Farsi prossimo
[1]
Vieni,
Spirito del Padre e di Gesù, guidaci verso tutta la verità, aiutaci a dimorare nell'amore di Gesù, a ricordare e a compiere tutto quello che Gesù ci ha insegnato. Signore Gesù, sotto la guida del tuo Spirito, cerchiamo di ricordare le parole che ci dicevi quando eri tra noi. Avevamo lasciato tutto e ti avevamo seguito. Eravamo conquistati dalla tua parola e dai gesti prodigiosi, con cui sanavi le debolezze umane. Aspettavamo con ansia il gesto definitivo, che avrebbe inaugurato il tuo regno sulla terra. Ma tu guardavi sempre oltre, verso un centro misterioso della tua vita, che sfuggiva continuamente alla nostra comprensione. |
Parlavi di
un cibo sconosciuto, che la volontà del Padre ti andava preparando. Parlavi di un'"ora", che avrebbe rivelato pienamente la gloria del Padre. Quando l'ora è giunta - e fu l'ora della croce e della morte - noi siamo fuggiti. Ti chiediamo perdono ancora una volta della nostra viltà: noi abbiamo paura di un amore che si concede fino alla morte. Ti chiediamo perdono della nostra poca fede: volevamo che tu salvassi gli uomini, misurandoti coi progetti degli uomini, non credevamo all'energia prodigiosa che sarebbe scaturita dalla tua obbedienza filiale; non credevamo all'amore sconfinato, con cui il Padre crea, protegge, salva e rinnova la vita di ogni uomo. |
Signore,
accresci in noi la fede, come radice di ogni vero amore per l'uomo. Come possiamo testimoniare il tuo amore? Tu un giorno ci hai raccontato di un uomo, che scendeva da Gerusalemme a Gerico e fu assalito dai briganti. Signore, quell'uomo ci chiama. Aiutaci a non restare tra le mura del cenacolo. Gerusalemme è la città della Cena, della Pasqua, della Pentecoste. Per questo ci spinge fuori per diventare il prossimo di ogni uomo sulla strada di Gerico. |
[2] Carissimi fratelli e sorelle nel Signore, anche la lettera pastorale di quest'anno inizia con una preghiera. Altri punti di partenza mi erano venuti in mente. Dovendo affrontare il tema della carità, sarei potuto partire dai tanti casi di sofferenza che incontro nel mio ministero pastorale. Le carceri, i letti dei malati, le famiglie provate economicamente, gli operai senza lavoro, i casi di solitudine e di emarginazione, le situazioni di ingiustizia e mille altri fatti ogni giorno danno una stretta al cuore e fanno venir voglia di gridare: "Svegliamoci! Non si può continuare così! Dobbiamo rinnovare radicalmente la nostra vita pastorale per aprirci agli immensi bisogni dei fratelli".
Ho preferito, tuttavia, partire ancora con una preghiera, non
solo per riconoscere, fin dall'inizio, che la carità è un dono che dobbiamo
implorare con umile fiducia, ma anche per insinuare che il fatto indiscutibile,
che deve sferzare più fortemente la nostra inerzia, è l'immensità dell'amore di
Dio. Il mio grido diventa: "Svegliamoci all'amore di Cristo! E' mai possibile
che, dopo essere stati tanto amati, noi siamo ancora così indisponibili al
contraccambio e così insensibili all'esigenza di imitare e testimoniare l'amore
che ci è stato donato?".
Né dobbiamo temere che lo spostamento di attenzione verso
l'amore di Dio renda meno urgente l'appello che ci viene dai bisogni dell'uomo.
Il fatto di sperimentare quanto è amata da Dio l'umanità concreta, che ci
portiamo dentro la nostra persona, ci offre motivi perentori, esempi stimolanti,
energie inesauribili nell'ascoltare, accogliere, aiutare 1'umanità che è
presente in ogni altra persona. Nel cap. l0 del vangelo di San Luca, Gesù, dopo
aver presentato la profonda unità che c'è tra 1'amore di Dio e l'amore del
prossimo, racconta la parabola del buon samaritano, per indicare l'ampiezza
illimitata e incondizionata dell'impegno con cui dobbiamo farci prossimo di ogni
uomo.
[3] Se dunque il primo passo della lettera pastorale è stato
la preghiera, il secondo passo sia l'ascolto della parabola del buon samaritano.
Prendendola come immagine del cammino pastorale della nostra
Chiesa, possiamo cogliere in essa quattro momenti.
Il primo momento è come un'introduzione scenica. In alto sta
Gerusalemme, con le sue mura sicure, le case accoglienti, il tempio di Dio che
offre bellezza e protezione. Mille metri più in basso, Gerico, la città delle
rose, si stende sulle rive del Mar Morto a trecento metri sotto il livello del
mare. Tra le due città una zona aspra e desertica, con una strada piena di
imprevisti e di pericoli. Un uomo, che scende da Gerusalemme a Gerico, incontra
dei briganti, che gli portano via tutto, lo bastonano e fuggono, lasciandolo
mezzo morto.
Nel nostro cammino pastorale, insieme con i discepoli di
Emmaus abbiamo incontrato il Signore, che ci ha spiegato la sua Parola; abbiamo
spezzato con lui il Pane dell'Eucaristia; siamo corsi a Gerusalemme, la città
della Cena, della Pasqua, della Pentecoste per prepararci alla missione, che ci
farà testimoni del Risorto in tutto il mondo. La missione e la testimonianza ci
portano lontano da Gerusalemme, incontro a ogni uomo che ha bisogno di aiuto. In
altre parole dobbiamo comprendere il rapporto che c'è tra la dimensione
contemplativa della vita, la Parola, l'Eucaristia, la missione e la carità,
nella quale ultima tutte le altre realtà della Chiesa trovano la loro pienezza.
Il secondo momento della parabola ci presenta il penoso
spettacolo della durezza del cuore. Un sacerdote e un levita, che percorrono
quella strada, passano oltre, senza prestare soccorso. La loro durezza è
l'immagine della nostra. I bisogni dei fratelli ci mettono in difficoltà.
Rimaniamo chiusi in noi stessi e scarichiamo sugli altri le responsabilità. I
rapporti sociali che ci legano ai nostri simili, senza la scintilla della
carità, restano inerti. Dobbiamo esaminare umilmente le difficoltà che le nostre
comunità incontrano nell'esercizio della carità.
Il terzo momento è il cuore di tutta la narrazione. Consta di
una sola parola greca, che significa: fu mosso a compassione. Essa designa
l'intensa commozione e pietà da cui fu afferrato un samaritano, che passava per
quella stessa strada. Non pensiamo soltanto a un risveglio di buoni sentimenti.
Poche pagine prima (cfr. Lc 7,13), la stessa parola è usata per descrivere la
compassione di Gesù dinanzi al funerale del figlio della vedova di Naim. In
altri passi della Bibbia questa parola allude all'immensa tenerezza che Dio
prova per ogni uomo. Dobbiamo pensare che con questa parola il racconto
evangelico voglia descrivere un evento misterioso che è accaduto nel cuore del
samaritano e lo ha, per così dire, attratto nello stesso movimento di
misericordia con cui Dio ama gli uomini. Cercheremo anche noi di scoprire le
leggi misteriose, secondo le quali l'amore di Dio, mediante lo Spirito di Gesù,
infonde la carità nei nostri cuori.
Il quarto momento è una conclusione movimentata, tutta
premura e azione: il samaritano si avvicina allo sfortunato, si fa prossimo,
versa vino e olio sulle ferite, le fascia; carica lo sconosciuto, fatto
diventare prossimo, sul proprio asino e lo porta alla locanda; sborsa due monete
d'argento per le cure che saranno necessarie. La cosa più bella è che non lo
abbandona al suo destino. Sa che può aver bisogno di tante altre cose; allora
dice al padrone della locanda: "Abbi cura di lui e, anche se spenderai di più,
pagherò io quando ritorno". Anche noi ci chiederemo quali gesti concreti ci
domanda la carità che Dio ha acceso nel nostro cuore.
Ecco dunque le quattro parti della lettera.
- Prima parte: il tema della carità nel cammino della nostra
Chiesa.
- Seconda parte: le difficoltà che incontriamo nell'esercizio
della carità.
- Terza parte: lo Spirito Santo che accende in noi la carità,
ce ne insegna il significato profondo.
- Quarta parte: le scelte storiche e i gesti concreti della
carità.
Questa lettera vuole solo invitare a una riflessione
fondamentale sul tema della carità.
Seguirà nel prossimo anno pastorale un secondo intervento su
alcune applicazioni operative. Vivremo così un biennio dedicato a questo tema
fondamentale dell'esistenza cristiana.
[4] Ringrazio il Signore perchè la nostra Chiesa è da sempre
sulla strada di Gerico per soccorrere i bisognosi.
Da quando sono entrato come vescovo nella diocesi di Milano,
non cesso di stupirmi per le innumerevoli e commoventi espressioni di carità,
che il Signore sa suscitare nelle persone e nelle comunità.
L'animo del nostro popolo tradizionalmente buono e
accogliente, ha creato un costume di operosa disponibilità, che fa maturare
tanti gesti e tante iniziative di bontà.
L'opera geniale di alcuni grandi testimoni della carità ha
fatto sorgere nel passato molte istituzioni caritative, che svolgono ancor oggi
un prezioso servizio per i fratelli in difficoltà.
Gruppi parrocchiali e di ambiente, che si ispirano alla
carità attraverso varie forme e correnti di spiritualità, tengono viva nelle
comunità cristiane e negli ambienti di lavoro l'attenzione per i poveri e gli
ammalati.
Alla porta dei preti bussano quotidianamente molte persone in
cerca di un soccorso immediato, di un alloggio, di un posto di 1avoro.
Gli itinerari educativi dei ragazzi e dei giovani prevedono
normalmente visite a istituti, attenzione a persone sole e ammalate, raccolta di
fondi per iniziative di carità.
[5] Nuove forme di servizio, ispirate al volontariato e alla
cooperazione internazionale, registrano un crescente interesse, soprattutto
presso i giovani, che si preparano alle scelte mature della vita, e presso gli
anziani che, col venir meno di un certo tipo di prestazioni professionali e
familiari, vogliono impiegare utilmente il tempo libero a loro disposizione.
Le grandi calamità, dentro e fuori la Patria, vedono sorgere
tra la nostra gente una gara di solidarietà e di generosità.
[6] Tuttavia le nuove povertà, tipiche del nostro tempo, che
esplodono con particolare intensità nella nostra struttura sociale, come
l'insicurezza del lavoro e della casa, la solitudine e l'emarginazione, il
disadattamento dovuto all'immigrazione interna ed estera, le forme di
asocialità, le angosce esistenziali ecc. ci tengono continuamente sotto
pressione, sferzano la nostra pigrizia, ci chiedono sempre nuovi interventi.
Stimolato da tanti esempi di carità e da problemi così gravi
della nostra società, ho cercato anch'io di mettermi sulla strada di Gerico fin
dall'inizio del mio ministero pastorale. Ho cercato di dedicare tempo,
attenzione pastorale e solidarietà ai malati, ai carcerati, agli handicappati,
agli emarginati di ogni genere. Ho spinto le comunità cristiane a verificarsi
costantemente sul comando nuovo dell'amore datoci da Gesù. Ho fatto appello
all'autorevolezza, che molti accordano agli interventi del vescovo, per dare una
voce a chi non ha voce. In alcuni discorsi, specialmente in occasione di
incontri con la "Caritas", ho tracciato anche delle linee pastorali per un
cammino della Chiesa sulla strada della carità.
[7] Molto, però, resta ancora da fare. Ecco allora la
presente lettera pastorale. Avrei voluto scriverla subito all'inizio del mio
ministero, perché la carità è il bene che ci deve stare maggiormente a cuore.
Già nella conclusione della prima lettera pastorale sulla dimensione
contemplativa della vita scrivevo: "Ho scritto queste cose con la convinzione
che la realtà più importante a cui la preghiera ci deve orientare è la carità.
Questa è la meta finale a cui siamo chiamati. Su questo punto, che mi sta tanto
a cuore, cioè sul come la nostra Chiesa deve vivere la carità verso tutti,
dovremo un giorno fermarci più a lungo".
Ma un conto è il primato nella vita e un conto la priorità
nella trattazione. Nella vita cristiana la carità ha indubbiamente il primo
posto e non tollera incertezze e ritardi. Una riflessione organica e
programmatica sulla carità chiede però di essere inserita in un cammino di fede.
La carità infatti, è inseparabile dalla vita di fede. Nella carità i singoli
credenti e tutta la Chiesa esprimono se stessi, la 1oro profonda identità.
Orbene l'identità profonda del cristiano e della Chiesa è la sequela, il
discepolato, 1'obbedienza, la testimonianza nei confronti di Gesù. C'è anzitutto
Cristo, c'è il mistero dell'unione di Cristo con ogni uomo con ogni sofferenza,
con ogni speranza, con ogni storia umana; c'è il disegno del Padre che ha voluto
che un uomo, Gesù di Nazareth, fosse unito a lui nell'amore dello Spirito Santo
come Figlio Unigenito e ha voluto che ogni altro uomo fosse suo figlio per
partecipazione alla vita di Gesù in forza dello Spirito Santo.
[8] Questo disegno di amore, rivelato in tutta la vita di
Gesù, ha raggiunto la sua pienezza nella Pasqua. Essa, infatti, è il momento in
cui l'amore del Padre, comunicato a Gesù mediante lo Spirito, affronta la prova
suprema dell'odio, del peccato, della morte, diventandone definitivamente
vincitore. L'unione degli uomini con Cristo, secondo il disegno del Padre, trova
nella Pasqua la sua celebrazione originaria e fondamentale. Dalla Pasqua
scaturisce il dono dello spirito che unisce realmente ogni uomo a Gesù. Il dono
invisibile dello Spirito è accompagnato dal dono visibile dell'Eucaristia.
L'Eucaristia è Cristo stesso, morto e risorto, che si rende presente per attuare
concretamente, visibilmente, per tutta la durata della storia umana, quella
comunione con tutti gli uomini che è stata voluta dal Padre ed è stata attuata
nella Pasqua a modo di pienezza definitiva e di sorgente inesauribile.
La Parola del Signore annuncia per tutti i tempi questo
disegno di amore, ci conduce alla comprensione di colui che è presente nell
Eucaristia e ci guida nel conformare tutta la nostra vita personale e
comunitaria all'Eucaristia.
Dall'Eucaristia, poi, vengono i carismi, i doni spirituali, i
ministeri, con cui ogni credente è reso conforme a Cristo, rende presente Cristo
nel mondo, serve i fratelli nel nome di Cristo, partecipa alla missione che
Cristo ha affidato alla Chiesa.
[9] La Chiesa è testimone di tutto questo, è annunciatrice
del mistero di Cristo e degli uomini uniti a lui. E lo è non in qualche suo
aspetto o in qualche suo gesto, ma in tutto il suo essere. La Chiesa è il segno
profetico, la primizia santa, l'iniziale attuazione storica dell'unione degli
uomini con Cristo. La Chiesa proclama il mistero del Padre, accoglie lo Spirito,
celebra nell'Eucaristia la Pasqua del Signore, annuncia e ascolta la Parola, si
avvale della ricchezza spirituale dei diversi carismi e ministeri: così diventa
l'umanità unita a Cristo secondo il disegno del Padre e viene inviata a tutto il
mondo, presso ogni uomo e ogni popolo, per aggregare a sé tutti gli uomini e per
dare così a tutti gli uomini la gioia, la dignità, la libertà, la speranza dei
figli di Dio.
[10] Questo è lo sfondo su cui collocare il tema della
carità. La carità è il cuore stesso della Trinità. E' l'ispiratrice del disegno
di Dio sull'umanità. E' l'anima della vita di Cristo. E' il valore profondo
della Pasqua, dell'Eucaristia, della Parola, della missione della Chiesa. E' il
dono e l'impegno di ogni discepolo di Cristo.
Pertanto gli argomenti che ho trattato nelle precedenti
lettere pastorali, riguardano già la carità. Tracciavano il cammino della
carità. Erano i passi della carità.
[11] Qual è allora l'aspetto nuovo e specifico che intendo
trattare in questa lettera pastorale?
E' l'aspetto della concretezza storica.
L'unione degli uomini con Cristo voluta dal Padre, compiuta
nella Pasqua, attuata storicamente nella Chiesa. è un evento di libertà e di
amore. Chiama in causa la concreta decisione dell'uomo che, affascinato
dall'immenso amore di Cristo, rinuncia a vivere nell'orgoglio, nell'egoismo,
nell'affermazione prepotente di sé e si dispone, invece, a celebrare l'amore di
Dio, ad assecondare i desideri di Dio, a testimoniare l'amore di Dio ad ogni
uomo. Ma questo significa comprendere profondamente se stessi; scoprire,
interpretare, gestire la propria libertà; guardarsi attorno e darsi da fare per
scoprire e condividere i bisogni concreti dei fratelli, assumersi
coraggiosamente le proprie responsabilità nella società attuale.
Di questo concreto esercizio della carità intendo parlare in
questa lettera.
Per tornare alla parabola del buon samaritano, ciò che mi
voglio chiedere è che cosa è scattato in lui, che meccanismo si è messo in moto
nel suo animo, quale concreto cammino egli ha percorso per farsi prossimo di
quel disgraziato, soccorrerlo, prevederne i bisogni futuri. E mi voglio chiedere
conseguentemente che cosa deve scattare in me, in ogni mio fratello e sorella,
in ogni comunità cristiana, quali forze vanno risvegliate, quali responsabilità
vanno assunte, quali itinerari vanno percorsi, perché noi possiamo ripetere il
gesto del buon samaritano qui e ora, nel mondo d'oggi, in questa società
milanese di cui facciamo parte.
[12] Cerco ora di dire le stesse cose con altre parole, che
mi vengono suggerite dal programma della Chiesa italiana per gli anni '80. Come
sapete, tale programma si ispira al binomio comunione-comunità.
La parola comunione designa l'amore trinitario di Dio;
l'unione di tutti gli uomini in Cristo secondo il disegno del Padre; il dono
dello Spirito che, mediante la Parola, I'Eucaristia, i carismi e i ministeri,
anima interiormente la vita della Chiesa.
La parola comunità designa la visibile, storica, sociale
riunione dei credenti nella Chiesa.
La comunità cristiana è il frutto della comunione. Si fonda
nella comunione. Manifesta visibilmente le ricchezze inesauribili della
comunione. I gesti storici; le espressioni culturali, i comportamenti
quotidiani, i riti, le leggi, i vincoli sociali, i rapporti psicologici della
comunità cristiana sono fatti realmente e propriamente umani, ma la forza della
comunione, che in essi si manifesta, concede loro una carica sovrabbondante di
vitalità, di efficacia comunicativa. Essi diventano un fattore prezioso di
coesione tra gli uomini, un messaggio di riconciliazione, un potente richiamo
all'unità che il genere umano trova nel mistero dell'unico Dio, Padre di tutti.
E' facile vedere che la carità è il senso profondo della
comunione e quindi la legge vitale della comunità.
Orbene, in questa lettera vorrei mostrare come la carità
passa dalla comunione alla comunità. Vorrei descrivere la vita concreta di una
comunità cristiana che, proprio in forza della comunione, coltiva l'amicizia
fraterna, è attenta ai bisogni di tutti, suscita vocazioni al servizio generoso
del prossimo, si apre ai problemi del mondo, accoglie i più piccoli, i più
poveri, gli ultimi, cerca le vie concrete della pace, favorisce gli itinerari
della riconciliazione, esercita un influsso benefico sulla vita sociale e
politica.
[13] Ci saranno di aiuto nel nostro cammino tre eventi, tre
doni con cui il Signore viene incontro al nostro desiderio di aderenza alla
realtà e alla vita concreta.
Il primo evento è l'avvenuta celebrazione del quarto
centenario della morte di S. Carlo. Non è stata soltanto una celebrazione
ufficiale, che ha interessato qualche gruppo ristretto di esperti. E' stato
toccato il cuore della gente. Abbiamo scoperto una sorprendente vicinanza di S.
Carlo alla vita pastorale della nostra Chiesa.
[14] La croce di S. Carlo ha visitato tante nostre comunità e
ci ha ricordato la radice contemplativa della prodigiosa attività del nostro
Santo Patrono.
Un aspetto significativo di questa attività è stato studiato
nel convegno diocesano sulla catechesi per e con gli adulti. Il convegno ci ha
aiutati a rivivere 1'ansia missionaria di S. Carlo, il suo desiderio di
annunciare il Vangelo a tutti, la genialità pratica con cui egli ha saputo
programmare e attuare strumenti e modi organici e stabili di insegnamento della
dottrina cristiana.
Il Santo Padre, a cui esprimiamo ancora una volta la nostra
affettuosa riconoscenza, è venuto in pellegrinaggio nei luoghi di S. Carlo, e ci
ha fatto riscoprire, con i suoi discorsi, i molteplici aspetti della figura
poliedrica del suo e nostro Patrono.
Dobbiamo ora approfondire il cuore e il vertice di tutta
l'opera di S. Carlo, cioè la sua carità, che ha animato tutto il suo ministero
episcopale, è diventata eroica nei momenti di grave calamità, come nella famosa
peste del 1576, e si è scolpita indelebilmente nella memoria del popolo
milanese. Il programma pastorale di quest'anno sul tema della carità può quindi
essere visto come l'ideale prolungamento e coronamento dell'anno carolino.
Il secondo evento è il già citato convegno sulla catechesi.
In esso abbiamo dedicato molta attenzione agli strumenti e alle esperienze di
comunicazione della fede. Rimane, però, sempre aperto e urgente il problema
della fede stessa, che deve essere comunicata .
La verità della fede è il dono che lo Spirito fa perennemente
alla Chiesa e che la Chiesa fedelmente custodisce, ma è anche un compito storico
sempre nuovo. La fede adulta sa sempre essere anche attuale, vive nel tempo, si
confronta con i problemi di ogni epoca, fonda nel Vangelo di Gesù, verità ultima
dell'uomo, i cammini di razionalità, di libertà, di socialità propri di ogni
cultura.
[15] La catechesi per e con gli adulti comunica in modo
organico e riflesso l'intima forza di verità che scaturisce dalla fede adulta.
Ci deve stare a cuore, allora, la formazione di cristiani adulti, di uomini
guidati dallo Spirito, di credenti maturi che sanno farsi carico dei problemi di
fede dei loro fratelli. I testimoni della fede saranno i veri catechisti. Orbene
la fede. adulta è quella che opera attraverso la carità, scopre e condivide le
concrete condizioni in cui gli uomini vivono.
[16] La carità porta alla pienezza la fede che viene
comunicata nella catechesi. A sua volta la catechesi rende più consapevole, più
luminosa e più comunicabile la ricchezza prodigiosa che la fede riceve dalla
carità vissuta. C'è quindi un rapporto tra il programma pastorale dello scorso
anno sulla catechesi e il programma pastorale di quest'anno sulla carità.
[17] Il terzo evento è il convegno della Chiesa italiana su:
"Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini". Esso si svolgerà a Loreto
nella settimana dopo Pasqua del 1985. Come si vede la preparazione deve
svolgersi in un tempo molto ristretto e può coinvolgere solo alcuni organismi
rappresentativi dell'intera comunità diocesana. Diventa allora molto importante
la fase applicativa, che estenderà capillarmente a tutta la comunità il cammino
spirituale e le acquisizioni pastorali del convegno. Il nostro programma
pastorale sulla carità sarà una preparazione immediata al convegno e soprattutto
potrà avvalersi di molti stimoli derivanti dalla fase applicativa.
In particolare il tema del convegno invia al tema della
carità due sollecitazioni verso la concretezza.
[18] La prima sollecitazione è un invito a guardare l'uomo
così com'è, con il suo carico di peccato e di miseria. La carità di Dio per noi
ha dovuto assumere 1'atteggiamento della misericordia e del perdono. Anche la
nostra carità deve tenere conto delle divisioni, delle guerre, delle ingiustizie
e deve dischiudere itinerari di riconciliazione. Il male non può essere messo
tra parentesi perché ci dà fastidio e ci richiama la nostra immensa fragilità.
Non può essere considerato superficialmente come un intralcio nello sviluppo
umano, facilmente superabile con il progresso civile e scientifico.
Esso ha radici profonde nel cuore degli uomini e ha
ramificazioni inestricabili nella vita sociale. La carità sa tutto questo;
perciò implora continuamente la misericordia di Dio e si impegna a tracciare le
strade del perdono tra gli uomini.
[19] La seconda sollecitazione, che ci viene dal convegno,
spinge la carità verso i concreti problemi della vita associata. Il convegno,
infatti non parlerà genericamente della riconciliazione cristiana, ma metterà a
tema i rapporti tra la riconciliazione cristiana e la comunità degli uomini. Nel
bene e nel male ogni persona umana è strettamente collegata con le altre persone
attraverso una rete di valori ideali comuni, di modi di pensare e di parlare, di
tradizioni, di strutture economiche, di relazioni politiche. Amare l'uomo
concreto vuol dire anche intervenire nel campo comunitario, sociale, politico,
perché sia sempre più aperto alla libertà, alla pace, alla giustizia, alla
collaborazione, alla ricerca di valori spirituali comuni. Vuol dire anche
dialogare e lavorare con tutti coloro che vogliono coltivare questi valori nella
comunità degli uomini.
[20] Il desiderio di concretezza e di dialogo nell'esercizio
della carità mi conduce a rileggere il cap. 25 del vangelo di Matteo. La parola
biblica, che talvolta è complessa, qui diventa semplicissima, essenziale,
tagliente.
Viene descritto il giudizio finale, che avrà come unico
criterio l'esercizio concreto della carità. Qualcuno ha parlato di pagina laica,
perché non ci sono accenni alla fede, alla preghiera, al culto. I giusti non
sanno nemmeno di aver soccorso il Signore stesso nei bisognosi: "Signore, ma
quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti
abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo incontrato forestiero e ti abbiamo
ospitato nella nostra casa, o nudo e ti abbiamo dato i vestiti? Quando ti
abbiamo visto malato o in prigione e siamo venuti a trovarti?" (Mt 25, 37-39).
Quello che conta sembra essere qui il puro gesto materiale di
aiuto all'affamato, all'assetato, al forestiero, all'ignudo, al malato, al
carcerato.
Per comprendere questa pagina dobbiamo cogliere in essa un
insegnamento globale e un particolare aspetto polemico.
L'insegnamento globale riguarda l'operosità della vita
cristiana. Matteo scrisse il suo vangelo per una comunità che era tentata di
parole vuote, di entusiasmi superficiali, senza impegnarsi seriamente nelle
opere della carità. Di qui l'invito a non accontentarsi di dire "Signore,
Signore", ma a fare concretamente la volontà del Padre e a mettere in pratica la
parola del Signore. Anche la pagina del giudizio finale va letta in questa
prospettiva di realismo, di operosa concretezza.
