lunedì 30 luglio 2012

Sancta simul et semper purificanda


Di seguito il Vangelo di oggi 31, martedi della XVII settimana del Tempo Ordinario. Con un commento, una omelia di Papa Paolo VI sulla parabola del buon grano e della zizzania e un testo breve della Beata Teresa di Calcutta. Buona lettura!







 "Ecclesia... Sancta simul et semper purificanda, 
poenitentiam et renovationem continuo prosequitur", 
è nello stesso tempo santa e ha bisogno, per essere santa, 
di purificazione e cammina sulla strada continua della penitenza, 
che è sempre la sua strada, 
e così trova sempre il rinnovo, sempre necessario.
La Chiesa del Signore, 
che è venuto a cercare i peccatori e ha mangiato alla tavola dei peccatori volutamente, 
non può essere una Chiesa fuori della realtà del peccato, 
ma è la Chiesa nella quale vi sono zizzania e grano.

Card. Joseph Ratzinger






Dal Vangelo  secondo Matteo 13,35-43.


Gesù lasciò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si accostarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell'uomo. Il campo è il mondo. Il seme buono sono i figli del regno; la zizzania sono i figli del maligno, e il nemico che l'ha seminata è il diavolo. La mietitura rappresenta la fine del mondo, e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, intenda!




IL COMMENTO


In questo brano del Vangelo è Gesù in persona che commenta la sua stessa parola: con semplicità e chiarezza, senza giri di parole. Non annacqua, non trucca, non cede ai compromessi. Per i suoi discepoli la Parola delle parabole diviene chiara come un alba, non è possibile sbagliare: la Parola non è come quei disegni appena abbozzati che si trovano nei settimanali enigmistici, il cui esito definitivo è lasciato all'abilità dei lettori. Non si tratta di aggiungere, togliere, correggere, colorare a proprio piacimento. La Parola del Signore è una spada, arriva diritta al cuore, senza sconti. Per questo è Verità che genera libertà. "Per mezzo delle realtà comuni [Gesù] vuole indicarci il vero fondamento di tutte le cose e così la vera direzione che dobbiamo imboccare nella vita di tutti i giorni, per seguire la retta via. Egli ci mostra Dio, non un Dio astratto, ma il Dio che agisce, che entra nella nostra vita e ci vuole prendere per mano" (J. Ratzinger - Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Vol. I). 


La Parabola della zizzania illumina la natura della Chiesa e l'identità dei cristiani. Figli di un Regno che non è di questo mondo ma che vi camminano giorno dopo giorno: nel mondo ma non del mondo. A gomito a gomito con la zizzania, con i figli del maligno, e qui Gesù precipita inesorabilmente nel politicamente scorrettissimo. Esistono i figli del demonio. Coloro che ne compiono i desideri, che obbediscono ad un padre che è nemico acerrimo di Dio. Figli del maligno, assassini che cercano di uccidere Cristo. Spesso travestiti da figli di Abramo, battezzati chissà, ma con tra le mani opere che di Abramo non hanno neanche l'ombra. "Se, con l’incarnazione del Verbo, la figliolanza divina fosse attribuita immediatamente a ogni uomo, il mistero della scelta o elezione e quindi la fede, il battesimo e la Chiesa non avrebbero più alcun ruolo costitutivo per la salvezza: la missione della Chiesa nel mondo sarebbe solo quella di far prendere coscienza a tutti gli uomini di questa salvezza già presente nella profondità di ognuno. Insomma, ogni uomo, in virtù dell’incarnazione del Verbo, acquisirebbe automaticamente, anche se inconsapevolmente, “l’esistenza in Cristo” ricevendo così, in virtù della sua trascendenza come persona umana, gli effetti salvifici della redenzione operata da Gesù Cristo. Sarebbe un “cristiano anonimo”. (Ignace De La Potterie, Figli di Dio non si nasce. 

Si diventa). 


