sabato 28 luglio 2012

Gesù e la crisi economica




   
Oggi 29 luglio celebriamo la:
XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIOAnno B

Di seguito  testi della liturgia e commenti

 
Sovrabbondo di gioia in ogni tribolazione
Dalle «Omelie sulla seconda lettera ai Corinzi» di san Giovanni Crisostomo, vescovo  (Om. 14, 1-2; PG 61, 497-499) 
Paolo riprende il discorso sulla carità, moderando l'asprezza del rimprovero. Dopo avere infatti biasimato e rimproverato i Corinzi per il fatto che, pur amati, non avevano corrisposto all'amore, anzi erano stati ingrati e avevano dato ascolto a gente malvagia, mitiga il rimprovero dicendo: «Fateci posto nei vostri cuori» (2 Cor 7, 2), cioè amateci. Chiede un favore assai poco gravoso, anzi più utile a loro che a lui. Non dice «amate», ma con squisita delicatezza: «Fateci posto nei vostri cuori». Chi ci ha scacciati, sembra chiedere, dai vostri cuori? Chi ci ha espulsi? Per quale motivo siamo stati banditi dal vostro spirito? Dato che prima aveva affermato: «E' nei vostri cuori invece che siete allo stretto» (2 Cor 6, 12), qui esprime lo stesso sentimento dicendo: «Fateci posto nei vostri cuori». Così li attira di nuovo a sé. Niente spinge tanto all'amore chi è amato quanto il sapere che l'amante desidera ardentemente di essere corrisposto.
«Vi ho già detto poco fa, continua, che siete nel nostro cuore per morire insieme e insieme vivere» (2 Cor 7, 3). Espressione massima dell'amore di Paolo: benché disprezzato, desidera vivere e morire con loro. Siete nel nostro cuore non superficialmente, in modo qualsiasi, ma come vi ho detto. Può capitare che uno ami, ma fugga al momento del pericolo: non è così per me.
«Sono pieno di consolazione» (2 Cor 7, 4). Di quale consolazione? Di quella che mi viene da voi: ritornati sulla buona strada mi avete consolato con le vostre opere. E' proprio di chi ama prima lamentarsi del fatto che non è amato, poi temere di recare afflizione per eccessiva insistenza nella lamentela. Per questo motivo aggiunge: «Sono pieno di consolazione, pervaso di gioia».
In altre parole: sono stato colpito da grande dispiacere a causa vostra, ma mi avete abbondantemente compensato e recato gran sollievo; non avete solo rimosso la causa del dispiacere, ma mi avete colmato di più abbondante gioia.
Paolo manifesta la sua grandezza d'animo non fermandosi a dire semplicemente «sovrabbondo di gioia», ma aggiungendo anche «in ogni mia tribolazione». E' così grande il piacere che mi avete arrecato che neppure la più grande tribolazione può oscurarlo, anzi è tale da farmi dimenticare con l'esuberanza della sua ricchezza, tutti gli affanni che mi erano piombati addosso e ha impedito che io ne rimanessi schiacciato.
  
MESSALE
Antifona d'Ingresso  Sal 67,6-7.36
Dio sta nella sua santa dimora;
ai derelitti fa abitare una casa,
e dà forza e vigore al suo popolo.
 
 
Colletta

O Dio, nostra forza e nostra speranza, senza di te nulla esiste di valido e di santo; effondi su di noi la tua misericordia perché, da te sorretti e guidati, usiamo saggiamente dei beni terreni nella continua ricerca dei beni eterni. Per il nostro Signore...

 Oppure: 
O Padre, che nella Pasqua domenicale ci chiami a condividere il pane vivo disceso dal cielo, aiutaci a spezzare nella carità di Cristo anche il pane terreno, perché sia saziata ogni fame del corpo e dello spirito. Per il nostro Signore...

LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura 
  2 Re 4, 42-44Ne mangeranno e ne faranno avanzare.

Dal secondo libro dei Re
I
n quei giorni, da Baal Salisà venne un uomo, che portò pane di primizie all’uomo di Dio: venti pani d’orzo e grano novello che aveva nella bisaccia.
Eliseo disse: «Dallo da mangiare alla gente». Ma il suo servitore disse: «Come posso mettere questo davanti a cento persone?». Egli replicò: «Dallo da mangiare alla gente. Poiché così dice il Signore: “Ne mangeranno e ne faranno avanzare”».
Lo pose davanti a quelli, che mangiarono e ne fecero avanzare, secondo la parola del Signore. 