[21] Da questo punto di vista non c'è opposizione tra le
opere della carità e le pratiche del culto. Se quello che veramente conta è
l'intenso realismo nell'esercitare la carità, proviamo a pensare alla forte
spinta verso la concretezza che il credente riceve da una vita di culto
sinceramente praticata. Quando un cristiano, professando esplicitamente la fede
e celebrando gli atti liturgici, si rende conto dell'immensa carità che Cristo
ha per lui e per ogni uomo, non può rimanere indifferente. Vuole anch'egli
spendersi totalmente per i fratelli. Questo desiderio ispirato dalla fede entra
in risonanza con altri desideri spontanei o riflessi che noi proviamo dinanzi ai
problemi dei nostri fratelli. I loro bisogni ci commuovono. Le loro povertà ci
spingono a privarci di qualcosa per soccorrerli. I torti e le ingiustizie, che
essi subiscono, suscitano in noi dispiacere, sdegno, condanna per chi compie
l'ingiustizia, lotta contro la violenza, impegno per rinnovare profondamente la
società.
I motivi suggeriti dalla fede e i motivi provenienti dai
nostri naturali sentimenti si rafforzano reciprocamente verso un'operosità
sempre più realistica e costante.
Così, almeno, dovrebbe accadere.
Purtroppo non sempre accade così. Interviene qui l'aspetto
polemico del testo di Matteo. E' un aspetto che affiora in molte pagine
evangeliche. Basti pensare alla parabola dei due figli invitati dal padre ad
andare a lavorare nella vigna. Uno dice di sì, ma poi non va. L'altro dice di
no, ma poi va (cfr. Mt 21, 28-32). Purtroppo il culto viene separato dalla vita,
la fede dalle opere.
[22] Spesso i credenti si riempiono la bocca di parole, ma
non fanno la volontà del Padre, mentre è possibile trovare realismo,
concretezza, impegno fraterno, implicita corrispondenza ai desideri di Dio in
chi non ha esplicitamente con Dio un rapporto di fede e di culto.
Mi viene alla mente una pagina struggente e amara di La peste
di A. Camus. Un padre gesuita e un medico non credente passano l'intera notte al
capezzale di un bambino, che muore dopo lunghe ore di angosciosa agonia. Al
mattino, nell'atto di lasciarsi, i due si stringono la mano e il medico dice al
gesuita: "Vede, padre: adesso neppure più Dio ci divide".
Perché Dio finisce per dividerci? Perché l'unità prodotta in
noi dalla comune esperienza di un grande dolore pare più vera e intensa
dell'unità creata dalla fede nell'unico Dio, Padre di tutti?
Vorrei dire ai credenti: "Riveliamo il volto paterno di Dio
con le opere della carità fraterna. La fede nel Dio salvatore, redentore,
liberatore ci dia il coraggio di stare a fianco ad ogni povertà, sofferenza,
ingiustizia, con la sincera, operosa, illuminata volontà di cambiare le cose".
Ma mi accorgo che queste parole si scontrano con tante pigrizie, incertezze,
inerzie, che purtroppo trovo presenti anche nella mia vita e nel mio
comportamento.
Vorrei dire ai non credenti: "Fondate nell'amore di Dio la
vostra dedizione al prossimo. Noi uomini sappiamo così poco del nostro vero
bene; come possiamo volere il vero bene degli altri? Siamo così pieni di paure e
di incertezze, che la nostra passione per gli altri corre il rischio di arenarsi
di fronte alle ingratitudini e agli insuccessi, se non è sostenuta dalla
certezza che Dio è sempre in noi". Ma ancora una volta mi accorgo che le mie
parole incontrano ostacoli insormontabili. Come si fa a penetrare nel cuore di
un uomo? Come si fa a sapere per quali motivi uno non crede? L'educazione
ricevuta, le difficoltà incontrate nella ricerca religiosa, i cattivi esempi dei
credenti possono aver frenato il cammino verso la fede.
Non mi resta che sperare nella forza con cui Dio può toccare
il cuore dei credenti e dei non credenti perché raggiungano una visione completa
dell'uomo, nei suoi concreti bisogni quotidiani e nella sua chiamata a un
destino ultraterreno.
[23] Intanto noi possiamo dialogare e collaborare.
La passione, l'impegno e talvolta anche la rabbia, con cui i
non credenti cercano un mondo giusto, libero e fraterno, possono offrire stimoli
efficaci verso la concretezza.
I credenti, fondando la sincerità e il realismo del loro
amore nella fiducia in Dio, nell'umiltà, nella adesione a Gesù, nella speranza
della risurrezione, possono per lo meno porre serie domande a ogni uomo circa il
vero bene a cui siamo chiamati e destinati.
Per questo oso offrire questa lettera non solo ai miei
fratelli e alle mie sorelle di fede, ma ad ogni fratello e sorella che cerca
sinceramente il bene dell'uomo.
Spero che questa lettera possa suscitare dialogo. riflessione
collaborazione.
Quello che conta è che ogni uomo sia avvicinato, fatto
prossimo, aiutato con un amore sincero, vero, operoso.
[24] Nella parabola del buon samaritano c'è un penoso
intervallo tra il gesto criminale dei briganti e l'intervento del soccorritore.
Non dobbiamo scavalcare troppo in fretta questo intervallo,
rappresentato dall'egoismo del sacerdote e del levita che vedono l'uomo
rapinato, e passano oltre.
Non dobbiamo pensare sbrigativamente che si riferisca agli
altri e non a noi.
La via per la quale il Signore ci conduce a imitare il buon
samaritano, passa attraverso l'umiltà con cui riconosciamo presenti in noi le
colpe del sacerdote e del levita.
Possiamo scorgere nel comportamento di questi due personaggi
tre aspetti che rivivono nelle difficoltà che oggi incontriamo nell'esercizio
della carità: la fretta, la paura, la ricerca di un alibi.
La fretta è il difetto che balza immediatamente all'occhio.
Quei due corrono via. Non hanno tempo di fermarsi. Non vogliono neppure
esaminare la situazione. Vedremo in seguito le radici della fretta. Per ora
richiamo l'attenzione su una edizione moderna della fretta, che si manifesta
nella considerazione superficiale e disattenta della complessità che assumono i
rapporti personali nella nostra società.
La produzione e lo scambio dei beni economici avvengono
mediante sistemi complicati. I mezzi della comunicazione sociale diventano
sempre più sofisticati e sempre più lontani dai linguaggi comuni e dai rapporti
immediati tra gli interlocutori. La partecipazione democratica alla elaborazione
e alla applicazione delle leggi che ordinano e promuovono la vita associata a
livello nazionale e internazionale, richiede l'intervento di complessi
meccanismi di rappresentanza, di delega, di supplenza.
Per questi motivi le relazioni personali immediate, libere,
continuamente controllabili e modificabili dalle singole persone, sono immerse
in una rete complessa di rapporti sociali più rigidi, più anonimi, più lontani
dalla presa dei singoli. Bisogna vigilare su questi rapporti. Nati, di per sé,
per favorire la crescita delle relazioni personali, possono diventare un sistema
chiuso, che disturba e soffoca la vita interpersonale. Possono essere
strumentalizzati dalla prepotenza di qualcuno o di qualche gruppo a danno degli
altri.
Nella società attuale, amare con paziente concretezza il
fratello povero, bisognoso, oppresso significa non limitarsi a fare qualche
intervento personale, ma anche cercare e risanare le condizioni economiche,
sociali, politiche della povertà e dell'ingiustizia. In altre parole, per essere
buoni samaritani nella società attuale, occorre fare qualcosa di più di quello
che ha fatto, secondo la parabola evangelica, il buon samaritano nella società
di allora, meno complessa e stratificata.
Purtroppo la fretta e la superficialità caratterizzano i
nostri incontri col prossimo e disturbano l'esercizio della carità.
[25] Voglio ricordare almeno due modi opposti, in cui si
esprimono la fretta e la superficialità.
Il primo modo è proprio di coloro che non considerano con
attento realismo la complessità della vita sociale. Si accontentano di gesti
sporadici di carità. Trascurano una seria formazione all'impegno sociale e
politico.
Il modo opposto è proprio di coloro che concedono importanza
esclusiva agli interventi tecnici, scientifici, legislativi, politici, e
trascurano l'insostituibile apporto dell'impegno personale e della carità
immediata.
La sopravvalutazione di tali interventi; dipende anche da una
forte crisi che ha colpito l'esercizio tradizionale della carità cristiana nella
società contemporanea.
Infatti, la carità tradizionale doveva spesso limitarsi a
soccorrere le singole persone emarginate. Ora lo sviluppo della società mette in
luce le strutture emarginanti e spinge a intervenire su di esse. ( i si chiede
allora se la carità, che aiuta gli emarginati, non debba lasciare il posto alla
giustizia, che modifica le strutture emarginanti.
Inoltre nel caso di portatori di handicap, la carità, molto
spesso, non poteva far altro che prestare assistenza. Oggi lo sviluppo delle
scienze mediche, psicologiche, sociologiche propone l'ideale di una sempre più
piena riabilitazione. Ci si chiede allora se la carità, che assiste gli
handicappati, non debba lasciare il posto alla scienza che li riabilita e li
reintegra completamente nella società.
Infine la carità agiva su una base di impegno volontaristico,
lasciato alla generosità delle persone e dei gruppi. Ora lo sviluppo della
coscienza civile e delle strutture socio-sanitarie dello Stato fa pensare a una
possibilità più completa e più sicura di garantire a tutti l'assistenza, la
riabilitazione, la reintegrazione sociale. Ci si chiede allora se la carità
liberamente prestata dalla Chiesa non debba lasciare il posto ai servizi sociali
obbligatoriamente erogati dallo Stato.
Sono problemi molto seri, che costringono a riflettere, a
guardare le cose in tutti i loro aspetti.
[26] Sono innegabili i vantaggi dell'evoluzione avvenuta nel
campo sociale e scientifico, ma bisogna considerare anche la fragilità, il
rischio di anonimato, la tendenza al formalismo burocratico, che possono colpire
una prestazione socio-sanitaria non animata e rigenerata continuamente dal
calore personale della carità e dall'iniziativa volontaria.
La considerazione attenta e paziente delle cose porta, come
vedremo anche in seguito, a scoprire l'insufficienza di alcune forme di carità e
a far maturare nuovi germogli dall'inesauribile radice dell'amore cristiano.
Invece la fretta e la superficialità hanno indotto alcuni a ritenere finito il
tempo della carità.
[27] Dietro la fretta del sacerdote e del levita si nasconde
una realtà più grave, cioè la paura di impegnare la propria persona. Se ci si
ferma accanto al poveretto derubato e bastonato, non si sa che cosa potrà
accadere: ci vuol tempo e pazienza, bisogna essere pronti a tutto, occorre
prepararsi a dare senza condizioni e riserve. Allora si preferisce passare
oltre.
Anche nella fretta e nella superficialità, che ostacolano
oggi l'esercizio della carità, è presente la paura del dono di noi stessi.
Qui devo accennare ad una contraddizione, tipica del nostro
tempo, tra la ricerca esasperata di intimità e il rifiuto della dedizione agli
altri, come indispensabile base di ogni reale prossimità.
Così se ne parla, ad esempio, nel documento preparatorio del
Convegno ecclesiale sulla riconciliazione.
"Si potrebbe tentare di analizzare qui due tendenze sincrone
e contraddittorie. Da un lato una accresciuta coscienza del bisogno di rapporti,
del bisogno di prossimità amicale, di comunicazione autentica tra le persone.
C'è una gran voglia di avere amici e di vivere rapporti autentici tra persone e
nell'ambito di gruppi.
D'altra parte si nota una fragilità crescente delle forme
d'incontro, di comunione effettivamente realizzabili.
Le relazioni sono effimere, spesso deludenti e danno luogo al
risentimento, alla frustrazione e all'accusa reciproca. Nasce allora la tendenza
opposta a chiudersi in se stessi, a diffidare degli altri, a rifiutare
consciamente o inconsciamente il "bene" dell'apertura e della disponibilità.
[28] La famiglia appare come il luogo privilegiato per
verificare le tendenze a livello personale sopraindicato.
Da un lato sembra ci sia un indice di accresciuta esigenza di
autentiche relazioni familiari. Tante volle 12 famiglia viene vista come la
realtà che può e deve risanare e mettere a posto situazioni di sofferenza
esistenziale e di solitudine. Questa attesa è comprovata, del resto, dall'ampio
indice di scontentezza e frustrazione quando queste speranze non si verificano.
Dove non c'è desiderio non c'è frustrazione: quando c'è disappunto, dolore,
rabbia, vuol dire che ci si aspettava molto.
[29] Dall'altro lato cresce la fragilità dei legami
familiari, specie sotto il profilo dell'unità e fedeltà coniugale e della
comprensione tra le generazioni. Basta poco per mandare in crisi tante famiglie
sia a livello orizzontale sia a livello verticale. Si nota in genere una
preoccupante carenza di comunicazione, di accoglienza e d; dialogo all'interno
delle famiglie. Alcuni fenomeni tra i più gravi, come la diffusione dell'aborto,
andrebbero letti anche a partire da questi contesti.
Possiamo leggere sullo sfondo di questo ambito di rapporti
personali anche la modalità insoddisfacente e variamente conflittuale con cui è
vissuto in genere il rapporto uomo-donna" (cfr. La forza della riconciliazione,
2.3.1).
Per attuare la prossimità occorre abbandonare le pretese
possessive e maturare la capacità di piena dedizione. Purtroppo, invece, la
sensibilità odierna spesso ci inclina solo verso ciò che piace, che non costa
troppo sacrificio, che non impegna per sempre.
Cerchiamo di approfondire questa paura della dedizione
personale. Forse è il sintomo di difficoltà ancor più serie. Se decidiamo di
stare accanto agli altri nelle loro molteplici necessità, dobbiamo prepararci a
sperimentare spesso i nostri limiti. Non sempre riusciamo a conoscere il vero
bene degli altri. Il nostro grande Manzoni, di cui quest'anno celebriamo il
bicentenario della nascita, ci fa riflettere con molto realismo sulle scarse
risorse del cuore umano.
Mentre Renzo e Lucia si accomiatano da padre Cristoforo nella
chiesetta di Pescarenico dopo il fallito matrimonio di sorpresa, il padre
esclama con voce alterata: "Il cuor mi dice che ci rivedremo presto". Ma il
romanziere commenta con bonaria malinconia: "Certo, il cuore, chi gli dà retta,
ha sempre qualche cosa da dire su quello che sarà. Ma che sa il cuore? Appena un
poco di quello che è già accaduto" (cfr. I Promessi Sposi, cap. VIII).
Anche quando conosciamo le cose, di cui gli altri hanno
bisogno, non sempre riusciamo a farle. Talvolta siamo bloccati dalla nostra
pigrizia. Talvolta i problemi degli altri sono più grandi di noi. Pensiamo ai
lutti, alle malattie gravi, ai disturbi psichici, ai casi cronici di asocialità,
ai rivolgimenti socioeconomici che mettono in pericolo la casa e l'occupazione
di tante persone. In queste circostanze tocchiamo con mano la nostra povertà.
Ciò che possiamo fare è ben poco. Qualche volta possiamo offrire solo una
solidarietà fatta di comprensione e di silenzio. Dobbiamo rinunciare alla
pretesa di risolvere tutto. Dovremmo, forse, riempire il nostro sgomento e il
nostro silenzio con una coraggiosa riflessione sulla nostra vita, con una
rigorosa valutazione delle vicende umane. Dovremmo affidarci alla preghiera.
Mi viene in mente un'altra pagina manzoniana, che si
riferisce alla drammatica notte passata da Lucia nel castello dell'Innominato.
Lucia si risveglia dopo un breve, angoscioso assopimento. "L'infelice
risvegliata riconobbe la sua prigione: tutte le memorie dell'orribile giornata
trascorsa, tutti i terrori dell'avvenire, l'assalirono in una volta: quella
nuova quiete stessa, dopo tante agitazioni, quella specie di riposo, quell'abbandono
in cui era lasciata, le facevano un nuovo spavento: e fu vinta da un tale
affanno, che desiderò di morire. Ma in quel momento si ricordò che poteva almeno
pregare, e insieme con quel pensiero, le spuntò in cuore come un'improvvisa
speranza.
Prese di nuovo la sua corona, e ricominciò a dire il Rosario;
e, di mano in mano che la preghiera usciva dal suo labbro tremante, il cuore
sentiva crescere una fiducia indeterminata" (cfr. I Promessi Sposi, cap. XXI).
[30] Umiltà, riflessione, preghiera, però, non sono sempre
facili. Abbiamo paura di doverci dedicare totalmente al fratello. Ancor più
abbiamo paura di confessare i nostri limiti e di affidarci all'amore di Dio che
può fare ogni cosa.
Allora "passiamo oltre". Tanto più che non mancano mille
altre cose da fare.
[31] La strada di Gerico al tempo di Gesù non era adatta alle
passeggiate. Il sacerdote e il levita vi si trovavano certo per uno scopo
preciso. Avevano qualche incontro, qualche occupazione che li attendeva. La
qualifica sacerdotale, che Gesù attribuisce loro, fa pensare a qualche compito
cultuale che essi dovevano svolgere. Questo compito urgente poteva diventare un
alibi per non perdere tempo col poveretto assalito dai briganti.
Anche la nostra fretta e la nostra paura trovano il loro
alibi.
Potremmo descrivere questo alibi come un certo modo di
intendere e di vivere la realtà della comunità cristiana, che ostacola o lascia
da parte la carità. Di per sé la carità dovrebbe essere il suggello,
l'espressione più piena e il momento supremo di verifica dell'autenticità della
comunità cristiana. Può accadere, invece, che i difetti della vita comunitaria
non si lascino purificare, bruciare, correggere dal fuoco vivo della carità, ma
addirittura spengano questo fuoco o lo lascino ardere a stento.
Cerco di descrivere qualche difetto delle nostre comunità,
che ha un'influenza particolarmente negativa sulla vita di carità.
Per esempio, è frequente nelle nostre comunità
l'atteggiamento della delega. Tanti cristiani ritengono l'esercizio concreto
della carità verso chi è nel bisogno come un fatto facoltativo, che va delegato
a chi ha tempo o doti o inclinazione a far questo. E' vero che un gruppo
animatore è normalmente indispensabile per suscitare e coordinare i servizi
della carità, ed è vero anche che alcuni settori caritativi esigono interventi
specializzati, da riservare a persone preparate. Ma è anche vero che il tessuto
della carità quotidiana, in cui si esprime la vitalità di una comunità, richiede
il contributo personale di tutti.
Un altro difetto è là mancanza di collaborazione. Tanti
preziosi interventi caritativi delle comunità e dei gruppi corrono il rischio di
vedere svigorita la loro efficacia, perché non sanno confrontarsi e coordinarsi
con altri interventi.
[32] I bisogni umani nella società attuale sono complessi e
presentano radici e ramificazioni diverse. Occorre quindi che gli interventi
della carità siano diversificatie e insieme collegati tra di loro.
Inoltre, le povertà attuali sono sempre nuove. Spesso è
difficile scoprirle e inquadrarle. Gli interventi settoriali corrono il rischio
di continuare a percorrere i sentieri già battuti, senza aprirsi alle nuove
esigenze. Di qui l'importanza di collaborare con chi ha la responsabilità
parrocchiale o diocesana unitaria e non pensa solo a singoli settori, ma guarda
la realtà sociale nel suo complesso e deve provvedere anche a chi non è già
stato raggiunto dalle iniziative tradizionali.
In particolare i settori della immigrazione estera, della
tossicodipendenza, della malattia cronica, di alcuni tipi di lesioni fisiche o
psichiche, degli ex-carcerati, della asocialità, ecc., richiedono
contemporaneamente la genialità generosa di qualcuno che si butta
pionieristicamente, e l'opera unificatrice di chi vede le cose nel loro
complesso.
Infine le povertà attuali sono persistenti. Gli interventi
sporadici, gli sforzi intermittenti non bastano. Occorre creare un atteggiamento
di costanza, che si avvale di scelte vocazionali durature e di continuità
istituzionale.
Tutto questo richiede un'abitudine alla collaborazione
fondata in una chiara visione e in una pratica generosa della comunione e
dell'appartenenza ecclesiale. Le lacune nell'appartenenza, nella comunione nella
collaborazione creano un'immagine e una vita di Chiesa che non promuovono la
carità.
[33] Un terzo difetto è la conseguenza dei primi due e
consiste nel difficile rapporto della vita e della fede della Chiesa con la
concreta realtà sociale e politica.
Se ogni credente si impegnasse in un quotidiano servizio
della carità e se tutti i credenti fossero abituati a confrontarsi tra di loro,
a comunicarsi nella fede le esperienze di carità, a completare reciprocamente le
proprie lacune, nascerebbe una vita di Chiesa più pronta a rispondere ai bisogni
della società con la luce e la forza del Vangelo. Nel medesimo tempo i non
credenti non vedrebbero negli interventi della Chiesa nel campo sociale e
politico una pretesa di ingerenza indebita, dalla quale guardarsi, ma li
apprezzerebbero per la loro effettiva, comprovata capacità di capire in
profondità i bisogni degli uomini e di affrontarli con umiltà, disinteresse ed
efficacia.
[34] Accade, invece, che la concretezza della carità non
riesce a colmare la distanza tra la fede e la vita; e che, al contrario, una
vita di chiesa ripiegata su se stessa, sui propri problemi interni, sulla
propria autoconservazione, si trovi molto impacciata dinanzi alle scelte
difficili esigite dalla carità, e si ritragga spaventata in un atteggiamento di
chiusura, che diventa sempre più grave e quasi insuperabile.
[35] Abbiamo riflettuto sul diaframma dell'egoismo umano, che
si frappone tra l'opera malvagia dei briganti e il bisogno di aiuto del ferito.
Ma una nuova distanza ora attira la nostra attenzione. E'
quella che c'è tra i passi egoistici, che hanno allontanato il sacerdote e il
levita dall'uomo rapinato, e i passi pietosi che hanno avvicinato il samaritano.
Non sono semplicemente due cammini di segno opposto, ma appartenenti allo stesso
livello. Tra di loro sta il dislivello, l'intervallo del mistero.
Il primo cammino è percorso dall'uomo in compagnia di se
stesso e del proprio egoismo.
Il secondo cammino è percorso dall'uomo in compagnia di Dio.
Ho già accennato, nell'introduzione, al fatto che la parabola
evangelica, prima di descrivere i gesti del samaritano, parla di una
misericordia, di una tenerezza divina, che ha attratto e riempito il cuore del
samaritano.
Qualcuno, forse, trova secondario tutto ciò. Che cosa
interessa sapere se l'azione umana ha bisogno o no dell'intervento di Dio? Non
ci basta sapere che il samaritano si è effettivamente preso cura dell'uomo
bisognoso.
In realtà, però, il problema non è di sapere se l'azione
umana ha bisogno o no dell'azione di Dio.
Chi pensa così, si è già fatta un'idea completa dell'azione
umana e giudica l'intervento di Dio come un'aggiunta o necessaria o inutile. La
questione invece è più complessa e affascinante. E' il senso stesso dell'azione
umana ad essere messo in questione.
Quando un'azione è interiormente animata dal dinamismo della
carità, viene come attraversata da una esigenza di trasparente luminosità. Colui
che la compie è portato a chiedersi: perché agisco così? Fin dove posso e debbo
spingermi nel gesto di carità? Chi sono io che agisco in questo modo? Chi è il
fratello a cui mi dedico? Qual è la sua più profonda dignità? Qual è il vero
bene che gli debbo volere?
La particolare prossimità interpersonale, a cui tende il
gesto della carità, invita a porre le domande sul valore della persona umana.
Un'azione pervasa dalla forza della carità è anche vivacizzata dalla ricerca
della verità. Carità e verità si cercano reciprocamente.
[36] Sono molto stimolanti al riguardo le riflessioni
proposte quest'anno da Giovanni Paolo II nel Messaggio per la Giornata Mondiale
della Pace sul tema: "La pace e i giovani camminano insieme".
Nel n. 3 del documento il Papa descrive i desideri che
nascono nel cuore dei giovani dinanzi ai bisogni dell'umanità: "Quello che vedo
sorgere in voi è una nuova consapevolezza della vostra responsabilità e una
schietta sensibilità per i bisogni della comunità umana. Voi siete presi dal
vivo desiderio della pace, che tanti condividono con voi. Voi siete turbati
dalle grandi ingiustizie che ci circondano. Voi avvertite un opprimente pericolo
nel gigantesco accumulo di armi e nelle minacce di una guerra nucleare. Voi
soffrite, quando vedete largamente diffuse la fame e la denutrizione. Voi siete
interessati allo stato dell'ambiente, oggi e per le generazioni future. Voi
siete minacciati dalla disoccupazione, e molti di voi sono senza lavoro e senza
la prospettiva di un impiego adeguato. Voi siete sconvolti dal grande numero di
persone, che sono politicamente e spiritualmente oppresse e che non possono
godere dell'esercizio dei loro diritti umani fondamentali sia come individui che
come comunità".
Potremmo dire che il Papa descrive qui le situazioni che
reclamano un gesto di prossimità, di carità. Orbene la carità, che vuole
affrontare queste situazioni, deve anzitutto avere il coraggio di porre alcune
domande.
Nel n. 4 del citato documento il Papa scrive: "Fra le domande
inevitabili, che dovete porre a voi stessi, la prima e principale è questa: qual
è la vostra idea di uomo? Che cosa, secondo voi, costituisce la dignità e la
grandezza di un essere umano? Questa è una domanda che voi giovani dovete porre
a voi stessi, ma che ponete anche alla generazione che vi ha preceduto, ai
vostri genitori e a tutti coloro che, a vari livelli, hanno avuto la
responsabilità di preoccuparsi dei beni e dei valori del mondo. Nel tentativo di
rispondere onestamente e apertamente a questa domanda, giovani e anziani possono
essere condotti a riconsiderare le loro proprie azioni e le loro proprie
vicende".
Nel n. 5 il Papa continua: "La prima domanda conduce a
un'altra domanda ancor più basilare e fondamentale: chi è il vostro Dio? Noi non
possiamo definire la nostra nozione di uomo senza definire un Assoluto, una
pienezza di verità, di bellezza, di bontà, da cui riconosciamo che sono guidate
le nostre vite. E' vero, quindi, che un essere umano, "immagine visibile del Dio
invisibile", non può rispondere alla domanda circa chi sia lui senza dichiarare
al tempo stesso chi sia il suo Dio".
Mi sembrano così importanti e sentite queste domande, che ho
pensato di farle oggetto di discussione nei miei incontri con i giovani durante
le visite pastorali, insieme con le altre domande poste dal Papa circa il modo
di intendere i valori della pace, della giustizia, della partecipazione (cfr. i
nn. 78-9 del messaggio).
Quello che ora mi importa sottolineare è che la passione per
i bisogni umani è strettamente congiunta con la passione per la verità.
Quando la parabola evangelica dice che il samaritano "si
sentì mosso a compassione nelle sue viscere" vuole alludere a una esperienza
intensa, che gli ha aperto gli occhi sul valore delle cose, gli ha fatto vedere
l'uomo bisognoso in una luce nuova e vera, gli ha dischiuso nuove possibilità di
azione e lo ha spinto a farsi prossimo.
