Oggi 10 AGOSTO celebriamo la festa liturgica di
SAN LORENZO Diacono e Martire (+ 258) Di seguito l'omelia del Card. Bagnasco, presidente della Cei.
Arcidiocesi di
Genova
San Lorenzo,
10.8.2012
OMELIA
“Non serviam”
Carissimi Fratelli e Sorelle nel
Signore,
festeggiare San Lorenzo, al quale è
dedicata questa nostra cattedrale, è sempre un caro appuntamento. Egli diede la
sua vita per Cristo nella persecuzione di Valeriano, nel III secolo, a soli
quattro giorni dal martirio di Papa Sisto II e di altri quattro diaconi. Il
crudele supplizio è noto a tutti: ucciso a fuoco lento sulla graticola.
Lorenzo, di fronte alla pretesa di consegnare i beni della Chiesa di Roma, fa
una scelta spiazzante e fortemente simbolica: dona tutto ai poveri e li
presenta a Valeriano. Con un solo gesto, gli significa due cose: che nella
Chiesa ogni bene terreno è destinato ai poveri, e che i poveri sono il vero
tesoro della Chiesa. Il suo atto non solo risponde all’arroganza
dell’imperatore, ma è rilevante per la storia intera. E noi, oggi, ancora ne
parliamo!
1. Ha rilievo, infatti, ciò che desta a
diverso titolo attenzione e considerazione. E certamente il gesto di Lorenzo e
il suo martirio sono stati, nel mondo pagano, motivo di domanda: non era più
logico salvarsi la vita ed ottenere onori cedendo al potente? Perché beneficare
dei miserevoli sconosciuti e morire in modo atroce? Il diacono martire ha
certamente illustrato il perché della sua scelta: la fede in Gesù. Ma invano.
Se Lorenzo non avesse parlato, il suo martirio sarebbe passato alla storia come
il gesto di un folle; le sue parole, invece, sono state sicuramente motivo di
considerazione, forse di messa in dubbio di un certo modo di pensare e di
vivere. Per allora e per oggi! Non basta, dunque, la testimonianza cristiana
come a volte si pensa, è necessaria anche la parola chiara e coraggiosa che
accompagna l’agire e ne illumina il significato. La testimonianza da sola,
infatti, proprio perché anticonformista, può essere considerata una stranezza.
La parola forte del martire, invece, illumina il perché di uno stile
controcorrente non per singolarità o smania eccentrica, ma per fedeltà al
Vangelo. E qui troviamo la specifica presenza e la principale rilevanza del
cristiano nella storia: la scelta di Lorenzo non passa sotto silenzio e nulla
resta identico a prima. Il suo martirio, infatti, è profezia, cioè annuncia una
verità che è al di sopra, e che precede l’autorità umana e il conformismo
dominante. Nel “non serviam” all’imperatore, egli dice che quel modo di fare è
vecchio e superato; dice che una realtà nuova è apparsa e che, nonostante la
prevaricazione, il nuovo mondo ha già vinto anche se ora soccombe. Egli non
voleva difendere le ricchezze della Chiesa - senza le quali peraltro non si può
aiutare nessun bisognoso! - ma la libertà della Chiesa per la sua missione di
salvezza. Quando la verità è annunciata, allora i potenti della terra - anche
se discordi e contrariati - sono richiamati al loro alveo di azione, sentono
che il loro potere non è illimitato e arbitrario fino a sovvertire la natura
delle cose, ma deve rispondere al giudizio degli uomini, nonché a quello di
Dio. Così è stato nella vicenda di San Lorenzo, paladino non di un pauperismo
ante litteram, ma della missione libera della Chiesa verso tutti, a cominciare
da chi è in maggiore difficoltà.
2. Molte volte, nella storia, la
missione della Chiesa è emersa con particolare rilievo segnando, anche senza
volerlo, il corso dei secoli. San Benedetto, con l’ordinamento dei suoi
monasteri, ha aperto la strada all’organizzazione responsabile e democratica
della vita civile. La Chiesa non vuole rivendicare primati o titoli, con
l’aiuto di Dio fa il suo dovere accanto alla gente e dà loro voce: ai poveri,
alle giovani generazioni, agli anziani e ai malati, alla famiglia, realtà
insostituibile e ineguagliabile del tessuto sociale, che ha sempre più bisogno di
vera considerazione e concreti sostegni.