Salmo Responsoriale
    Dal Salmo 144
Apri la tua mano, Signore, e sazia ogni vivente.
Ti lodino, Signore, tutte le tue opere
e ti benedicano i tuoi fedeli.
Dicano la gloria del tuo regno
e parlino della tua potenza.

Gli occhi di tutti a te sono rivolti in attesa
e tu dai loro il cibo a tempo opportuno.
Tu apri la tua mano
e sazi il desiderio di ogni vivente.

Giusto è il Signore in tutte le sue vie
e buono in tutte le sue opere.
Il Signore è vicino a chiunque lo invoca,
a quanti lo invocano con sincerità.


Seconda Lettura   Ef 4, 1-6Un solo corpo, un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo.

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini
Fratelli, io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace.
Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti.
 

Canto al Vangelo
   Lc 7,16b 
Alleluia, alleluia. 

Un grande profeta è sorto tra noi,
e Dio ha visitato il suo popolo.
Alleluia.


Vangelo   Gv 6, 1-15Distribuì a quelli che erano seduti quanto ne volevano.

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».
Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini.
Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano.
E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo. Parola del signore.

COMMENTI

1. Congregazione per il Clero.
La liturgia della domenica di questo Tempo Ordinario interrompe la lettura del Vangelo di Marco per iniziare la lettura del capitolo 6 del Vangelo di Giovanni, legato al segno della moltiplicazione dei pani e dei pesci e al discorso sul “Pane di vita”, che accompagnerà il cammino delle prossime sei domeniche.
In un continuo intrecciarsi di simboli e di allusioni, Giovanni mette in risalto il significato della presenza di Cristo, che è garanzia di salvezza. Il dono del pane, “segno” insuperabile della presenza stessa di Cristo, è conseguenza della compassione che il Signore prova per la folla rimasta sola, “come pecore senza pastore” (XVI domenica T.O.). È da quella compassione che è generato il pane, il dono che Gesù fa di sé per la vita del mondo.
L’amore per il destino ultimo dell’uomo suscita l’audacia di Dio che si serve dell’uomo stesso, per realizzare tutto il suo disegno di salvezza. “Dove possiamo comprare il pane…?”: nella domanda rivolta a Filippo, Gesù non pone una questione di ordine pratico (il pane da mangiare), ma tenta di suscitare tutta la fiducia che l’Apostolo può e deve riporre nel Suo Signore.
Dove”, indica l’origine, la natura (da dove). Come Nicodemo che non sa da dove viene il vento (3,8), la samaritana di dove viene l’acqua (4,11), il maestro di tavola di dove viene il vino buono (2,9).
Basterebbe poco, da parte di Filippo e degli altri, basterebbe uno sguardo profondo su quell’uomo che guarda la folla e guarda loro, basterebbe dire: “Tu, solo Tu, puoi dare da mangiare loro, saziando la loro fame!”
La preoccupazione di Filippo, di calcolare una cifra spropositata per loro, di risolvere il problema in quell’istante, lo distrae da quella straordinaria Presenza, lo distrae dall’unica risposta possibile: Gesù.
Il peccato della distrazione è un peccato che allontana dalla possibilità di una potenza che si mette in atto di fronte a tutti i bisogni nostri. Basta riconoscere il “Tu” di Cristo, per comprendere “dove trovare il pane”.
Quanto questo peccato è ricorrente di fronte all’Eucarestia?
Ciò che offre il ragazzino sembra inutile, inadeguato, seppure di un rilevante richiamo biblico (i pani d’orzo di Eliseo in 2Re 4,42-44; la somma dei cinque pani e due pesciolini è il numero dei giorni della creazione…), ma pare non bastare.
Per l’occhio dell’uomo bisogna avere di più, per il cuore di Dio basta quel poco per la sovrabbondanza. È la Provvidenza!
E quando furono saziati, disse ai discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Il comando di Gesù ai discepoli contiene in sé un rimando alla preziosità di quel pane, che ha sfamato la folla. Raccogliere i pezzi avanzati è un’operazione che richiede grande cura e soprattutto il riconoscimento di un valore. Quei pezzi avanzati sono l’immagine corporea del fatto che ogni grazia concessa dal Signore non è commisurata alla capacità ricettiva dell’uomo, ma la supera incommensurabilmente.
Quelle dodici ceste di pezzi avanzati diventano così il segno della grande abbondanza che viene da Dio e della fame che dobbiamo avere della grazia divina, dell’opera di Dio nella nostra vita.
Senza di Te, o Dio, nulla esiste di valido e di santo …” (Colletta), la Madonna, Vergine, nel cui grembo ogni abbondanza è stata riversata, faccia affiorare sulle nostre labbra e nel nostro cuore questa certezza.