Ma non è così. Nelle parole del Signore emerge, come una saetta, una verità incontrovertibile: esistono i figli del Regno ed i figli del maligno. Vivono fianco a fianco, e la missione della Chiesa non è, come nell'Islam, sradicare la zizzania malvagia, ma, semplicemente, vivere secondo la propria natura. Si comprende così come alle fonti della missione della Chiesa e di ciascun cristiano vi sia una tenace e perseverante difesa della primogenitura, della misteriosa elezione ad essere, per il mondo, sale, luce e lievito, segno autentico e credibile del Regno di Dio. Vivere in pienezza la cittadinanza celeste, lasciare che Cristo, primogenito dei figli del regno, mostri in ciascuno la sua natura; pur tra le debolezze e le imperfezioni della carne, lasciar brillare la bellezza del Signore, riflesso della bellezza di una vita secondo la volontà del Padre: "La natura corrotta dal peccato genera perciò i cittadini della città terrena, mentre la grazia che libera la natura dal peccato genera i cittadini della città celeste. Perciò i primi sono chiamati vasi d’ira; gli altri sono chiamati vasi di misericordia. Se ne ha un simbolo anche nei due figli di Abramo. L’uno, Ismaele, nacque secondo la carne dalla schiava Agar, l’altro, Isacco, nacque secondo la promessa da Sara, che era libera. Entrambi sono stirpe di Abramo, ma un rapporto puramente naturale ha fatto nascere il primo, invece la promessa che è segno della grazia ha donato il secondo. Nel primo caso si rivela un comportamento umano, nel secondo caso si rivela la grazia di Dio" (S. Agostino, De Civitate Dei).  

Dietro le parole del Signore si staglia il salmo 37: "Non adirarti contro gli empi non invidiare i malfattori. Come fieno presto appassiranno, cadranno come erba del prato. Confida nel Signore e fà il bene; abita la terra e vivi con fede. Cerca la gioia del Signore, esaudirà i desideri del tuo cuore. Manifesta al Signore la tua via, confida in lui: compirà la sua opera; farà brillare come luce la tua giustizia, come il meriggio il tuo diritto. Sta  in silenzio davanti al Signore e spera in lui; non irritarti per chi ha successo, per l'uomo che trama insidie. Desisti dall'ira e deponi lo sdegno, non irritarti: faresti del male, poiché i malvagi saranno sterminati, ma chi spera nel Signore possederà la terra. Ancora un poco e l'empio scompare, cerchi il suo posto e più non lo trovi. I miti invece possederanno la terra e godranno di una grande pace.  Conosce il Signore la vita dei buoni, la loro eredità durerà per sempre. Non saranno confusi nel tempo della sventura e nei giorni della fame saranno saziati. Il Signore fa sicuri i passi dell'uomo e segue con amore il suo cammino. Se cade, non rimane a terra, perché il Signore lo tiene per mano. I giusti possederanno la terra e la abiteranno per sempre". 

Occhi aperti dunque, e un abbandono sconfinato e audace alla fedeltà del Signore. Intorno a noi il male esiste, esiste il demonio che cerca il bambino per divorarlo, ossia la primogenitura, l'immagine di Cristo in ciascuno di noi, figli del Regno. Esiste un combattimento, ed inizia nel nostro cuore, dove anche si annidano semi velenosi deposti dal nemico. E' fondamentale saper discernere il bene ed il male, per non cadere in stolte semplificazioni: "Il bene è una cosa, il male è un’altra. Non si possono mescolare; anche se la realtà li mostra come in convivenza, frammisti l’uno all’altro. Il giudizio morale, per un cristiano, ha da essere severo, rettilineo, costante, limpido e, in un certo senso, intransigente. Bisogna dare alle cose il loro proprio nome: questo si chiama bene, quello si chiama male. E cioè: la coscienza non dev’essere mai indebolita e alterata, o resa indifferente, impassibile, poiché non è lecito applicare indistintamente i criteri del bene e del male alla realtà sociale che ci circonda" (Paolo VI, Omelia dell'8 novembre 1964).

