mercoledì 18 luglio 2012

Il "Magnificat" di Gesù

Di seguito il Vangelo di oggi, 18 luglio, mercoledi della XV settimana del T.O., con un commento e un testo di sant'Ilario.


Guardate, frati, L’umiltà di Dio,
e aprite davanti a lui i vostri cuori;
umiliatevi anche voi, perché egli vi esalti.
Nulla, dunque, di voi, tenete per voi;
affinché vi accolga tutti colui che a voi si da tutto

San Francesco



Dal Vangelo secondo Matteo 11,25-27.

In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. 
Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. 
Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.



IL COMMENTO


Le parole oranti del Signore che si rivolgono al Padre in un'estatica benedizione ci schiudono oggi una finestra sui sentimenti più intimi di Dio. Possiamo avventurarci nel cuore del Padre e conoscere quello di cui si compiace. La relazione di profonda comunione tra Padre e Figlio, la conoscenza reciproca che è, secondo il linguaggio della Scrittura, un' unione profonda e indissolubile. Il Padre e il Figlio uniti nell'esultanza e nella gioia di fronte al Mistero rivelato ai piccoli. Mistero nel mistero. I piccoli, gli infanti secondo la traduzione in latino della Vulgata, colui che non ha ancora l'uso della parola. Dio rivela il Suo cuore a chi ancora non sa parlare. Le Sue parole sono per chi non ha parole


E invece noi siamo imbottiti di parole. Parole spesso vuote a cercare di razionalizzare pensieri irrazionali. Non abbiamo posto per le parole di Dio. La sapienza e l'intelligenza mondane, figlie del principe di questo mondo, affogano il nostro cuore  e strozzano la nostra mente. Siamo impermeabili alla Parola fatta carne. Ci crediamo adulti perchè presumiamo di condurre le nostre esistenze attraverso le parole. Chiacchere, per giustificare, per legare, per sciogliere, per ingannare, per sedurre, per vincere, per vendicare, per uccidere. La Scrittura infatti mette in guardia dal troppo e dal vano parlare: "Le parole della bocca dell'uomo sono acqua profonda... con la bocca l'uomo sazia il suo stomaco, egli si sazia con il prodotto delle sue labbra. Morte e vita sono in potere della lingua, e chi l'accarezza ne mangerà i frutti" (Pr. 18, 4. 20-21). C'è come un'ingordigia nelle nostre parole, non ce diamo conto, le accarezziamo credendo di trovarne beneficio, ne gustiamo gli amari frutti. Divisioni, liti, invidie, passioni. Un laccio è la nostra lingua e ci tiene imprigionati. E' questa una delle radici più profonde della nostra infelicità, siamo schiavi delle nostre parole. 


Ma il Signore viene anche oggi al nostro incontro, la sua preghiera illumina la nostra tenebra, e ci chiama a conversione. Ci prende per mano come ha fatto con Giobbe, intrappolato anch'egli nella rete delle sue troppe parole e nei lacci delle insensate parole dei suoi amici pseudo-sapienti. Il Signore ci prende per mano e ci conduce in un cammino di verità. Ci rivela i misteri del Regno, ci fa conoscere Suo Padre, ci mostra la Croce. La verità, l'amore inaudito di Dio. Eccoci, sotto la Croce. Contempliamo oggi il cuore di Dio, "l'uomo dei dolori", l'Agnello senza macchia. Contempliamo il Suo amore per riconoscere i nostri peccati. Come Giobbe mettiamo la mano sulla bocca, impariamo il silenzio stupito dell'infante. E' tutto troppo più grande di noi. Non sappiamo. Non conosciamo. Non capiamo. Accettiamolo. Conosciamo Dio per sentito dire, impariamo a conoscerlo attraverso gli occhi di un cuore puro, piccolo, infante. Rimaniamo nel Suo amore come Maria, ad imparare ascoltando le Sue Parole. 


Lasciamo che la vita e la storia che il Padre traccia per noi distrugga le sicurezze, gli schemi, i criteri. Lasciamo che la Croce che oggi ci accoglie sia il crogiuolo dove bruciare quello che di noi appartiene alla carne a al mondo. Lasciamoci purificare. Lasciamo che Dio ci faccia piccoli. Chiediamo con il Salmo che Dio metta una sentinella alla porta delle nostre labbra, che il Suo Spirito ci difenda da inutili parole. Che Dio faccia oggi, e ogni giorno, il miracoli di ricrearci piccoli, infanti appena divezzati in braccio alla madre, abbandonati nelle viscere di misericordia del Padre. E lì, tra le Sue braccia, tranquilli e sereni senza aspirare a cose troppo alte, senza pretendere nulla, saziarci delle Sue Parole, miele dolcissimo, le uniche parole di vita.

* * *

Sant'Ilario di Poitiers (circa 315-367), vescovo, dottore della Chiesa 
Trattato sulla Trinità 2, 6-7 


« Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il figlio lo voglia rivelare »

       
Dal Padre viene tutto quanto esiste. Lui in persona, in Cristo e per Cristo, è all'origine di tutto. Del resto, è in se stesso il suo essere, e non riceve da nessuno quello che è... È infinito perché non sta in qualche luogo, ma tutto è in lui... È prima del tempo, il tempo viene da lui. Il tuo pensiero corra dietro a lui, se credi di giungere ai limiti del suo essere, sempre lo ritroverai, perché mentre avanzi senza sosta verso di lui, la meta verso la quale ti dirigi si allontana sempre di più... Tale è la verità del mistero di Dio, tale è l'espressione della natura impenetrabile del Padre... Per esprimerla, la parola può soltanto tacere, per scrutarlo, il pensiero rimane inerte, e per  afferrarlo, l'intelligenza si sente allo stretto.

        Eppure, questo nome di Padre indica la sua natura : egli è in tutto Padre. Infatti non riceve da nessuno, come gli uomini, il fatto di essere Padre. Egli è l'Eterno non generato... È conosciuto soltanto dal Figlio poiché : « Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare », e « Nessuno conosce il Figlio se non il Padre ». Tutti e due si conoscono l'un l'altro e questa conoscenza mutua è perfetta. Perciò, poiché : « Nessuno conosce il Padre se non il Figlio », riteniamo dal Padre il solo pensiero conforme a quello che è stato rivelato a noi dal Figlio, l'unico « testimone fedele » (Ap 1, 5).

        È meglio pensare a quanto riguarda il Padre che parlarne. Infatti ogni parola è incapace di tradurre le sue perfezioni... Possiamo soltanto riconoscere la sua gloria, avere di essa una certa idea, e provare di precisarla con l'immaginazione. Ma il linguaggio degli uomini prova la sua impotenza e le parole non spiegano la realtà così come è... Perciò, per quanto riconosciamo Dio, dobbiamo rinunciare a chiamarlo : qualsiasi siano le parole usate, non potranno esprimere Dio così come egli è, né tradurre la sua grandezza... Dobbiamo credere in lui, provare di comprenderlo e adorarlo ; facendo questo, parleremo di lui.