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2. p. Raniero Cantalamessa ofmcapp.
Per cinque domeniche, il Vangelo è costituito da un brano del discorso sul pane di vita tenuto da Gesù nella sinagoga di Cafarnao e riferito dall’evangelista Giovanni. Il brano di questa domenica è dato dall’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci che fa da introduzione al discorso eucaristico.
Non è casuale che la presentazione dell’Eucaristia cominci con il racconto della moltiplicazione dei pani. Con ciò si viene a dire che non si può separare, nell’uomo, la dimensione religiosa da quella materiale; non si può provvedere ai suoi bisogni spirituali ed eterni, senza nello stesso tempo, preoccuparsi dei suoi bisogni terreni e materiali.
Fu proprio questa, per un momento, la tentazione degli apostoli. In un altro passo del Vangelo, si legge che essi suggerirono a Gesù di congedare la folla, perché andasse nei villaggi vicini a procurarsi da mangiare. Ma Gesù rispose: “Date loro voi stessi da mangiare!” (cfr. Matteo 14, 16). Gesù, con ciò, non chiede ai suoi discepoli di fare miracoli. Chiede di fare quello che possono. Di mettere in comune e di condividere quello che ognuno ha. In aritmetica, moltiplicazione e divisione sono due operazioni opposte, ma in questo caso sono la stessa cosa. Non c’è “moltiplicazione” senza “divisione” (o condivisione)!
Questo legame tra il pane materiale e quello spirituale era visibile nel modo in cui veniva celebrata l’Eucaristia nei primi tempi della Chiesa. La cena del Signore, chiamata allora agape, avveniva nel quadro di un pasto fraterno, in cui si condivideva sia il pane comune sia quello eucaristico. Questo faceva sentire come scandalose e intollerabili le differenze tra chi non aveva niente da mangiare e chi era “ubriaco” (cf. 1 Cor 11, 20-22). Oggi l’Eucaristia non si celebra più nel contesto del pasto comune, ma il contrasto tra chi ha il superfluo e chi non ha il necessario non è diminuito, anzi ha assunto dimensioni planetarie.
Su questo punto ha qualcosa da dirci anche il finale del racconto. Quando tutti hanno mangiato Gesù ordina: “Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto”. Noi viviamo in una società dove lo spreco è di casa. Siamo passati, in cinquant’anni, da una situazione in cui si andava a scuola o alla Messa domenicale tenendo, fin sulla soglia, le scarpe in mano per non consumarle, a una situazione in cui si buttano via scarpe quasi nuove per adeguarsi alla moda che cambia.
Lo spreco più scandaloso avviene nel settore dell’alimentazione. Secondo una ricerca condotta dal ministero dell’agricoltura americano, un quarto dei prodotti alimentari finisce ogni giorno nella spazzatura, per non parlare di quello che si distrugge deliberatamente prima che giunga sul mercato. Gesù non disse quel giorno: “Distruggete i pezzi avanzati perché il prezzo del pane e del pesce, non diminuisca sul mercato”. Ma oggi si fa proprio questo.
Sotto l’effetto di una pubblicità martellante, consumare, non risparmiare, è oggi la parola d’ordine in economia. Certo, non basta risparmiare. Anche Paperon de’ Paperoni era un grande risparmiatore, ma non è certo questo l’ideale a cui il Vangelo ci spinge. Il risparmio deve consentire agli individui e alle società dei paesi ricchi di essere più generosi nell’aiutare i paesi poveri. Se no, è avarizia, più che risparmio.
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3. Luciano Manicardi 
Il pane, nutrimento basilare dell’uomo mediterraneo, diviene il segno della cura che Dio ha per l’uomo e del suoamore sovrabbondante nel racconto in cui venti pani d’orzo, “secondo la parola del Signore” trasmessa dal profeta Eliseo, sfamano cento persone e ne avanza perfino (I lettura). Nel vangelo, cinque pani d’orzo e due pesci, mediante i gesti e le parole di Gesù, sfamano cinquemila persone e anche in questo caso avanza molto cibo. Più che di moltiplicazione, occorre parlare dicondivisione e di dono.
L’iniziativa di sfamare le folle non viene dai discepoli (come nei sinottici), ma direttamente da Gesù. Non è motivata neppure dalla compassione nei confronti di folle stanche o smarrite (come in Mc 6,34; 8,2; Mt 15,32). Il gesto di Gesù è sovranamente gratuito: è un’azione, non una reazione. Nasce solo dal suo sguardo sulla folla in quel tempo prossimo alla Pasqua (cf. Gv 6,4). E così il gesto appare rivelativo: sia in rapporto al Dio che nella Pasqua compirà il suo amore sovrabbondante per l’uomo donando il suo stesso Figlio per la vita del mondo, sia in rapporto all’uomo e alla sua fame non dovuta a particolari circostanze, ma fondamentale, costitutiva. Questa fame non è una disgrazia, ma la verità umana ordinata alla verità di Dio che la precede e la fonda e che è il desiderio di Dio di consegnarsi all’uomo per aver comunione con lui e perché l’uomo abbia la vita in abbondanza.
Il pane è il simbolo più adeguato per esprimere il bisogno dell’uomo e l’amore di Dio. Tutta la storia di salvezza può essere riassunta nel gesto con cui Dio “dà il pane a ogni creatura” (Sal 136,25). Realtà umanissima, il pane è simbolo di vita e riunisce in sé il riferimento alla natura e alla cultura, alla terra, al lavoro dell’uomo, alla sua corporeità, alla sua fondamentale povertà, alle dimensioni della convivialità e dell’incontro, della socialità e della comunione, insomma di tutto ciò che dà senso alla vita sostentata dal pane. Il pane simbolizza tutto ciò che è essenziale per la vita.