Per questo invito i miei fratelli e le mie sorelle credenti a
vivere con me un momento contemplativo, simile a quello vissuto dal samaritano.
Chiediamo allo Spirito Santo, che ci comunica la tenerezza di Dio e crea in noi
le viscere della carità, di aiutarci a conoscere le vie misteriose attraverso le
quali il miracolo della carità accade.
[37] Vorrei tanto che i singoli, i gruppi, e soprattutto le
famiglie, facessero la "lectio divina" dei testi biblici che ora proporrò, e la
prolungassero nella lettura attenta della Enciclica "Dives in misericordia" di
Giovanni Paolo II.
Vorrei, però, invitare anche il lettore non credente, che mi
avesse seguito fin qui, a non saltare queste pagine passando subito al prossimo
capitolo, che contiene alcune indicazioni operative.
Vorrei invitarlo a leggere le pagine bibliche che seguono.
Contengono, se non altro, una profonda conoscenza del cuore umano.
[38] Chiediamo allo Spirito Santo di aiutarci anzitutto a
capire le parole di Gesù stesso sulla carità.
Gesù ha sintetizzato il suo pensiero rispondendo alla domanda
di un maestro della legge circa il comandamento più grande. L'episodio è
raccontato da Matteo nel cap. 22, vv. 34-39, da Marco nel cap. 12 vv. 28-34, da
Luca nel cap. l0, vv. 25-28.
Conosciamo tutti la risposta di Gesù: il comandamento più
grande è amare Dio e amare il prossimo.
Con queste parole Gesù richiama alcuni passi delI'Antico
Testamento. Leggiamo per esempio, nel Libro del Deuteronomio, cap. 6, vv. 4-5:
"Ascolta Israele: il Signore è ;I nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai
il Signore tuo Dio con tutto il cuore con tutta l'anima e con tutte le forze". E
nel Libro del Levitico cap. 19 vv. 17-18. 1eggiamo: "Non coverai nel tuo cuore
odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti
caricherai d'un peccato per lui. Non ti vendicherai e non serberai rancore
contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono
il Signore".
[39] Mentre ricorda la legge antica, però, Gesù introduce due
importanti novità.
La prima è l'unione dei due comandamenti. Per Gesù la carità
è un fatto complesso e articolato. Affonda le sue radici in una dedizione senza
riserve a Dio: tutta la persona con le sue doti, i suoi progetti, le sue
capacità operative deve affidarsi alla volontà di Dio, al progetto di amore che
Dio ha sugli uomini. La manifestazione visibile e dinamica di questo affidamento
è la dedizione a ogni uomo, considerato come un fratello, un prossimo, un altro
se stesso. Separare o semplificare i diversi aspetti di quell'evento unitario
che è la carità, significa far valere qualche nostra prospettiva ristretta
contro gli immensi orizzonti dischiusi dallo sguardo di Gesù.
La seconda novità è la sorprendente e rivoluzionaria
concezione del prossimo. Solo l'evangelista Luca pone sulle labbra del maestro
della legge una seconda domanda: "Ma chi è il prossimo?". Gesù risponde
raccontando la parabola del buon samaritano. Il prossimo non esiste già.
Prossimo si diventa. Prossimo non è colui che ha già con me dei rapporti di
sangue, di razza, di affari, di affinità psicologica. Prossimo divento io stesso
nell'atto in cui, davanti a un uomo, anche davanti al forestiero e al nemico,
decido di fare un passo che mi avvicina, mi approssima.
E' importante notare il rapporto tra le due novità`
introdotte da Gesù. L'amore per l'uomo nasce dalla dedizione a Dio, manifesta
l'affidamento alla volontà di Dio. Ma Dio è il Padre di tutti. Per questo, colui
che è radicato nell'amore di Dio guarda e avvicina ogni uomo, creando vincoli
nuovi di prossimità, e scavalca le barriere della razza, della classe sociale,
della diversa mentalità, della diversa appartenenza religiosa.
[40] Una concreta esemplificazione di questa novità si può
trovare nel cosiddetto discorso della montagna (capp. 5-6-7 del vangelo secondo
Matteo), che viene letto cursivamente nei giorni feriali delle prime quattro
settimane di Quaresima secondo la Liturgia ambrosiana. I singoli e le comunità
lo meditino con attenzione. Esso descrive la vita del discepolo che, proprio
perché ha incontrato il Regno dei cieli, cioè la bontà, la misericordia del
Padre di Gesù, vive una vita di carità che compie e supera l'antica legge. Il
modello del discepolo è l'amore stesso del Padre: "Siate perfetti, così come è
perfetto il Padre vostro che è in cielo" (5,48).
Nel cuore del discorso della montagna sta il "Padre nostro",
la preghiera dei figli di Dio (6, 9-13). Di qui tutta una gamma di concreti
gesti e atteggiamenti di amore che vengono descritti con abbondante e stimolante
esemplificazione. Sono esempi di amore così intenso verso tutti, anche verso i
nemici, da commuovere anche coloro che non credono in Gesù come Figlio di Dio,
ma lo considerano un grande maestro di umanità.
Ulteriori approfondimenti si trovano nel vangelo di Giovanni.
Esso non ricorda le domande del maestro della legge e le relative risposte. Però
nel cap. 13, vv. 3-1-35 riporta il comando nuovo dato da Gesù ai discepoli
durante l'ultima cena: "Io vi do un comandamento nuovo: Amatevi gli uni gli
altri. Amatevi; come io vi ho amato! Da questo tutti sapranno che siete miei
discepoli: se vi amerete gli uni gli altri".
[41] Notiamo anzitutto l'esemplarità di Gesù: la vicenda
concreta di Gesù, soprattutto il gesto imminente di dare la vita, offre ai
discepoli l'immagine viva dell'amore del Padre, il modello insuperabile da
imitare, la sorgente inesauribile a cui attingere.
Notiamo anche l'esemplarità dei discepoli: tutti gli uomini
vanno amati e sono invitati a entrare nella comunità di coloro che credono
all'amore del Padre e di Gesù; ma, affinché sia annunciata e attuata questa
universalità dell'amore, occorre che coloro che già credono, i discepoli, si
vogliano bene tra di loro, offrendo un esempio e una profezia della carità. Gesù
conferma questa intuizione nella preghiera con cui si concludono i discorsi
dell'ultima cena: "Padre, io non prego soltanto per questi miei discepoli, ma
prego anche per gli altri, per quelli che crederanno in me dopo aver ascoltato
la loro parola. Fa` che siano tutti una cosa sola: come tu, Padre, sei in me e
io sono in te, anch'essi siano in noi. Così il mondo crederà che tu mi hai
mandato" ( 17, 20-21 ).
Con un linguaggio sintetico e un po' tecnico, possiamo dire
che Giovanni, sullo sfondo teologico della carità (l'amore del prossimo si fonda
nell'amore di Dio), e sullo sfondo antropologico (il prossimo è ogni uomo), già
ricordati dai vangeli sinottici, precisa ulteriormente la dimensione
cristologica (i discepoli devono amarsi "come" Gesù ha amato), ecclesiologica
(l'amore dei discepoli dentro la comunità diventa profezia per il mondo) e
trinitaria (l'unità del Padre e del Figlio è fondamento e modello dell'unità dei
discepoli).
[42] Il Nuovo Testamento illustra l'inesauribile ricchezza
della parola di Gesù, mostrando come essa è diventata fonte di vita nuova nella
storia concreta delle prime comunità cristiane.
Considerando la vita dei primi cristiani dal punto di vista
della carità, viene subito alla mente il notissimo fatto della comunione dei
beni praticata nella comunità di Gerusalemme.
Questo fatto va colto nel suo immediato e realistico rilievo
sociologico, cioè nella sua capacità di cambiare le cose, di risolvere i
problemi della povertà, di prefigurare una società nuova. Comporta, però, anche
altri aspetti, che ce ne danno l'interpretazione più profonda.
Notiamo anzitutto che questo gesto di carità è accostato ad
altri doni del Signore, ad altre forme di presenza di Gesù nella comunità. Nei
due passi del libro degli Atti, in cui è descritta la comunione dei beni (cfr.
il cap. 2, vv. 42-47 e il cap. 4, vv. 33-37), essa è collegata con la preghiera,
con l'ascolto della parola degli apostoli, con la frazione del pane, con i
miracoli, con la gioia. Essa dunque non è semplice iniziativa sociale, ma dono
di Dio, presenza di Gesù, espressione della fede nel Risorto.
Inoltre essa è un gesto libero. Nessuno è costretto a farlo.
Lo ribadisce anche Pietro ad Anania che aveva venduto un campo, ma aveva mentito
nel consegnare agli apostoli il ricavato: "Anania, come mai Satana ha potuto
impadronirsi di te? Ti sei trattenuto una parte dei soldi ricavati dalla
vendita, ma così facendo non sei stato sincero verso lo Spirito Santo! Prima che
tu lo vendessi, il campo era tuo e, anche dopo averlo venduto, potevi benissimo
tenere tutto il denaro per te: lo sai bene. Perché, invece, hai pensato di fare
una simile azione? Tu non sei stato bugiardo verso gli uomini, ma verso Dio" (cfr.
Atti, cap. 5,vv 3-4)
[43] Tutto questo ci porta a scorgere un rapporto dinamico
tra la carità e il gesto concreto della comunione dei beni. La carità è più
ampia di ogni gesto, è obbedienza al Signore, è celebrazione del Risorto nella
Parola e nell'Eucaristia, è gioia per la perenne presenza di Gesù in mezzo ai
suoi. Però la carità tende anche al concreto, cerca di fare tutto ciò che è
possibile di volta in volta per manifestare anche nel campo sociale la vita
nuova dei credenti; e il gesto della comunione dei beni è appunto segno
concreto, manifestazione profetica e libera delle ricchezze della carità.
Ritroviamo questo rapporto dinamico, tra la carità e i gesti
concreti di amore fraterno, nell'epistolario di S. Paolo e di S. Giovanni.
Nelle lettere di Paolo è frequente la descrizione della vita
cristiana come concreta vita di carità. E' interessante notare che, per
designare la vita di carità, Paolo usa le parole "offerta", "sacrificio" e
simili, cioè le parole del linguaggio cultuale. Bastino due esempi. Nella
lettera ai Romani, cap. 12, vv. 1-2, Paolo comincia a descrivere la vita
cristiana come risposta all'iniziativa di Dio presentata nei precedenti capitoli
della lettera. Così scrive: "Dio ha manifestato la sua misericordia verso di
noi. Vi esorto dunque, fratelli, a offrire voi stessi a Dio in sacrificio
vivente, a lui dedicato, a lui gradito. E' questo ii vero culto che gli dovete.
Non adattatevi alla mentalità di questo mondo, ma lasciatevi trasformare da Dio
con un completo mutamento della vostra mente. Sarete così capaci di capire qual
è la volontà di Dio, vale a dire ciò che è buono, a lui gradito, perfetto".
Paolo, poi, continua dando indicazioni concrete, puntuali, sul modo di
esercitare la carità fraterna.
Nella lettera agli Efesini Paolo dedica i primi tre capitoli
ad annunciare il posto centrale di Cristo nel disegno d'amore che Dio ha
sull'umanità. Col cap. 4 l'Apostolo presenta la vita cristiana come adesione a
Cristo e al disegno di Dio: "Perciò, io che sono prigioniero a causa del
Signore, vi raccomando: fate in modo che la vostra vita sia degna della
vocazione che avete ricevuto! Siate sempre umili, cordiali e pazienti;
sopportatevi l'un l'altro con amore; cercate di conservare, per mezzo della pace
che vi unisce, quella unità che viene dallo Spirito Santo" (4, 1-3). Paolo
continua poi a descrivere la vita dei credenti in Cristo e le forme concrete di
esercizio della carità. Nel mezzo della descrizione dice: "Siate buoni gli uni
con gli altri, pronti sempre ad aiutarvi, perdonandovi a vicenda, come Dio ha
perdonato a voi, per mezzo di Cristo. Poiché siete figli di Dio, amati da lui,
cercate di essere come lui: vivete nell'amore, prendendo esempio da Cristo, il
quale ci ha amati fino a dare la vita per noi, offrendola come un sacrificio che
piace a Dio" (4,32 - 5,2).
Dunque la vita di Cristo, spesa nell'amore, e la vita dei
cristiani, resa conforme a quella di Cristo, sono il vero culto gradito.
Questo significa anzitutto che il culto è opera di tutta la
vita: sono importanti le concrete opere di carità, compiute nella esistenza
quotidiana.
Ma significa anche che la vita è culto: le concrete opere di
carità vanno inquadrate in un cammino di obbedienza a Dio, di ascolto della sua
Parola, di ricerca della sua volontà, di adesione a Cristo che ha rivelato e
compiuto pienamente la volontà del Padre.
[44] Questa visione della vita di carità ispira il famoso
inno alla carità, contenuto nel cap. 13 della prima lettera ai Corinzi. Esso si
compone di tre strofe.
La prima strofa (vv. 1-3) distingue la carità dai gesti
compiuti a servizio degli altri. I doni delle lingue, della profezia, della
scienza, dei miracoli, senza la carità non valgono nulla. Distribuire i propri
beni ai poveri e addirittura consegnare il proprio corpo alle fiamme, senza la
carità non sono niente. La carità è più grande di tutto ciò. Non consiste nella
semplice esecuzione di un gesto, per quanto splendido o costoso.
La seconda strofa (vv. 4-7) descrive le multiformi
manifestazione della carità. Essa, che oltrepassa ogni gesto e ogni
atteggiamento, tende, però, a suscitare una sempre nuova varietà di
atteggiamenti e di gesti. Paolo indugia particolarmente su alcuni orientamenti
fondamentali che mettono tutta la persona in stato di accoglienza, di
disponibilità, di perdono, di pazienza, di tensione premurosa e operosa, di
comprensione, di fiducia, di speranza. La carità non è un cammino
unidirezionale, ma un interiore senso delI'orientamento, che permette di
prendere di volta in volta la direzione giusta.
La terza strofa (vv. 8-13) tenta di dire l'indicibile: la
carità è un vivere già su questa terra, dove tutto è parziale e fuggevole, quel
bene pieno e intramontabile che è il dimorare in Dio, il vederlo faccia a
faccia, il conoscerlo come lui ci conosce. La carità è il supremo, sorprendente
ritrovamento della nostra umanità e dell'umanità di ogni fratello, frutto del
nostro abbandono nelle braccia paterne di Dio.
[45] Chiediamo un'ultima illuminazione alla prima lettera di
S. Giovanni. Essa cerca di rispondere alla domanda: chi è il vero cristiano?
Vengono presentati tanti segni distintivi del cristiano, che si suggellano nella
carità. Ma che cos'è la carità? Da un lato essa è oltre la nostra portata. E'
più grande di noi. Ci precede sempre. E' iniziativa di Dio che ci ha amati e
continua ad amarci per primo, mandando a noi Gesù, il Figlio Unigenito, e
donandoci lo Spirito Santo. La carità è Dio stesso. Ricordo un bellissimo
commento del filosofo danese S. Kierkegaard: "Tu ci hai amati per primo, o Dio.
Noi parliamo di te come se ci avessi amato per primo una volta sola. Invece
continuamente, di giorno in giorno, per la vita intera, tu ci ami per primo.
Quando al mattino mi sveglio ed elevo a te il mio spirito, tu sei il primo, tu
mi ami per primo. Se mi alzo all'alba e immediatamente elevo a te il mio spirito
e la mia preghiera, tu mi precedi, tu già mi hai amato per primo. E' sempre
così. E noi ingrati, che parliamo come se tu ci avessi amati per primo una volta
sola".
[46] Dall'altro lato, la carità chiede di diventare concreta
e operosa nel nostro amore per i fratelli: "Noi abbiamo capito che cosa vuol
dire amare il prossimo, perché Cristo ha dato la sua vita per noi. Anche noi
dobbiamo dare la vita per i fratelli. Se uno ha di che vivere e vede un fratello
bisognoso, ma non ha compassione e non l'aiuta, come fa a dire: io amo Dio?
Figli miei, vogliamoci bene sul serio, a fatti. Non solo a
parole o con bei discorsi... L'amore vero è questo: non l'amore che noi abbiamo
avuto verso Dio, ma l'amore che Dio ha avuto per noi; il quale ha mandato Gesù,
suo Figlio, per farci avere il perdono dei nostri peccati.
Miei cari, se Dio ci ha così amati, anche noi dobbiamo amarci
gli uni gli altri. Dio nessuno l'ha mai visto. Però, se ci amiamo gli uni gli
altri, egli è presente in noi e il suo amore è veramente perfetto in noi... Noi
amiamo Dio, perché egli per primo ci ha mostrato il suo amore. Se uno dice: io
amo Dio e poi odia suo fratello è bugiardo. Infatti, se uno non ama il prossimo
che si vede, certo non può amare Dio che non si vede... Chi ama un padre, ama
anche i suoi figli. I)i conseguenza, se amiamo Dio e osserviamo i suoi
comandamenti, amiamo anche i figli di Dio" (3, 16-18; 4, 10-12. 19-20; 5, 1-2).
[47] La carità si distende tra il mistero di Dio e la storia
degli uomini. Affonda le radici nel mistero e produce frutti sempre nuovi nella
storia. Per conoscere meglio le vie misteriose e feconde della carità, dobbiamo
allora chiedere allo Spirito Santo di aiutarci a capire come essa si è
manifestata nella storia, si è lasciata provocare dalle diverse vicende umane,
ha dato la risposta del cuore di Dio alle povertà e ai bisogni degli uomini.
Non posso certo esaminare compiutamente venti secoli di
storia cristiana. Farò solo qualche accenno, che ritengo utile per capire le vie
che la carità deve percorrere nel nostro tempo.
[48] Ricordo anzitutto due luoghi in cui la voce dello
Spirito si fa particolarmente chiara nell'insegnarci il valore e le espressioni
della carità.
Il primo luogo è la liturgia, specialmente la celebrazione
eucaristica. Essa attraversa tutte le generazioni cristiane; col suo linguaggio
intenso e sobrio rivela ai credenti i prodigi dell'amore di Dio; con la forza di
Gesù stesso realmente presente, attrae tutti gli uomini, insieme con Gesù, nel
mistero della carità del Padre. Lo Spirito Santo, invocato alla Consacrazione,
perché il pane e il vino diventino il corpo e il sangue di Gesù, viene invocato
dopo la Consacrazione perché tutti i credenti diventino il corpo di Cristo, cioè
la reale manifestazione di lui e del suo amore presso ogni uomo.
Dobbiamo lasciarci guidare con maggiore docilità dallo
Spirito Santo nel capire e nel vivere questa stretta relazione tra il corpo
eucaristico e il corpo ecclesiale di Gesù, tra la carità vissuta da Gesù nella
Pasqua e la carità che la Chiesa deve vivere nella storia.
La stessa azione liturgica ci offre gli strumenti per
diventare docili allo Spirito.
Penso alla Parola proclamata durante la celebrazione,
commentata nell'omelia, illustrata con la catechesi, affidata alla meditazione
personale e alla comunicazione della fede nei gruppi. Se il lezionario viene
veramente usato, capito, gustato in questo modo, diventa una ricchissima miniera
di provocazioni, di esempi pratici, di stimoli concreti, perché il rito
celebrato si trasformi in carità vissuta.
Penso a tutta la ricchissima eucologia ambrosiana, alla
ricchezza di orazioni che menzionano cosi spesso l'amore di Dio e del prossimo.
Penso anche ad alcuni momenti significativi della Messa, i
quali per la loro stessa natura, fanno da cerniera tra la liturgia e la vita.
L'atto penitenziale, per esempio, ci aiuta a scoprire e a
confessare le concrete mancanze contro la carità.
La preghiera dei fedeli ci educa a confrontare la Parola
annunciata con i problemi della Chiesa e del mondo.
Lo scambio della pace ci invita a "farci prossimo" dell'uomo
che ci sta accanto non perché l'abbiamo scelto noi, ma perché è stato anch'egli
convocato nell'assemblea dei credenti.
La raccolta delle offerte, sia nella forma ordinaria, sia
nella forma delle "giornate straordinarie" indette lungo l'anno, promuove
attenzione e solidarietà verso i bisogni dei fratelli.
[49] Un secondo luogo in cui lo Spirito ci parla della carità
è la storia della santità cristiana. I Santi, proprio perché si lasciano
veramente guidare dallo Spirito, non si gloriano delle loro opere e delle
iniziative talvolta eccezionali, a cui hanno dato vita. Con l'umiltà e la
preghiera essi si affidano a Dio. Ma, proprio perché dimorano in Dio e sono
vicinissimi al cuore di Dio hanno una genialità profetica e una forza eroica nel
percepire i bisogni degli uomini e nel venire loro incontro.
[50] Cito semplicemente la testimonianza di uno dei santi più
famosi nell'esercizio della carità, cioè di S. Vincenzo de' Paoli.
Nell'ufficio delle letture della sua memoria (27 settembre)
la Liturgia delle Ore propone una sua stupenda lettera sul servizio da prestare
ai poveri. Il santo raccomanda anzitutto una visione di fede: "Non dobbiamo
regolare il nostro atteggiamento verso i poveri da ciò che appare esternamente
in essi e neppure in base alle loro qualità interiori. Dobbiamo piuttosto
considerarli al lume della fede". Dopo aver ricordato l'esempio di Cristo, il
santo invita a pregare: "Sforziamoci di diventare sensibili alle sofferenze e
alle miserie del prossimo. Preghiamo Dio per questo, che ci doni lo spirito di
misericordia e di amore, che ce ne riempia e che ce lo conservi". Ma proprio la
fede e la preghiera, che ci portano oltre le cose umane, ispirano a San Vincenzo
espressioni fortissime e bellissime sulla concretezza con cui la carità ci
comanda di servire i poveri: "Il servizio dei poveri deve essere preferito a
tutto. Non ci devono essere ritardi. Se nell'ora dell'orazione avete da portare
una medicina o un soccorso a un povero, andatevi tranquillamente. Offrite a Dio
la vostra azione, unendovi l'intenzione dell'orazione. Non dovete preoccuparvi e
credere di aver mancato, se per il servizio dei poveri avete lasciato
l'orazione. Non è lasciare Dio, quando si lascia Dio per Iddio, ossia un'opera
di Dio per farne un'altra. Se lasciate l'orazione per assistere un povero,
sappiate che fare questo è servire Dio. La carità è superiore a tutte le regole,
e tutto deve riferirsi ad essa. E' una grande signora: bisogna fare ciò che
comanda".
[51] L'esercizio della carità nella società attuale richiede
anche preparazione specifica e competenza tecnica. Ma sarà sempre indispensabile
un fervore spirituale, che ci verrà comunicato dalla fàmiliarità con la vita dei
santi.
Cerchiamo in particolare di approfondire la tradizione di
santità e di carità della nostra chiesa milanese.
[52] La vita di S. Ambrogio, che troviamo nel lezionario
ambrosiano per la solennità del 7 dicembre. contiene brevi, ma significativi
accenni alla carità del nostro Patrono: "Amò intensamente i poveri e i
prigionieri: donò ai poveri e alla Chiesa tutto l'oro e l'argento che possedeva,
quando fu eletto vescovo; alla Chiesa donò pure i suoi terreni--destinandone il
solo usufrutto alla sorella Marcellina--in modo da non serbare per sé cosa
alcuna che potesse dire sua. Così, come un soldato privo di impedimenti e pronto
a combattere, si mise al seguito di Cristo Signore che "da ricco che era, si è
fatto povero per noi, perché diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà" (cfr.
2 Cor 8,9). Godeva con coloro che erano nella gioia, piangeva con chi era
afflitto; ogni volta che qualcuno gli confessava i suoi peccati per riceverne la
penitenza, piangeva a tal punto da ridurre al pianto il penitente: sì
considerava, infatti. peccatore col peccatore".
Della carità di San Carlo vorrei parlare più ampiamente in
qualche altra occasione come mi sono ripromesso di fare nella "Lettera a S.
Carlo", che ho scritto la scorsa estate.
Suggerisco anche la lettura di qualche profilo storico, come
il volumetto: "Preti ambrosiani al servizio dei poveri", o la storia di:
"Marcello dei lebbrosi". Emergerà non solo la commovente storia della santità,
ma anche la geniale intraprendenza con cui la carità ha animato la vita sociale
milanese nell'arco .li questi ultimi due secoli.
Coloro che hanno raccolto l'eredità spirituale e le
Istituzioni caritative di persone generose e coraggiose che Dio ha donato alla
nostra Chiesa, cerchino di studiare e di far conoscere un patrimonio tanto
prezioso, che può ispirare e alimentare anche oggi la nostra vita di carità.
[53] Cerchiamo ora di conoscere più da vicino le vie che la
carità ha tracciato nella storia della Chiesa e della società, lasciandosi
provocare dai bisogni degli uomini.
Sono vie sempre nuove e imprevedibili. Entrano nel vivo dei
problemi, ma sfuggono a schemi e classificazioni. La carità è la forza più
profonda della vita e come la vita, non cessa mai di sorprenderci.
Tanto per orientarci, però, negli innumerevoli sentieri
percorsi dalla carità possiamo farci guidare da due criteri: il primo riguarda
il tipo di società in cui la carità agisce; il secondo considera i rapporti tra
la Chiesa e la società.
Nell'ambito di questi due criteri è avvenuta una importante
trasformazione con quella che si chiama comunemente la "modernità", cioè con
tutta quella serie di fenomeni economici, sociali, politici, culturali,
religiosi, che hanno dato origine al mondo moderno. Dobbiamo allora considerare
il volto storico della carità in due momenti, prima e dopo l'avvento de]l'era
moderna.
Prima dell'era moderna il tipo di società è generalmente
piuttosto semplice, con una forte prevalenza dei rapporti immediati tra le
persone sui rapporti mediati dai sistemi economici e sociali. In questa società
la carità si sente soprattutto impegnata in interventi personali e diretti, per
alleviare la sofferenza del prossimo. Questi interventi cambiano pian piano
anche la mentalità, il costume, le forme della vita associata: pensiamo
soprattutto alla rigida divisione in classi, propria della società antica, con
la terribile piaga della schiavitù.
Quanto al secondo criterio, cioè il tipo di rapporto tra
Chiesa e società, la tendenza va dalla forte separazione verso una specie di
compenetrazione.
[54] All'inizio, la Chiesa vive ai margini della grande
società pagana. La carità si svolge soprattutto tra i fratelli di fede. Nella
Chiesa apostolica abbiamo già ricordato la comunione dei beni. Possiamo
ricordare anche la colletta organizzata da Paolo presso le comunità
cristiano-ellenistiche a favore della comunità di Gerusalemme in stato di
necessità (Paolo ne parla soprattutto nella lettera ai Romani, cap. 15, vv.