Anche oggi, ascolta l’ansia dei
lavoratori che sono in apprensione per l’occupazione; di tanti giovani che non
riescono ad entrare nella società che produce, e dà loro voce senza populismi,
con umiltà. Essi sanno che la Chiesa è loro vicina senza interessi propri, e
invoca soluzioni sagge non solo per Genova ma per il Paese che, grazie ad una
storia consolidata di laboriosità e perizia, ha raggiunto eccellenze lavorative
e industriali invidiabili e appetibili. Tale operosità suscita spesso fiducia:
ne siamo umilmente grati, conoscendo i nostri limiti e le nostre fragilità, e
siamo certi che tutti, credenti o no, non possano che esserne lieti.
Nello stesso tempo, la Chiesa ha la
missione di annunciare il Vangelo con le implicazioni che esso ha sul piano
antropologico, etico e sociale. E questo anche quando la sua voce sembra ìmpari
rispetto a clamori alti e orchestrati; anche se, ad esempio, l’etica
dell’autonomia - l’idea cioè che ognuno deve essere libero di perseguire ogni
suo desiderio e che la società deve garantire questa possibilità - sembra
diventare norma. Ma il relativismo morale dove ci ha portato? Lo scenario
pubblico parla di avidità e cinismo, anziché di valori e virtù che sono il futuro
di tutti.
3. Ora ci chiediamo: la voce della
cristianità e la sua opera possono avere un rilievo e un’incidenza ulteriori?
Oppure devono rassegnarsi ad essere considerate delle presenze socialmente
utili? Mi pare che, sempre guardando alla vicenda del nostro Santo, potremmo
rispondere così: se è vero che il male influisce sul modo di pensare e di agire
comune, è pur vero che ciò accade anche per il bene. Non si tratta solo della
forza del buon esempio – e già questa è grande! – ma anche di provocazione
delle coscienze, a volte di benefica
messa in crisi del proprio stile di vita o di quello collettivo; si tratta di
far maturare una mentalità. Sembra che la società oggi debba essere “mutante”
per essere all’altezza dei tempi e in linea con esempi dei quali si dovrebbero
meglio considerare le conseguenze delle proprie “mutazioni”: una società il cui
unico punto fermo e stabile sembra dover essere la “mutevolezza”, fino a
cercare di ridefinire tutto di quel patrimonio
umano universale, che è la vera anima del pensare civile e politico.
Non so se l’imperatore Valeriano, dopo
la testimonianza di Lorenzo, abbia cambiato il suo stile di governo verso
l’impero e i cristiani. Ma certamente avrà pensato a quella che gli appariva
una posizione strana e insensata. Il tarlo benefico della domanda, della
curiosità almeno, circa quell’uomo, lo avrà preso. E dato che la storia
rispetta la legge della continuità, una nuova epoca si stava preparando anche
con il sangue di San Lorenzo.
4. Senza l’anima spirituale e morale non
esiste rilevanza storica, perché non esisterebbe sostanza. Senza, ogni forma di
doverosa partecipazione alla costruzione della città terrena, è un involucro
vuoto e dannoso, solo di potere, che cerca di riempirsi con pressioni e
convenienze. I cristiani, com’è loro dovere, sono stati e continueranno ad
essere lievito nella società con fiducia e spirito di servizio, consapevoli di aver ricevuto un giacimento
inesauribile di visione e di valori religiosi, umani e culturali. La loro
presenza – com’è noto - non è codificata in formule specifiche, fatta salva la
consapevolezza che sui principi di fondo non si può mercanteggiare, che i
valori non sono tutti uguali ma esiste una interna gerarchia e connessione; che
l’etica della vita e della famiglia non sono la conseguenza ma il fondamento
della giustizia e della solidarietà sociale; e fatta salva la memoria delle
esperienze pregresse. Comunque è sempre doveroso che, nella vita pubblica, i
cattolici siano sempre più numerosi e ben formati, come da tempo esorta il
Santo Padre Benedetto XVI e i Vescovi italiani. I grandi statisti cattolici che
l’Italia ricorda, hanno portato la propria indiscutibile statura umana e
cristiana che il Paese, l’Europa e gli scenari internazionali esigevano, allora
come oggi. Hanno messo a servizio, non di se stessi ma del bene comune, un’alta
caratura intellettuale, spirituale e dottrinale formata alla luce del Magistero
sociale della Chiesa, senza reticenze o complessi, avendo ben chiara la
fisionomia e la distinzione tra i
diversi problemi e i diversi livelli.
