede e della carità la Santa Madre di Dio. Regina degli Apostoli, prega per noi! 


* * *

Al termine della Santa Messa della Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, concelebrata nella Basilica Vaticana con i 43 Arcivescovi Metropoliti che hanno ricevuto il Pallio e alla quale ha partecipato una Delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, il Papa si è affacciato alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano e ha guidato la recita dell’Angelus con i fedeli e i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Santo Padre Benedetto XVI nell’introdurre la preghiera mariana:
 

PRIMA DELL’ANGELUS  

Cari fratelli e sorelle,

celebriamo con gioia la solennità liturgica dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, una festa che accompagna la storia bimillenaria del Popolo cristiano. Essi sono chiamati colonne della Chiesa nascente. Testimoni insigni della fede, hanno dilatato il Regno di Dio con i loro diversi doni e, sull’esempio del divino Maestro, hanno sigillato col sangue la loro predicazione evangelica. Il loro martirio è segno di unità della Chiesa, come dice sant’Agostino: «Un solo giorno è consacrato alla festa dei due apostoli. Ma anch’essi erano una cosa sola. Benché siano stati martirizzati in giorni diversi, erano una cosa sola. Pietro precedette, Paolo seguì» (Disc. 295, 8: PL 38, 1352).
Del sacrificio di Pietro sono segno eloquente la Basilica Vaticana e questa Piazza, così importanti per la cristianità. Anche del martirio di Paolo restano tracce significative nella nostra Città, specialmente la Basilica a lui dedicata sulla Via Ostiense. 
Roma porta inscritti nella sua storia i segni della vita e della morte gloriosa dell’umile Pescatore di Galilea e dell’Apostolo delle genti, che giustamente si è scelti come Protettori. Facendo memoria della loro luminosa testimonianza, noi ricordiamo gli inizi venerandi della Chiesa che in Roma crede, prega ed annuncia Cristo Redentore. 
Ma i Santi Pietro e Paolo brillano non solo nel cielo di Roma, ma nel cuore di tutti i credenti che, illuminati dal loro insegnamento e dal loro esempio, in ogni parte del mondo camminano sulla via della fede, della speranza e della carità.
In questo cammino di salvezza, la comunità cristiana, sostenuta dalla presenza dello Spirito del Dio vivo, si sente incoraggiata a proseguire forte e serena sulla strada della fedeltà a Cristo e dell’annuncio del suo Vangelo agli uomini di ogni tempo. In questo fecondo itinerario spirituale e missionario si colloca anche la consegna del Pallio agli Arcivescovi Metropoliti, che ho compiuto stamani in Basilica. Un rito sempre eloquente, che pone in risalto l’intima comunione dei Pastori con il Successore di Pietro e il profondo vincolo che ci lega alla tradizione apostolica. Si tratta di un duplice tesoro di santità, in cui si fondono insieme l’unità e la cattolicità della Chiesa: un tesoro prezioso da riscoprire e da vivere con rinnovato entusiasmo e costante impegno.
Cari pellegrini, qui giunti da ogni parte del mondo! In questo giorno di festa, preghiamo con le espressioni della Liturgia orientale: «Sia lode a Pietro e a Paolo, queste due grandi luci della Chiesa; essi brillano nel firmamento della fede». In questo clima, desidero rivolgere un particolare pensiero alla Delegazione del Patriarcato di Costantinopoli che, come ogni anno, è venuta per prender parte a queste nostre tradizionali celebrazioni. La Vergine Santa conduca tutti i credenti in Cristo al traguardo della piena unità!

DOPO L’ANGELUS  

Chers frères et souers!

J’accueille avec joie les pèlerins francophones, et plus particulièrement ceux venus du Canada et de France, pour la prière de l’Angélus. J’ai eu la joie d’imposer le pallium aux nouveaux archevêques métropolitains, signe de leur lien particulier de communion avec le Successeur de Pierre. Que l’intercession des Apôtres Pierre et Paul, fêtés aujourd’hui, nous obtienne de grandir dans une fidélité parfaite à l’enseignement de l’Église puisqu’elle reçut par eux la première annonce de la foi. Pierre et Paul ont travaillé, chacun à sa façon selon la grâce reçue, pour rassembler l’unique famille du Christ ! Avec ma Bénédiction apostolique !