2531; nella prima lettera ai Corinzi, cap. 16, vv. 1-4 e nei capp. 8 e 9 della
seconda lettera ai Corinzi). Vengono anche istituiti alcuni uffici per il
servizio assistenziale nella comunità: Paolo, quando elenca i carismi, parla
pure di "colui che assiste" (cfr. la prima lettera ai Corinzi, cap. 12, v. 28 e
la lettera ai Romani, cap. 12, v. 7). Nel cap. 6 del libro degli Atti vengono
presentati coloro che, se non hanno ancora il nome di diaconi (di essi si
parlerà più tardi, nelle cosiddette "lettere pastorali di S. Paolo), svolgono
comunque il compito diaconale di servire alle mense. Nei primi secoli la Chiesa
prolunga e perfeziona questo servizio di carità soprattutto a favore degli
infermi, degli orfani, delle vedove, degli schiavi, dei pellegrini.
Col riconoscimento pubblico della Chiesa, l'attività
caritativa si estende dalla Chiesa a tutta la società. La Chiesa riceve in
eredità molti beni. Ai vescovi vengono attribuiti anche incarichi civili.
Vescovadi e monasteri diventano centri di intensa attività caritativa, la quale
fa parte del più ampio progetto di rendere cristiana la società.
Nel Medio Evo l'azione caritativa, da un lato viene sempre
più legata alle istituzioni che reggono la vita sociale (i feudatari, le
corporazioni, i comuni, ecc.) sulla base di principi cristiani; dall'altro si
esprime in un'intensa fioritura di gruppi e movimenti carismatici, che
sottolineano tre esigenze: il carattere più gratuito e carismatico che non
istituzionale della carità; la necessità di pensare alle sempre nuove forme di
povertà non raggiunte dagli interventi istituzionali; l'impegno a rendere
evangelicamente più povera la Chiesa.
In questo contesto è facile comprendere perché la riflessione
cristiana sulla carità cerchi soprattutto di mettere in luce il suo posto nella
vita del cristiano e nella vita della Chiesa.
La carità è vista come il valore unificante e fondante, che
rende veramente cristiani tutti gli altri gesti e le altre virtù del credente.
Uno è cristiano quando ha la carità.
Nel medesimo tempo la carità è vista come il principio che dà
unità a tutta la vita della Chiesa e impegna i credenti a cercare l'unità con i
propri fratelli di fede.
[55] Le testimonianze. che si possono citare, sono
innumerevoli. Voglio citare almeno qualche testo di S. Agostino, non solo perché
egli rappresenta uno dei vertici del pensiero cristiano, ma anche perché
ricordiamo in questi anni il sedicesimo centenario della sua venuta a Milano e
della sua conversione. Egli, infatti, dal 384 al 387 fu ospite della nostra
città vi incontrò S. Ambrogio, si convertì alla fede cattolica e cominciò
proprio qui tra noi il suo mirabile cammino di teologo di pastore e di santo.
Vi propongo due passi, tratti dalle dieci bellissime
prediche, con cui commentò, nel tempo pasquale del 413, la prima lettera di S.
Giovanni, la lettera della carità.
Il primo passo è contenuto nella settima predica e presenta
la carità come il valore supremo che dà autenticità e unità ai diversi aspetti
della vita cristiana: "Diversi sono i modi di agire. Possiamo trovare un uomo
che si mostra duro in forza della carità e uno affabile in forza dell'iniquità.
Un padre, per esempio, percuote il figlio, mentre un mercante di schiavi si
mostra pieno di riguardi. Se fai scegliere tra queste due cose, le percosse e le
carezze, chi non preferisce le carezze e fugge le percosse? Se guardi alle
persone, la carità colpisce, l'iniquità blandisce. Considerate bene quanto
vogliamo sottolineare, che cioè i fatti degli uomini non si differenziano se non
partendo dalla radice della carità. Possono infatti accadere molti fatti che
hanno l'apparenza buona, ma non procedono dalla radice della carità... Al
contrario alcune cose sembrano aspre e crudeli, ma si fanno per instaurare una
disciplina, sotto il comando della carità. Una volta per tutte, dunque, ti viene
dato un breve precetto: abbi la carità e poi compi tutto ciò che la carità ti fa
volere. Se taci, taci per amore. Se parli, parla per amore. Se correggi,
correggi per amore. Se perdoni, perdona per amore. Sia in te la radice
dell'amore, poiché da questa radice non può nascere che il bene... Se vuoi
vedere Dio, hai a disposizione l'idea giusta: Dio è amore. Quale volto ha
l'amore? Quale forma, quale statura, quali piedi, quali mani? Nessuno lo può
dire. Tuttavia ha i piedi: sono quelli che conducono alla Chiesa. Ha le mani:
sono quelle che donano ai poveri. Ha gli occhi, coi quali si viene a conoscere
colui che è nel bisogno, come è detto nel salmo (40,2): Beato colui che ha cura
del povero e dell'indigente. Ha orecchi, di cui parla il Signore: Colui che ha
orecchi per intendere, intenda. Queste varie membra non si trovano separate in
luoghi diversi, ma chi ha la carità vede con un colpo d'occhio della sua mente
tutto l'insieme. Tu dunque abita nella carità ed essa abiterà in te: resta in
essa ed essa resterà in te".
[56] Il secondo passo viene dalla decima predica e descrive
la carità come principio di autenticità e di unità nella vita della Chiesa. "Il
Signore nostro Gesù Cristo, salendo al cielo, il quarantesimo giorno, ci ha
raccomandato il suo corpo che doveva restare quaggiù, perché prevedeva che molti
avrebbero reso onore a lui appunto perché ascendeva al cielo, ma vedeva pure
l'inconsistenza di tali onori resi a sé, dato che questi tali avrebbero
calpestato le sue membra qui in terra. Affinché nessuno fosse tratto in errore
-adorando il capo che sta in cielo ma calpestando i piedi che stanno in terra ci
ha precisato dove si sarebbero trovate le sue membra. Mentre ascendeva al cielo,
disse le sue ultime parole, pronunciate le quali non parlò più qui in terra. Il
capo che doveva salire in cielo raccomandò a noi le sue membra che restavano
sulla terra e partì. Ormai non ti può accadere più di sentire Cristo che parla
qui in terra. Puoi sentirlo parlare, ma dal cielo. E dal cielo, perché parlò?
Perché le sue membra erano calpestate qui in terra. A Saulo, suo persecutore,
disse dal cielo:" Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?" (Atti 9,4). Sono salito
al cielo, ma rimango ancora in terra; siedo qui in cielo alla destra del Padre,
ma lì in terra ancora patisco la fame, la sete, ancora sono pellegrino. In che
modo ci ha raccomandato il suo corpo in terra mentre stava per salire al cielo?
Quando i discepoli lo interrogarono: "Signore, è forse venuto il momento in cui
tu ristabilirai il regno di Israele? ". Sul punto di partire, egli rispose: "Non
tocca a voi sapere il tempo che il Padre ha posto in suo potere; ma riceverete
la virtù dello Spirito Santo che verrà in voi e mi sarete testimoni". Vedete fin
dove fa giungere il suo corpo, vedete dove non vuole essere calpestato: "Voi mi
sarete testimoni in Gerusalemme e in tutta la Giudea, in Samaria e in tutta la
terra" (Atti 1, 6-8). Ecco dove rimango io, che pure ascendo in cielo; ascendo
perché sono la testa, ma il mio corpo giace ancora quaggiù. Dove giace? Per
tutta la terra. Vedi di non colpire, di non violare, di non calpestare il mio
corpo. Sono queste le ultime parole di Cristo mentre ascende al cielo".
[57] Con l'avvento dell'era moderna si verificano profonde
trasformazioni.
Il tipo di società, in cui la carità opera, vede la tendenza
verso la complessità: sui rapporti personali e immediati prevalgono sempre più i
rapporti mediati dal sistema economico, sociale, politico. La carità non può
limitarsi a ispirare i rapporti personali, ma deve chiedersi come influenzare
beneficamente anche il sistema. Si trasforma anche il tipo di rapporto tra
Chiesa e società. Dapprima il tono aggressivo e semplicistico, con cui la
modernità afferma l'autonomia assoluta dell'uomo, tende a spingere di nuovo la
Chiesa ai margini della società. Poi una visione più armonica e serena dei
diversi aspetti della persona umana e della vita associata, con le loro diverse
esigenze, porta a parlare di distinzioni e di legittime autonomie tra la vita e
l'autorità ecclesiastica, da un lato, e la vita e l'autorità civile e politica,
dall'altro. Infine si arriva a parlare di reciproca collaborazione per il bene
dell'uomo. Per fare un esempio a noi vicino, mi pare sintomatico il nuovo
orientamento espresso nella revisione degli accordi tra la Santa Sede e lo Stato
italiano, firmati nel febbraio dello scorso anno. Proprio nel primo articolo la
Repubblica Italiana e la Santa Sede non si limitano a riaffermare "che lo Stato
e la Chiesa cattolica, sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e
sovrani" come si diceva precedentemente, ma si impegnano anche "alla reciproca
collaborazione per la promozione dell'uomo e il bene del Paese".
[58] La carità reagisce a questi complessi fenomeni con
sorprendente vitalità.
Si rinnovano anzitutto i soggetti dell'azione caritativa. La
vita religiosa consacrata produce nuove istituzioni di vita attiva a servizio
delle sempre nuove povertà. La fioritura è particolarmente ricca nel Cinquecento
e nell'Ottocento. Anche gli Istituti femminili, con geniali anticipazioni circa
la funzione della donna nella società, si impegnano nella vita attiva di carità.
Nascono nel nostro secolo gli Istituti secolari, che uniscono la consacrazione
speciale con la presenza capillare nella società. I laici riscoprono e attuano
sempre più pienamente la loro responsabilità nella vita della Chiesa e della
società. Diocesi, parrocchie, gruppi, associazioni, movimenti si aprono al
servizio caritativo, ritornando alle radici evangeliche della vita cristiana, ma
anche esprimendosi in importanti fenomeni della sensibilità contemporanea, quali
il volontariato, la cooperazione internazionale, l'aspirazione alla pace.
[59] Si rinnovano anche l'ambito e lo stile dell'azione
caritativa. La carità continua la sua presenza immediata accanto ai bisogni
umani; anzi la complessa evoluzione della società moderna fa emergere sempre
nuove forme di povertà, a cui prestare un soccorso immediato, in forma
pionieristica. Però la carità cerca insieme di diventare sempre più intelligente
ed efficace, cioè cerca di capire dal di dentro i fenomeni complessi della
società attuale e sperimenta gli strumenti più adatti per rispondere ai bisogni,
alle povertà, alle sofferenze. Per far questo utilizza e insieme promuove tutte
le risorse che provengono dalla scienza e dalla tecnica e cerca le forme più
opportune di collaborazione tra l'intervento volontaristico e l'intervento
statale.
Gli ostacoli che la carità incontra sono notevoli. Non
provengono solo dall'egoismo e dalla pigrizia, ma anche dalla oggettiva
complessità della situazione.
La riflessione attuale sulla carità cerca di affrontare
questi problemi. Si continua certo a riflettere sul posto centrale che la carità
occupa nella vita del cristiano e della Chiesa; ma l'interesse principale della
riflessione si sposta verso altri problemi: che rapporto c'è tra carità e
giustizia? come la carità aiuta il cristiano non solo a essere se stesso, ma
anche ad agire da cristiano nel mondo d'oggi? come la carità non solo anima e
unifica la vita della Chiesa, ma ispira la missione della Chiesa nella società
attuale?
Sono domande che ci inquietano e ci appassionano ancor oggi.
Cercherò di lasciarmi provocare da esse nella quarta parte della lettera.
Sarebbe importante a questo punto rievocare il cammino
percorso negli ultimi decenni dall'insegnamento del magistero papale ed
episcopale, dalla riflessione teologica in campo sociale, dalla coscienza dei
credenti particolarmente impegnati nel servizio della carità. Non posso
affrontare un compito così vasto neppure per brevi cenni.
[60] Però, come nel punto precedente ho citato almeno qualche
pagina emblematica di S. Agostino, così voglio ora ricordare un documento
particolarmente significativo, cioè il volumetto: "La forza della
Riconciliazione", preparato per aiutarci a camminare verso il Convegno della
Chiesa italiana su: "Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini".
Esso è significativo non solo perché si riferisce a un
evento, che ci interessa da vicino, ma anche perché si presta a sintetizzare il
cammino che la Chiesa italiana va facendo in questi anni, in ascolto del
magistero papale ed episcopale, della coscienza dei credenti, della riflessione
teologica, dei problemi e delle voci della nostra società.
Del documento sottolineo anzitutto l'intento descrittivo: si
fa un reale sforzo di trattare i problemi non genericamente, ma attraverso una
descrizione di come essi si presentano nella Chiesa e nella società italiana
oggi.
Noto anche l'apertura dialogica: si cerca di dialogare con
tutti coloro che possono portare qualche onesto contributo a capire meglio
questo o quelI' aspetto delle complesse situazioni che vengono esaminate.
Infine mi pare importante la chiave interpretativa unitaria.
Il documento parla di una realtà cristiana che è già viva e operante nella
Chiesa, cioè il dono evangelico della riconciliazione; e si chiede come questo
dono diventa missione della Chiesa nella comunità degli uomini che vivono oggi
in Italia.
Siamo quindi in presenza di un tema propriamente e
specificamente cristiano, riguardante qualcosa che solo la Chiesa sa e può dire.
Ma insieme è un tema che interessa qualcosa che è comunemente cercato, pensato,
vissuto nella società.
Qual è il valore unitario, che mette in rapporto il dono
della riconciliazione con la missione riconciliatrice della Chiesa nella
società? Che cosa unisce la riconciliazione come tema specificamente cristiano e
la riconciliazione come tema comunemente considerato nella società?
[61] Il documento invita a percorrere, non certo come
esclusiva, ma come significativa, la pista della riscoperta e del consolidamento
dei valori morali. Infatti i valori morali sono strettamente connessi col valore
cristiano della riconciliazione: questa è sì un dono che discende dalla gratuita
misericordia di Dio, ma si esprime in concreto suscitando e configurando una
libertà umana capace di dedicarsi al vero bene delI'uomo. Nel fare ciò il dono
cristiano della riconciliazione valorizza, purifica e attua l'impegno etico che
fonda la comunità degli uomini. Infatti la società umana non è solo un insieme
di leggi, organismi, istituzioni. Queste realtà sociali devono servire al bene
dell'uomo; e il bene pur incarnandosi in esse, ha il suo posto cruciale di
emergenza e di attuazione nella vita morale, cioè nei dinamismi intelligenti e
liberi con cui la persona umana aderisce al vero bene.
Pertanto la ricerca e il consolidamento dei valori morali sia
nella coscienza dei singoli, sia nella mentalità comune, diventano un reale
punto di incontro tra il bene cristiano della riconciliazione e l'aspirazione
della comunità umana a una vita associata favorevole al vero bene dell'uomo.
Poiché la riconciliazione è un aspetto importante della
carità, possiamo dire che i rapporti tra carità, giustizia, società nel tempo
presente chiedono una seria attenzione ai problemi morali.
[62] Siamo arrivati al momento dell'olio e de] vino. Insieme
col samaritano ci siamo lasciati attrarre nel dinamismo della carità. Ora
esploriamo il suo farsi concreto nella realistica successione dei gesti
raccontati dalla parabola: l'olio e il vino versati sulle piaghe, la fasciatura
delle ferite, il trasporto sulla cavalcatura, l'assistenza premurosa nella
locanda, i due denari versati al padrone dell'albergo con l'impegno di rifondere
tutte le spese ulteriori.
Questi gesti sono molto semplici e umili. Sappiamo ormai che
la carità è più grande di loro. Eppure in essi si esprime concretamente la
carità. Sono un segno, una testimonianza sempre superabile, ma sempre urgente.
Anche noi vogliamo conoscere quali testimonianze concrete ci
suggerisce la radice della carità messa a contatto con i problemi del nostro
tempo.
Se confrontiamo il cammino compiuto dalla carità lungo la
storia con i bisogni della nostra umanità, vediamo delinearsi cinque ambiti di
testimonianza. Per ora mi accontento di abbozzarli brevemente. Per precisarli
ulteriormente e per tradurli in un più dettagliato programma operativo attendo
sia le indicazioni del Convegno ecclesiale sulla riconciliazione, sia i
suggerimenti di coloro che, leggendo questa lettera, si sentiranno spinti a
trovare applicazioni pratiche nel loro campo di vita e di esperienza.
La prima testimonianza è quella dell'amore fraterno dentro la
comunità cristiana. Gesù ha comandato ai discepoli di amarsi l'un l'altro per
offrire al mondo una testimonianza credibile dell'amore di Dio.
Suggerisco alcuni punti che possono suscitare riflessioni,
verifiche, propositi di rinnovamento.
[63] a) La carità fraterna nasce dal contatto con
l'Eucaristia e la Parola. Occorre dare ritmo più autentico e vivace a quei
momenti della celebrazione liturgica, che ho già ricordato in precedenza e che
costituiscono una naturale cerniera tra il rito e la vita di carità.
b) La carità, come ci ha insegnato S. Paolo, si esprime
anzitutto in orientamenti profondi della persona. Occorre che le nostre comunità
diano I'esempio di rapporti personali sinceri, pazienti, accoglienti, a modo di
concreta attuazione della seconda strofa dell'inno della carità contenuto nel
cap. 13 della prima lettera ai Corinzi.
Il giorno domenicale soprattutto deve essere riscoperto come
giorno dell'amicizia, degli incontri fraterni, della gioia rasserenatrice, della
visita ai malati, della prossimità confidenziale dentro le singole famiglie e
tra le diverse famiglie.
c) Alimento e insieme espressione di rapporti personali,
freschi e creativi, sono alcune abitudini che vanno coltivate e consolidate:
- l'edificazione reciproca con parole ricche di sapienza
cristiana e con esempi di umile e luminosa bontà;
- la correzione fraterna fatta con dolcezza e con franchezza:
- la comunicazione delle esperienze di fede e di carità, per
leggere evangelicamente le diverse situazioni che si creano nella famiglia,
nell'ambiente di lavoro, nel quartiere, ecc.;
- qualche forma di comunione anche dei beni economici: a
questo proposito faccio notare alle le nuove norme concordatarie circa gli enti
e i beni ecclesiastici in Italia, pur con le difficoltà e i disagi che
comporteranno, specialmente all'inizio ci incamminano provvidenzialmente verso
un uso più fraterno dei beni.
[64] d) La carità trova un campo privilegiato di espressione
nei carismi, nei ministeri, nelle diverse vocazioni. La carità attua l'unità tra
di essi, fa sì che ciascuno di essi sia di aiuto e di stimolo agli altri;
sviluppa la tensione al servizio che essi si portano dentro. Occorre riscoprire
e rinnovare la vita ministeriale della comunità. Mentre invito ogni vocazione a
ritrovare la propria originalità e autenticità, faccio qualche sottolineatura:
[65] - le vocazioni alla vita contemplativa siano implorate
da Dio e siano accolte come un dono prezioso che alimenta la radice
contemplativa della carità di tutta la Chiesa. Rimane sempre vera, nella sua
intatta bellezza, la pagina della "Storia di un'anima" in cui S. Teresa di Gesù
Bambino descrive la scoperta della sua vocazione a vivere nel cuore della
Chiesa, corpo di Cristo;
- le vocazioni alla vita attiva di carità sappiano ritornare,
oltre le eventuali incrostazioni, alla purezza originaria e creativa del carisma
dei fondatori e delle fondatrici;
- gli Istituti secolari siano conosciuti ed apprezzati nella
loro originalità: essi testimoniano in un modo particolarmente intenso l'amore
del Padre e di Cristo per il mondo. congiungendo la consacrazione speciale con
una presenza operosa che si colloca dentro e anima dal di dentro le realtà del
mondo;
- Le vocazioni alla vita familiare siano coltivate e vissute
non solo come naturale inclinazione dell'uomo e della donna al matrimonio, ma
anche e soprattutto come autentiche e originali vocazioni cristiane, che sanno
imprimere alla vita familiare uno stile evangelico. una tensione alla dedizione
piena e senza riserve, una generosa apertura alla vita, una operosa attenzione
ai problemi della società;
- perché la ricchezza ministeriale della comunità si esprima
più pienamente, occorre scoprire e configurare sempre meglio, sotto la guida
dell'autorità ecclesiastica la varia gamma di funzioni che le donne possono
svolgere nella Chiesa;
[66] - infine, perché il ministero dei vescovi e dei
presbiteri possa essere aiutato a esprimere e ad attuare più efficacemente la
propria interna tensione al servizio della carità, occorre verificare anche
nella nostra diocesi l'opportunità che vengano aggregati all'ordine sacro i
diaconi non solo in forma transeunte, ma anche in modo permanente. Invito per
questo ad assecondare l'opera di sensibilizzazione, promossa dall'apposita
commissione arcivescovile per il diaconato permanente.
[67] e) Una forma importante di carità fraterna è la
cooperazione missionaria tra le Chiese, con particolare attenzione alle Chiese
del terzo mondo. Lo scambio delle ricchezze cristiane, dei valori culturali, dei
beni economici, offre un immenso campo di esercizio della carità.
[68] f) Ricordo, infine, l'impegno ecumenico, che è molto
vivace anche nella nostra diocesi. La ricerca della unità è obbedienza al
desiderio espresso da Gesù nella preghiera al Padre prima di morire. Mentre
camminiamo verso una comunione più piena nella fede. nella liturgia e nella vita
ecclesiastica, possiamo vivere momenti preziosi di reale comunione, collaborando
a comuni iniziative di carità per il bene dei nostri fratelli.
[69] La dedizione personale dinanzi alla persona del fratello
è un aspetto irrinunciabile della carità. Nella parabola del buon samaritano è
il momento fondamentale. In questo fatto si rispecchia certo una caratteristica
della società antica, nella quale l'aiuto ai bisognosi era affidato
prevalentemente all'iniziativa personale; però viene anche illustrato un valore
perenne, che non va eliminato, ma integrato nelle più ampie possibilità di
intervento sociale proprio della nostra civiltà.
La dimensione spiccatamente personale della carità mi
suggerisce alcuni richiami.
[70] a) Dobbiamo riscoprire il valore dell'elemosina,
dell'intervento immediato, che non pretende di risolvere tutto, ma fa quello che
è possibile al momento. Può essere un gesto ambiguo. Può incoraggiare la
pigrizia e la menzogna in chi lo riceve mentre in chi lo compie può far nascere
l'idea di sentirsi a posto, senza andare alla radice dei problemi. Nel fare
l'elemosina, quindi, è necessario un grande realismo e soprattutto bisogna
evitare che essa diventi il surrogato di altri interventi più completi ed
efficaci. Pur con questi rischi, l'elemosina contiene molti valori.
Anzitutto è un gesto di aderenza alla realtà. Anche nella
nostra civiltà ci sono situazioni di povertà difficilmente individuabili e
sanabili a livello sociale. Anzi proprio alcuni meccanismi della nostra civiltà
del progresso e del benessere tendono a produrre disadattati, emarginati,
asociali. Occorre certo intervenire perché i meccanismi siano corretti, così che
non producano effetti negativi; o perché, una volta prodotti tali effetti, si
trovino rimedi a livello sociale. Intanto però occorre fare qualcosa. La carità
suggerisce quello che di volta in volta si può fare.
E proprio in questo fare qualcosa, sapendo che molto di più
andrebbe fatto, si va delineando un secondo valore della elemosina. Essa è un
gesto profetico ed educativo. Proclama che nessuna civiltà terrena, per quanto
perfetta, può risolvere tutti i problemi: solo Dio, con la venuta finale del suo
Regno, tergerà ogni lacrima e farà cessare ogni lutto, pianto e dolore. In
questa luce l'elemosina ci educa ad avvicinarci ai fratelli con molta umiltà,
non sentendoci superiori a loro, ma chiedendo scusa perché riusciamo a fare così
poco per loro. Inoltre ci educa a capire il vero valore della carità: essa vale
per se stessa, non soltanto o soprattutto per i frutti che produce. Già nella
lettera pastorale: "Attirerò tutti a me", al n. 98, scrivevo: "Chi, per potersi
impegnare di fronte al male, pretende di vedere un esito immediato e totalmente
soddisfacente del proprio impegno, si condanna a pericolose delusioni.
Pur tendendo a esiti efficaci, occorre credere che l'impegno
della carità vale per se stesso, nonostante l'eventuale permanere delle
difficoltà. Il cristiano riceve dall'amore pasquale, presente nell'Eucaristia,
un messaggio di speranza, che lo rende incrollabile anche di fronte ai pericoli
e alle sconfitte. Egli entra nelle esperienze di sofferenza e di dolore con
l'intento di superarle; ma le supera, anzitutto, chiedendosi come, entro questi
fatti, l'amore può produrre pazienza, fede, coraggio, perdono".
[71] b) Nella luce della carità, intesa come partecipazione
all'amore pasquale di Gesù di fronte alle situazioni più difficili e
drammatiche, possiamo comprendere un tema particolarmente sottolineato nei
programmi della Chiesa italiana in questi ultimi anni, cioè la partenza dagli
ultimi.
L'attenzione agli ultimi si fonda su motivazioni ovvie e
immediate. Sono i più bisognosi, i più trascurati, al limite della resistenza:
occorre intervenire con urgenza, con assoluta priorità.
In realtà l'attenzione media della gente è rivolta ai bisogni
medi. Gli ultimi sono tali non solo per la situazione in cui versano, ma anche
perché non riescono a farsi sentire, ad attirare l'attenzione.
E' importante allora che le ragioni istintive di intervento a
favore degli ultimi vengano rese efficaci e risonanti dalle perentorie ragioni
della carità. Gli ultimi vanno preferiti perché sono coloro che Gesù ha
maggiormente amato; sono coloro che hanno maggiormente bisogno della speranza
che deriva dall`amore pasquale. In loro la Pasqua rivela più chiaramente la sua
capacità di essere una vittoria definitiva proprio sui mali più irreparabili.
A loro in modo particolare bisogna dire che Cristo è vicino;
che anche nella loro situazione è possibile far nascere un germe di amore. In
loro bisogna far sorgere urgentemente la certezza che, se riescono a credere
all'amore e a vivere nell'amore, hanno trovato la salvezza.
Propongo di interrogarci, verificarci, rinnovarci sui
seguenti punti:
- dare una voce a chi non ha voce, scoprendo le forme sempre
nuove di povertà che stentano a farsi notare e a farsi soccorrere;
- attrezzare le nostre comunità, dai livelli diocesani giù
giù fino ai livelli parrocchiali, di strumenti più agili, più capillari, più
efficaci di pronto intervento per casi difficili che non riescono ad essere
affrontati dai normali mezzi dell'assistenza sociale;
- creare raccordi tra questi strumenti di pronto intervento
così da rendere più sollecito il passaggio dal pronto intervento all'intervento
organico e prolungato.
Bisogna ribadire l'importanza di vivere la vicinanza agli
ultimi in una prospettiva di fede: la carità che si accosta deve radicarsi,
mediante la fede, nel!'amore pasquale di Gesù. Altrimenti si rischia
l'entusiasmo passeggero, che non ha tenuta. Oppure si rischia l'enfatizzazione
sentimentale o ideologica degli ultimi, cadendo in una strana contraddizione: da
un lato, in nome del Vangelo, si vogliono levare gli ultimi dalla loro
condizione di povertà; dall'altro si dichiara che la loro condizione permette
una vita più vicina al Vangelo.