Cari Amici, abbiamo guardato a San
Lorenzo, al suo martirio, alla rilevanza che esso ha avuto e continua ad avere
anche per noi. Dalla fede brilla una luce che non ha tempo né teme complessità
e problemi. Il cristiano, con questa luce che illumina la ragione, può
affrontare serenamente le sfide
dei nostri giorni come di altre
epoche. Dal cielo continui a guardarci con affetto, e illumini le nostre menti
per essere testimoni sapienti e coraggiosi della fede, sapendo che essa non è una gabbia per la libertà dell’uomo ,
ma la salvaguardia migliore, perché – in nome della libertà di ciascuno – a
piccoli passi non si snaturi l’umanità di tutti.
* * *
Biografia di san Lorenzo, testi della liturgia e commenti
Un antico documento del 354, la Depositio martyrum, ricorda fra gli altri santi anche il popolare diacono della Chiesa di Roma, sepolto il 10 agosto presso l’Ager Veranus (l’attuale cimitero grande di Roma) sulla via Tiburtina: lì vi è ora la basilica in suo onore. La sua figura già nel IV secolo appare aureolata di leggenda. Arrestato assieme al papa Sisto II, Lorenzo non sarebbe stato subito ucciso (perché i persecutori speravano di strappargli i beni della comunità cristiana) ma bruciato vivo alcuni giorni più tardi, dopo che egli aveva dichiarato di non possedere altre ricchezze che i poveri a lui affidati dalla Chiesa. La sua festa era di precetto fino al secolo scorso e gli elementi della liturgia della vigilia e del giorno sono presenti nei più antichi Sacramentari. L’esempio di Lorenzo, caduto in terra come grano pronto per la semina, ha portato frutti abbondanti, suscitando una schiera di generosi giovani a servizio della Chiesa e dei poveri. Il diaconato (= servizio) è sempre stato un ufficio di primo piano nelle assemblee liturgiche. Il Concilio lo ha rimesso in luce, facendone anche un ministero permanente e «a sé stante», con caratteristiche liturgiche e caritative tutte proprie.
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Fu ministro del sangue di Cristo
Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo (Disc. 304, 14; PL 38, 1395-1397)
Oggi la chiesa di Roma celebra il giorno del trionfo di Lorenzo, giorno in cui egli rigettò il mondo del male. Lo calpestò quando incrudeliva rabbiosamente contro di lui e lo disprezzò quando lo allettava con le sue lusinghe. In un caso e nell'altro sconfisse satana che gli suscitava contro la persecuzione. San Lorenzo era diacono della chiesa di Roma. Ivi era ministro del sangue di Cristo e là, per il nome di Cristo, verso il suo sangue. Il beato apostolo Giovanni espose chiaramente il mistero della Cena del Signore, dicendo: «Come Cristo ha dato la sua vita per noi, così anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1 Gv 3, 16). Lorenzo, fratelli, ha compreso tutto questo. L'ha compreso e messo in pratica. E davvero contraccambio quanto aveva ricevuto in tale mensa. Amò Cristo nella sua vita, lo imitò nella sua morte. Anche noi, fratelli, se davvero amiamo, imitiamo. Non potremmo, infatti, dare in cambio un frutto più squisito del nostro amore di quello consistente nell'imitazione del Cristo, che «patì per noi, lasciandoci un esempio, perché ne seguiamo le orme» (1 Pt 2, 21). Con questa frase sembra quasi che l'apostolo Pietro abbia voluto dire che Cristo patì solamente per coloro che seguono le sue orme, e che la passione