Il gesto eucaristico di Gesù (“prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì”: Gv 6,11) indica sia l’eucaristia come luogo di incontro di Dio con l’uomo sotto il segno della gratuità, dell’amore sovrabbondante ed eccessivo, del dono che non può essere contraccambiato, sia l’essenzialità del ringraziamento che l’uomo è chiamato a fare prima di mangiare, di fronte a ogni cibo, come confessione di fede che la vita non viene da lui ma è dono. Nel momento dello sfogo dell’appetito basilare della creatura, il ringraziamento immette una distanza tra sé e il proprio bisogno che restituisce l’uomo alla propria verità confessando il Dio signore della vita.
La folla coglie correttamente il gesto di Gesù comesegno che rivela qualcosa della sua identità profonda (cf. Gv 6,14), ma ne trae conseguenze che Gesù rigetta in modo netto. Sapendo che volevano farlo re, Gesù si ritira in solitudine sulla montagna (cf. Gv 6,15). La sua regalità è altra e apparirà nella paradossale gloria del Crocifisso. Gesù rifiuta la logica mondana di re e governatori che chiede potere e legittimazione del proprio dominio in cambio di elargizioni di mezzi di sussistenza. Gesù si rifiuta di umiliare la fame “ontologica” dell’uomo, il bisogno umano, sfruttandolo per sé, e di attentare alla gratuità di Dio, facendone mercato.
Gesù si ritira, “fa anacoresi”, persino “fugge”, secondo alcuni testimoni della tradizione manoscritta (Gv 6,15). Fugge chi di un profeta vuole fare un re, chi da un gesto di amore e di rivelazione vuole trarre un’istituzione politica. Fugge chi lo applaude e lo acclama, fugge persino i propri discepoli, mostrando che a volte l’arte della fuga è l’unica possibilità di salvaguardare la qualità e la dignità della propria vita e l’evangelicità della propria fede. Gesù fugge, ma non per isolarsi, bensì per trovarsi insieme con il Padre. Fugge nella solitudine abitata della sua comunione con il Padre. Gesù è “tutto solo” (Gv 6,15). Ma dice altrove Gesù: “Io non sono solo, perché il Padre è con me” (Gv 16,32).
4. Enzo Bianchi
Il brano evangelico di domenica scorsa narrava il tentativo da parte di Gesù di ritirarsi in disparte, insieme ai suoi discepoli, per riposare un poco. Questo progetto però fallisce, perché nello sbarcare all’altra riva del lago di Galilea essi scoprono di essere stati preceduti da una grande folla bisognosa della parola di Gesù, vero cibo capace di saziare la fame di ogni uomo; allora “Gesù si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose” (Mc 6,34). E il racconto prosegue con la moltiplicazione dei pani (cf. Mc 6,35-44 e par.) operata da Gesù in favore di quelle persone… Con grande intelligenza spirituale il lezionario tralascia a questo punto la lettura cursiva del vangelo secondo Marco, proponendo all’attenzione dei cristiani lo stesso episodio della moltiplicazione dei pani e la sua interpretazione eucaristica secondo il quarto vangelo: per alcune domeniche sosteremo dunque sul capitolo sesto del vangelo secondo Giovanni.
Di fronte alla numerosa folla che li attende, Gesù rivolge a Filippo una precisa domanda: “Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?”. Quest’ultimo registra la reale impossibilità di sfamare tante persone – “duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo” – e Andrea aggiunge: “C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?”. Siamo di fronte a una situazione di stallo, non sembrano esserci vie d’uscita umanamente praticabili. Ed ecco che Gesù prende l’iniziativa con sovrana gratuità: fatta sedere quella moltitudine, “prese i pani e, dopo aver reso grazie – parole che costituiscono un chiaro rimando al gesto eucaristico – li distribuì a quelli che si erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero”. Ma c’è di più: con i pezzi avanzati si riempiono dodici canestri…