[72] La contraddizione si supera comprendendo che il vero
valore è la carità radicata nella fede. Si può applicare alle diverse condizioni
di sofferenza quello che ha affermato circa la morte il Santo Padre nel discorso
rivolto ai milanesi davanti al cimitero maggiore la sera del 2 novembre 1984:
"La morte di Cristo ci insegna paradossalmente a non volere e insieme a volere
la morte. Ci insegna a non volere quella morte che è frutto di odio, di
ingiustizia, di peccato. Anche a Milano si muore per la solitudine, per
l'abbandono, il disprezzo della vita che inizia o finisce, per l'aggressione
ingiusta, per l'egoismo di chi non pensa ai gravi bisogni degli altri, per
l'inosservanza o la carenza delle leggi. La morte di Cristo ci insegna a non
volere con tutte le nostre forze queste morti. E insieme ci insegna a volere la
morte nel senso di prepararci, giorno per giorno, alla morte, nel senso di
essere pronti a servire i fratelli fino al dono della vita, fino a spendere
giorno per giorno tutte le energie della nostra vita non nella ricerca del
nostro interesse egoistico, ma nella dedizione incondizionata al bene dei
fratelli".
[73] Applicando queste intuizioni ad ogni caso di sofferenza,
possiamo dire che il vero valore non è la condizione povera in sé e per sé, né
la lotta per venirne fuori, ma quel potenziale di amore che si può sviluppare
nel viverla o nell' uscirne. Ed è la sapienza della fede, interna alla carità,
che ci dice di volta in volta quando e come viverla e quando e come uscirne. O
quando e come scegliere liberamente noi stessi di diventare gli ultimi,
sull'esempio di Gesù "il quale era come Dio, ma non pensò di dover conservare
gelosamente il fatto di essere uguale a Dio. Rinunciò a tutto; scelse di essere
come servo e diventò uomo fra gli uomini. Tanto che essi lo riconobbero come uno
di loro. Abbassò se stesso e fu ubbidiente a Dio sino alla morte, alla morte in
croce" (cfr. lettera ai Filippesi, cap. 2, vv. 6-8).
[74]] Nella nostra società complessa, la carità deve
congiungere l'impegno personale diretto e immediato con un intervento più vasto
e articolato nelle strutture stesse della vita associata.
Descrivo questo intervento in tre tappe:
- l'animazione sociale;
-il discernimento spirituale;
- l'impegno politico.
L'animazione sociale comporta tutti quegli interventi che
tendono a creare una umana sensibilità nella società, un'attenzione più vera ai
bisogni delle persone, un insieme di programmi economici, di iniziative
assistenziali e di attività culturali, che favoriscano l'accoglienza,
l'inserimento sociale, la crescita libera di tutti i membri della società.
Qui trova l'applicazione più appropriata l'appello ai valori
morali fatto precedentemente.
[75] Cerco di spiegarmi con un esempio biblico molto noto.
Nel cap. 7 del libro di Isaia si descrive il disagio in cui si trova Acaz, re di
Giuda, quando il re di Aram e il re di Israele volevano trascinarlo in una
coalizione contro il potente re di Assiria. Poiché Acaz si rifiutò, i due re
marciarono contro Gerusalemme, la capitale del regno di Giuda. Acaz, allora,
chiese aiuto all'Assiria. Isaia fu mandato dal Signore a proporre ad Acaz una
terza via di salvezza: confidare nel Signore e raccogliere attorno ad una
rinnovata fede le energie, il coraggio, il valore del popolo. Il Signore è
pronto a dare un segno, la nascita dell'Emmanuele. Acaz non accetta la proposta
di Isaia e preferisce farsi aiutare dal re di Assiria. Questi interviene, vince
i re di Aram e di Israele, ma in pratica riduce al vassallaggio anche il suo
alleato, il re di Giuda.
Acaz, dunque, incontra una forza che lo minaccia. Pensa che
l'alternativa sia o soccombere a questa forza o neutralizzarla ricorrendo a
un'altra forza simile. Isaia, invece, prospetta un valore che si trova a un
diverso livello, cioè il rientro nel profondo della persona, la riscoperta del
mistero di Dio come fondamento della libertà e delle capacità dell'uomo. Questo
valore, poi, sa scendere anche al livello delle forze che si contrappongono,
trovando strade nuove, più efficaci e più degne dell'uomo.
[76] Qualcosa di simile accade quando, nella nostra società
complessa, si parla di strutture sociali, di leggi economiche, di
condizionamenti psicologici. Spesso si pensa che la libertà o è totalmente
estenuata in tutto ciò o deve semplicemente lottare contro alcune strutture
mediante strutture opposte. C'è invece un altro livello, il livello della
persona libera. Essa accetta da Dio la libertà come un dono e come una
responsabilità. Essa sa realisticamente che la propria libertà cresce in un
contesto di eventi, di condizioni, di relazioni che la interpellano. Essa sa che
la fiducia in Dio aiuta ad attraversare anche i momenti più drammatici. Essa sa
che, comunque, non deve pagare una propria affermazione con la diminuzione del
fratello. Questi valori profondi, che sono la base della vita morale, sanno poi
rendere nel concreto. Là dove incontrano strutture, forze, leggi, programmi
contrapposti, sanno scoprire nuove vie, che prendono ciò che c'è di buono in
ogni cosa e dischiudono la strada a nuove strutture, forze, leggi più favorevoli
alla libertà e alla dignità di ogni uomo.
Vorrei invitare a riflettere su tre esempi concreti, in cui è
particolarmente impegnata la carità.
[77] a) Il primo esempio riguarda la vita economica. In essa
si affermano spesso come inesorabili la legge del profitto o la legge della
lotta di classe. Mi chiedo se una visione più ampia dell'uomo non permetta di
mettere in discussione queste leggi, di assumerne gli aspetti positivi
eliminando le rischiose limitatezze, di inventare vie più complesse, più
efficaci, più libere, più umane per risolvere i problemi che esse tentano invano
di risolvere.
[78] b) Il secondo esempio riguarda le persone portatrici di
handicap. Una visione della vita esclusivamente in chiave di benessere porta o a
escludere gli handicappati, perché inadatti a usufruire del benessere, o a
tentare delle socializzazioni, nel senso di forzate immissioni nel mondo del
benessere. Invece una visione etica dell'handicap, senza rinnegare i vantaggi
del benessere, dischiude più ampie possibilità di vita e di reale valorizzazione
sociale delle persone handicappate.
[79] c) Infine un esempio relativo alla terza età. Una
interpretazione della vita come efficienza porta o a escludere gli anziani
perché inefficienti o a cercare semplicemente i modi più o meno artificiosi di
prolungarne l'efficienza. Anche in questo caso una visione etica dell'uomo
darebbe il giusto peso anche alla efficienza e agli strumenti per conservarla,
ma aprirebbe molte altre prospettive di valorizzazione dell'anziano, al limite
anche del totalmente impedito, anche de] moribondo.
Ho fatto solo alcuni esempi schematici. Potremmo moltiplicare
gli esempi e riempire gli schemi con tanti contenuti concreti, che una visione
cristiana dell'uomo sa suggerire.
Per la vita economica, per esempio, potrei ricordare i molti
suggerimenti che ho già dato in varie occasioni, in particolare per l'annuale
giornata della solidarietà.
Per i problemi dell'handicap ho raccolto in molti interventi,
soprattutto nell'anno dell'handicappato, la forza umanizzatrice che ho
incontrato in tante persone e gruppi che si dedicano a questo importante aspetto
del]a vita contemporaneità.
Anche per la terza età ha raccolto suggerimenti precisi da
coloro che vivono in prima persona i problemi degli anziani, specialmente del
Movimento della Terza Eta.
Chiedo a tutti di impegnarsi a trovare e a configurare altre
situazioni concrete, bisognose di sensibilizzazione sociale. Per ora mi limito a
due semplici, ma Importanti annotazioni.
[80] In primo luogo faccio osservare quanto sia importante
che la visione cristiana dell'uomo non esprima soltanto principi rinnovatori
della vita sociale, ma li possa anche incarnare concretamente in opere e
iniziative di assistenza, di riabilitazione, di educazione, ecc. Non si tratta
di rivendicare diritti, ma di permettere alla carità di esprimere più
compiutamente le sue inesauribili capacità di servire l'uomo e la società .
[81] In secondo luogo invito a riflettere sulla necessità
dell'azione educativa. I valori morali non vanno solo enunciati. Chiedono di
essere concretamente sperimentati e assimilati in un cammino educativo, che ne
riveli l'austera bellezza e l'intensa umanità contro le tentazioni della
pigrizia, della stanchezza, dell'egoismo, del]'incomprensione da parte degli
altri. Occorre che le comunità cristiane si impegnino, a vari livelli e con
tutti gli strumenti possibili, a una seria e organica opera di educazione dei
giovani ai valori morali. E proprio la graduale introduzione alle opere della
carità può essere il momento più cruciale e fecondo di questa educazione.
Invito a valorizzare al proposito l'anno internazionale della
gioventù indetto dall'O.N.U.
[82] La visione spirituale dell'uomo contempla la sublime
chiamata, che il Padre rivolge a ogni uomo, ad essere figlio di Dio in Gesù
Cristo e propone un itinerario di fede, di amore, di riconoscenza, di
obbedienza, di gioia filiale, come risposta a questa chiamata.
Dentro questo itinerario vengono assunti, purificati,
rinnovati anche gli atteggiamenti fondamentali della vita morale: la scoperta e
la libera accettazione delle altre persone; la ricerca di un bene che, proprio
per essere un bene autentico della mia persona, deve essere un bene anche per le
altre persone; la fondazione di questo bene comune nell'adesione a un bene
misterioso e trascendente, che dà il significato vero a tutti gli altri beni,
che attraggono di volta in volta, il mio desiderio di vita e di gioia; la
testimonianza, che reco a questo bene supremo, attraverso le responsabilità che
mi assumo nei diversi ambiti della vita personale, familiare, professionale,
sociale, ecc.
[83] Si intravede a questo punto la possibilità che tra la
visione cristiana dell'uomo e i valori morali comuni ad ogni uomo nasca una
feconda relazione, che può essere percorsa in due sensi.
Da un lato la visione cristiana dell'uomo può arricchirsi di
tutte quelle conoscenze ed esperienze che gli uomini incontrano nella loro vita
morale, sia a livello di intuizioni personali, sia a livello di indagine più
organica e riflessa sui vari fenomeni della vita dei singoli e delle comunità.
Si dischiude qui un campo di lavoro molto vasto, che vede credenti e non
credenti impegnati nella ricerca e nella comunicazione di valori comuni, nel
rispetto di ogni contributo che nasca da buona volontà e da onesta ricerca della
verità.
Dall'altro lato la visione cristiana dell'uomo quanto più
aderisce al disegno di Dio sull'umanità, tanto più acquista una specie di
chiaroveggenza nell'interpretare quello che sta maturando nella vita dei singoli
e della società.
Di fronte a una scelta economica o politica a un costume
sociale che si va consolidando, a certi orientamenti che nascono nella vita
familiare, ecc. la visione cristiana intuisce quali fenomeni rappresentino un
inizio promettente quasi un albeggiamento della civiltà dell'amore, della
giustizia, della fraternità; e quali fenomeni invece, nonostante l'ampio
consenso che incontrano, preludano a un mesto tramonto della civiltà,
allontanando gli uomini da una vita di libertà e di pace.
[84] Questo discernimento spirituale dei fenomeni dell'epoca
presente è un compito che la carità, che è il cuore della visione cristiana
dell'uomo deve assumersi per il vero bene dell'umanità.
Solo per avviare una riflessione, che spero si estenda a
tutte le comunità indico qualche fenomeno che chiede un discernimento
spirituale.
In chiave positiva penso al volontariato nelle varie forme,
alla visione universale dei problemi umani espressa nelle varie iniziative di
cooperazione internazionale all'aspirazione sempre più diffusa verso 1a pace.
In chiave negativa penso alla subordinazione della persona a
interessi economici o politici, all'incomprensione dei valori della famiglia, ai
molti attentati contro la vita, al corporativismo gretto e litigioso, alla
distanza tra cittadini e istituzioni. Questi orientamenti non agiscono solo
nella società ma si introducono talvolta anche nella vita della comunità
cristiana offuscandola e disturbandola.
Di questi fenomeni ho già parlato in parecchi interventi, nei
quali ho cercato di ascoltare il magistero del Papa e degli altri vescovi e di
interpretare i suggerimenti della coscienza credente, i problemi e le voci del
mondo che ci sta attorno. Come possiamo completare, sintetizzare, ringraziare il
discernimento spirituale di questi fenomeni? Come andare alle radici profonde,
buone o cattive, dei fenomeni stessi? Come leggerli in modo sempre più aderente
alla situazione della nostra società milanese?
Di questi fenomeni parlano ampiamente anche gli strumenti
preparatori del Convegno ecclesia]e del prossimo aprile. Spero che l'intensa
partecipazione sia alla fase preparatoria, sia soprattutto alla fase di
svolgimento e di applicazione del Convegno aiuti la nostra Chiesa a vivere le
ricchezze della carità anche dal punto di vista del discernimento spirituale.
[85] Il buon andamento della vita sociale dipende molto dalla
vivacità, dalla efficienza, dalla correttezza del sistema politico. Il realismo
tenace, con cui la carità cerca il bene di ogni uomo, la impegna anche nel campo
delle scelte politiche.
Molti suggerimenti circa 1'impegno dei cristiani in campo
politico si trovano nel documento del consiglio permanente della C.E.I. "La
Chiesa italiana e le prospettive del Paese" (1981).
Faccio qualche sottolineatura per suscitare riflessione e
discussione.
[86] a) Bisogna prendere atto con realismo dell'attuale
tendenza delle strutture politiche a espandersi anche in quei settori della vita
associata che, di per sé, potrebbero essere gestiti con strutture più agili,
espresse dall'iniziativa e dal consenso dei cittadini interessati. Penso alla
scuola, all'assistenza, al quartiere, ecc. Oltre che di realismo, però, occorre
dar prova pure di coraggio critico verso questa tendenza a "politicizzare"
tutto. Come ho già detto nel discorso di S. Ambrogio dello scorso dicembre,
"talvolta gli interventi politici fanno riferimento a matrici ideologiche
generali più che all'esame concreto delle situazioni. Gli organismi di
partecipazione e di decentrarnento dovrebbero invece introdurre un prezioso
correttivo verso la concretezza e verso una attenzione a tutte le esigenze
provenienti dalla loro base. Tra queste esigenze mi permetto di ricordare quella
di avere accanto a tante infrastrutture, i luoghi necessari per celebrare il
culto e per attuare le iniziative caritative ed educative della comunità
cristiana".
[87] b) L'attuazione dei princìpi dell'autonomia, della
distinzione e della collaborazione tra Chiesa e Stato chiede ai cristiani molta
versatilità nell'individuare e configurare i diversi tipi di presenza della
Chiesa nella società. A un estremo stanno gli interventi ufficiali della Chiesa
in quanto tale, per casi di estrema gravità che chiedono un consenso di tutti i
credenti; all'altro estremo sta la quotidiana presenza della Chiesa attraverso
le decisioni aflidate alla responsabilità dei singoli cittadini credenti. Tra
questi estremi si distendono molti livelli di intervento, in cui è
particolarmente chiamato in causa l'associazionismo cattolico, con la sua
capacità di produrre programmi dí promozione umana e civile e di creare un
libero consenso attorno ad essi.
c) Un dovere grave della carità cristiana in campo politico è
la denuncia dei sistemi generali e delle singole leggi che violano la libertà e
la dignità dell'uomo. Un esempio recente di denuncia si trova all'inizio del
messaggio inviato dal Santo Padre per la Giornata Mondiale della Pace, il 1
gennaio 1985. Invito a meditarlo, trovando applicazioni concrete alla nostra
situazione.
d) Più difficile è descrivere l'opera propositiva della
carità in campo politico. Si può dire, però, che tutte le testimonianze della
carità descritte nei punti precedenti, specialmente quelle relative
all'animazione sociale e al discernimento spirituale, vengono a costituire un
patrimonio di orientamenti, di valori ideali e anche di progetti operativi
concreti che i cristiani offrono come un contributo originale alla vita politica
del Paese. A questo patrimonio i cristiani si ispireranno nel dar vita alle loro
iniziative e nella scelta di coloro che dovranno democraticamente rappresentarli
nei vari organismi della vita pubblica.
Tutto quello che è stato detto non si può improvvisare.
Occorre un'opera di formazione sia alla coscienza politica di tutti i credenti,
sia all'impegno politico diretto di coloro che hanno vocazione e doti.
[88] Prima di uscir di scena il buon samaritano rivela ancora
una volta la profonda passione che la carità gli ha acceso nel cuore. Sborsando
due denari, raccomanda al padrone dell'albergo: "Abbi cura di lui e quello che
spenderai in più, lo pagherò io al mio ritorno".
La carità non abbandona l'uomo a se stesso. Sa che può sempre
aver bisogno di qualcosa.
Come interpretare questa esigenza di disponibilità
incondizionata, propria della carità? Come educarci a una carità che sa far
fronte ai bisogni sempre nuovi dei fratelli?
[89] Tra i molti valori cristiani che vanno chiamati in
causa, quali là fedeltà, la pazienza, l'umiltà, la definitività vocazionale,
voglio sottolineare il valore della "diocesanità " Si tratta di un atteggiamento
spirituale che ci inclina a condividere la tensione che ha la Chiesa locale
verso una visione globale, aggiornata, universalmente aperta, dei bisogni e
delle povertà presenti in quelle concrete persone che vivono nel territorio
umano in cui la Chiesa rende presente il mistero dell'amore di Dio.
Occorre allora ripensare le cinque testimonianze della
carità, precisandone la prospettiva diocesana, cioè cercando le linee
specifiche, le sottolineature particolari dell'esercizio della carità, che viene
richiesto qui e ora nella nostra Chiesa diocesana in tutte le sue articolazioni.
ln questo lavoro di precisazione pastorale vorrei essere
illuminato e aiutato da tutti.
Per questo propongo alle varie comunità diocesane un lavoro
di riflessione e di consultazione, che applichi alla concreta vita della diocesi
le linee fondamentali tracciate in questa lettera.
a) La consultazione potrà riguardare anzitutto alcuni temi di
fondo già accennati, ma bisognosi di ulteriore approfondimento: per esempio il
rapporto carità-verità o l'intreccio carità-società-moralità, o l'impegno
politico della carità, ecc.
b) Un altro argomento di scambio di esperienze e di
consultazione è rappresentato dalle cinque testimonianze della carità.
Presentandole, ho spesso accennato a domande, questioni, problemi aperti. E'
utile, allora, riprendere i singoli punti e farli andare verso una concretezza
sempre maggiore.
c) Le proposte abbozzate tendono a coprire con una certa
completezza e organicità, le diverse aree dell'impegno caritativo. In un
programma operativo, però, occorre scendere al concreto e individuare alcune
priorità. Anche su questo aspetto chiedo di essere illuminato.
d) Infine la consultazione deve riguardare gli strumenti che
vanno perfezionati o creati ai vari livelli della vita diocesana in vista
dell'animazione e del coordinamento delle diverse iniziative della carità. e)
Mentre chiedo a tutti di impegnarsi in questo lavoro e di mandarmi suggerimenti
e consigli, indico due interlocutori privilegiati, dai quali mi aspetto una più
precisa collaborazione: i Consigli pastorali parrocchiali e il Consiglio
pastorale diocesano, e le commissioni "Caritas" parrocchiali, che avranno come
punto di riferimento la "Caritas" diocesana.
f) I contributi dovranno pervenire entro la fine di giugno,
così che approfittando della pausa meditativa dell'estate, sia possibile,
all'inizio del nuovo anno pastorale, proporre il programma applicativo di questa
lettera sulla carità.
[90] Affido questo cammino alla protezione di Maria. Mi piace
contemplarla nell'icona evangelica delle nozze di Cana. In quella circostanza
Gesù la chiama col nome misterioso di "donna, signora, sposa".
Ella si rivela veramente come la donna che ama Dio con amore
sponsale, primizia della Chiesa sposa di Cristo.
In forza di questo amore, ella si fa attenta ai bisogni degli
uomini e chiede a Gesù di offrire alla povertà dei due sposi il vino miracoloso
della gioia e dell'amicizia.
In questo amore per Dio e per gli uomini Maria è pronta ad
ogni sacrificio. Il momento delle nozze di Cana è collegato con un altro
momento, nel quale per la seconda volta Gesù chiama sua madre col nome di
"donna": è il momento del Calvario, che vede Maria pienamente associata
all'amore pasquale del Figlio.
"O Maria, aiutaci ad amare Dio con tutta la nostra vita,
diventando partecipi dell'amore fedele che la Chiesa porta a Gesù.
Risveglia e consolida in noi un'attenzione premurosa ai
bisogni dei fratelli.
Donaci la gioia e il coraggio di unirci all'amore più grande
di ogni altro, che è stato celebrato sulla Croce".
Lettera al clero e ai fedeli per l'anno pastorale 1985/86
10 febbraio 1985
[91] Questo mio scritto alla diocesi è la continuazione di
quello dell'anno scorso dal titolo Lettera a San Carlo.
Mentre l'anno scorso riflettevo sui temi delle prime tre
lettere pastorali (Contemplazione, Parola, Eucaristia), qui invito a un esame di
coscienza sul tema delle due ultime (Missionarietà e Carità).
Il genere letterario è leggero, ma l'intenzione è seria: si
tratta di aiutare la riflessione dei prossimi mesi sul programma pastorale in
atto stimolando a una intensa revisione di vita con l'aiuto del "fuoco" di san
Carlo.
Che ora è?
Non sto dormendo nel mio letto, e faccio fatica a trovare
l'interruttore. Devo essere in visita pastorale, nella casa di qualche parroco.
Nel dormiveglia non mi sovviene neppure quale sia esattamente la parrocchia in
cui dimoro. Ne ho girate tante. Ma nel frattempo, non trovando dove accendere la
luce, mi metto ad ascoltare il silenzio della notte. Qualche canto di gallo
lontano mi dice che devo essere in un luogo di campagna.
Sento il campanile che batte le ore. Sono le tre. Questa era
l'ora in cui il cardinale Schuster si alzava e scendeva in chiesa, trovando
magari la porta ancora chiusa.
Ma i tempi sono un po' cambiati e io rimango ancora a letto a
pensare. Già, anche san Carlo a quest'ora era forse già alzato, in preghiera.
Anzi, ora mi viene in mente che la canonica in cui mi trovo sarebbe stata
visitata da san Carlo, quattrocento e passa anni fa. Ma si dice che san Carlo
non abbia preso se non qualche ora di riposo a notte fonda, appoggiato a una
poltrona. Potrebbe essere quella che c'è ancora qui nella camera. E se lui fosse
ancora lì seduto pronto a rimproverarrni per questo mio ritardato risveglio?
Vedi, san Carlo, i tempi sono cambiati e anche le visite
pastorali non cominciano più alle cinque del mattino. E voi, poi, stavate in
piedi fino a mezzanotte? C'erano al tuo tempo i consigli pastorali da ascoltare?
Mi accorgo che sto usando un linguaggio un po' risentito, e
me ne dispiace. Forse san Carlo non vuole rimproverarmi. Forse vuol solo entrare
un pò in dialogo con me. Anche ai santi piace comunicare, dialogare, sentirsi
capiti.
Mentre ripenso a queste cose mi sembra che sia opportuno
spiegare meglio a san Carlo che cosa sia un consiglio pastorale. Ho voglia di
raccontare a lui l'esperienza di ieri sera, quando ci siamo intrattenuti fino a
tardi nel consiglio pastorale di una parrocchia vicina, riflettendo sui
programmi pastorali di questi due anni.
Vedi, san Carlo, ho avuto l'impressione di trovarmi davanti a
gente che sarebbe piaciuta anche a te. Uomini e donne responsabili, preoccupati
del vero bene delle parrocchie, desiderosi di esporre al vescovo il loro
cammino. E anche di condividere con lui le loro perplessità e i loro ritardi.
[92] Mi è sembrato che dalla lettera pastorale di due anni fa
Partenza da Emmaus avessero certamente colto l'istanza "missionaria" e fossero
sinceramente disposti a confrontarsi con essa. Mi parevano preoccupati della
carente apertura "estracomunitaria" delIe parrocchie. Si dicevano umilmente
ancora fermi alla pagina di Esaù e Giacobbe, e come bloccati su Esaù.
La dimensione "intracomunitaria" dei problemi appariva loro
preponderante, e in concreto non superabile. Come lasciare le pecore del gregge
senza pascolo per ricercare quella smarrita? Continuava a emergere la domanda:
ci dica lei quali iniziative potremmo fare per i lontani! Cosa fare per i
giovani che non vengono più? Per i ragazzi che abbandonano il catechismo dopo la
cresima? Di chi è la colpa, loro, delle famiglie, o nostra?
Ascoltavo queste cose con disagio e sofferenza perché capivo
che avevano colto il problema, ma lo sentivano più come blocco che come sfida.
La soluzione che la lettera Partenza da Emmaus tentava di annunciare in fondo
non era stata intesa se non come lontana e impraticabile esigenza, buona per
qualche mea culpa che lascia il tempo che trova.
E la carità? Come avevano cercato quest'anno di realizzare il
Farsi prossimo? Qui il bilancio era apparentemente più positivo. Potevano
elencare varie iniziative per i ragazzi handicappati, per gli anziani soli, per
visitare con i giovani un ospizio vicino e offrire agli ospiti un pò di festa,
ecc.
Ma a me sembrava di cogliere tra le righe che non erano del
tutto contenti. Sembrava che dicessero: basta questo, o ci voleva qualcosa
d'altro? Mi pareva che avessero scorso rapidamente come ovvi i primi capitoli
della lettera sul buon samaritano, passando subito a qualche applicazione di
"olio e vino", senza lasciarsi interpellare dalla serietà e dalla totalità del
precetto dell'amore.
Mentre ripetevo tra me queste parole "serietà" e "totalità",
mi pareva che san Carlo dal suo seggiolone annuisse gravemente: "E' proprio
questo il punto dolente!".
E mi pareva che insistesse: "E' proprio qui! E' proprio
qui!". Mi veniva quindi il timore che allora non solo la carità, ma anche la
missionarietà non fosse stata colta nella sua urgenza drammatica, ma come un
"fare un pò di più". E san Carlo incalzava dal suo seggiolone: "Voi avete come
smarrito il senso della serietà delle esigenze di Dio sull'uomo!".
A queste parole mi sentivo tremare. Cosa volevano dire?
Probabilmente san Carlo intendeva sottolineare che non si trattava di conservare
più o meno intatto un certo perbenismo di chiesa, sforzandosi di fare un pò di
più e un pò meglio. "E' in gioco, affermava, la vita eterna dell'uomo e del
mondo; la missione della chiesa sta in bilico tra salvezza e dannazione, tra
vita e morte. Non basta ritoccare i dettagli, se il cuore non è afferrato
dall'urgenza della decisione per il regno di Dio".