di Cristo giova solo a coloro che lo seguono. I santi martiri lo hanno seguito fino all'effusione del sangue, fino a rassomigliarli nella passione. Lo hanno seguito i martiri, ma non essi soli. Infatti, dopo che essi passarono, non fu interrotto il ponte; né si è inaridita la sorgente, dopo che essi hanno bevuto. Il bel giardino del Signore, o fratelli, possiede non solo le rose dei martiri, ma anche i gigli dei vergini, l'edera di quelli che vivono nel matrimonio, le viole delle vedove. Nessuna categoria di persone deve dubitare della propria chiamata: Cristo ha sofferto per tutti. Con tutta verità fu scritto di lui: «Egli vuole che tutti gli uomini siano salvati, e arrivino alla conoscenza della verità» (1 Tm 2, 4). Dunque cerchiamo di capire in che modo, oltre all'effusione del sangue, oltre alla prova della passione, il cristiano debba seguire il Maestro. L'Apostolo, parlando di Cristo Signore, dice: «Egli, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio». Quale sublimità! «Ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso» (Fil 2, 7-8). Quale abbassamento! Cristo si è umiliato: eccoti, o cristiano l'esempio da imitare. Cristo si è fatto ubbidiente: perché tu ti insuperbisci? Dopo aver percorso tutti i gradi di questo abbassamento, dopo aver vinto la morte, Cristo ascese al cielo: seguiamolo. Ascoltiamo l'Apostolo che dice: «Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio» (Col 3, 1). |
MESSALE
Antifona d'Ingresso
Questi è il diacono san Lorenzo, che diede la sua vita per la Chiesa: egli meritò la corona del martirio, per raggiungere in letizia il Signore Gesù Cristo. Colletta O Dio, che hai comunicato l'ardore della tua carità al diacono san Lorenzo e lo hai reso fedele nel ministero e glorioso nel martirio, fa' che il tuo popolo segua i suoi insegnamenti e lo imiti nell'amore di Cristo e dei fratelli. Per il nostro Signore... LITURGIA DELLA PAROLA Prima Lettura 2 Cor 9, 6-10 Dio ama chi dona con gioia. Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi Fratelli, tenete presente questo: chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà. Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia. Del resto, Dio ha potere di far abbondare in voi ogni grazia perché, avendo sempre il necessario in tutto, possiate compiere generosamente tutte le opere di bene. Sta scritto infatti: «Ha largheggiato, ha dato ai poveri, la sua giustizia dura in eterno». Colui che dà il seme al seminatore e il pane per il nutrimento, darà e moltiplicherà anche la vostra semente e farà crescere i frutti della vostra giustizia. Salmo Responsoriale Dal Salmo 111 Beato l’uomo che teme il Signore. Beato l’uomo che teme il Signore e nei suoi precetti trova grande gioia. Potente sulla terra sarà la sua stirpe, la discendenza degli uomini retti sarà benedetta. Felice l’uomo pietoso che dà in prestito, amministra i suoi beni con giustizia. Egli non vacillerà in eterno: eterno sarà il ricordo del giusto. Egli dona largamente ai poveri, la sua giustizia rimane per sempre, la sua fronte s’innalza nella gloria. Canto al Vangelo Gv 18,12 Alleluia, alleluia. Chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita, dice il Signore. Alleluia. Vangelo Gv 12, 24-26 Se il chicco di grano muore, produce molto frutto. Dal vangelo secondo Giovanni In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà».
