venerdì 31 agosto 2012

Martini: Lettere Pastorali - "Farsi prossimo" (1986)

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Farsi prossimo
[1]

Vieni, Spirito del Padre e di Gesù,
guidaci verso tutta la verità,
aiutaci a dimorare nell'amore di Gesù,
a ricordare e a compiere
tutto quello che Gesù ci ha insegnato.
Signore Gesù, sotto la guida del tuo Spirito,
cerchiamo di ricordare le parole
che ci dicevi quando eri tra noi.
Avevamo lasciato tutto
e ti avevamo seguito.

Eravamo conquistati dalla tua parola
e dai gesti prodigiosi,
con cui sanavi le debolezze umane.
Aspettavamo con ansia il gesto definitivo,
che avrebbe inaugurato
il tuo regno sulla terra.
Ma tu guardavi sempre oltre,
verso un centro misterioso della tua vita,
che sfuggiva continuamente
alla nostra comprensione.
Parlavi di un cibo sconosciuto,
che la volontà del Padre ti andava preparando.
Parlavi di un'"ora",
che avrebbe rivelato pienamente
la gloria del Padre.

Quando l'ora è giunta
- e fu l'ora della croce e della morte -
noi siamo fuggiti.
Ti chiediamo perdono ancora una volta
della nostra viltà:
noi abbiamo paura
di un amore che si concede
fino alla morte.

Ti chiediamo perdono
della nostra poca fede:
volevamo che tu salvassi gli uomini,
misurandoti coi progetti degli uomini,
non credevamo all'energia prodigiosa
che sarebbe scaturita dalla tua obbedienza filiale;
non credevamo all'amore sconfinato,
con cui il Padre crea, protegge,
salva e rinnova la vita di ogni uomo.
 
Signore, accresci in noi la fede,
come radice di ogni vero amore per l'uomo.
Come possiamo testimoniare il tuo amore?
Tu un giorno ci hai raccontato di un uomo,
che scendeva da Gerusalemme a Gerico
e fu assalito dai briganti.

Signore, quell'uomo ci chiama.

Aiutaci a non restare tra le mura del cenacolo.

Gerusalemme è la città della Cena,
della Pasqua, della Pentecoste.

Per questo ci spinge fuori
per diventare il prossimo di ogni uomo
sulla strada di Gerico.