[93] Ripensavo con tremore alle parole che avevano risuonato
in quei giorni nelle letture feriali della Messa: Se la vostra giustizia non
sarà più grande di quella degli scribi e dei farisei (che pure pretendevano di
fare le cose per bene!) non entrerete nel regno dei cieli (Mt 5,17). E questa
parola richiama l'altra: siamo servi inutili! (Lc 17,10). Servi inutili!
Il parroco
[94] Di solito iniziamo le riunioni del consiglio pastorale
con l'ascolto di una pagina biblica.
Pregherei l'arcivescovo di suggerircene una adatta.
L'arcivescovo
Per stare in tema con quanto mi è successo nella notte
scorsa, in cui ho dormito poco nella casa del vostro parroco, suggerirei di
leggere qualche pagina sulla "veglia" o "vigilanza". Nei vangeli questo tema
ricorre con insistenza.
Tra i molti passi scegliamo Luca 12,35-48. C'è qualcuno che
vuole leggere? Potremmo chiedere ai catechisti presenti di alternarsi nella
lettura.
Primo catechista
"Siate pronti con la cintura ai fianchi e le lucerne accese;
siate simili a coloro che aspettano il padrone quando torna dalle nozze, per
aprirgli subito, appena arriva e bussa. Beati quei servi che il padrone al suo
ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico: si cingerà le sue vesti, li
farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se giungendo nel mezzo della notte
o prima dell'alba, li troverà così, beati loro!
Secondo catechista
Sappiate bene questo: se il padrone di casa sapesse a che ora
viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa.
Anche voi tenetevi pronti, perché il Figlio dell'uomo verrà
nell'ora che non pensate.
Terzo catechista
Allora Pietro disse: Signore questa parola la dici per noi o
anche per tutti?
Il Signore rispose: Qual è dunque l'amministratore fedele e
saggio che il Signore porrà a capo della sua servitù, per distribuire a tempo
debito la razione di cibo? Beato quel servo che il padrone arrivando, troverà al
suo lavoro. In verità vi dico: lo metterà a capo di tutti i suoi averi.
Ma se quel servo dicesse in cuor suo: il padrone tarda a
venire, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere, a
ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà nel giorno in cui meno se lo
aspetta e in un'ora che non sa, e lo punirà con rigore, assegnandogli il posto
con gli infedeli.
Quarto catechista
Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà
disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece
che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà
poche.
A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu
affidato molto, sarà richiesto molto di più".
L'arcivescovo
Invito anzitutto a tenere presente lo stato d'animo delle
primitive comunità che ascoltavano la proclamazione di queste parole di Gesù.
Sono comunità un pò stanche. Avevano atteso come imminente il ritorno di Gesù, e
il fatto che Gesù tardasse a venire aveva affievolito un pò l'entusiasmo. Il
differimento della venuta finale di Gesù serviva loro di pretesto per non
prendere sul serio le altre venute di Gesù nella comunità.
Di qui un certo disimpegno nello svolgere i propri compiti, o
addirittura un esercizio del ministero non per l'utilità dei fratelli ma per il
proprio tornaconto, non con umiltà, ma con arroganza.
Potremo dunque esprimere il messaggio di queste parole così.
[95] 1) L'assenza di Gesù tornato al Padre (il padrone della
parabola che è andato fuori casa) apre lo spazio alla missione della chiesa. I
credenti animati dallo Spirito santo (i servitori della parabola) sono la nuova
forma di presenza di Gesù nella storia degli uomini.
2) La missione dei credenti non è protagonismo ma
testimonianza. Essa chiede ai credenti decisioni coraggiose e attività
infaticabile, ma non per mettere in mostra se stessi, bensì per divenire
servitori di Gesù. In un'altra pagina del suo vangelo Luca è ancora più chiaro e
tagliente. Nel c. 17 egli narra la parabola dei servi che, dopo aver lavorato
tutto il giorno nei campi, devono, senza sosta alcuna, prestare il servizio
necessario per la cena del padrone. E oltre tutto sono invitati a dichiararsi
"servi inutili". Da un lato viene ingigantita la mole del lavoro da svolgere;
dall'altro viene tolta ogni possibilità di gratificante compiacimento per la
fruttuosità del servizio. Tutto ciò può far sospettare durezza d'animo nel
padrone. In realtà proprio questo riconoscere l'inutilità del servizio permette
ai servi di cambiare mentalità e di entrare in una nuova dimensione spirituale,
dove quello che conta non è tanto l'esecuzione puntuale e perfetta del lavoro
(la "giustizia degli scribi e dei farisei" di cui parla Mt 5,17, che si rivela
in pratica carente di amore), ma il rapporto di amore, di gratitudine, di
umiltà, di familiarità con il padrone. Egli da padrone diventa padre, i servi
diventano figli, consapevoli che tutto quello che fanno non è nulla di fronte
all'immenso amore che hanno ricevuto. Allora continuano a fare, a lavorare, a
servire, ma non con la pretesa di fare qualcosa di importante e di risolutivo,
bensì nell'intento di porre segni autentici con cui esprimere la propria
gratitudine e la propria volontà di condividere la sollecitudine amorosa del
padrone assente. E questa sollecitudine è senza limiti, e anche questo amore dei
servi fatti figli ha la insaziabilità, il dinamismo mai stanco proprio della
carità.
3) Poiché sono in gioco valori spirituali così alti e
misteriosi, la condizione dei servi è stupenda, ma anche drammatica. Si vive in
un clima di enorme serietà. C'è il rischio di non capire il cuore del padrone,
di fraintendere il senso del servizio, di non compiere bene la missione
ricevuta, di usare dei beni ricevuti dal padrone per soddisfare i propri
desideri egoistici, di trattare malamente quelli che sono in casa. Così facendo
ci si esclude dal clima della casa e ci si espone alla terribile condanna di
essere irrevocabilmente cacciati di casa. Gesù parla alla nostra libertà e,
purtroppo, la libertà è esposta al rischio di dir di no, o almeno di dare
risposte languide, malferme, che alla fine sono perdenti. Di qui l'accorato,
severo invito di Gesù ad essere sempre vigilanti. Di qui l'ardore con cui san
Carlo, visitandovi quattro secoli fa, vi esortava a non rendere vano il sangue
di Cristo sparso per voi. Le sue prediche erano molto serie, della serietà
dell'amore.
Dobbiamo vedere ora come queste parole si applicano alla
nostra comunità. Ci sono in essa le stanchezze e le infedeltà che Luca scopriva
nella sua comunità?
Che cosa vuol dire per noi oggi l'invito di Gesù alla
vigilanza?
Il parroco
Forse l'arcivescovo ci vuole chiedere in altre parole come
viviamo nella nostra comunità i temi della missione e della carità, che egli ha
trattato nelle ultime due lettere pastorali Partenza da Emmaus (con la breve
sintesi di Testimoni del Risorto) e Farsi prossimo.
L'arcivescovo
Effettivamente la pagina di Luca con la quale vogliamo
confrontarci, descrive il contesto di enorme serietà e rischio, in cui i
credenti sono chiamati a vivere la missione e a praticare la carità fraterna. E'
questo il contesto in cui sono state recepite le ultime due lettere pastorali?
Una suora
Io ho l'impressione che non siamo stati molto toccati da
questi temi. Siamo stati probabilmente colpiti di più dalle prime tre lettere
pastorali sul silenzio contemplativo, sulla Parola, sull'eucaristia. Io
personalmente sono stata aiutata a vivere meglio il battesimo e la
consacrazione. Ma anche tanti altri cristiani e le intere comunità hanno trovato
un richiamo semplicissimo ad alcuni punti essenziali della vita cristiana.
Tutti, in fondo, vivevamo già queste realtà, però in mezzo a tante altre cose.
Il provare sul serio a metterle al primo posto ci ha dato dapprima un senso di
sorpresa, poi il senso di un'avventura bella da vivere, infine un senso di pace,
di ritrovamento di noi stessi. Poi le scuole di preghiera e le scuole della
Parola hanno tenuto deste a lungo queste tensioni spirituali. Mi pare invece che
a proposito dei temi della missione e della carità riusciamo meno a capire qual
è il loro ruolo essenziale nella vita cristiana e ci imbattiamo in iniziative un
po' scontate e ripetitive.
Il parroco
Io non sarei del tutto d'accordo. Per certi aspetti i temi
della missione e della carità ci hanno trovato più preparati. L'immagine biblica
di Esaù e Giacobbe, ricordata nella lettera Partenza da Emmaus, ha bene
interpretato le nostre tensioni. E' vero che, per lo più, ci rifugiamo nella
vita casalinga di Esaù, però in noi c'è anche lo spirito di avventura di
Giacobbe: visite missionarie alle famiglie, tentativi di catechesi per i lontani
in alcuni caseggiati nuovi, sforzo di dialogo con tutti sui problemi umani
fondamentali del territorio, impegno per i paesi di missione e iniziative di
volontariato internazionale. Quanto alla carità, cerchiamo di scoprire le
famiglie in difficoltà, seguiamo scolasticamente i ragazzi un po' disadattati,
accogliamo nei nostri ambienti gli handicappati, cerchiamo di approfondire i
temi della giustizia sociale e della pace, abbiamo tra i nostri giovani alcuni
esempi di volontariato e di servizio civile. Forse il problema è che sono ancora
troppo pochi a capire e a seguire queste iniziative. La massa dei credenti
rimane piuttosto inerte.
Una mamma
Non è la prima volta che sento il nostro parroco lamentarsi
della poca partecipazione della gente alle iniziative missionarie e caritative.
Qualche volta mi sento un po' in colpa, perché io non posso fare molto in questi
campi. D'altra parte la vita della famiglia mi assorbe molto. Cerco anche di
riflettere su queste cose e arrivo a conclusioni un po' diverse da quelle del
parroco.
Il parroco
Dica pure con libertà, signora.
La mamma
A me pare che non si tratta di fare tante iniziative. La
missione e la carità non si aggiungono alla nostra vita, ma passano attraverso
le azioni quotidiane. Io cerco di dedicarmi alla casa senza badare a me stessa;
seguo la crescita dei figli, cerco di trovare insieme con mio marito (non è
facile, mi creda) un equilibrio sempre nuovo tra la voglia di essere
onnipresenti nella loro vita e il rispetto per quello che essi vanno decidendo.
Cerco di tenere aperta la mia famiglia verso la vita di altre famiglie, spesso
meno fortunate e serene della mia. A me è piaciuto molto quello che vostra
eminenza ha scritto nella lettera natalizia Testimoni del Risorto sulla
fecondità missionaria delle famiglie. Recito ancora la preghiera con cui si
concludeva quella lettera, affidando al Signore il cammino quotidiano della mia
casa. Mi pare che missione e carità siano soprattutto questo.
Un lavoratore
[96] Io sono abbastanza d'accordo con la signora. Capisco
anch'io che le occasioni più semplici e più giuste di testimoniare la mia fede e
di aiutare il prossimo sono quelle che trovo nel mio lavoro di ogni giorno,
dentro la fabbrica, a contatto con tanti problemi di altri operai, coi quali si
diventa più o meno amici, stando insieme tanto tempo e vivendo le stesse cose.
Però mi accorgo che proprio per vivere bene queste cose quotidiane, ho bisogno
della parrocchia e delle sue iniziative, ho bisogno di essere nutrito nella mia
fede e di confrontarmi con gli altri credenti. Lei, signora, ha detto che cerca
di tenere aperta la sua famiglia verso la vita di altre famiglie in difficoltà.
Alcuni problemi di queste famiglie forse sono alla nostra portata e si possono
risolvere con un consiglio fraterno, con un po' di amicizia, magari con qualche
aiuto economico. Ma ci sono nella famiglia tanti altri problemi più grandi di
noi. Davanti alla crisi di certe coppie o al fallimento dell'educazione dei
figli o ai problemi morali del matrimonio io a volte non so cosa dire. Ho
bisogno di conoscere meglio la mia fede e di scambiare le mie idee con qualcuno
che è più esperto di me. Lo stesso vale per i problemi della fabbrica. Qualcosa
si può fare con l'amicizia tra operai, con l'aiuto spicciolo. Ma i problemi
dell'occupazione, della scala mobile, delle condizioni in cui si lavora, dei
turni, della cassa d'integrazione, della coscienza che il lavoratore deve avere
di sé come soggetto, come persona e non come ingranaggio de1 sistema economico,
tutte queste cose vanno pensate e attuate insieme. Io credo che il vangelo,
anche se non ha soluzioni tecniche precise, ha però qualcosa di importante da
dire su questi argomenti. E io chiedo alla chiesa, alle parrocchie, ai miei
fratelli di fede di aiutarmi a conoscere e a praticare il vangelo su questi
punti.
Una ragazza
[97] Se permettete mi inserisco in questo confronto tra vita
quotidiana e iniziative comunitarie. Penso che la missione e la carità
richiedono tutte e due le cose. Ma forse ci vuole qualcos'altro. Forse il
problema vero è quello di uno stile di vita che è chiesto ai credenti e alle
comunità. Io mi faccio spesso delle domande, a cui non so rispondere. Per
servire i poveri non dovremmo imitare un pò più la loro vita? Non dovremmo usare
mezzi un pò più poveri? Non stiamo forse facendo semplicemente dei doppioni di
ciò che fa lo stato? Non stiamo forse dando un carattere troppo manageriale
organizzato ai nostri interventi di carità? Perché non usiamo quei mezzi poveri
di contestazione sociale quali sono la resistenza passiva, la non violenza,
l'astensione ad oltranza da certi prodotti per i quali i popoli si fanno la
guerra? Perché non rilanciamo l'idea dei prestiti senza interesse? Perché quando
non vediamo dei risultati immediati, andiamo in crisi e non crediamo che proprio
allora comincia la carità vera, quella che Dio crea in noi, dentro la nostra
povertà e la nostra preghiera? Perché non pratichiamo più seriamente il digiuno,
come segno di povertà davanti a Dio e come risorsa per aiutare chi non ha da
mangiare?
Un giovane
Io non oso rispondere alle domande che tu hai fatto.
La ragazza
Non pretendo una risposta immediata. Però chiedo che tutti
noi abbiamo il coraggio di farci queste domande.
Il giovane
[98] Volevo appunto dirti questo. Le tue domande mi
interessano. Anzi, tutta la discussione, che stiamo facendo, mi interessa. Mi
pare che stiamo toccando qualcosa di veramente importante per la vita della
nostra comunità. Noi giovani viviamo un pò ai margini della comunità. Voi adulti
cercate magari di venirci incontro e di attirarci in ogni modo, ma noi siamo
sempre sfuggenti. Voglio essere sincero: la colpa è anche nostra. Ci piace la
vita comoda. Siamo sempre in cerca di ciò che ci diverte di più. Siamo troppo
preoccupati di noi stessi e del nostro avvenire. L'impegno serio e stabile, che
la comunità cristiana ci chiede, ci fa paura e cerchiamo in tutti i modi di
scansarlo. Però siate sinceri anche voi: non sempre ci proponete cose serie. La
smania del benessere ce l'avete comunicata voi, anche se voi sapete coprirla
bene con alcune abitudini di moralità e di religiosità che avete imparato fin da
bambini, quando questo benessere non c'era ancora e la vita era più dura. Poi
non ci convincono molto le proposte di catechesi e di carità. Io sono mancato
tante volte alla catechesi per pigrizia, però penso che bisogna inventare
qualche forma nuova, che raggiunga i giovani là dove essi vivono e li risvegli
dalla loro superficialità. Guardiamo, per esempio, anche all'ora di religione
Tante volte si chiacchiera e si perde tempo. Però quando l'insegnante propone un
discorso serio e organico, l'attenzione aumenta. Adesso si potrà scegliere se
chiedere o no l'ora di religione. Io penso che sceglierò di chiederla, perché,
come cristiano, mi interessa sapere come la mia fede abbia anche degli aspetti
culturali e, come cittadino, ritengo utile conoscere un pò meglio il
cristianesimo che è una matrice fondamentale della nostra civiltà. Però voglio
sperare che siano stati preparati programmi seri e interessanti e non ci si sia
accontentati di conservare comunque l'ora di religione anche nel nuovo
concordato.
Quanto alle proposte di carità sono utili le esperienze con
gli anziani, con gli handicappati; e io ho fatto male a snobbare queste cose.
Però qualche volta mi sembrano un gioco, che elude i problemi più seri della
società. Invece mi pare che stavolta ci stiamo avvicinando alle cose veramente
importanti. Non vorrei dare l'impressione di aver fatto un giudizio universale.
Sono il meno adatto, perché sono il primo a tirarmi indietro dai miei impegni.
Il parroco
Ti ringrazio per la schiettezza. Le cose che hai detto mi
sembrano serie e oneste. Vorrei solo dirti di non accontentarti di riconoscerti
pigro ed egoista. Si può anche migliorare. Sentiamo se qualche altro giovane ha
cose nuove da sottolineare.
Un altro giovane
[99] Io non voglio passare per giovane modello. Ho anch'io
tanti difetti. Però sinceramente mi sento inpegnato nella mia vita di fede. Devo
ringraziare il mio gruppo, che mi è stato vicino nella crisi dell'adolescenza e
mi ha aiutato a conoscere Gesù Cristo in un modo convincente ed essenziale: un
modo che chiamava in causa la mia vita, i miei problemi e mi chiedeva scelte
precise e coraggiose. Nel mio gruppo trovo tutti gli strumenti che mi aiutano a
coltivare la mia fede. Trovo anche tante iniziative concrete di impegno verso
gli altri. Comunque anch'io ritengo interessante e importante il discorso che
stiamo facendo. Mi accorgo infatti che il mio gruppo ha soprattutto una funzione
educativa. Vuole educarmi a una vita cristiana che non devo vivere dentro il
gruppo, ma dentro tutta la comunità cristiana aperta ai problemi della società.
Qualche volta la chiusura della parrocchia a certe esigenze
di rinnovamento nell'annuncio della fede e nel vivere l'impegno sociale finisce
per creare una barriera tra la comunità cristiana più vasta e i singoli gruppi,
che fanno quel che possono: qualche volta cercano di dialogare con le altre
componenti della comunità, qualche volta vanno per la loro strada. Eppure è
importante che vengano capiti e configurati meglio i ruoli diversi e
complementari che hanno le comunità istituzionali e i gruppi. Penso che i temi
della missione e della carità, così come abbiamo cercato di discuterli ora,
possono veramente aiutare le parrocchie a rinnovarsi e a diventare un luogo
stimolante di unità e di confronto per i vari gruppi. Per questo prego
l'arcivescovo di insistere su questi temi e di trovare modi concreti per farli
passare nella vita delle parrocchie e dei gruppi.
L'arcivescovo
Il tuo intervento mi chiama in causa direttamente, ma anche
gli altri interventi mi hanno colpito e interessato. Vedo tanta buona volontà,
tanta saggezza e capacità di ascolto nel vostro parroco. Non voglio dare per ora
delle risposte. Cerco soltanto di capire se le tante cose serie, che sono state
dette, hanno una radice comune, dipendono da una questione fondamentale. Ho
parlato di cose serie: ecco vorrei insistere su questo aspetto della serietà. Mi
pare questo il problema cruciale: l'enorme serietà della vita cristiana. La
missione e la carità dicono che la vita cristiana è un caso serio. La suora ha
detto che le è sembrata più facile l'assimilazione delle prime lettere pastorali
sulla contemplazione, sulla Parola, sull'eucaristia. Ma qui sta il punto: la
missione e la carità non si aggiungono ai temi precedenti, bensì ne esprimono
semplicemente l'impressionante serietà. Il Dio a cui ci apre la dimensione
contemplativa della vita; il Dio che ci parla in Gesù è nella Scrittura; il Dio
a cui Gesù ci unisce, attirandoci a sé nell'eucaristia, è un Dio che ci ama in
modo estremamente serio.
L'amore di Dio è serio, perché suscita la nostra libertà e
rischia fidandosi di essa. Corre il rischio che essa dica di no, condannando se
stessa alla rovina e al fallimento. E' serio, perché ci mette in guardia contro
questo rischio, parlandocene apertamente, avvisandoci della dannazione
irreparabile a cui andiamo incontro, se ci ostiniamo nel rifiutare l'amore.
E' serio, perché quando l'uomo ha effettivamente detto di no
col peccato, Gesù si è avvicinato all'uomo peccatore, ha preso su di sé il
dramma del peccato e della morte, è diventato un amore maltrattato e crocifisso,
per liberare l'uomo dal peccato e restituirgli la possibilità di dire di sì
all'amore e di testimoniare l'amore presso i fratelli.
La contemplazione, l'ascolto della Parola, l'eucaristia non
raggiungono il loro pieno valore, se non ci portano a scoprire la serietà delle
nostre scelte libere, il dramma in sé irreparabile del nostro rifiuto, l'amore
di Dio che perdona persino il peccato e ci affida di nuovo il compito di amare.
La missione e la carità parlano appunto del nostro compito di testimonianza e di
amore. Ma la libertà, il peccato, la solidarietà delle persone umane nel bene e
nel male, l'intreccio della libertà di ogni persona con la libertà delle altre,
il cammino di riconciliazione, sono tutti argomenti seri e complessi. Per
questo, forse, le lettere pastorali sulla missione e sulla carità sono difficili
da scrivere e da leggere, da proporre e da assimilare.
Mentre, però, parlo del peccato, della minaccia della
dannazione, dell'amore di Gesù crocifisso, mi vengono alla mente tante parole
forti e chiare, dette a questo proposito da san Carlo nei discorsi tenuti ai
milanesi del suo tempo.
Come sarebbe bello se san Carlo potesse ridirle oggi qui per
noi, magari in modo adatto al nostro linguaggio!
Ma qui mi viene incontro una scoperta curiosa, frutto
anch'essa di questa visita pastorale. E' un manoscritto antico. Ascoltatemi con
attenzione.
Nel mostrarmi l'archivio, il parroco mi dice: qui c'è una
cartella molto antica. Vi sono i documenti della prima visita pastorale di san
Carlo.
Apro la cartella e soppeso i vecchi fogli nella mano con
venerazione. Li scorro per vedere se riesco a decifrare qualcosa di quella
scrittura vigorosa ma troppo compatta, e un po' sbiadita. All'improvviso mi si
illuminano gli occhi. Mi pare di leggere nel margine destro di un foglio un
titolo press'a poco così: Omelia che tenne il Cardinale di Santa Prassede in
occasione della Sacra Visita dell'anno del Signore 1583.
L'emozione cresce a mano a mano che trascrivo le parole, o
meglio le riscrivo nella nostra lingua. Mi viene alla mente la fatica del
Manzoni con quel suo antico manoscritto, con quel suo "dilavato e graffiato
autografo". E forse questo pensiero che mi autorizza a ritrascrivere liberamente
queste pagine, cosicché ora non so più bene se esse sono di san Carlo o sono
mie. Sarà un po' una predica a quattro mani. Ascoltatela!
La predica di san Carlo
Grande tu sei o Signore nella tua misericordia, e grande con
i tuoi figli che in ogni tempo istruisci con la dolcezza della tua grazia.
Grande sei tu nei tuoi doni, che in ogni tempo dispensi a
noi, poveri peccatori!
[100] Ecco che tu mi hai ispirato due intuizioni nate attorno
ai due doni più preziosi, che Gesù tuo figlio ha fatto alla chiesa sua sposa: la
Parola e l'eucaristia. Attorno alla Parola sono fiorite le scuole della dottrina
cristiana per l'istruzione religiosa del mio popolo. Attorno all'eucaristia sono
cresciute le confraternite del santissimo sacramento. Come sono belle le divise
fiammeggianti dei confratelli durante le processioni eucaristiche! Quanto grande
la fede che tu ispiri, quanto solenni i canti vigorosi che ti celebrano, quanto
preziosi i turni di adorazione in cui essi ti vegliano in compagnia degli
angeli!
O Signore, custodisci la semplicità dei tuoi figli e
custodisci nel futuro la loro fede, che sarà insidiata in tempi difficili.
Il mondo cambierà: sorgeranno anche nella tua chiesa parole
nuove per indicare contenuti antichi. Ma anche se mutano i vestiti degli uomini,
Tu sei sempre lo stesso, e i tuoi anni non hanno fine.
[101] Ma come faranno i tempi futuri a tenere salde le radici
perenni della missione e della carità? Vi dirò questo a partire dalle mie
meditazioni notturne, che faccio non di rado anche quando visito le parrocchie.
Mi concedo qualche ora di riposo, ma passo per lo più lunghi tempi in preghiera.
In certe occasioni, prima di giornate importanti, quando mi trovo in luoghi
particolari come i santuari, la preghiera dura tutta la notte. Contemplo a lungo
Gesù crocifisso e non riesco talvolta a frenare le lacrime. Ecco: vorrei cercare
di farvi capire il perché di quelle ore contemplative e di quelle lacrime.
Cercherò di farlo con ordine. Infatti ho imparato a stendere in maniera
originale gli schemi, con cui raccolgo e ordino i pensieri da dire nelle
prediche. Quegli schemi assomigliano a delle piante. Il tema centrale della
predica è come il tronco, da cui partono, come rami, i punti principali del
discorso; da questi partono, come rami più piccoli, le applicazioni derivate, e
così via.
Se volete, vi delineo la "pianta" del discorso di oggi. E'
semplicissima: un tronco e quattro rami. Il tronco è la contemplazione del
Crocifisso; i rami sono gli insegnamenti che Gesù ci impartisce dalla croce: la
gravità del peccato, il pericolo della dannazione, la necessità della
conversione, I'urgenza della carità.
[102] Che cosa accade in me durante le lunghe ore di
contemplazione di Gesù crocifisso? Qualche volta mi accontento di guardare
intensamente il corpo di Gesù, i suoi occhi, le sue ferite, le sue braccia
aperte per accogliere tutti. Altre volte riunisco mentalmente attorno alla croce
gli altri episodi della vita di Gesù e scopro che la croce li interpreta tutti,
dalla nascita povera e umile all'infanzia nascosta e laboriosa, alla preferenza
per i malati, per i piccoli, per i peccatori, per i poveri. Altre volte ancora,
specialmente dopo alcune dure esperienze del ministero episcopale, pongo ai
piedi della croce di Gesù le malattie, le povertà, le miserie morali, i casi
disperati, che vado incontrando ogni giorno.
Tutto questo però è come l'attesa e la preparazione di un
momento misterioso, a cui la mia anima si protende con intenso desiderio e
insieme con timore e trepidazione. Non saprei dire quando e come quel momento
arriva. Non saprei nemmeno dare un nome a ciò che sperimento in quel momento.