La nostra lotta infatti non è contro le creature di sangue e di carne, ma contro gli spiriti che abitano questo mondo di tenebra. Il combattimento non è contro i figli del maligno, ma contro il maligno stesso, che attenta alle nostre radici, per strapparci il tesoro più grande: l'amicizia e l'intimità di Cristo. "Gesù paragona il Regno dei cieli ad un campo di grano, per farci comprendere che dentro di noi è seminato qualcosa di piccolo e nascosto, che, tuttavia, possiede un’insopprimibile forza vitale... Gesù ci avverte che, dopo la semina fatta dal padrone, “mentre tutti dormivano” è intervenuto “il suo nemico”, che ha seminato l’erba cattiva. Questo significa che dobbiamo essere pronti a custodire la grazia ricevuta dal giorno del Battesimo, continuando ad alimentare la fede nel Signore, che impedisce al male di mettere radici. Sant’Agostino, commentando questa parabola, osserva che “molti prima sono zizzania e poi diventano buon grano” e aggiunge: “se costoro, quando sono cattivi, non venissero tollerati con pazienza, non giungerebbero al lodevole cambiamento” " (Benedetto XVI, Angelus del 17 luglio 2011). La lotta appare allora per quello che in realtà essa è, una difesa strenua, sino al sangue, contro il peccato, contro gli inganni macchinati dal demonio. E' una lotta d'amore, stringersi sempre più come pietre vive a Cristo, lasciarci amare, colmare, perdonare, consolare, deliziare da Lui. Cercare in Lui la nostra gioia. Lasciarci attrarre dal suo amore, celebrare il suo amore, nell'ascolto della Parola, nei sacramenti, nella comunione con i fratelli, nell'obbedienza al Magistero e alla guida della Chiesa. Vivere in Cristo, di Cristo, per Cristo. 

Nella certezza che tutto concorre al bene di coloro che sono amati da Dio e Lui amano al di sopra di ogni cosa. Cercare prima di tutto il Regno di Dio, per sperimentare che poi tutto ci viene dato in aggiunta. Come vasi di creta, portare con gioia il tesoro immenso dell'amore di Cristo. "Questo tesoro fa di tutta la vita un cammino, un progredire, sempre preceduti e accompagnati da quei fatti di grazia operati dal Signore che tornano a sorprendere il cuore nutrendo così la fede" (De la Potterie, cit.). Questo cammino di fede rinnovato ogni giorno, sulle tracce della penitenza e della conversione, diviene esso stesso un annuncio, un grido che chiama ogni uomo alla Verità, alla salvezza. I figli del maligno non sono distrutti, ma lasciati accanto ai figli del Regno perchè, sino all'ultimo istante della loro vita, possano alzare lo sguardo e implorare la misericordia, quell'amore impresso nei fratelli di Cristo. "L’esperienza della figliolanza è invece tutta piena solo di gratitudine, per il dono immeritato, e di speranza nei confronti di tutti. Per cui non si tratta di giudicare i miscredenti, i lontani, o addirittura quelli che possono sembrare avversari. Anche perché ognuno di loro può, quando meno se lo aspetta, incontrare il fatto cristiano... Questa gratitudine non giudica nessuno, ma è magnanima e misericordiosa anche davanti all’errore e al peccato. Come accadde a san Francesco Saverio, il discepolo prediletto che Ignazio di Loyola aveva mandato a evangelizzare il lontano Oriente. Davanti ai peccati anche turpi dei pagani, Francesco Saverio si stupiva che senza la fede, i sacramenti e la preghiera filiale non ne facessero di più gravi. Come scrive in una lettera inviata ai suoi compagni da Cochin, nel 1552: «Io non mi meraviglio per i peccati che esistono fra bonzi e bonze, quantunque ve ne siano in grande quantità. Anzi, mi meraviglio che non ne facciano più di quelli che fanno…».  