[2] Carissimi fratelli e sorelle nel Signore, anche la lettera pastorale di quest'anno inizia con una preghiera. Altri punti di partenza mi erano venuti in mente. Dovendo affrontare il tema della carità, sarei potuto partire dai tanti casi di sofferenza che incontro nel mio ministero pastorale. Le carceri, i letti dei malati, le famiglie provate economicamente, gli operai senza lavoro, i casi di solitudine e di emarginazione, le situazioni di ingiustizia e mille altri fatti ogni giorno danno una stretta al cuore e fanno venir voglia di gridare: "Svegliamoci! Non si può continuare così! Dobbiamo rinnovare radicalmente la nostra vita pastorale per aprirci agli immensi bisogni dei fratelli".
Ho preferito, tuttavia, partire ancora con una preghiera, non solo per riconoscere, fin dall'inizio, che la carità è un dono che dobbiamo implorare con umile fiducia, ma anche per insinuare che il fatto indiscutibile, che deve sferzare più fortemente la nostra inerzia, è l'immensità dell'amore di Dio. Il mio grido diventa: "Svegliamoci all'amore di Cristo! E' mai possibile che, dopo essere stati tanto amati, noi siamo ancora così indisponibili al contraccambio e così insensibili all'esigenza di imitare e testimoniare l'amore che ci è stato donato?".
Né dobbiamo temere che lo spostamento di attenzione verso l'amore di Dio renda meno urgente l'appello che ci viene dai bisogni dell'uomo. Il fatto di sperimentare quanto è amata da Dio l'umanità concreta, che ci portiamo dentro la nostra persona, ci offre motivi perentori, esempi stimolanti, energie inesauribili nell'ascoltare, accogliere, aiutare 1'umanità che è presente in ogni altra persona. Nel cap. l0 del vangelo di San Luca, Gesù, dopo aver presentato la profonda unità che c'è tra 1'amore di Dio e l'amore del prossimo, racconta la parabola del buon samaritano, per indicare l'ampiezza illimitata e incondizionata dell'impegno con cui dobbiamo farci prossimo di ogni uomo.
[3] Se dunque il primo passo della lettera pastorale è stato la preghiera, il secondo passo sia l'ascolto della parabola del buon samaritano.
Prendendola come immagine del cammino pastorale della nostra Chiesa, possiamo cogliere in essa quattro momenti.
Il primo momento è come un'introduzione scenica. In alto sta Gerusalemme, con le sue mura sicure, le case accoglienti, il tempio di Dio che offre bellezza e protezione. Mille metri più in basso, Gerico, la città delle rose, si stende sulle rive del Mar Morto a trecento metri sotto il livello del mare. Tra le due città una zona aspra e desertica, con una strada piena di imprevisti e di pericoli. Un uomo, che scende da Gerusalemme a Gerico, incontra dei briganti, che gli portano via tutto, lo bastonano e fuggono, lasciandolo mezzo morto.
Nel nostro cammino pastorale, insieme con i discepoli di Emmaus abbiamo incontrato il Signore, che ci ha spiegato la sua Parola; abbiamo spezzato con lui il Pane dell'Eucaristia; siamo corsi a Gerusalemme, la città della Cena, della Pasqua, della Pentecoste per prepararci alla missione, che ci farà testimoni del Risorto in tutto il mondo. La missione e la testimonianza ci portano lontano da Gerusalemme, incontro a ogni uomo che ha bisogno di aiuto. In altre parole dobbiamo comprendere il rapporto che c'è tra la dimensione contemplativa della vita, la Parola, l'Eucaristia, la missione e la carità, nella quale ultima tutte le altre realtà della Chiesa trovano la loro pienezza.
Il secondo momento della parabola ci presenta il penoso spettacolo della durezza del cuore. Un sacerdote e un levita, che percorrono quella strada, passano oltre, senza prestare soccorso. La loro durezza è l'immagine della nostra. I bisogni dei fratelli ci mettono in difficoltà. Rimaniamo chiusi in noi stessi e scarichiamo sugli altri le responsabilità. I rapporti sociali che ci legano ai nostri simili, senza la scintilla della carità, restano inerti. Dobbiamo esaminare umilmente le difficoltà che le nostre comunità incontrano nell'esercizio della carità.