Potrei dire che avviene il passaggio dal dolore all'amore. Anche se avviene
tante volte, mi pare sempre un'esperienza nuova. Ad un certo punto sento che
tutta la mia persona viene afferrata dalla certezza luminosa che il sangue di
Gesù, le piaghe, la corona di spine, le sofferenze atroci dell'agonia e della
morte sono "parole di amore". Il dolore rimane in tutta la sua durezza, ma è
come attraversato e oltrepassato dalla forza con cui il Padre e Gesù, uniti in
un'unica intenzione e in un'unica decisione, dicono il loro amore per me e per
ogni uomo, si dicono pronti ad affrontare qualsiasi sofferenza per attrarre me e
ogni uomo in quel!'unico Spirito di amore, che fa di loro due una cosa sola. A
questo punto, senza che me ne accorga, mi sgorgano le lacrime. Mi lascio
attrarre dall'amore. Capisco che un amore così immenso, come quello che viene
vissuto sulla croce, è capace di vincere ogni male. Sento che tutti gli uomini,
che ho posto ai piedi della croce col loro peso di peccato, di malattia, di
povertà, di disperazione, vengono attratti con me da Gesù crocifisso. Provo un
senso di consolazione e di pace. Poi, però, m'accorgo che non è sempre così. Io
stesso, in certi momenti della mia vita, non penso a Gesù, non mi lascio
attrarre totalmente dal suo amore. Penso agli uomini che non conoscono l'amore
di Dio, lo disprezzano, lo rifiutano. Sgorgano allora altre lacrime: di
pentimento per i miei peccati e di immensa pietà per gli uomini. Penso al mio
compito di vescovo, a quello che dovrei fare per annunciare l'amore di Dio.
Davanti al Crocifisso verifico i miei propositi, chiedo luce per la mia azione
pastorale, preparo le mie prediche, penso ai gesti di carità con cui recare
l'amore di Dio ai poveri, ai malati, ai carcerati. La croce mi suggerisce alcune
verità fondamentali, che cerco di ricordare insistentemente ai miei fratelli di
fede, e che ora ricordo a voi.
[103] La croce rivela anzitutto il nostro peccato. Il peccato
da solo non basta a spiegare la croce di Gesù. C'è in essa un amore così
sovrabbondante, che è inconfrontabile con il peccato. Il peso dell'amore è
immensamente più grande del peso del peccato. Solo l'amore spiega compiutamente
la croce. Sta di fatto, però, che la desolazione, l'atrocità, la sofferenza, la
crudezza, presenti nella croce di Gesù, ci dicono che Dio ha preso sul serio la
nostra libertà, con tutta la sua terribile capacità di dir di no, di odiare, di
far soffrire, di dare la morte. Quando uno guarda la croce, comprende fin dove
la libertà peccatrice è capace di arrivare. Però comprende anche fin dove è
capace di arrivare l'amore di Dio nel distruggere il peccato e nel perdonare.
Peccato e perdono vengono compresi insieme nello sguardo rivolto alla croce.
Nasce allora nel mio cuore un desiderio struggente: se gli
uomini guardassero la croce! E insieme col desiderio una domanda: che cosa tiene
gli uomini lontano dal guardare la croce?
Là dove c'è poca cultura e rozzezza di vita agisce forse una
specie di grossolanità della coscienza, di inerzia spirituale, di ignoranza. Per
questo mi sforzo di predicare con chiarezza e insistenza contro i vizi morali
più diffusi e di curare l'istruzione religiosa e morale del popolo.
[104] Ma verranno tempi in cui i popoli staranno di fronte a
un ostacolo ancora più insidioso nel guardare la croce. Sembrerà impossibile che
da essa venga la salvezza. Così come non si vorrà ammettere che il fallimento
possa venire dal peccato. Gli uomini, alle prese con le conquiste del mondo
materiale, con le strutture sociali, con i mezzi della scienza e della tecnica,
penseranno che il "bene" e il "male", la "salvezza" e la "dannazione" si
giochino unicamente in questi settori. Ammetto pure che tali realtà hanno un
grande rilievo. Tuttavia il dare un rilievo assoluto a queste cose, il farle
diventare il fattore più importante è falso. Si rientra nella verità solo se si
riesce a guardarle e ad apprezzarle dentro una scala di valori più ampia. Questo
è già il frutto di una decisione, di un giudizio etico, di una valutazione
morale. La sfera morale è quella che vale veramente. Se uno guarda le cose da
questa sfera, comprende la propria miseria morale, accoglie l'amore del
Crocifisso, come salvezza indispensabile e suprema e ha un'unica paura: quella
di non capire, di rifiutare l'amore, che ci viene offerto dall'alto della croce.
[105] Purtroppo questa paura salutare si attenua spesso o
addirittura scompare. Dio allora nelle sacre scritture ci fa il dono di
ricordarci frequentemente il rischio a cui siamo esposti. Nella mia predicazione
insisto fortemente sui castighi eterni, di cui sono ammonitrice prefigurazione i
castighi temporali. Verranno tempi in cui non piacerà molto questo tipo di
predicazione. Si dirà magari che questi richiami non corrispondono alla
centralità dell'amore, che è il messaggio essenziale del vangelo. Eppure anche
la minaccia della dannazione deriva dall'amore. Gesù sa che soltanto dimorando
nel suo amore noi abbiamo la vita. Gesù vuole intensamente e seriamente che
viviamo nel suo amore. Da questa medesima, irremovibile volontà, vengono sia le
prove dell'amore - e la croce è la prova suprema - sia gli ammonimenti circa la
morte, la "dannazione" che incontriamo fuori da questo amore.
Forse voi siete sorpresi e disgustati dalle minacce dei
castighi corporei. Ma noi siamo esseri corporei. La salvezza e la dannazione
riguardano anche la nostra corporeità. Siamo inoltre così superficiali e
grossolani, che talvolta siamo scossi solo da minacce che riguardano i beni
materiali. Gesù, che ci vuol bene, non ci fa mancare nel suo vangelo queste
minacce. Accogliamole con umiltà e gratitudine. E facciamo in modo che esse
diventino sempre meno necessarie, perché sempre più ci lasciamo attrarre,
stimolare, correggere dai grandi segni di amore, che Gesù ci ha offerto.
L'importante è che, sia attraverso le prove dell'amore di Dio
per noi, sia attraverso le minacce, noi ci convertiamo dal peccato a una vita
nuova, a un nuovo modo di vivere la libertà.
[106] La libertà dell'uomo che ha peccato, quando incontra la
croce di Gesù, non è distrutta o esonerata dai suoi compiti, bensì viene
restituita a se stessa. Le viene ridata la possibilità gioiosa di scoprire il
disegno di Dio, di scoprire se stessa in questa chiamata a esprimere questo
disegno, di aderire a questo disegno con stupore, con gratitudine, con
obbedienza, con generosità. Questa è la conversione cristiana. Anch'essa è una
prova della serietà con cui Dio ci ama, fino a volerci e a costituirci suoi
collaboratori nella libertà e nella operosità. Credetemi: faccio molta fatica a
far capire la bellezza e le esigenze della vita nuova, propria dei discepoli di
Gesù. Incontro come uno stordimento generale, una cecità morale, che non dipende
soltanto dalla vita indebolita degli animi, ma anche da una tenebra esteriore,
che colpisce la mentalità, le abitudini, i costumi. Ecco perché non mi
accontento di predicare alle coscienze, ma impartisco anche regole severe e
minuziose per la vita comunitaria e cerco di intervenire nella società,
scontrandomi talora direttamente con i responsabili della vita pubblica.
[107] Cesserà un giorno questa ottusità morale? Non lo
sappiamo. Io penso che dovremo sempre lottare, giorno e notte. Verranno anzi
tempi in cui crescerà la confusione circa il vero bene dell'uomo. Dovrete avere
il coraggio di cercare le cause di questa confusione. E dovrete intervenire con
ogni mezzo per ricreare nella società alcune certezze fondamentali, che siano
capaci di orientare il cammino morale, che ciascuno deve compiere personalmente
nella libertà e nella responsabilità. I mezzi a disposizione sono diversi nei
diversi tempi. Dovrete scoprirli di volta in volta e adattarli alle nuove
situazioni, partendo dai valori della famiglia e dell'educazione e arrivando
alle forme di partecipazione in tutti i settori della vita culturale, sociale,
economica e politica.
[108] Quello che fraternamente vi chiedo è che in tutte le
vostre azioni e i vostri interventi abbiate un'unica mira: testimoniare la
carità di Cristo per ogni uomo.
[109] Proprio sulla carità voglio dirvi l'ultima mia parola.
So che è ancora viva nella vostra memoria la carità da me praticata in tutti
questi anni, ma specialmente durante la peste del 1576. Le lacrime da me sparse
davanti al Crocifisso e quelle versate davanti agli appestati, si sono fuse in
un unico pianto.
La cosa semplicissima, che vorrei dirvi, è di tenere sempre
uniti questi due atteggiamenti, questi due pianti.
Talvolta, leggendo il resoconto della mia azione caritativa
durante la peste, siete portati a sottolineare l'efficienza organizzativa o a
esaltare l'eroismo personale. Vi dico con tutta sincerità che l'ultima cosa a
cui pensavo era la mia capacità di organizzare o di rischiare personalmente. Ero
come schiacciato da un sentimento di impotenza. Giravo tra gli appestati
oppresso da una agonia mortale. L'unica forza era il pensiero di Gesù
crocifisso: vedevo negli appestati un'immagine vivente di lui e vedevo in lui
l'unico dono, che potessi fare alla mia povera gente. Allora cercavo il più
possibile di stare di persona tra i malati, quasi a significare la fedeltà di
Gesù. Cercavo di parlare di lui, di dare lui ai moribondi attraverso i
sacramenti. Cercavo evidentemente anche di dare tutto quello che potesse portare
sollievo materiale: cibo, alloggio, vesti, medicine, assistenza. Ma sapevo che
erano solo piccoli, poveri segni dell'amore di Gesù.
Ecco, figli miei carissimi, vi invito a coltivare nella
vostra azione caritativa l'attenzione a Gesù e l'attenzione alle singole
persone. C'è un'immediatezza di rapporti tra le persone, che precede gli
interventi più complessi e organizzati. E c'è un'immediatezza personale, che
viene riscoperta al termine di questi interventi, dopo che si è esplicato un
immenso lavoro per i fratelli attraverso la ricerca scientifica,
l'organizzazione assistenziale, la legislazione, la programmazione politica.
Essa viene riscoperta come suggello di tutto il lavoro, come verità e senso dei
progressi compiuti, come incitamento per il molto che resta ancora da fare, come
ricompensa per le fatiche incontrate, come speranza in Dio, che solo può
guarire, consolare, salvare pienamente, oltre ciò che possiamo fare e non
possiamo fare su questa terra.
[110] La carità è infaticabile nell'inventare i mezzi, con
cui aiutare i fratelli; il vostro tempo vi offre la sfida, la possibilità e il
compito di inventare e usare nuovi mezzi, proporzionati allo sviluppo tecnico,
scientifico, sociale, politico.
Ma chiedete al Signore il dono di arrivare, proprio
attraverso questa possibilità, alla scoperta di una nuova immediatezza di
rapporti fraterni.
Io prego perché ciascuno di voi sappia vedere ogni fratello
attraverso lo sguardo di Gesù crocifisso.
[111] Quando fu terminata la lettura della predica di san
Carlo, ci fu un silenzio profondo. Nessuno osava più prendere la parola. Allora
pensai di esporre alcune brevi riflessioni conclusive, che aiutassero a calare
nel presente alcune delle gravi affermazioni di san Carlo .
Ecco più o meno quanto dissi.
Fratelli e sorelle nel Signore, con un linguaggio
semplice, adatto alla stagione estiva, ho cercato di dirvi
alcune cose gravi e importanti, che riguardano il nostro cammino pastorale. In
particolare vi ho comunicato preoccupazioni e speranze circa i temi della
missione e della carità.
L'urgenza e insieme la difficoltà di questi temi dipendono
dal fatto che in essi emerge, in modo più esplicito che non in altri,
l'attualità della fede, cioè il confronto della fede con l'oggi, col nostro
tempo, col mondo in cui viviamo, coi problemi della nostra società.
Il confronto non avviene per semplice accostamento di due
realtà estranee, come se l'oggi fosse un recipiente e la fede una sostanza
preziosa che vi viene versata .
L'oggi siamo noi, con la nostra storia personale, con la
nostra intelligenza, con la nostra libertà, con le nostre relazioni, con le
concrete condizioni materiali e sociali in cui viviamo.
La fede è ancora questo nostro oggi visto e vissuto come
libera apertura a Dio; come accoglimento della parola di Dio; come sequela di
Gesù, in cui Dio si è donato totalmente a noi; come docilità allo Spirito, che
ci fa scoprire e ci fa compiere i gesti concreti, con i quali noi possiamo
vivere qui e ora la stessa carità di Gesù.
[112] Si suole indicare tutto questo, dicendo che i credenti
compiono la loro missione di carità nel mondo d'oggi mediante il discernimento
spirituale. Questo comporta attenzione, docilità, familiarità con i desideri
dello Spirito, così da saper distinguere e assecondare, dentro i fatti della
storia, quei fenomeni, quei gesti, quelle scelte, quegli orientamenti che
vengono da Gesù e a lui conducono, attuando in tal modo il vero bene dell'uomo.
[113] Per il discernimento ha un grande valore educativo la
consuetudine contemplativa con la Parola di Dio; occorre abituarsi alla
comunicazione della fede con i fratelli; conta l'analisi attenta e serena dei
fatti umani.
Tra tutti questi aspetti, però, ha un'incidenza molto
significativa l'accostamento di quei modelli concreti di discernimento
spirituale, che ci vengono offerti da alcuni eventi della chiesa o della vita di
singoli credenti.
Accenno quindi in chiusura a qualche evento di questo genere,
che ci tocca particolarmente da vicino .
[114] Celebriamo quest'anno il duecentesimo anniversario
della nascita del Manzoni. Il periodo più feeondo dell'attività letteraria di
questo nostro grande scrittore si colloca in quei primi prestigiosi decenni del
secolo scorso, in cui la cultura occidentale ha cercato di interpretare i
fenomeni che erano andati maturando nell'epoca moderna, quali il senso della
storia, il valore della soggettività, i conflitti sociali, l'aspirazione alle
diverse espressioni personali e comunitarie della libertà.
Qualche pensatore ha cercato di ricondurre tutto ciò a un
quadro razionale onnicomprensivo, immanente alla storia umana. Altri, nei
decenni successivi, hanno criticato l'astrattezza di un simile quadro e hanno
costruito sistemi di pensiero e programmi di azione o sulle condizioni materiali
della storia o sugli interessi economico-sociali o sulle pulsioni vitali o sulla
esasperata e disperata autoaffermazione della libertà.
Il Manzoni, dotato di un acuto senso della storia, attento
alle vicende di singoli personaggi dentro i fatti e lo spirito di diverse
epoche, colpito anche nella vita personale dal dramma del dolore, partecipe
delle aspirazioni del popolo italiano alla libertà e all'unità, ha cercato di
trovare nella fede cristiana la luce per interpretare tutti questi fermenti
dell'uomo moderno. La sua opera, quindi, può essere vista come un poderoso e
suggestivo esempio di discernimento spirituale, reso particolarmente efficace
dalla genialità artistica. Le vicende dei personaggi sia delle due tragedie, sia
del romanzo, così come i casi della vita, descritti e trasfigurati negli Inni
sacri dentro la luce degli eventi di Gesù, della chiesa e della Madonna, ci
possono aiutare a capire anche gli aspetti più significativi e inquietanti del
mondo contemporaneo, che ha la sua matrice nell'epoca moderna.
[115] Alcuni dei temi accennati in questo mio scritto, come
la libertà, il peccato, la riconciliazione nella chiesa e nel mondo, hanno
trovato un'ampia trattazione nell'ultimo sinodo dei vescovi. Anch'esso può
essere visto come un esempio di discernimento spirituale, perché ha cercato di
capire in quali forme il peccato è presente nel mondo d'oggi, quale rapporto c'è
tra individuo e società in ordine alle lacerazioni tipiche del nostro tempo,
quale coscienza del peccato ha l'uomo contemporaneo, come la riconciliazione,
operata da Cristo nella chiesa e accolta negli itinerari penitenziali, diventa
compito missionario per le comunità cristiane e per i singoli credenti nel mondo
d'oggi.
[116] Il sinodo è stato preparato e poi interpretato
autorevolmente da due interventi del papa, I'enciclica Dives in misericordia e
la lettera apostolica Reconciliatio et poenitentia: il rileggere attentamente
questi documenti orienterà fruttuosamente il nostro discernimento spirituale.
[117] Un'applicazione del discernimento operato dal sinodo
alla nostra situazione italiana è stata fatta nel convegno di Loreto dello
scorso aprile. Più volte ne ho parlato. Mi limito a invitare alla lettura
attenta del documento conclusivo e a ricordare che i delegati della nostra
diocesi - che di nuovo ringrazio per la generosa partecipazione - sono ancora al
lavoro per trovare i modi con cui trasmettere alla nostra chiesa diocesana i
doni di discernimento spirituale sperimentati nel convegno di Loreto.
[118] Vorrei mettere in continuità col convegno di Loreto il
convegno diocesano sulla carità, con il quale concluderemo il biennio pastorale,
che stiamo dedicando al tema della carità. E' già nelle nostre mani da alcuni
mesi la lettera pastorale Farsi prossimo. L'estate può offrire ai singoli e ai
gruppi molte occasioni per approfondirla, anche con l'aiuto del presente mio
scritto.
Nel discorso programmatico dell'8 settembre indicherò alcune
mete spirituali e pastorali, che tutte le comunità si impegneranno a perseguire
nel prossimo anno.
Prima della quaresima verrà approntato un sussidio,
contenente riflessioni, piste di ricerca e di lavoro, punti particolareggiati
per poterci preparare al convegno conclusivo che si terrà nell'autunno del 1986.
Nel frattempo ci stiamo anche preparando a due scadenze che
caratterizzano il prossimo anno 1986: il sesto centenario della posa della prima
pietra del Duomo (1386) e il decimo-sesto centenario della conversione di sant'Agostino
(386).
Queste le scadenze esteriori del nostro cammino. Per i passi
interiori affidiarnoci alla grazia di Dio, che ha saputo infondere nel cuore del
buon samaritano un vivo sentimento di compassione per l'uomo maltrattato e
bisognoso di salvezza.
La Madonna, che ci ha introdotti nell'estate con la festa
della visitazione; che ci verrà incontro nel cuore delle vacanze con la festa
dell'assunzione; che ci attende per la ripresa piena delle attività pastorali
nella festa della sua natività, cammini insieme con noi.
Lettera ai fedeli nella memoria dei santi Nabore e Felice -
12 luglio 1985
[119] Con questa lettera desidero rendere conto del convegno
"Farsi prossimo" che si è concluso ad Assago il 23 novembre u.s. E giusto
infatti che quella che è stata una fatica e una costruzione paziente di tutta la
diocesi, a partire dalla lettera pastorale Farsi prossimo del 10 febbraio 1985,
venga ora ripresentata alla diocesi stessa nei suoi risultati e nelle sue
conseguenze per il nostro cammino futuro.
In realtà questa "ripresentazione" è affidata anzitutto agli
Atti del convegno, che riporteranno per intero gli interventi, le relazioni e le
sintesi. Qui mi limito a sottolineare alcuni punti che è utile portare subito a
conoscenza di tutti riprendendo il contenuto del discorso di s. Ambrogio del 6
dicembre.
La festa di s. Ambrogio ha assunto infatti quest'anno un
rilievo particolare. Essa si è celebrata nel XVI centenario della Basilica
ambrosiana, la cui dedicazione avvenne nel 386 con il trasporto fatto dallo
stesso s. Ambrogio delle reliquie dei santi Gervasio e Protasio; reliquie che
ancora oggi sono venerate insieme con il corpo del santo patrono nella cripta
sotto l'altare.
Insieme con il sesto centenario del Duomo e il decimosesto
centenario della conversione di s. Agostino, la celebrazione del centenario
della Basilica ambrosiana ci ha fatto rivivere alcuni momenti molto intensi
della nostra storia religiosa e civile, e ha preparato gli animi alla
celebrazione del convegno diocesano "Farsi prossimo" che si è celebrato nella
seconda metà di novembre a Milano e Assago. E appunto di questo convegno che
vorrei parlare rispondendo ad alcune semplici domande, che aiutino anche coloro
che non vi hanno partecipato o ne hanno avuto notizie solo frammentarie, a
entrare in comunione con un evento singolare nella storia della nostra chiesa.
[120] Lo faccio pensando da una parte a s. Ambrogio e alla
sua preoccupazione per esprimere nella società del suo tempo il sigillo della
carità cristiana e della giustizia evangelica, e dall'altra al card. Andrea
Carlo Ferrari, di cui è prossima la beatificazione. Egli, che è stato
l'arcivescovo del popolo, venuto da gente semplice ed educato alle aperture
pastorali dalle sofferenze del popolo del suo tempo, ci apra gli occhi perché
comprendiamo la chiamata che risuona da questo convegno.
[121] 1. Lo potremmo descrivere facendo riferimento ad
immagini bibliche. Qualcuno ha suggerito quella dei discepoli di Emmaus, il cui
cuore si accendeva mentre conversavano con il viandante nel cammino. Oppure,
pensando al grande numero dei delegati riuniti insieme in preghiera ad Assago,
si potrebbe fare riferimento ai discepoli riuniti nel cenacolo, in attesa della
pentecoste. Nella mia predica di apertura in Duomo mi ero rifatto all'immagine
del ferito sulla strada di Gerico, che vede uno sconosciuto chinarsi con amore
su di lui e fasciargli le ferite. Ciascuno di noi si incontra così con gli occhi
di Gesù e contempla nel suo soccorritore il Signore crocifisso, che ci guarda
con amore, ci guarisce dalle ferite del nostro orgoglio, ci ispira il desiderio
di fare anche noi lo stesso per gli altri (cf. Lc 10,37).
A questo proposito così si esprime la sintesi del secondo
itinerario del convegno: "Non esisterebbe esercizio di carità nella chiesa... se
Dio non lo avesse avuto per primo".
[122] Ma l'immagine che ora mi viene più spontanea dopo
quanto è avvenuto è quella della "Pentecoste in piazza" descritta nel capitolo 2
degli Atti: cioè l'immagine di una moltitudine che esperimenta davanti a tutti,
nel quadro della vita di ogni giorno, la gioia e la novità dello Spirito santo.
Cito testualmente alcune testimonianze pervenutemi. Si
avvertiva "una tensione e una vitalità che poche volte si vedono in assemblee
così numerose. Gli intellettuale e i politici di solito i convegni li fanno nei
corridoi: qui invece c'era una straordinaria volontà di partecipazione" .
"Da sottolineare il clima spirituale: sereno, senza tensioni
senza condizionamenti, di entusiasmo: un'esperienza straordinaria di carità e
un'esperienza autentica di chiesa, da trasportare nelle comunità".
"Erano all'opera i fedeli in quanto "profeti e re", svolgendo
con molta convinzione il loro ruolo attivo" .
Uno ha scritto la mattina stessa della chiusura del convegno:
"Sono un delegato come tanti, in parrocchia non ho mai fatto nulla se non
aiutare il parroco nella festa patronale per far cuocere i salamini. Sono stato
spinto in questa vicenda a forza... sono arrivato con un po' di paura e
scetticismo, vado via con la gioia nel cuore. Questa gioia la voglio portare ai
miei amici, a quelli che non hanno vissuto questi giorni, a tutti i parrocchiani".
2. Ma può anche essere utile richiamare brevemente il quadro
strutturale e cronologico dei lavori. Parlando in sintesi si potrebbe dire che
il convegno è stato caratterizzato da preghiera, ascolto, dialogo, i proposta .
Esso si è articolato in un momento introduttivo di preghiera
in Duomo il 15 novembre, in cui ha trovato posto la prima relazione di mons.
Nervo su "L'educazione alla carità". Il 21 novembre, nel centro congressi di
Assago, mons. Nicola ha tenuto la seconda relazione su "Educazione alla carità
politica", seguita da una introduzione di Maria Dutto dal titolo "Una chiesa
della carità". Seguivano nel pomeriggio e nel giorno seguente i lavori delle
quaranta commissioni, divise in quattro itinerari o ambiti (1. Per una chiesa
della carità: il soggetto ecclesiale; 2. L'azione pastorale della chiesa come
esercizio della carità; 3. La chiesa della carità nelle sue relazioni con la
società civile; 4. La responsabilità dei cristiani nella dialettica
giustizia-carità). Il mattino del 23 novembre vennero proposte quattro sintesi
dei lavori delle commissioni secondo i quattro ambiti, per concludere con la
celebrazione dell'eucaristia. Al mattino e al pomeriggio si celebrava sempre con
solennità la liturgia delle ore, e nelle sere di venerdì e sabato vennero
presentate 22 esperienze di carità nel territorio, tratte dalle 73 pervenute.
Nel complesso i partecipanti furono 2260 (di cui il 37%
donne). I laici presenti rappresentavano 1'80% del totale. A questi dati è
opportuno aggiungere che nella fase preparatoria si erano tenute 930 assemblee
parrocchiali, 72 assemblee decanali e 74 assemblee civili, quattro seminari di
studiosi ed esperti e due incontri di tutti i delegati per ogni zona pastorale.
Erano anche giunti numerosi contributi scritti, in particolare di aggregazioni
ecclesiali.
Queste cifre mi danno qui l'occasione di riesprimere il mio
più vivo ringraziamento a tutti quanti hanno lavorato con così grande impegno e
sacrificio, dalla giunta direttiva ai più remoti collaboratori. Tutti meritano
il "centuplo in questa vita e la vita eterna" dalla bontà del Signore, ma vorrei
sottolineare in particolare tra tanti il contributo preziosissimo delle
commissioni decanali e delle loro segreterie.
Questo breve richiamo delle coordinate esteriori merita
alcune osservazioni. L'impianto già sperimentato nel convegno di Loreto
dell'aprile 1985 si è rivelato utile. E stata notata la mancanza di una
relazione teologica, che sottolineasse gli elementi dottrinali, specialmente
ecclesiologici, sottesi alla riflessione dedicata dal convegno da una parte al
tema della parrocchia e del "cristiano di base", dall'altra al tema della
coscienza morale. Si è pure osservato che le "testimonianze" della sera, per la
loro collocazione nell'orario, non furono seguite da tutti, mentre
rappresentavano un momento particolarmente forte di "contagio" e una
dimostrazione di quanto valga la creatività anche a livelli semplici quando si
apre il cuore al vento dello Spirito. Ha scritto un delegato: "Le esperienze
andavano simbolicamente poste non solo alla sera, ma nel pieno dei lavori
assembleari e liturgici".
[123] Da quanto si è detto sin qui è possibile dedurre
qualche riflessione sul convegno in quanto specchio che riflette il vissuto
della nostra chiesa particolare di Milano e luogo di discernimento per un
progetto da attuare nella luce e nella grazia dello Spirito.
[124] 1. Il convegno, così come è stato preparato e si è
svolto, conferma il carattere popolare della nostra chiesa. Non è stato un
convegno soltanto di esperti o specialisti: in esso erano rappresentate le
parrocchie, le istituzioni di base; c'erano giovani e uomini maturi, laici e
laiche, religiosi, preti e vescovi; sani e sofferenti, gente semplice e gente
impegnata nella cultura o nell'attività sociale e politica. Erano molti, ma
uniti e composti, segno di una moltitudine non massa, ma popolo, capace di
organizzarsi e articolarsi secondo doni, doveri e competenze. E questa la realtà
che ha fatto il convegno, che ha mostrato che nel nostro popolo cristiano c'è
vivacità, capacità di stare insieme, di esprimersi, di organizzarsi, di muoversi
con disinvoltura anche nella "società complessa", di guardare all'avvenire con
fiducia.