I quasi cinquemila uomini presenti restano impressionati da tale evento, e subito affermano a proposito di Gesù: “Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo!”. Sì, il profeta promesso da Dio per gli ultimi tempi, il profeta uguale a Mosè (cf. Dt 18,15-18) è ormai presente in mezzo al suo popolo: occorre pertanto incoronarlo re, occorre riconoscergli il potere politico, poiché egli è capace di soddisfare le attese della gente… Ebbene, è proprio a questo livello che emerge la differenza e si consuma la frattura tra la folla e Gesù, che pure si era mostrato accogliente verso di essa, fino a sfamarla con grande compassione: quando Gesù comprende che il gesto da lui compiuto non aveva suscitato la fede nella sua persona, ma, al contrario, era servito solo a fomentare attese mondane, subito “si ritira di nuovo sulla montagna, tutto solo”.
Egli è consapevole che questa sua reazione deluderà le attese di molti, ma non può acconsentire a questi facili entusiasmi e ai progetti politici che ne derivano. Gesù infatti non era venuto nel mondo per diventare un re tra i re di questa terra (cf. Gv 18,35-38), non era venuto per conquistare un potere e godere di riconoscimenti mondani. Egli non ha moltiplicato il pane per compiere un miracolo, un atto strabiliante in grado di impressionare le folle, ma lo ha fatto per dare loro un “segno” (cf. Gv 6,26), cioè un segnale: occorre non arrestare lo sguardo sui pani moltiplicati, ma dirigerlo verso colui che ha compiuto tale gesto, Gesù, perché egli è “il pane della vita” (Gv 6,35), l’unico pane capace di sfamare per la vita eterna (cf. Gv 6,51).
Davvero Gesù “sapeva quello che c’è in ogni uomo” (Gv 2,25), e quindi non si illude e non illude le persone che incontra. Quante volte invece uomini di chiesa o semplici cristiani paiono intenti unicamente a organizzare il consenso, a cercare di impressionare l’uditorio e, nello stesso tempo, a riporre la loro fiducia nelle folle facilmente suggestionabili! No, Gesù ci ha insegnato che non può esistere una regalità umana né per la chiesa né per i cristiani: i cristiani regnano solo quando servono i fratelli, quando spendono la vita per loro, amandoli gratuitamente fino alla fine (cf. Gv 13,1). Solo così essi possono essere autentici discepoli di Gesù Cristo, “il pane di Dio che discende dal cielo e dà la vita per il mondo” (Gv 6,33).