* * *
Dai "Trattati sul Vangelo di Giovanni" di sant'Agostino, vescovo
(51, 12-13)
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Che cosa si intende per servire Cristo? Se per servire Cristo intendiamo provvedere alle sue necessità corporali, cucinare e servirlo a tavola, versargli da bere e presentargli la coppa, ebbene questo è quanto fecero coloro che poterono godere della sua presenza fisica, come Marta e Maria allorché Lazzaro era uno dei commensali. In questo senso, però, anche il perfido Giuda servì Cristo. Egli infatti teneva la borsa; e, quantunque fosse solito rubare sacrilegamente il denaro che vi metteva dentro, tuttavia provvedeva il necessario (cf. Gv 12, 26). Perciò, quando il Signore gli disse: Ciò che devi fare, fallo al più presto, alcuni credettero che il Signore gli avesse ordinato di preparare il necessario per la festa, o di dare qualche elemosina ai poveri (cf. Gv 13, 27-29). Il Signore non pensava certo a siffatti servitori quando diceva: Dove sono io, ivi sarà anche il mio servo,e: se uno mi serve, il Padre mio lo onorerà. Vediamo infatti che in tal senso Giuda era servitore di Cristo, condannato e non onorato. Ma perché cercare altrove cosa si deve intendere per servire Cristo, quando possiamo apprenderlo da queste medesime parole? Dicendo infatti: chi mi vuol servire, mi segua, egli ha voluto farci intendere che chi non lo segue non lo serve. Servono dunque Gesù Cristo, coloro che non cercano i propri interessi ma quelli di Gesù Cristo (cf. Fil 2, 21). Mi segua vuol dunque dire: segua le mie vie, non le sue, così come altrove sta scritto: Chi dice di essere in Cristo, deve camminare così come egli camminò (1 Io 2, 6). Così, ad esempio, se uno porge il pane a chi ha fame, deve farlo animato da misericordia, non per vanità, non deve cercare in quel gesto altro che l'opera buona, senza che sappia la sinistra ciò che fa la destra (cf. Mt 6, 3), di modo che l'opera di carità non debba essere sciupata da secondi fini. Chi opera in questo modo, serve Cristo; e giustamente sarà detto di lui:Ogni volta che l'avete fatto ai più piccoli dei miei fratelli, lo avete fatto a me (Mt 25, 40). Chi compie per Cristo, non solamente opere di misericordia corporali, ma qualsiasi opera buona [e qualsiasi opera è buona se tiene conto del principio che il fine di tutta la legge è Cristo, a giustizia di ognuno che crede (Rm 10, 4)], egli è servo di Cristo, specie se giungerà fino a quella grande opera di carità che consiste nell'offrire la propria vita per i fratelli, che equivale a offrirla per Cristo. Perché anche questo dirà riferendosi alle sue membra: Quanto hai fatto per essi, lo hai fatto per me. A questo riguardo egli stesso si degnò farsi e chiamarsi servo, quando disse: Come il Figlio dell'uomo non venne per farsi servire ma per servire, e dare la sua vita per molti (Mt 20, 28). Donde ne segue che ciascuno è servo di Cristo per quelle medesime opere per cui anche Cristo è servo. E chi serve Cristo in questo modo, il Padre suo lo onorerà con quel singolare onore di accoglierlo con suo Figlio in una felicità senza fine.
Sicché, o fratelli, quando sentite il Signore che dice: Dove sono io, ivi sarà anche il mio servo, non vogliate pensare solamente ai vescovi e sacerdoti degni. Anche voi, ciascuno a suo modo, potete servire Cristo, vivendo bene, facendo elemosine, facendo conoscere a quanti vi è possibile il suo nome e il suo insegnamento. E così ogni padre di famiglia si senta impegnato, a questo titolo, ad amare i suoi con affetto veramente paterno. Per amore di Cristo e della vita eterna, educhi tutti quei di casa sua, li consigli, li esorti, li corregga, con benevolenza e con autorità. Egli eserciterà così nella sua casa una funzione sacerdotale e in qualche modo episcopale, servendo Cristo per essere con lui in eterno. Molti come voi, infatti, hanno compiuto il supremo sacrificio, offrendo la propria vita. Tanti che non erano né vescovi né chierici, tanti fanciulli e vergini, giovani e anziani, sposi e spose, padri e madri di famiglia, hanno servito il Cristo fino alla suprema testimonianza del sangue; e poiché il Padre onora chi serve il Cristo, hanno ricevuto fulgidissime corone.
* * *
San Lorenzo, le stelle cadenti e il Sacro Graal
di Rino Cammilleri
«San Lorenzo, perché tanto di stelle per l’aere turchino arde e cade?». Così inizia la poesia del Pascoli X agosto, e io, scolaro elementare, mentre, costretto, la imparavo a memoria, mi chiedevo che cosa significasse quella «x». Solo alle medie avrei saputo che non era una lettera ma il numero romano che sta per 10.