I welcome all the English-speaking pilgrims and visitors present in Rome for the Solemnity of Saints Peter and Paul. I extend warm greetings to the Metropolitan Archbishops who received the Pallium in this morning’s celebration, and to all who have travelled to Rome to accompany them on this joyful day. I assure the new Archbishops of my prayers for their pastoral ministry and I encourage all Christians, after the example of Saints Peter and Paul, to let the light of the Gospel shine brightly in their lives. May God bless you all!

Gerne heiße ich am heutigen Fest der Apostel Petrus und Paulus alle Brüder und Schwestern deutscher Sprache willkommen. Besonders grüße ich die Pilger aus dem Erzbistum Berlin, die zur Überreichung des Palliums an ihren Erzbischof nach Rom gekommen sind. Der Dienst für Jesus Christus beginnt damit, daß man ihn als den Herrn anerkennt und bezeugt. „Du bist der Messias, der Sohn des lebendigen Gottes" (Mt16,16), bekennt Petrus im Kreis der Jünger und im Namen der Jünger. Auf Petrus und sein Bekenntnis baut Christus die Kirche. In Einheit mit dem Nachfolger des Petrus wollen die neuen Erzbischöfe und alle Bischöfe mutig für den Glauben an Christus eintreten. Unterstützt die Hirten der Kirche mit einem lebendigen Glauben und mit eurem Gebet und betet auch für mich und meinen Petrusdienst. Gesegneten Festtag euch allen!

Saludo a los fieles de lengua española que participan en esta oración mariana, en particular a los venidos de Argentina, Guatemala, México, Perú y Venezuela, que acompañan con su afecto y oración a los arzobispos metropolitanos que acaban de recibir el palio en esta solemnidad de san Pedro y san Pablo. Que el ejemplo y la intercesión de los Apóstoles ayude a la Iglesia a dar en la hora presente un fiel y audaz testimonio del Evangelio de la salvación. Que Dios os bendiga.

Uma saudação especial para os Arcebispos do Brasil e de Angola que acabaram de receber o pálio e também para os familiares e amigos que os acompanham: À Virgem Maria confio vossas vidas, famílias e dioceses, para todos implorando o dom do amor e da unidade sobre a rocha de Pedro.

W tym uroczystym dniu pozdrawiam bardzo serdecznie nowych Arcybiskupów metropolitów polskich, którzy rano otrzymali paliusze. Pozdrawiam również wiernych, którzy towarzyszą im swoją obecnością i modlitwą. Niech Święci Apostołowie – Piotr, Skała, na której Chrystus zbudował swój Kościół i Paweł, Apostoł Narodów – wspierają ich pasterską posługę, by prowadzili powierzone im wspólnoty zgodnie z wolą Bożą. Nowymmetropolitom i wamwszystkim z sercabłogosławię.

[In questa giornata solenne saluto cordialmente i nuovi Arcivescovi metropoliti polacchi che questa mattina hanno ricevuto il pallio. Saluto anche i fedeli che li accompagnano con l’affetto e con la preghiera. I Santi Apostoli – Pietro, roccia su cui Cristo ha edificato la Sua Chiesa, e Paolo, l’Apostolo delle Genti – sostengano il ministero di questi Pastori in modo che possano guidare le comunità loro affidate secondo la volontà di Dio. Di cuore benedico i nuovi metropoliti e voi tutti.]

Infine, saluto i pellegrini di lingua italiana, in particolare gli Arcivescovi Metropoliti e quanti li accompagnano, le Suore della Santissima Madre Addolorata, l’Associazione Amici di Santa Veronica, come pure la Pro Loco di Roma e i maestri infioratori, che ringrazio per l’artistico omaggio floreale che possiamo vedere qui accanto alla Piazza.

Sono qui convenuti, per rinnovare sentimenti di profonda comunione e di spirituale vicinanza al Successore di Pietro, i fedeli della Diocesi di Roma con il Cardinale Vicario Agostino Vallini, e i giovani cattolici riunitisi spontaneamente in gruppo attraverso i social network: grazie per la vostra presenza! Cari amici, vi ringrazio cordialmente per questo gesto di affetto e per le vostre iniziative a sostegno del mio ministero e per favorire in ogni ambiente una coraggiosa e attiva testimonianza cristiana. Conto anche sulle vostre preghiere per continuare a servire la Chiesa con la mitezza e la forza dello Spirito Santo.