I figli del regno come il miele per le api, come la dolcezza dell'amore di Cristo tra i pungiglioni della morte che sono i peccati di ogni generazione. L'amore infinito come miele che cola dall'arnia della scuola, del lavoro, del condominio, del mercato; della malattia e della precarietà, di ogni istante donato ai figli del Regno. Miele dolcissimo capace di salvare, per sempre, anche il peggior figlio del maligno, perchè non cada nella fornace ardente ed eterna. Il miele di Cristo, che ci attrae e ricrea ogni istante. "Il grano seminato da Cristo, seminato da Dio nel mondo, giungerà a maturazione, e cioè nessuna egregia impresa, nessun desiderio o sforzo per dare al bene la sua energia ed espansione andrà perduto: giacché il premio eterno è assicurato a coloro che porteranno il buon frumento nei granai celesti" (Paolo VI, cit.).


PARABOLA DEL FRUMENTO E DELLA ZIZZANIA


OMELIA DI PAOLO VI
Domenica, 8 novembre 1964



La prima impressione, leggendo il Vangelo di questa domenica, è la brevità e semplicità - sono sette versetti - della parabola che il Signore ci presenta: narrazione famosa e a tutti nota, del buon frumento e della zizzania. Nel riascoltarla siamo pure colpiti dalla vivida ricchezza e dalla vastità di dottrina che il brano contiene; dalla quantità di questioni a cui risponde, sì che, ben può dirsi, esso sembra condensare in visione sintetica, lineare, nientemeno che l’intero panorama del mondo.
Questa parabola, infatti, non tratta forse della storia delle singole anime, della storia della società, della grande famiglia umana; e non presenta il misterioso, sconcertante problema dell’esistenza del male? Chi crede in Dio, chi ha fiducia in Lui, chi cerca di seguire i suoi precetti, si imbatte, a un dato momento, in una tentazione, che deve essere certamente la più grave, se, nella storia delle conversioni, sempre è inclusa questa tappa come un punto obbligato.

IL MISTERO DEL MALE

È l’interrogativo: se Dio c’è, perché ci deve essere il male? perché le cose debbono andare tanto alla rovescia? perché c’è questa tolleranza di offese, di bestemmie, di peccati? perché le vicende umane non sono meglio regolate?
La tentazione, assai comune, si manifesta così acuta, che gli ingegni più eletti, a cominciare da Sant’Agostino, hanno provato l’urto, l’inciampo nel considerare questa scena del mondo, che sorprende e sgomenta. Ci sono stati coloro i quali hanno detto che Dio ha creato un mondo perfetto, ma essi sembrano smentiti dalla realtà; e così non pochi si chiedono che deve pensarsi di un Dio il quale crea e tollera delle cose imperfette. D’altra parte sappiamo come molta letteratura, divulgata dopo la guerra, imputi nientemeno che a Dio tutte le nostre disgrazie, le nostre mancanze; e rovesci contro di Lui, con sacrilega protervia, l’insieme del male inesplicabile che troviamo nel mondo.
Sorge, allora, un altro quesito: quale contegno tenere? Dobbiamo combattere il male, fare una crociata, per sradicarlo da questo mondo, sino ad usare anche le forze esteriori materiali, il potere della spada? Leggiamo il Vangelo e troveremo una immensa luce. Dio stesso è il protagonista della parabola oggi rievocata. È lui, il padrone del campo, a dirci: No; non strappate ora la zizzania poiché c’è il rischio che sradichiate anche il grano; non agite in questa maniera, perché altrimenti ne andrebbe di mezzo anche il bene; non dovete combattere il male in modo violento, perché sarebbe proprio rendere male per male. Invece la sapiente regola è che bisogna vincere il male col bene, e allora ecco un aspetto del vasto, modernissimo problema: l’atteggiamento degli uomini, definito, a seconda dei diversi casi, degli individui, delle ideologie : tolleranza, convivenza, transigenza, indifferenza, pluralismo. Insomma, come ci si deve comportare dinanzi all’irrompere e alla molteplicità, alla aggressività del male? Si deve rimanere impassibili, lasciar che le cose vadano per la loro china, od opporsi in qualche maniera? si deve forse attenuare la fede nella giustizia, sottostare, a proposito del mondo, allo scetticismo che sembra ormai guadagnare i magni intelletti del nostro tempo, secondo cui bisogna essere indifferenti, perché la morale è un’entità sui generis, anch’essa mobile come tutte le altre cose, e perciò occorre adattarsi?
Ecco spiegazioni, che equivalgono a transigere, a ripiegare su compromessi. Si tratta di adattamenti, vili in fondo, poiché si rimane sconfitti dalla incapacità di spiegare e di vincere il male.