Il poeta aveva i suoi motivi (l’omicidio del padre) per collegare le festa di San Lorenzo al «pianto di stelle», ma il martire del III secolo non c’entrava con le meteore che si incendiano brevemente entrando nell’atmosfera. Io le ricordo, bisognava guardare in direzione delle Pleiadi, di notte e in campagna, attorno, appunto, al 10 agosto. Ma tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana, quando l’inquinamento, anche quello luminoso, rendeva i cieli notturni del Sud letteralmente tempestati di stelle.
No, non è per il povero Lorenzo che il cielo estivo piange. Se proprio si vuol cercare il meraviglioso nella vicenda di San Lorenzo, tanto vale puntare più in alto, a quella «leggenda delle leggende» che è il Graal. Sì, perché Lorenzo vi ha a che fare. E non è detto che sia una leggenda. Ma procediamo con ordine.
Lorenzo era uno dei diaconi di papa Sisto II al tempo delle persecuzioni. A Lorenzo era affidata anche la cassa della diocesi di Roma; in particolare, spettava a Lorenzo occuparsi dell’assistenza. Gli Apostoli avevano creato i primi sette diaconi appunto per questo, per sgravare se stessi dall’incombenza di dover provvedere alle vedove, agli orfani e ai bisognosi con i fondi che i primissimi cristiani mettevano in comune. Sisto II subì il martirio, poi toccò a Lorenzo.
A quest’ultimo fu riservato il supplizio della graticola perché rivelasse dove aveva messo le «ricchezze» della Chiesa. Lui indicò i poveri, per cui quelle «ricchezze» erano state spese. Poi gridò al carnefice che poteva anche rigirarlo, visto che da un lato era già «cotto», e rese l’anima a Dio. Lorenzo era ispanico, per questo il cattolicissimo imperatore Filippo II diede alla sua reggia la forma di un «escorial», una graticola.
Ebbene, nell’anno 258, poiché le cose si stavano mettendo male, Sisto II aveva affidato a Lorenzo alcuni preziosi oggetti da mettere al sicuro. Preziosi per la fede, s’intende. Lorenzo li aveva portati nel suo paese, a Huesca. Tra questi oggetti c’era anche una coppa di agata pregiata, quella con cui il papa diceva messa. Perché era speciale, quella coppa? Perché con essa usava celebrare San Pietro, che l’aveva portata a Roma da Antiochia, e ad Antiochia l’aveva portata da Gerusalemme. Con quella coppa i suoi ventidue successori celebrarono fino al tempo di Sisto II. Era la coppa che Gesù aveva usato nell’Ultima Cena. In essa il vino era stato trasformato nel suo Sangue. Infatti, la frase con cui nella messa si procedeva alla consacrazione era da considerarsi letterale: «…prese questo glorioso calice…». Ma la coppa che contenne il Sangue di Cristo è il Graal.
Che fine fece il Graal di Huesca? Attraversò il secoli passando per varie mani, sempre portato al sicuro per sottrarlo prima ai Vandali, ariani, e poi ai musulmani. Nel 1399 il re d’Aragona, Martín I, lo fece porre nella cattedrale di Saragozza e impreziosire con aggiunte in oro. Nel 1424 il re Alfonso il Magnanimo lo donò alla città di Valencia, che dal 1437 lo custodisce nella sua cattedrale. Con esso i papi Giovanni Paolo II e l’attuale Benedetto XVI, in visita, hanno celebrato la messa. Nel XX secolo è stato sottoposto a esami da parte di un pool di studiosi, i quali hanno concordemente convenuto che si tratta effettivamente di un oggetto in uso nella Palestina del I secolo.
Perché nel Medioevo il Graal si considerava «perduto» e, dunque, leggendario? Per il semplice fatto che la Spagna era dominata dagli islamici. E chi sapeva dov’era il Graal si guardava bene dall’aprire bocca.