A tutti auguro una buona festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo! Buona festa a voi tutti. Grazie!



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Il commento seguente è di Andrea Tornielli.


Cari amici, nell’omelia per la festa dei santi Pietro e Paolo,Benedetto XVI ha parlato questa mattina in San Pietro della missione del Papa. Riferendosi al brano evangelico del primato, ha riflettuto sul significato dell’essere «roccia». «In che modo Pietro è la roccia? Come egli deve attuare questa prerogativa, che naturalmente non ha ricevuto per se stesso?», si è chiesto Ratzinger. Ricordando subito dopo che proprio Pietro, quando non comprende la vera missione di Gesù che dovrà passare attraverso il sacrificio della croce, arriva a rimproverare il Messia, il quale lo apostrofa duramente, chiamandolo Satana: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo…».
«Il discepolo che, per dono di Dio, può diventare solida roccia, si manifesta anche per quello che è, nella sua debolezza umana: una pietra sulla strada, una pietra in cui si può inciampare – in greco skandalon», ha spiegato il Papa. «Appare qui evidente – ha aggiunto – la tensione che esiste tra il dono che proviene dal Signore e le capacità umane; e in questa scena tra Gesù e Simon Pietro vediamo in qualche modo anticipato il dramma della storia dello stesso papato, caratterizzata proprio dalla compresenza di questi due elementi: da una parte, grazie alla luce e alla forza che vengono dall’alto, il papato costituisce il fondamento della Chiesa pellegrina nel tempo; dall’altra, lungo i secoli emerge anche la debolezza degli uomini, che solo l’apertura all’azione di Dio può trasformare».
Gli uomini di Chiesa, la stessa «roccia» rappresentata dal vescovo di Roma, devono essere coscienti della loro debolezza e del fatto che l’efficacia del loro servizio non dipende dalla loro bravura, dalle capacità, dalle strategie. Dipende invece – ha spiegato Ratzinger – dall’essere seguaci del Nazareno e dall’essere aperti all’azione di Dio.
Ma il Papa ha anche fatto cenno alla promessa di Gesù: le porte degli inferi non potranno avere il sopravvento («non prevalebunt», espressione significativamente apposta anche sotto la testata de «L’Osservatore Romano»). Pietro «dovrà essere difeso dal potere distruttivo del male», e viene «rassicurato riguardo al futuro della Chiesa, della nuova comunità fondata da Gesù Cristo e che si estende a tutti i tempi, al di là dell’esistenza personale di Pietro stesso».
Benedetto XVI ha spiegato che «l’autorità di sciogliere e di legare» che appartiene al successore di Pietro «consiste nel potere di rimettere i peccati. E questa grazia, che toglie energia alle forze del caos e del male, è nel cuore del ministero della Chiesa». «Essa – ha aggiunto – non è una comunità di perfetti, ma di peccatori che si debbono riconoscere bisognosi dell’amore di Dio, bisognosi di essere purificati attraverso la Croce di Gesù Cristo».
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Di seguito il testo dell'omelia di mons. Enrico dal Covolo, Magnifico Rettore della Pontificia Università Lateranense, ad Agordo nella Solennità Patronale dei Santi Pietro e Paolo e nel centenario della nascita del Servo di Dio Albino Luciani (Giovanni Paolo I)