PERICOLI GRAVI PER I GIOVANI


La parabola offre un’ulteriore alta lezione. La giustizia esiste: se adesso non ha il suo trionfo e la sua piena applicazione, l’avrà in un giorno tremendo, e nulla passerà senza subire il giudizio. Verrà il giorno della messe e allora la separazione tra il bene e il male sarà visibile, tangibile e storica. Il male avrà la sua punizione; il bene il suo premio. Questo è l’insegnamento del Vangelo; ed è molto ampio, tanto che verrebbe voglia di spiegarlo a capitoli. Ma basterà prenderne una parte sola, e soffermarvisi per un ristoro delle nostre anime, per edificarci un istante, e far ritorno dalla Messa festiva più decisi e più confortati. L’ammaestramento più semplice è questo: non dobbiamo scandalizzarci né scoraggiarci; non dobbiamo lasciare che la vista, l’esperienza del male - parliamo di quello morale specialmente - abbiano influsso dannoso sopra di noi. Perché (ed ecco un’altra ricchezza della parabola, che meriterebbe una approfondita analisi), il male è contagioso, è pervicace, impressionante; ha un suo impeto di propagazione, che purtroppo tante volte il bene non ha; si diffonde con una facilità simile a quella di un’epidemia; sembra una pestilenza che si dilata con estrema facilità: in una parola, il cattivo esempio è una delle maggiori disgrazie della nostra povera umanità. Chi ha pratica di gioventù specialmente, sa come in essa esista, alcune volte, una spiccata bramosia non solo di conoscere il male, ma di sperimentarlo, fino a simpatizzare con esso.


NECESSARIA FERMEZZA DI FRONTE AD APPARENTI CONTRADDIZIONI


Ciò indica una evidente contraddizione. A un certo punto, determinate circostanze sembrano rendere condiscendente e vinto il giovane sino ad allora animato da tanti buoni propositi, ricco di tante belle promesse, vero cavaliere dell’ideale. All’improvviso cede a uno spirito di gregarismo (altra parola moderna), o alla facilità di arrendersi al deteriore esempio, di irreggimentarsi con quanti osano le peggiori spavalderie e le più riprovevoli azioni. Ecco un altro argomento e motivo da meditare con dolore: il potere del cattivo esempio. E allora qual è il contegno da osservare? Forse quello di non scandalizzarsi, diventare passivi, rimanere indifferenti, incapaci di impressionarsi; essere gente a cui nulla importa, perché ammette che il mondo è sempre andato così e non occorre prendersela troppo, e quindi non resta se non tirare avanti alla buona, lasciar svigorire il senso morale e il desiderio del bene, giacché il male esiste e sembra più attraente dello stesso bene? O dobbiamo reagire con mezzi radicali, violenti? Quale, insomma, dev’essere il nostro contegno da cristiani e da discepoli di Nostro Signore?