Il terzo momento è il cuore di tutta la narrazione. Consta di una sola parola greca, che significa: fu mosso a compassione. Essa designa l'intensa commozione e pietà da cui fu afferrato un samaritano, che passava per quella stessa strada. Non pensiamo soltanto a un risveglio di buoni sentimenti. Poche pagine prima (cfr. Lc 7,13), la stessa parola è usata per descrivere la compassione di Gesù dinanzi al funerale del figlio della vedova di Naim. In altri passi della Bibbia questa parola allude all'immensa tenerezza che Dio prova per ogni uomo. Dobbiamo pensare che con questa parola il racconto evangelico voglia descrivere un evento misterioso che è accaduto nel cuore del samaritano e lo ha, per così dire, attratto nello stesso movimento di misericordia con cui Dio ama gli uomini. Cercheremo anche noi di scoprire le leggi misteriose, secondo le quali l'amore di Dio, mediante lo Spirito di Gesù, infonde la carità nei nostri cuori.
Il quarto momento è una conclusione movimentata, tutta premura e azione: il samaritano si avvicina allo sfortunato, si fa prossimo, versa vino e olio sulle ferite, le fascia; carica lo sconosciuto, fatto diventare prossimo, sul proprio asino e lo porta alla locanda; sborsa due monete d'argento per le cure che saranno necessarie. La cosa più bella è che non lo abbandona al suo destino. Sa che può aver bisogno di tante altre cose; allora dice al padrone della locanda: "Abbi cura di lui e, anche se spenderai di più, pagherò io quando ritorno". Anche noi ci chiederemo quali gesti concreti ci domanda la carità che Dio ha acceso nel nostro cuore.
Ecco dunque le quattro parti della lettera.
- Prima parte: il tema della carità nel cammino della nostra Chiesa.
- Seconda parte: le difficoltà che incontriamo nell'esercizio della carità.
- Terza parte: lo Spirito Santo che accende in noi la carità, ce ne insegna il significato profondo.
- Quarta parte: le scelte storiche e i gesti concreti della carità.
Questa lettera vuole solo invitare a una riflessione fondamentale sul tema della carità.
Seguirà nel prossimo anno pastorale un secondo intervento su alcune applicazioni operative. Vivremo così un biennio dedicato a questo tema fondamentale dell'esistenza cristiana.
[4] Ringrazio il Signore perchè la nostra Chiesa è da sempre sulla strada di Gerico per soccorrere i bisognosi.
Da quando sono entrato come vescovo nella diocesi di Milano, non cesso di stupirmi per le innumerevoli e commoventi espressioni di carità, che il Signore sa suscitare nelle persone e nelle comunità.
L'animo del nostro popolo tradizionalmente buono e accogliente, ha creato un costume di operosa disponibilità, che fa maturare tanti gesti e tante iniziative di bontà.
L'opera geniale di alcuni grandi testimoni della carità ha fatto sorgere nel passato molte istituzioni caritative, che svolgono ancor oggi un prezioso servizio per i fratelli in difficoltà.
Gruppi parrocchiali e di ambiente, che si ispirano alla carità attraverso varie forme e correnti di spiritualità, tengono viva nelle comunità cristiane e negli ambienti di lavoro l'attenzione per i poveri e gli ammalati.
Alla porta dei preti bussano quotidianamente molte persone in cerca di un soccorso immediato, di un alloggio, di un posto di 1avoro.
Gli itinerari educativi dei ragazzi e dei giovani prevedono normalmente visite a istituti, attenzione a persone sole e ammalate, raccolta di fondi per iniziative di carità.
[5] Nuove forme di servizio, ispirate al volontariato e alla cooperazione internazionale, registrano un crescente interesse, soprattutto presso i giovani, che si preparano alle scelte mature della vita, e presso gli anziani che, col venir meno di un certo tipo di prestazioni professionali e familiari, vogliono impiegare utilmente il tempo libero a loro disposizione.
Le grandi calamità, dentro e fuori la Patria, vedono sorgere tra la nostra gente una gara di solidarietà e di generosità.
[6] Tuttavia le nuove povertà, tipiche del nostro tempo, che esplodono con particolare intensità nella nostra struttura sociale, come l'insicurezza del lavoro e della casa, la solitudine e l'emarginazione, il disadattamento dovuto all'immigrazione interna ed estera, le forme di asocialità, le angosce esistenziali ecc. ci tengono continuamente sotto pressione, sferzano la nostra pigrizia, ci chiedono sempre nuovi interventi.