[125] Si può concludere da tutto ciò che è bene scommettere
sulla base popolare della nostra chiesa e in particolare su quelle strutture che
sono più vicine a tale base popolare, cioè sulla parrocchia e sul decanato.
Di queste due realtà si è parlato ampiamente nel convegno.
"Alla parrocchia- cito dalla relazione finale del primo itinerario - si deve
guardare con interesse e simpatia: essa nella sua normalità e quotidianità
rappresenta, nel cuore di un determinato territorio, la realtà ecclesiale dove
si fa memoria del Signore e si sperimenta il dono della salvezza. E' il luogo
dell'ascolto della parola di Dio, della celebrazione dei sacramenti di Cristo,
della carità fraterna nella condivisione dei doni dello Spirito".
"11 decanato - cito dal documento conclusivo della
commissione 2a - con le strutture di collegialità e partecipazione che lo
connotano e lo fanno operare (consiglio pastorale decanale, commissioni,
segreteria, ecc.), alimenta le finalità pastorali e missionarie della chiesa e
offre alla parrocchia e alle altre aggregazioni ecclesiali occasioni precise e
concrete per farsi prossimo".
[126] 2. E' bene scommettere sui laici e sulla loro maturità
ecclesiale. Cito dalle testimonianze ricevute. "E la gente comune che ha fatto
riuscire con il suo entusiasmo il convegno... Non sciupare il desiderio di
lavorare nella quotidianità che era proprio dei delegati. E questo patrimonio di
"volontà" e di "esperienza" che va fatto maturare e va educato, anche
politicamente...". "I laici presenti hanno sentito di essere dentro una realtà
viva, umana e divina, hanno compreso di più il Vangelo come senso della loro
vita; hanno conosciuto per la prima volta persone impegnate cristianamente
vicine alla propria parrocchia; hanno sperimentato la possibilità di una reale e
sincera fusione di associazioni e movimenti".
[127] Sarà dunque importante portare avanti quelle strutture
e sussidi formativi che sono stati più volte invocati durante il convegno,
tenendo presente in modo speciale il ruolo formativo che l'Azione cattolica, con
le altre aggregazioni ecclesiali, è chiamata a compiere per statuto in vista di
suscitare nella chiesa locale un laicato maturo nella fede e nell'azione sociale
e politica.
Se ne deduce anche l'importanza di quelle strutture che
servono per programmare, animare e coordinare il lavoro di base, cioè i consigli
pastorali parrocchiali e decanali.
[128] 3. E' necessario privilegiare quelle scelte e far
emergere quelle priorità pastorali che configurano il volto della parrocchia
come volto familiare e fraterno, come trasparenza del "volto di Dio".
Per volto si intende la declinazione completa della realtà
parrocchiale, il suo linguaggio, i suoi gesti, le sue intenzioni profonde,
potremmo dire il suo carattere. E aperto o chiuso? disponibile o irascibile?
accogliente o elitario? dialogico o scontroso? umile o saccente? (cf. sintesi
del primo ambito).
Il problema serio della parrocchia è dunque quello di
chiedersi: come rivelo il volto di Dio? Ia sua carità? Ia sua misericordia? Ia
sua disponibilità? Come accolgo lontani e vicini, anche quelli "scomodi"? Come
accolgo i carismi suscitati dallo Spirito?
Perché la parrocchia possa rendere visibile la chiesa della
carità, occorre rivedere con coraggio la sua conduzione nella catechesi, nella
liturgia, nella possibilità per donne e uomini, giovani e adulti di essere
protagonisti della costruzione della comunità.
Alcune prassi vanno cambiate, con equilibrio, ma anche con
coraggio. Alcune voci di bilancio vanno riviste, con serenità, ma con
determinazione.
Alcuni consigli pastorali vanno rinsanguati per stile,
partecipazione, programmi.
E' la carità che illumina i cambiamenti personali, di gruppo,
di comunità, fino ad arrivare alla testimonianza di cui erano capaci i primi
cristiani.
[129] 4. Affinché la parrocchia possa essere se stessa, è
necessario che essa faccia riferimento alla dimensione del decanato. Solo così
essa potrà essere veramente attenta ai problemi del territorio, alle situazioni
civili e sociali. Solo in questo modo si assicurerà la necessaria programmazione
della pastorale d'insieme e delle attività formative dei quadri.
Occorre, come ho ricordato nell'omelia finale, "allargare i
pali della tenda", cioè della comunità parrocchiale.
Occorre però che anche il decanato si faccia luogo fraterno,
con la mutua conoscenza e la comunicazione nella fede tra coloro che vi operano,
in particolare tra i membri di gruppi e movimenti operanti in diversi ambienti.
5. Questo stile fraterno e dedicato di chiesa non potrà
crescere senza un riferimento costante alla centralità dell'eucaristia e la cura
del rapporto tra liturgia e vita, con una speciale attenzione alla liturgia
domenicale. "Di fatto si tratterà per la comunità cristiana di non vivere in
modo separato la fede e la carità, I'eucaristia e il farsi prossimo" (sintesi
itinerario 2°).
Si riprendano a questo proposito le indicazioni conclusive
della lettera pastorale Attirerò tutti a me, riflettendo nell'ambito del
consiglio pastorale parrocchiale su quanto si è fatto e si farà in avvenire per
attuare le proposte ivi contenute così da far comprendere che la liturgia
eucaristica domenicale è veramente la "forma" della comunità.
[130] 6. Una parrocchia formata dall'eucaristia non può
essere che una parrocchia missionaria, cellula di una diocesi che allarga i pali
della sua tenda anche verso le dimensioni più ampie dell'evangelizzazione a
livello planetario. Non è possibile partecipare con gioia a una mensa come
quella eucaristica senza desiderare ardentemente che molti altri, vicini e
lontani, dalle siepi e dai crocicchi delle vie come dalle isole d'oriente o
dalle estremità del mare, vengano a sedersi alla mensa di Abramo e dei suoi
figli. Il nostro ideale di pace e di fraternità lo viviamo in un mondo senza
frontiere, dove ovunque desideriamo riconoscere dei fratelli.
[131] 1. Vorrei qui accennare anzitutto a ciò che
caratterizza in maniera peculiare il modo di essere della chiesa nella società,
che è il modo del servizio, dell'attenzione all'uomo, della dedizione di sé fino
al dono della vita.
L'essere cristiani, come ho ricordato nell'omelia finale, non
è caratterizzato dall'andare a messa alla domenica ma dal vivere per gli altri,
fondato sul fatto che si va a messa alla domenica. Non vive dell'eucaristia se
non chi dona corpo e sangue per i fratelli come Gesù.
La chiesa non ha altro modo di essere nella società: la sua
ambizione è di servire, a partire dagli ultimi. Perché questo `desiderio rimanga
sempre nella sua incandescenza, occorre mettersi alla scuola dei
poveri, dei più poveri, stare con loro, condividere il più
possibile con loro.
[132] 2. Anche la carità cosiddetta politica, che stimola a
mettere le proprie forze al servizio del bene comune per la costruzione della
città insieme con tutte le forze vive operanti in essa, nasce da questo
desiderio di servire con amore e disinteresse.
L'educazione alla carità politica partirà da questo
atteggiamento di fondo per aiutare ad affrontare la procella dell'esperienza
politica con la chiara intuizione del fine a cui tendere, della moralità dei
mezzi da adoperare. Non si può tendere al bene comune politico se non con mezzi
politici buoni e morali.
Di conseguenza la carità può - anzi, deve - investire anche
la politica con la propria forza di illuminazione, energia di dedicazione,
capacità di servizio. Nel far questo la carità assume connotazioni particolari e
anima virtù peculiari (ad esempio, le virtù "civiche"). Trattandosi di un
confronto particolarmente arduo e complesso, la carità che si esprime in impegno
politico esige uno sforzo educativo specifico da parte della comunità cristiana
(cf. relazione di mons. Nicola).
[133] 3. Nasce di qui un modello di rapporti chiesa-società
che rifiuta sia quelli ispirati a un senso di estraneità/separazione, o a un
senso di appiattimento/omologazione o ancora di concorrenza/sovrapposizione, o
anche della "delega" dei compiti civilmente rilevanti ad alcuni più sensibili e
versatili. Si fa strada invece un più maturo modello di relazioni che tende a
conferire alla chiesa nel suo insieme compiti e responsabilità di animazione
etico-civile, cioè di positivo intervento per la salvaguardia e la promozione
dei valori e della dignità dell'uomo e per la formazione di uomini e donne
disponibili a impegnarsi, con forti motivazioni etiche a partire dalla propria
ispirazione cristiana, nei diversi campi del servizio sociale, amministrativo e
politico (cf. per tutto questo numero la sintesi del 3° itinerario).
Per quanto riguarda il rapporto tra comunità cristiana e
comunità civile, I'immagine a cui è stato fatto riferimento è quella suggerita
dalla Lettera a Diogneto, dell'anima e del corpo che connota l'idea di una
intima, solidale partecipazione dei cristiani alla condizione comune degli
uomini e degli ordinamenti del proprio paese, ma insieme di una eccedenza di
ideali di vita rispetto alla giustizia puramente legale, che è indizio e
anticipazione di rapporti umani eticamente più densi e aperti a un orizzonte
trascendente.
Per quanto riguarda invece le specifiche relazioni tra chiesa
e istituzioni pubbliche, là prospettiva è quella suggerita in apertura del nuovo
accordo concordatario che si può esprimere con la formula della collaborazione
nell'autonomia per la promozione dell'uomo e il bene del paese.
Un chiaro senso dei ruoli di servizio e delle reciproche
responsabilità insieme con la coscienza della serietà e della gravità dei patti
e delle intese che li sanciscono, sarà condizione necessaria per un più armonico
intreccio di forze civili e religiose nel servizio ai drammatici bisogni
dell'umanità qui da noi e in ogni angolo della terra.
La carità anima dunque la sfera dei rapporti della chiesa con
la società civile, come pure quella dell'azione dei cristiani nel loro agire
responsabile nell'ambito della società.
4. La competenza-responsabilità della chiesa in rapporto alla
società civile si esprime a diversi livelli: quello del discernimento e del
giudizio etico e di una progettualità ispirata dai valori e arricchita da una
vivace elaborazione culturale, e quello del concreto servizio ai bisogni.(1)
(1) Il giudizio etico presuppone anzitutto la carità di una
verità radicale sull'uomo, che permetta un adeguato discernimento (e se è il
caso anche "smascheramento") dei bisogni e sostenga in particolare il primato
dell'etica sulla tecnica e anche sull'economia.
Occorre poi dare nome alle forme della vera indigenza che non
sempre risultano di immediata evidenza dentro le pieghe della complessità
sociale. A questo riguardo si dovrà prestare orecchio soprattutto a quei bisogni
di persone e gruppi che non si esprimono, che non si organizzano, che non
trovano adeguata rappresentanza (cf. sintesi 3° itinerario).
I cristiani sotto l'urgenza della carità che prende a cuore
la realizzazione della giustizia nella società e nell'ambito delle istituzioni,
possono percorrere, secondo la vocazione e le circostanze, vie diverse ma
complementari: quella della profezia, quella della testimonianza, quella
dell'elaborazione e proposta culturale e politica che tende a un consenso che
travalica il riconoscimento esplicito della fede (cf. sintesi 4° itinerario).(2)
(2) Per quanto riguarda specificamente le responsabilità
civili del cristiano nella dialettica giustizia-carità è stato sottolineato che
i credenti si dispongono a questo compito assumendo pienamente l'esercizio della
loro laicità e cercano l'incontro con chiunque, anche non credente, sia animato
da un coerente e sincero proposito di costruire una città degna dell'uomo e
aperta alla sua realizzazione integrale (cf. sintesi 4° itinerario).
[134] 5. Passando in rassegna alcune tra le più significative
esperienze presentate nelle serate del convegno, è apparsa una certa latitanza
del settore pubblico in ambiti caldi dell'emarginazione. D'altra parte chi si
impegna davvero nel volontariato in questi settori, soprattutto se coltiva forme
di condivisione, sa quanto bisogno c'è di recuperare in questi tipi di attività
il senso politico e dell'istituzionale. Anche nell'impegno per il soccorso dei
bisogni il cristiano deve porsi con franchezza nel quadro della società attuale,
valorizzando a pieno le opportunità e gli istituti - specie quelli partecipativi
- resi disponibili dal nostro stato democratico.
Nasce così, dall'esperienza genuina del farsi prossimo,
un'apertura in genere verso il politico che non è fatta né di sterili polemiche
O contrapposizioni, né di gesti possessivi, ma cerca forme sincere di
collaborazione per venire davvero incontro ai bisogni.
6. E stata anche auspicata in questa linea l'elaborazione di
una nuova cultura dell'impegno politico. Ad essa ci stimola una situazione di
pluralismo culturale da non intendersi esclusivamente Come elemento negativo,
come pure la constatazione ormai comune dello "scollamento tra cittadini e
istituzioni, e della relativa crisi dei partiti come strumenti intermediari e
soggetti propositivi".(3)
(3) Partendo da una coscienza nuova, e che oggi si fa sempre
più acuta, della planetarizazione dei problemi e quindi delle responsabilità,
del valore della "pace totale" e del desiderio di partecipazione si è
riconosciuto che v'è oggi un'occasione provvidenziale per rilanciare una cultura
che si radichi sui principi espressi dal magistero sociale della chiesa e che,
recuperando in un clima nuovo le tradizioni di protagonismo laicale del mondo
cattolico, parta nell'elaborazione dei progetti da un'attenzione specifica agli
ultimi, rendendoli anch'essi soggetti di partecipazione, e divenga il vero
parametro dei rapporti tra cattolici e forze politiche in generale. Nella
elaborazione di una "cultura" politica, andrà recuperato e fatto assurgere a
dignità il "quotidiano" in cui la maggioranza di donne e di uomini si trova:
illuminare e rendere critico e collaborante il rapporto tra famiglie, nel
quartiere, nel consenso, nella partecipazione alla scuola dei propri figli, nel
contatto con gli enti pubblici, con le strutture sanitarie, civiche sociali.
Questa politica "sommersa" che migliaia di cittadini (in particolare le donne)
vivono può uscire dalla privatezza, connotarsi, diventare determinante e punto
focale della talvolta sterile e astratta discussione politica.
7. Tutto questo avverrà però sempre con la coscienza che la
carità, anche quella che si impegna nel quotidiano spicciolo ed entra in
politica, è dono che va umilmente invocato e al quale deve aprirsi la nostra
libertà, affinché Si produca la conversione del cuore. Perciò va gelosamente
custodito anche il senso della differenza, cioè di uno scarto irriducibile tra
la misura della giustizia cristiana che attinge la dimensione del perdono
gratuito e la giustizia civile storicamente possibile.
[135] La coscienza di tale scarto è garanzia di sano realismo
politico - cioè di relativizzazione della politica che non va caricata di
aspettative improprie; ed è anche garanzia di fedeltà all'eccedenza, alla
paradossalità della legge evangelica dell'amore incondizionato (cf. 3°
itinerario).
[136] 8. Nella coscienza della relatività o dei limiti della
politica, occorre anche riconoscerne la grandezza e la sua obbligatorietà per
l'esercizio pieno della carità. La politica non è solo rimedio alla
disumanizzazione prodotta dal peccato, ma anche liberazione e via di accesso ai
piani di una buona convivenza civile.
Perciò anche riguardo alla testimonianza da dare nella vita
politica i cristiani sono chiamati a uno stile di vita che, andando, anche
coraggiosamente, contro gli stereotipi prevalenti del consumismo e del successo
fine a se stesso (anche in politica!) e del calcolo esclusivo del vantaggio
individuale, introduca e diffonda i germi della gratuità e della dedizione (cf.
4° itinerario).
Come ha affermato mons. Nicora: "la testimonianza di un
impegno politico eticamente irreprensibile è oggi tra quelle più significative
per la credibilità della fede cristiana".
[137] 9. Tale testimonianza è concretamente possibile oggi
nella politica? E possibile per uomini e donne comuni che abbiano buona volontà,
desiderio di onestà e intelligenza, senza aver per questo la vocazione
all'eroismo o al martirio? La questione è cruciale oggi in Italia, perché
riguarda la possibilità reale di incoraggiare o no nuove leve per il servizio
sociale e politico dei prossimi vent'anni. Essa è emersa più volte nel convegno,
a partire dalla constatazione della distanza da più parti denunciata tra coloro
che operano in politica e la gente comune, inclinata a guardare i primi con un
certo istintivo sospetto, e più in generale dalla denuncia di un certo disagio
dei giovani di fronte all'impegno politico.
La risposta a questi interrogativi tocca il sistema
partitico, non in astratto, ma così come esso è vissuto oggi nel nostro paese.
Si ha talora l'impressione che il sistema dei rapporti tra i partiti, così come
esso oggi di fatto si va aggrovigliando, tenda a fissarsi in un pericoloso, e un
giorno forse irreversibile, ciclo di degrado. Allorché, mediante alleanze
occulte e spartizioni sotterranee, nascono situazioni ibride in cui le alleanze
e le opposizioni tradizionali tra partiti diversi, conclamate alla luce del
sole, non rispondono a quanto avviene invece nelle camere oscure del palazzo, si
attua un fenomeno che tra menzogne e coperture rischia di scoraggiare chi
vorrebbe avventurarsi in tali labirinti.
Per parte nostra non possiamo non continuare a proclamare che
la carità politica salvata da Cristo è capace di per sé di redimere anche il
mondo della politica, anch'esso viziato, come tutto il resto, dal peccato, e di
dare coraggio alle vocazioni politiche serie e oneste. Ma quale grave
responsabilità si assumerebbe chi facesse sì che la scelta di impegnarsi e
restare onestamente in politica diventi atto eroico di pochi, meritevoli
dell'aureola del martirio! Non ci si dovrebbe allora lamentare se i giovani
migliori di tutte le estrazioni culturali o ideologiche, scelgano piuttosto le
professioni in cui è rimasta consolidata una sicura etica del comportamento.
Se di fatto i giovani si decideranno sì o no a servire anche
in politica e ad esprimere così un aspetto fondamentale del "farsi prossimo",
dipenderà anche dalla capacità dei partiti di offrire itinerari onesti e
accettabili di militanza, nei quali la coscienza non sia costretta a
compromessi, ma sia valorizzata nei suoi ideali di fondo.
[138] Ma non vorrei insistere troppo su questo tono e su
questo tema, memore della parola di Ambrogio che dice: "Concedimi anzitutto, o
Signore, di essere capace di condividere con intima partecipazione il dolore dei
peccatori. Questa infatti è la virtù più alta, perché sta scritto: "E non ti
rallegrerai sui figli di Giuda nel giorno della loro rovina e non farai grandi
discorsi nel giorno della loro tribolazione" (Abd 12). Anzi, ogni volta che si
tratta del peccato di uno che è caduto, concedimi di provare compassione e di
non rimbrottarlo altezzosamente, ma di gemere e piangere, così che, mentre
piango su un altro, io pianga su me stesso" (De Paenit. II, 8,73).
[139] Il convegno è stato soprattutto uno stile, un modo di
stare insieme e di prendere coscienza delle nostre responsabilità oggi come
chiesa di Milano. Dice un testimone: "Ho visto nel convegno "Farsi prossimo" la
scelta di un metodo che dovrebbe essere connaturale alla comunità cristiana. Già
abituato a "convenire" a livello liturgico-sacramentale, il popolo di Dio deve
acquisire l'abitudine a "convenire" anche a livello pastorale-esistenziale".
[140] 1. Il modo migliore di attuare il convegno sarà dunque
anzitutto quello di portare lo stesso stile e le modalità di riflessione a
livello di base negli organismi già esistenti, in particolare nei consigli
pastorali parrocchiali e decanali e nelle Caritas, da istituire dove ancora non
ci fossero secondo le indicazioni già date nei programmi pastorali precedenti
(1978 e 1982). Al presente le Caritas parrocchiali sono 419 presenti in
parrocchie su 1103,(4) e i decanati con responsabili Caritas sono 58 su 73.
(4) Lo strumento per promuovere nella comunità cristiana la
crescita nella dimensione della carità è la Caritas parrocchiale. Essa non è un
nuovo gruppo caritativo, ma un organo pastorale di promozione e coordinamento,
che fa capo al consiglio pastorale e ha il compito di fungere da antenna della
comunità parrocchiale per cogliere i bisogni antichi e nuovi, da motorino di
avviamento per informare e stimolare all'impegno tutta la comunità; da coscienza
critica e da punto di coagulo dei vari gruppi ed espressioni di carità nel pieno
rispetto della specifica originalità.
Si organizzino le realtà decanali già esistenti in maniera
più razionale e organica con l'aiuto di una segreteria decanale che può
diventare anche utile punto di raccordo con gli indirizzi e le iniziative degli
uffici pastorali della curia e le relative consulte e commissioni.
2. Disponiamo che tutti i delegati nominati dalle parrocchie
e dai decanati che ancora non fossero membri dei consigli parrocchiali e
decanali lo divengano a partire da ora, fino alla scadenza dei consigli stessi,
e là dove essi non esistano ancora, siano membri d'ufficio del consiglio di cui
auspichiamo presto la costituzione. Essi saranno così i primi ambasciatori del
convegno qell'ambito delle strutture di base delle comunità.
3. Sarà anche opportuno che nelle parrocchie, in una domenica
prima di natale, o immediatamente successiva a tale festività, uno dei delegati
possa riferire brevemente, in connessione con l'omelia domenicale, qualcosa del
convegno, concordando il suo intervento con il parroco, così che tutte le
comunità ricevano una risonanza ufficiale di quanto si e vissuto ad Assago.
[141] 4. Occorre avere il coraggio di investire tempo,
persone e mezzi, ancor più di quanto non si faccia ora, nella formazione delle
coscienze cristiane adulte, per mettere le comunità sempre più in grado di
assumere stili di corresponsabilità, di discernimento, di verifica, di
programmazione intelligente.
[142] Si attuino per questo iniziative organiche e coordinate
nei decanati per una formazione di base e per una formazione specializzata di
operatori pastorali. Si crei parimenti una iniziativa di formazione e sostegno
per i cristiani impegnati nel campo amministrativo e politico, con la proposta
di itinerari rigorosi ed esigenti. Quest'ultima iniziativa, insieme con quelle
di formazione specializzata già in atto, si potranno talora attuare più
efficacemente a livello pluridecanale o diocesano. In questa linea si stanno
elaborando nelle sedi competenti idonei strumenti formativi che verranno
proposti ai decani.
[143] 5. Sarà pure necessario attuare prossimamente un
coordinamento stabile e un riferimento autorevole di verifica per i gruppi e le
aggregazioni ecclesiali presenti e operanti in diocesi, secondo quanto ho già
indicato nell'intervento ai decani dello scorso settembre.
6. Infine voglio annunciare ufficialmente la decisione di
istituire nella nostra diocesi il diaconato permanente, ministero che ha un ben
preciso e diretto orientamento a servizio e per la promozione di una chiesa
dalla carità e della carità.
[144] 7. Sarà utile infine dotare la diocesi di uno strumento
ufficiale di osservazione e di intervento sui grandi temi della giustizia,
dell'economia e del lavoro, del diritto internazionale, del progresso dei
popoli, della pace. Un'educazione alla mondialità che investa positivamente e
qualifichi l'impegno missionario della chiesa.
[145] 8. Tra le varie povertà che il convegno ci ha esortato
ad affrontare con coraggio facendoci prossimi ai più indifesi e agli ultimi
vanno certamente sottolineati due momenti di un'esistenza umana che stentano a
trovare accoglienza e spesso sono messi fuori della porta ed esclusi anche dalla
mentalità corrente: sono coloro che bussano alla porta della vita e sono
soppressi mediante l'aborto, e coloro che dopo un periodo di segregazione
bussano alla porta della società civile e non trovano spesso né accoglienza, né
lavoro, cioè i dimessi dal carcere. Vogliamo sperare che queste tragiche povertà
trovino attenzione appassionata e intelligente perché si venga incontro ai casi
difficili medicando piaghe sociali dolorose, e si ripensino in senso
autenticamente promozionale leggi e strutture spesso deviate in senso antiumano
nella loro pratica realizzazione.
[146] 9. Infine vorrei suggerire a tutte le famiglie della
diocesi un semplice gesto che significhi una prima immediata applicazione
pratica del convegno. Lo chiamerei "Farsi prossimo a natale". Si tratta di
questo. Una o due settimane prima di natale ogni famiglia faccia un conto
preventivo delle spese straordinarie previste nel periodo natalizio, sommando
almeno le seguenti voci: regali, viaggi, pranzi straordinari e feste,
spettacoli... Si calcoli una percentuale della somma complessiva in misura
ragionevole, ad esempio sulla base del principio della decima, da sottrarre alle
spese previste per destinarla a situazioni di povertà e di bisogno. Ogni
famiglia si assuma la responsabilità autonoma della ricerca dei destinatari di
questa somma, senza indicazioni collettive o dall'alto. Ciò garantirà anche la
segretezza evangelica del gesto e la sua gratuità assoluta, con esclusione di
ogni possibile autocompiacimento.
Ricevendoci in udienza un mese fa, 1'8 novembre 1986, in
occasione della celebrazione del centenario del Duomo, Giovanni Paolo II ci
diceva: "Carissimi fratelli e sorelle, voi siete venuti a ritemprare la vostra
fedeltà a Cristo e alla chiesa sulla tomba di Pietro per meglio prepararvi al
convegno diocesano sulla carità, che si articola intorno al tema "Farsi
prossimo". Sarà quella la tappa conclusiva di un ampio progetto pastorale,
iniziato nel novembre 1980 e che dovrà in seguito coinvolgere a fondo l'intera
comunità.
Apprezzo grandemente - diceva il papa - questo grande sforzo
di organizzazione e di sensibilizzazione, ed auspico di cuore che veramente si
possano formare le coscienze sul valore della carità, in cui ogni altro valore
trova la sua fondazione e il suo coronamento".
Noi siamo grati al Signore e al nostro patrono s. Ambrogio,
perché la benedizione ricevuta da Pietro si è trasformata in rugiada di grazia
per la nostra comunità.
Secondo la leggenda un favo di miele si sarebbe posato sulla
bocca di Ambrogio ancora bambino, simbolo della sua eloquenza, ma anche della
sua carità. Questo favo di miele sia anche il simbolo di una chiesa che dai
fiori non di rado avvelenati di una cultura inquieta sa trarre frutti di buone
opere per una crescita di quella carità in cui ogni altro valore trova la sua
fondazione e il suo coronamento.
Il prossimo natale ci trovi tutti uniti nel desiderio di
accogliere il dono della carità del Padre che ci viene dato nel suo Figlio Gesù.
Lettera alla diocesi - Milano, 9 dicembre 1986