DALLA TRADIZIONE  PATRISTICA

SANT'AGOSTINO 

DISCORSO 130


DALLE PAROLE DEL VANGELO DI GIOVANNI (5, 5-14):
DOVE SI NARRA IL MIRACOLO DEI CINQUE PANI E DUE PESCI

Significato del miracolo.
1. Fu operato un miracolo grande, saziando con cinque pani e due pesci cinquemila uomini e potendo riempire dodici ceste di pezzi avanzati. Grande il miracolo, ma esso non ci meraviglia molto se consideriamo chi l'ha compiuto. Ha moltiplicato i cinque pani tra le mani di coloro che li dividevano colui che moltiplica i semi che germinano sulla terra, tanto che si gettano pochi granelli e si riempiono i granai. Ma, poiché lo ripete ogni anno, nessuno se ne stupisce. Non è la mancanza di risalto nell'evento a togliere la meraviglia, ma la continuità. D'altra parte, il Signore, quando operava di queste cose, si esprimeva, per chi stava ad intenderlo, non solo a parole, ma anche attraverso gli stessi miracoli. I cinque pani significano i cinque Libri della Legge di Mosè. La Legge antica è orzo rispetto al grano evangelico. In quei Libri si contengono grandi misteri del Cristo. Pertanto egli stesso affermò: Se credeste a Mosè, credereste anche a me; infatti egli ha scritto di me. Ma come nell'orzo l'interno è nascosto sotto la pula, così il Cristo si cela sotto il velo dei misteri della Legge. Come i misteri della Legge sono presentati e messi in evidenza, così anche quei pani si espandevano quando venivano spezzati. Vi ho spezzato del pane ed è ciò che vi ho esposto. I cinquemila uomini significano il popolo posto sotto la Legge. Le dodici ceste sono i dodici Apostoli, i quali, a loro volta, sono stati riempiti dei passi della Legge. I due pesci sono o i due precetti dell'amore di Dio e del prossimo, o i due popoli: il popolo dei circoncisi Giudei e il popolo degli incirconcisi Gentili, o anche, le sacre persone del re e del sacerdote. Queste verità, nell'analisi dell'esposizione, vengono come sminuzzate; mentre si comprendono, si fanno alimento.
Cristo, diventato pane, in forza dell'incarnazione. Cristo mercante. Com'è nostro Redentore.
2. Rivolgiamoci a lui che ha compiuto tali cose, egli è il pane disceso dal cielo; ma un pane che fa ristorare e non si può consumare; un pane che può nutrire e non si può esaurire. Anche la manna era figura appunto di questo pane. Al riguardo fu detto: Ha dato loro il pane del cielo, l'uomo ha mangiato il pane degli angeli. Chi, se non Cristo, è il pane del cielo? Ma perché l'uomo potesse mangiare il pane degli angeli, il Signore degli angeli si è fatto uomo. Perciò, se tale non si fosse fatto, non avremmo il suo corpo; non avendo il corpo proprio di lui, non mangeremmo il pane dell'altare. Fratelli miei, desideriamo la vita di Cristo, ne abbiamo infatti il pegno, la morte di Cristo. Come non ci darà i suoi beni egli che soffrì i nostri mali? In questa terra, in questo mondo posto nel maligno, che cosa si trova in abbondanza se non il nascere, il tribolare, il morire? Passate al crivello le vicende umane, smentitemi, se non sono sincero. Osservate se tutti gli uomini sono in questo mondo per fine diverso dal nascere, tribolare e morire. Tali sono i prodotti della nostra regione, essi quaggiù abbondano. Per avere di tali merci, quel Mercante vi discese. E poiché ogni mercante dà e riceve, dà quel che possiede e riceve quel che non possiede; quando acquista qualcosa dà il denaro e riceve quello che acquista. Anche Cristo, in questo commercio, ha dato e ha ricevuto. Ma che ha ricevuto? Ciò che quaggiù si trova in abbondanza: il nascere, il tribolare, il morire. E che cosa ha dato? Il rinascere, il risorgere, il regnare per l'eternità. O Mercante buono, acquistaci! Che sto a dire " acquistaci " quando dobbiamo rendere grazie perché ci hai già comprati? Tu versi per noi il nostro prezzo. Noi leggiamo il Vangelo, il nostro documento. Siamo i tuoi servi, siamo tua fattura; ci hai creati, ci hai riscattati. Ognuno può comprarsi uno schiavo, quanto a crearlo, non può; il Signore, invece, e ha creato e ha riscattato i suoi servi; li creò perché avessero