La Liturgia della Parola ci ha presentato alcuni passaggi importanti della vita e degli scritti dei santi Pietro e Paolo, principi degli apostoli, vostri illustri patroni.
Abbiamo sentito narrare nella prima lettura l’episodio misterioso della miracolosa liberazione di Pietro dal carcere, dove era stato rinchiuso.
Abbiamo ascoltato poi il brano glorioso della confessione di Pietro a Cesarea di Filippo, e la successiva, solenne investitura da parte di Gesù: “Tu sei Pietro”, gli dice il Signore, “e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”.
Di fatto anche Pietro, come Paolo, “ha combattuto la buona battaglia”, e non solo “ha conservato la fede”, ma ha confermato – e continua a confermare – i suoi fratelli nella fede.
Oggi però, lasciando sullo sfondo queste letture, vorrei presentarvi la figura di Pietro come un uomo – un santo – molto vicino a noi, alle nostre lotte, alle nostre sofferenze, alle nostre tentazioni, e – perché no? – anche ai nostri peccati di ogni giorno. Continueremo a riferirci al Vangelo, che è “la fonte delle fonti”, ma prenderemo in considerazione anche altri brani, rispetto a quelli che abbiamo appena letto.
Vi propongo così una specie di lectio divina su alcune pagine del Vangelo, che ci parlano delle tentazio­ni e del rinnegamento di Pietro.
1. Pietro, il peccatore che si converte
Pietro è il discepolo che, almeno in  parte, "ha capito" qualche cosa di più, rispetto agli altri apostoli: "Tu sei il Messia, il Cristo", confessa con entusiasmo a Cesarea. Ma quando Gesù annuncia la sua passione e la sua morte, manifestando la propria realtà di Messia, allora Pietro prende le distanze dal Maestro, e ne scoraggia i progetti. La reazione di Gesù, così come è narrata dal Vangelo di Marco si fa durissima: “Tu per me sei Satana!”, prorompe sdegnato Gesù, rivolgendosi a Pietro (Marco 8,27-33).
Che cosa è capitato?
E’ capitato che Pietro ha capito sì qualche cosa del mistero profondo di Gesù: egli è il Messia, il Figlio di Dio. Ma quando Pietro si rende conto che il progetto di Messia, così come lo intende Gesù, non è quello degli uomini; e che il Figlio di Dio, per salvare il mondo, deve salire a Gerusalemme, patire e morire: ebbene, allora Pietro non ci sta più, e avanza tutte le sue resistenze.
La tentazione, a cui Pietro sembra soccombere, è quella dell’incoerenza tra la parola e la vita, tra il dire e il fare.
Pietro stenta a capire che non è sufficiente parlare del Vangelo, occorre viverlo; che non è sufficiente parlare di Gesù come Messia, occorre accompagnarlo sulla via della croce; che non è sufficiente parlare della croce, occorre portarla, la croce; che non basta parlare di comunità evangelica, occorre fa­re comunità; e così via...
Ma un’altra tentazione, a cui Pietro cede, è ben più grave ancora. Pietro, nella notte della passione, rinnega Gesù per tre volte. Ma poi, quasi subito, egli si rende conto del suo grave peccato, e "lagrime amare" inaugurano il cammino della conversione; quella conversione del cuore, che gli farà dire un gior­no, sulle sponde del lago di Tiberiade: "Signore, tu sai tutto; tu sai che io ti amo".
Ebbene, ci chiediamo a questo punto: qual è l'evento decisivo, ciò che ha cambiato il cuore di Pietro, aprendolo all'esperienza dell'amore misericordioso?
Questo evento è l'incontro con Gesù. Nel caso specifico, è un incontro che si consuma nel­lo spazio brevissimo di uno sguardo: subito dopo il triplice rinnegamento, scrive Luca, "il Signore, voltatosi, guardò Pietro... Ed egli, uscito, pianse amaramente" (Luca 22,61).
A partire da quello sguardo di Gesù, ricco di misericordia e di perdono, Pietro si abbandona perdutamente all’amore del Maestro, fino a confessare: “Signore, tu sai tutto. Tu sai che ti amo”.
La risposta di Gesù non si fa attendere: “Se mi ami”, gli dice il Signore, “pasci!”. Come a dire: la prova del vero amore a Cristo è il servizio generoso alla sua Chiesa…
Stando alle parole del beato Papa Giovanni Paolo II, il cammino di Pietro è emblematico per tutta la Chiesa, e dunque per ciascuno di noi. Leggiamo nella Novo Millennio Ineunte: «E' a Cristo risorto che la Chiesa guarda. Lo fa ponendosi sulle orme di Pietro, che versò lacrime per il suo rinnegamento, e riprese il suo cammino, confessando a Cristo il suo amore: "Tu sai che io ti amo!"» (n. 28).
2. Per la preghiera e per la vita
Cari fratelli e sorelle, tutto questo è detto per noi, oggi!
Voglio sottolinearvi un paio punti, per la preghiera e per la conversione della nostra vita.
Dobbiamo riconoscere anzitutto che la tentazione è parte integrante della nostra storia di vocazione: prima di Pietro, anche Gesù, anche Maria, furono tentati. Dirò di più: la tentazione appartiene alla pedagogia di Dio, e serve a purificare la nostra fede.
Così l’importante non è passare immuni dalla tentazione. L’importante è, invece, fare il cammino di Pietro. Anche noi, se lo vogliamo, possiamo incrociare lo sguardo di Gesù, pieno di misericordia e di amore. In modo speciale, possiamo incontrare Gesù, che libera e salva, nel Sacramento della Riconciliazione, a patto che ci ricordiamo sempre che proprio l'incontro con il Signore Gesù è ciò che più conta, nella celebrazione del Sacramento.
Mi chiedo invece se a volte non rischiamo di sopravvalutare alcuni elementi esteriori, come la lista dei peccati, oppure la persona del Confessore, o l'esigenza di svolgere «un bel colloquio» con lui... Certamente si tratta di cose importanti, ma la «cosa» decisiva è quel­la che si compie nel mistero, ed è precisamente l'incontro di grazia con il Signore Gesù, che libera e salva la nostra vita. Se fossimo maggiormente persuasi di questo, probabilmente non ci priveremmo per trop­po tempo della celebrazione del Sacramento.
Un secondo punto importante.
L’esperienza del perdono deve condurci all’amore, a un vero e proprio “invaghimento” per Cristo. Ma, attenzione, non si tratta per nulla di un’emozione passeggera. L’innamoramento per Cristo è una faccia della medaglia. L’altra faccia della medaglia è il servizio della Chiesa. “Se mi ami, pasci”. La prova dell’amore è il servizio dei fratelli nella Chiesa.
Chiediamoci allora, con coraggio: amo davvero la Chiesa? So vedere – anche nelle vicende di oggi, della Chiesa pellegrinante nel mondo – la “foresta di santità cresce”, ben oltre l’“albero che cade”?
E’ vero: anche all’interno della Chiesa ci sono molti scandali, tante “sporcizie”, che sono la dolorosa conseguenza del peccato dell’origine. Ma so cogliere “il grande fiume” della santità e della grazia di Dio, per il quale la Chiesa stessa è santa? Oppure mi accodo troppo facilmente alle critiche ipocrite e senza amore di tanti rotocalchi e media?