* * *
San Lorenzo, le stelle cadenti e il Sacro Graal
di Rino Cammilleri
«San Lorenzo, perché tanto di stelle per l’aere turchino arde e cade?». Così inizia la poesia del Pascoli X agosto, e io, scolaro elementare, mentre, costretto, la imparavo a memoria, mi chiedevo che cosa significasse quella «x». Solo alle medie avrei saputo che non era una lettera ma il numero romano che sta per 10.
Il poeta aveva i suoi motivi (l’omicidio del padre) per collegare le festa di San Lorenzo al «pianto di stelle», ma il martire del III secolo non c’entrava con le meteore che si incendiano brevemente entrando nell’atmosfera. Io le ricordo, bisognava guardare in direzione delle Pleiadi, di notte e in campagna, attorno, appunto, al 10 agosto. Ma tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana, quando l’inquinamento, anche quello luminoso, rendeva i cieli notturni del Sud letteralmente tempestati di stelle.
No, non è per il povero Lorenzo che il cielo estivo piange. Se proprio si vuol cercare il meraviglioso nella vicenda di San Lorenzo, tanto vale puntare più in alto, a quella «leggenda delle leggende» che è il Graal. Sì, perché Lorenzo vi ha a che fare. E non è detto che sia una leggenda. Ma procediamo con ordine.
Lorenzo era uno dei diaconi di papa Sisto II al tempo delle persecuzioni. A Lorenzo era affidata anche la cassa della diocesi di Roma; in particolare, spettava a Lorenzo occuparsi dell’assistenza. Gli Apostoli avevano creato i primi sette diaconi appunto per questo, per sgravare se stessi dall’incombenza di dover provvedere alle vedove, agli orfani e ai bisognosi con i fondi che i primissimi cristiani mettevano in comune. Sisto II subì il martirio, poi toccò a Lorenzo.
A quest’ultimo fu riservato il supplizio della graticola perché rivelasse dove aveva messo le «ricchezze» della Chiesa. Lui indicò i poveri, per cui quelle «ricchezze» erano state spese. Poi gridò al carnefice che poteva anche rigirarlo, visto che da un lato era già «cotto», e rese l’anima a Dio. Lorenzo era ispanico, per questo il cattolicissimo imperatore Filippo II diede alla sua reggia la forma di un «escorial», una graticola.
Ebbene, nell’anno 258, poiché le cose si stavano mettendo male, Sisto II aveva affidato a Lorenzo alcuni preziosi oggetti da mettere al sicuro. Preziosi per la fede, s’intende. Lorenzo li aveva portati nel suo paese, a Huesca. Tra questi oggetti c’era anche una coppa di agata pregiata, quella con cui il papa diceva messa. Perché era speciale, quella coppa? Perché con essa usava celebrare San Pietro, che l’aveva portata a Roma da Antiochia, e ad Antiochia l’aveva portata da Gerusalemme. Con quella coppa i suoi ventidue successori celebrarono fino al tempo di Sisto II. Era la coppa che Gesù aveva usato nell’Ultima Cena. In essa il vino era stato trasformato nel suo Sangue. Infatti, la frase con cui nella messa si procedeva alla consacrazione era da considerarsi letterale: «…prese questo glorioso calice…». Ma la coppa che contenne il Sangue di Cristo è il Graal.
Che fine fece il Graal di Huesca? Attraversò il secoli passando per varie mani, sempre portato al sicuro per sottrarlo prima ai Vandali, ariani, e poi ai musulmani. Nel 1399 il re d’Aragona, Martín I, lo fece porre nella cattedrale di Saragozza e impreziosire con aggiunte in oro. Nel 1424 il re Alfonso il Magnanimo lo donò alla città di Valencia, che dal 1437 lo custodisce nella sua cattedrale. Con esso i papi Giovanni Paolo II e l’attuale Benedetto XVI, in visita, hanno celebrato la messa. Nel XX secolo è stato sottoposto a esami da parte di un pool di studiosi, i quali hanno concordemente convenuto che si tratta effettivamente di un oggetto in uso nella Palestina del I secolo.
Perché nel Medioevo il Graal si considerava «perduto» e, dunque, leggendario? Per il semplice fatto che la Spagna era dominata dagli islamici. E chi sapeva dov’era il Graal si guardava bene dall’aprire bocca.