IL LIMPIDO GIUDIZIO DEL CRISTIANO

Ecco una mirabile lezione di questo Vangelo. Qualunque sia l’esperienza, il quadro che abbiamo davanti agli occhi, delle condizioni morali del nostro tempo, della società, degli esempi che ci si offrono, giammai dobbiamo perdere il senso del bene e del male; né devono esistere confusioni nella nostra anima; il nostro giudizio sia sempre preciso, nettissimo: sì, si; no, no.
Il bene è una cosa, il male è un’altra. Non si possono mescolare; anche se la realtà li mostra come in convivenza, frammisti l’uno all’altro.
Il giudizio morale, per un cristiano, ha da essere severo, rettilineo, costante, limpido e, in un certo senso, intransigente. Bisogna dare alle cose il loro proprio nome: questo si chiama bene, quello si chiama male. E cioè: la coscienza non dev’essere mai indebolita e alterata, o resa indifferente, impassibile, poiché non è lecito applicare indistintamente i criteri del bene e del male alla realtà sociale che ci circonda.
La seconda attitudine che il Vangelo ci raccomanda è quella di immunizzarci a vicenda; di conservarci buoni anche se siamo in una società o in un ambiente contrari al bene; di non lasciare che l’infezione ci raggiunga e si propaghi in noi; ma di essere pronti ad anestetizzare, a immunizzare, ad applicare la profilassi morale, la disinfezione fin dove è possibile: nelle nostre case, nei nostri ambienti, nella nostra anima, e particolarmente nel nostro cuore. Soprattutto occorre tenere puro il nostro abitacolo interiore. Il Vangelo offre ulteriori lezioni proprio su questa custodia gelosa che dobbiamo avere non tanto dell’ambiente esterno quanto dell’intimo del nostro cuore. Nel recondito segreto dei nostri pensieri ha da risplendere la purezza, devono albergare la luce, la rettitudine, l’amore; non è consentita alcuna forma di male nemmeno nei desideri: il cuore deve essere salvato dal contagio di perversità che ci circonda.
Infine - è sempre la parabola ad insegnare - cerchiamo di far crescere egualmente questo rigoglioso frumento, cioè il bene. Se il male è vistoso, rendiamo potente a maggior ragione il bene. Atteniamoci a quanto acutamente indica San Paolo: «vince in bono malum».
Accresciamo in ogni momento la sostanza e il vigore del bene. Tutte le storture che vediamo intorno a noi e che lamentiamo, dipendono, in realtà, a guardarle bene, da una certa viltà dei buoni, dalla loro debolezza. Il Pontefice Pio XII di v.m. asseriva che la fiacchezza dei buoni è la grande causa o almeno la grande occasione delle cose cattive che sono nella nostra società, nel nostro tempo. Con questa inefficienza il giusto può tramutarsi in individuo imbelle, inerte, codardo, egoista, incapace di agire: in tal modo lascia trionfare il male nel mondo.


L’APOSTOLATO SAPIENTE


Al contrario, cerchiamo - conclude il Santo Padre - di evitare tante critiche e di non maledire, o di lasciarci soverchiare da timori e tristi presagi. Diamo, invece, al bene il suo rigoglio e la sua testimonianza; offriamo alle buone iniziative il nostro conforto. Occorre praticare, anche nella piccola cerchia della esistenza di ognuno, il saggio apostolato e cercare di far progredire la statistica delle opere buone: in tal modo la vita di tutti sarà certo migliorata.
Comunque ogni particolare finirà per svolgersi secondo il piano evangelico: il grano seminato da Cristo, seminato da Dio nel mondo, giungerà a maturazione, e cioè nessuna egregia impresa, verun desiderio o sforzo per dare al bene la sua energia ed espansione andrà perduto: giacché il premio eterno è assicurato a coloro che porteranno il buon frumento nei granai celesti.


Beata Teresa di Calcutta (1910-1997), fondatrice delle Suore Missionarie della Carità
A Simple Path, 69 



« Il seme buono sono i figli del regno »


Non ci sono due mondi, il mondo fisico e il mondo spirituale ; ce n'è solo uno : il Regno di Dio « come in cielo così in terra » (Mt 6, 10).

Molti tra noi dicono nella preghiera : « Padre nostro che sei nei cieli ». Pensano che Dio sia lassù, il che radica l'idea di una separazione fra i due mondi. A molti occidentali piace distinguere la materia dallo spirito. Ma ogni verità è una, e anche la realtà è una. Appena ammettiamo l'incarnazione di Dio, che per i cristiani si realizza nella persona di Gesù Cristo, allora cominciamo a prendere le cose sul serio.