Stimolato da tanti esempi di carità e da problemi così gravi della nostra società, ho cercato anch'io di mettermi sulla strada di Gerico fin dall'inizio del mio ministero pastorale. Ho cercato di dedicare tempo, attenzione pastorale e solidarietà ai malati, ai carcerati, agli handicappati, agli emarginati di ogni genere. Ho spinto le comunità cristiane a verificarsi costantemente sul comando nuovo dell'amore datoci da Gesù. Ho fatto appello all'autorevolezza, che molti accordano agli interventi del vescovo, per dare una voce a chi non ha voce. In alcuni discorsi, specialmente in occasione di incontri con la "Caritas", ho tracciato anche delle linee pastorali per un cammino della Chiesa sulla strada della carità.
[7] Molto, però, resta ancora da fare. Ecco allora la presente lettera pastorale. Avrei voluto scriverla subito all'inizio del mio ministero, perché la carità è il bene che ci deve stare maggiormente a cuore. Già nella conclusione della prima lettera pastorale sulla dimensione contemplativa della vita scrivevo: "Ho scritto queste cose con la convinzione che la realtà più importante a cui la preghiera ci deve orientare è la carità. Questa è la meta finale a cui siamo chiamati. Su questo punto, che mi sta tanto a cuore, cioè sul come la nostra Chiesa deve vivere la carità verso tutti, dovremo un giorno fermarci più a lungo".
Ma un conto è il primato nella vita e un conto la priorità nella trattazione. Nella vita cristiana la carità ha indubbiamente il primo posto e non tollera incertezze e ritardi. Una riflessione organica e programmatica sulla carità chiede però di essere inserita in un cammino di fede. La carità infatti, è inseparabile dalla vita di fede. Nella carità i singoli credenti e tutta la Chiesa esprimono se stessi, la 1oro profonda identità. Orbene l'identità profonda del cristiano e della Chiesa è la sequela, il discepolato, 1'obbedienza, la testimonianza nei confronti di Gesù. C'è anzitutto Cristo, c'è il mistero dell'unione di Cristo con ogni uomo con ogni sofferenza, con ogni speranza, con ogni storia umana; c'è il disegno del Padre che ha voluto che un uomo, Gesù di Nazareth, fosse unito a lui nell'amore dello Spirito Santo come Figlio Unigenito e ha voluto che ogni altro uomo fosse suo figlio per partecipazione alla vita di Gesù in forza dello Spirito Santo.
[8] Questo disegno di amore, rivelato in tutta la vita di Gesù, ha raggiunto la sua pienezza nella Pasqua. Essa, infatti, è il momento in cui l'amore del Padre, comunicato a Gesù mediante lo Spirito, affronta la prova suprema dell'odio, del peccato, della morte, diventandone definitivamente vincitore. L'unione degli uomini con Cristo, secondo il disegno del Padre, trova nella Pasqua la sua celebrazione originaria e fondamentale. Dalla Pasqua scaturisce il dono dello spirito che unisce realmente ogni uomo a Gesù. Il dono invisibile dello Spirito è accompagnato dal dono visibile dell'Eucaristia. L'Eucaristia è Cristo stesso, morto e risorto, che si rende presente per attuare concretamente, visibilmente, per tutta la durata della storia umana, quella comunione con tutti gli uomini che è stata voluta dal Padre ed è stata attuata nella Pasqua a modo di pienezza definitiva e di sorgente inesauribile.
La Parola del Signore annuncia per tutti i tempi questo disegno di amore, ci conduce alla comprensione di colui che è presente nell Eucaristia e ci guida nel conformare tutta la nostra vita personale e comunitaria all'Eucaristia.
Dall'Eucaristia, poi, vengono i carismi, i doni spirituali, i ministeri, con cui ogni credente è reso conforme a Cristo, rende presente Cristo nel mondo, serve i fratelli nel nome di Cristo, partecipa alla missione che Cristo ha affidato alla Chiesa.