l'esistenza, li riscattò perché non fossero schiavi per sempre. Finimmo, infatti, in mano al principe di questo mondo, che ingannò Adamo e lo asservì e dette inizio al suo dominio su di noi, diventati come schiavi nati. Venne, però, il Redentore e il seduttore fu vinto. E il nostro Redentore come trattò chi ci aveva resi schiavi? Per il nostro riscatto tese come trappola la sua croce; vi pose, quale esca, il suo sangue. A quello, invece, fu possibile far versare questo sangue, non meritò di berne. E per il fatto che fece versare il sangue di chi nulla gli doveva, fu obbligato a restituire i debitori; sparse il sangue dell'innocente, fu obbligato a rilasciare i colpevoli. In realtà, il Signore versò il proprio sangue allo scopo di cancellare i nostri peccati. Quindi ciò che convalidava il potere di quello su di noi fu distrutto dal sangue del Redentore. Non altrimenti che con i vincoli dei nostri peccati ci teneva infatti schiavi. Ecco, queste le catene della schiavitù. Egli venne, legò il forte con le catene della sua passione; entrò nella dimora di lui, vale a dire nei cuori degli uomini, dove quello abitava, e gli portò via i vasi. Quello li aveva colmati della sua amarezza. Anche al nostro Redentore, nel fiele, dette da bere tale amarezza. Quello ci aveva perciò colmati come vasi di sua proprietà, ma il Signore nostro, afferrando i vasi di lui e facendoli propri, li vuotò dell'amaro e li colmò di dolcezza.
Cristo dev'essere amato. Da questo che ha compiuto si fa degno di fede ciò che ha promesso.
3. Amiamolo, allora, perché è amabile. Gustate e vedete quanto è buono il Signore. Dev'essere temuto, ma ancor più amato. E' uomo e Dio: un solo Cristo è uomo e Dio; con un solo uomo l'anima e il corpo; ma non due persone, Dio e uomo. In Cristo sono certamente due le nature, quella di Dio e quella dell'uomo, ma unica la Persona, così che sussista la Trinità e non risulti una quaternità, in seguito all'Incarnazione. Come può avvenire che Dio non abbia compassione di noi, quando, per quelli che noi siamo, Dio si fece uomo? E' tanto ciò che egli ha compiuto e quanto egli ha fatto è più mirabile di quello che ha promesso; e, da quanto ha compiuto, dobbiamo credere ciò che ha promesso. Infatti, difficilmente crederemmo ciò che egli ha fatto se non lo vedessimo pure. Dove lo vediamo? Nei popoli credenti, nella moltitudine che lo ha seguito. Si è infatti realizzato quello che fu promesso ad Abramo, e in forza di queste cose che vediamo, crediamo quello che non vediamo. Abramo fu un uomo solo e gli fu detto: Nella tua discendenza saranno benedette tutte le nazioni. Se avesse tenuto conto di sé, quanto avrebbe creduto? Era un uomo solo ed era già vecchio, e aveva una moglie sterile e tanto avanzata in età da esserle impossible concepire, anche se non fosse stata sterile. Non era affatto il caso di sperare alcunché. Ma era proteso verso il datore della promessa e credeva ciò che non vedeva. Generò Isacco, non lo vedemmo; ed Isacco generò Giacobbe ed anche questo non fu visto da noi; e Giacobbe generò dodici figli e anche questi non li vedemmo; e i suoi dodici figli generarono il popolo d'Israele: vediamo un popolo numeroso. Ho già parlato anche degli eventi che constatiamo. Dal popolo d'Israele nacque la vergine Maria, e generò Cristo; ed ecco, in Cristo sono benedette tutte le nazioni. Che di più vero? Che di più certo? Che di più chiaro? Desiderate con me la vita futura, voi, che siete venuti dal popolo dei Gentili. In questa vita Dio ha adempiuto la sua promessa riguardo alla discendenza di Abramo. Per conseguenza, come non darà le sue promesse riguardanti l'eternità a noi, che ha fatto essere discendenza di Abramo? E' quanto dice infatti l'Apostolo: Ma se voi siete di Cristo - sono le parole dell'Apostolo - dunque, siete discendenza di Abramo.
Quello che Cristo ci ha dato è più mirabile di quanto promette.