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Voglio concludere, cari fratelli e sorelle, facendo memoria di un successore di Pietro, vissuto molti secoli dopo di lui. E’ il servo di Dio Albino Luciani, il Papa Giovanni Paolo I, vostre illustre concittadino.
Come sapete, ricorre quest’anno il centenario della sua nascita, e io sono il Postulatore della sua Causa di beatificazione e canonizzazione.
Proprio in questa chiesa di Agordo, nella festività dei santi apostoli Pietro e Paolo, il 29 giugno 1978, Albino Luciani tenne una solenne celebrazione eucaristica. Fu questa l’ultima sua visita alla terra natia.
L’allora patriarca di Venezia era stato invitato dall’arcidiacono, mons. Lino Mottes. Nell’omelia il cardinale Luciani espresse tutta la sua commozione nel tornare a celebrare in questa chiesa, ricordando il tempo in cui ad Agordo aveva trascorso un breve periodo di apostolato, esercitando il suo primo ministero sacerdotale.
Infatti, poco dopo la sua ordinazione, avvenuta il 7 luglio 1935, il sacerdote novello don Albino fu mandato da Canale ad Agordo come cooperatore di mons. Luigi Cappello. Qui egli rimase dal 21 dicembre 1935 all’agosto del 1937, per poi andare poi, appena venticinquenne, vicerettore nel Seminario Gregoriano.
Mons. Luigi Cappello, fratello del noto canonista gesuita e Servo di Dio padre Felice Cappello, aveva voluto a tutti i costi Luciani come suo cappellano. Nell’omelia che Luciani tenne qui, nel 1978, egli ricordava: «Mons. Cappello mi ha fatto stare sei mesi a Canale e mi ha detto: “Aspetta qui a Canale fino a quando verrò ad Agordo” e appena entrato lui sono venuto anch’io».
Certamente, come il vecchio parroco di Canale don Filippo Carli, anche mons. Cappello fu un esempio per don Albino. Ne ricordava soprattutto ricordava le omelie. Efficaci, sempre piene di esempi. Le omelie di Luciani nel “biennio” agordino le abbiamo ritrovate tra le carte del suo Archivio privato. Le scriveva interamente – in seguito preferirà usare degli schemi.