[9] La Chiesa è testimone di tutto questo, è annunciatrice del mistero di Cristo e degli uomini uniti a lui. E lo è non in qualche suo aspetto o in qualche suo gesto, ma in tutto il suo essere. La Chiesa è il segno profetico, la primizia santa, l'iniziale attuazione storica dell'unione degli uomini con Cristo. La Chiesa proclama il mistero del Padre, accoglie lo Spirito, celebra nell'Eucaristia la Pasqua del Signore, annuncia e ascolta la Parola, si avvale della ricchezza spirituale dei diversi carismi e ministeri: così diventa l'umanità unita a Cristo secondo il disegno del Padre e viene inviata a tutto il mondo, presso ogni uomo e ogni popolo, per aggregare a sé tutti gli uomini e per dare così a tutti gli uomini la gioia, la dignità, la libertà, la speranza dei figli di Dio.
[10] Questo è lo sfondo su cui collocare il tema della carità. La carità è il cuore stesso della Trinità. E' l'ispiratrice del disegno di Dio sull'umanità. E' l'anima della vita di Cristo. E' il valore profondo della Pasqua, dell'Eucaristia, della Parola, della missione della Chiesa. E' il dono e l'impegno di ogni discepolo di Cristo.
Pertanto gli argomenti che ho trattato nelle precedenti lettere pastorali, riguardano già la carità. Tracciavano il cammino della carità. Erano i passi della carità.
[11] Qual è allora l'aspetto nuovo e specifico che intendo trattare in questa lettera pastorale?
E' l'aspetto della concretezza storica.
L'unione degli uomini con Cristo voluta dal Padre, compiuta nella Pasqua, attuata storicamente nella Chiesa. è un evento di libertà e di amore. Chiama in causa la concreta decisione dell'uomo che, affascinato dall'immenso amore di Cristo, rinuncia a vivere nell'orgoglio, nell'egoismo, nell'affermazione prepotente di sé e si dispone, invece, a celebrare l'amore di Dio, ad assecondare i desideri di Dio, a testimoniare l'amore di Dio ad ogni uomo. Ma questo significa comprendere profondamente se stessi; scoprire, interpretare, gestire la propria libertà; guardarsi attorno e darsi da fare per scoprire e condividere i bisogni concreti dei fratelli, assumersi coraggiosamente le proprie responsabilità nella società attuale.
Di questo concreto esercizio della carità intendo parlare in questa lettera.
Per tornare alla parabola del buon samaritano, ciò che mi voglio chiedere è che cosa è scattato in lui, che meccanismo si è messo in moto nel suo animo, quale concreto cammino egli ha percorso per farsi prossimo di quel disgraziato, soccorrerlo, prevederne i bisogni futuri. E mi voglio chiedere conseguentemente che cosa deve scattare in me, in ogni mio fratello e sorella, in ogni comunità cristiana, quali forze vanno risvegliate, quali responsabilità vanno assunte, quali itinerari vanno percorsi, perché noi possiamo ripetere il gesto del buon samaritano qui e ora, nel mondo d'oggi, in questa società milanese di cui facciamo parte.
[12] Cerco ora di dire le stesse cose con altre parole, che mi vengono suggerite dal programma della Chiesa italiana per gli anni '80. Come sapete, tale programma si ispira al binomio comunione-comunità.
La parola comunione designa l'amore trinitario di Dio; l'unione di tutti gli uomini in Cristo secondo il disegno del Padre; il dono dello Spirito che, mediante la Parola, I'Eucaristia, i carismi e i ministeri, anima interiormente la vita della Chiesa.
La parola comunità designa la visibile, storica, sociale riunione dei credenti nella Chiesa.
La comunità cristiana è il frutto della comunione. Si fonda nella comunione. Manifesta visibilmente le ricchezze inesauribili della comunione. I gesti storici; le espressioni culturali, i comportamenti quotidiani, i riti, le leggi, i vincoli sociali, i rapporti psicologici della comunità cristiana sono fatti realmente e propriamente umani, ma la forza della comunione, che in essi si manifesta, concede loro una carica sovrabbondante di vitalità, di efficacia comunicativa. Essi diventano un fattore prezioso di coesione tra gli uomini, un messaggio di riconciliazione, un potente richiamo all'unità che il genere umano trova nel mistero dell'unico Dio, Padre di tutti.
E' facile vedere che la carità è il senso profondo della comunione e quindi la legge vitale della comunità.