4. L'inizio del nostro essere è stato qualcosa di grande. Nessuno faccia poco conto di sé: già privi dell'essere, siamo ora qualcosa. Abbiamo detto al Signore: Ricorda che siamo polvere; egli fu a plasmare l'uomo della polvere, e alla polvere dette la vita, ed in Cristo Signore nostro, proprio questa polvere ha già elevato al regno del cielo. Prese infatti di qui la carne, di qui prese la terra e la terra sollevò fino al cielo colui che creò la terra e il cielo. Supponendo che ci venissero presentati due eventi nuovi, non ancora realizzati e ci si chiedesse: Che è più mirabile, che si faccia uomo chi è Dio, oppure che chi è uomo diventi uomo di Dio? Che cosa c'è di più mirabile, che c'è di più difficile? Che cosa ci ha promesso il Cristo? Ciò che non vediamo ancora: cioè che siamo gli uomini suoi, che regniamo con lui e non moriamo in eterno. Si crede quasi con difficoltà il fatto che uno, nato uomo, giunga a quella vita dove non si debba morire mai. Ecco quanto crediamo dopo aver scrollato il cuore; scrollato, dico, dalla polvere del mondo, e impedire che appunto la polvere ricopra gli occhi della fede. Ecco quanto ci si impone di credere, che quando saremo morti, anche con i corpi già estinti saremo in vita là dove non dobbiamo mai morire. E' cosa mirabile, ma è ancora più mirabile ciò che ha realizzato Cristo. Che è infatti più incredibile, che l'uomo viva sempre o che Dio muoia una volta? Non è più credibile che gli uomini ricevano la vita da Dio? Da parte mia ritengo più incredibile che Dio riceva la morte dagli uomini, come appunto è avvenuto: crediamo anche quello che avverrà. Se quanto è più incredibile si è verificato, non ci darà ciò che è più accessibile alla fede? Dio, infatti, ha il potere di rendere angeli gli uomini, egli che fece gli uomini da origine terrena e che spaventa. Che saremo? Angeli. Ma che siamo stati? Fa vergogna ricordarlo. Sono costretto a pensarvi e mi vergogno a parlarne. Che siamo stati? Da che Dio plasmò gli uomini? Che siamo stati prima della nostra reale esistenza? Nulla eravamo. Quando si era nel grembo materno, che eravamo? Basta immaginarlo da parte vostra. Distogliete il pensiero dal nulla da cui siete stati creati e riflettete a ciò che siete. Voi siete dei viventi; ma hanno vita anche le erbe e gli alberi. Avete sensibilità, ma l'hanno pure le bestie. Siete uomini, siete da più delle bestie, siete superiori agli animali perché vi rendete conto di quanti beni siamo stati gratificati. Avete la vita, la sensiblità, l'intelletto, siete uomini. Ma che può essere paragonato a un tale beneficio? Siete Cristiani. Se infatti non l'avessimo ricevuto, che gioverebbe l'essere uomini? Dunque, siamo Cristiani, apparteniamo a Cristo. Infierisca pure il mondo, non ci abbatte, perché apparteniamo a Cristo. Infierisca pure il mondo, non ci abbatte, perché apparteniamo a Cristo. Lusinghi pure il mondo, non ci seduce; noi apparteniamo a Cristo.
La sicurezza dei Cristiani: la protezione di Cristo.
5. Abbiamo trovato, fratelli, un grande patrono. Voi sapete che gli uomini si pongono dalla parte dei loro patroni. Ad uno che minaccia, risponde il protetto del maggiore: Salvo il capo di lui, mio signore, non mi fai nulla. Con quanta maggior forza e maggiore certezza noi diciamo: Salvo il nostro Capo, ci farai nulla. Infatti il nostro patrono è il nostro Capo. Tutti quelli che si pongono dalla parte di un uomo quale patrono, sono i protetti di lui: noi siamo le membra del nostro patrono. Ci porti egli in sé e nessuno potrà strapparci da lui. Dopo che avremo tollerato qualsiasi travaglio in questo mondo, tutto ciò che ha fine è nulla. Verranno i beni che non avranno fine: si giunge ad essi attraverso le sofferenze. Ma, una volta raggiunta la mèta, nessuno ci strappa di lì. Si chiudono le porte di Gerusalemme, si fissano anche le sbarre per dire a quella città:Glorifica il Signore, Gerusalemme, loda, Sion, il tuo Dio perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte, in te ha benedetto i tuoi figli. Egli ha messo pace nei tuoi confini. Chiuse le porte, fissate le sbarre, non esce alcun amico, non entra alcun nemico. Ivi abbiamo la vera e ferma sicurezza, a condizione che sulla terra non avremo abbandonato la verità.