Orbene, in questa lettera vorrei mostrare come la carità passa dalla comunione alla comunità. Vorrei descrivere la vita concreta di una comunità cristiana che, proprio in forza della comunione, coltiva l'amicizia fraterna, è attenta ai bisogni di tutti, suscita vocazioni al servizio generoso del prossimo, si apre ai problemi del mondo, accoglie i più piccoli, i più poveri, gli ultimi, cerca le vie concrete della pace, favorisce gli itinerari della riconciliazione, esercita un influsso benefico sulla vita sociale e politica.
[13] Ci saranno di aiuto nel nostro cammino tre eventi, tre doni con cui il Signore viene incontro al nostro desiderio di aderenza alla realtà e alla vita concreta.
Il primo evento è l'avvenuta celebrazione del quarto centenario della morte di S. Carlo. Non è stata soltanto una celebrazione ufficiale, che ha interessato qualche gruppo ristretto di esperti. E' stato toccato il cuore della gente. Abbiamo scoperto una sorprendente vicinanza di S. Carlo alla vita pastorale della nostra Chiesa.
[14] La croce di S. Carlo ha visitato tante nostre comunità e ci ha ricordato la radice contemplativa della prodigiosa attività del nostro Santo Patrono.
Un aspetto significativo di questa attività è stato studiato nel convegno diocesano sulla catechesi per e con gli adulti. Il convegno ci ha aiutati a rivivere 1'ansia missionaria di S. Carlo, il suo desiderio di annunciare il Vangelo a tutti, la genialità pratica con cui egli ha saputo programmare e attuare strumenti e modi organici e stabili di insegnamento della dottrina cristiana.
Il Santo Padre, a cui esprimiamo ancora una volta la nostra affettuosa riconoscenza, è venuto in pellegrinaggio nei luoghi di S. Carlo, e ci ha fatto riscoprire, con i suoi discorsi, i molteplici aspetti della figura poliedrica del suo e nostro Patrono.
Dobbiamo ora approfondire il cuore e il vertice di tutta l'opera di S. Carlo, cioè la sua carità, che ha animato tutto il suo ministero episcopale, è diventata eroica nei momenti di grave calamità, come nella famosa peste del 1576, e si è scolpita indelebilmente nella memoria del popolo milanese. Il programma pastorale di quest'anno sul tema della carità può quindi essere visto come l'ideale prolungamento e coronamento dell'anno carolino.
Il secondo evento è il già citato convegno sulla catechesi. In esso abbiamo dedicato molta attenzione agli strumenti e alle esperienze di comunicazione della fede. Rimane, però, sempre aperto e urgente il problema della fede stessa, che deve essere comunicata .
La verità della fede è il dono che lo Spirito fa perennemente alla Chiesa e che la Chiesa fedelmente custodisce, ma è anche un compito storico sempre nuovo. La fede adulta sa sempre essere anche attuale, vive nel tempo, si confronta con i problemi di ogni epoca, fonda nel Vangelo di Gesù, verità ultima dell'uomo, i cammini di razionalità, di libertà, di socialità propri di ogni cultura.
[15] La catechesi per e con gli adulti comunica in modo organico e riflesso l'intima forza di verità che scaturisce dalla fede adulta. Ci deve stare a cuore, allora, la formazione di cristiani adulti, di uomini guidati dallo Spirito, di credenti maturi che sanno farsi carico dei problemi di fede dei loro fratelli. I testimoni della fede saranno i veri catechisti. Orbene la fede. adulta è quella che opera attraverso la carità, scopre e condivide le concrete condizioni in cui gli uomini vivono.
[16] La carità porta alla pienezza la fede che viene comunicata nella catechesi. A sua volta la catechesi rende più consapevole, più luminosa e più comunicabile la ricchezza prodigiosa che la fede riceve dalla carità vissuta. C'è quindi un rapporto tra il programma pastorale dello scorso anno sulla catechesi e il programma pastorale di quest'anno sulla carità.
[17] Il terzo evento è il convegno della Chiesa italiana su: "Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini". Esso si svolgerà a Loreto nella settimana dopo Pasqua del 1985. Come si vede la preparazione deve svolgersi in un tempo molto ristretto e può coinvolgere solo alcuni organismi rappresentativi dell'intera comunità diocesana. Diventa allora molto importante la fase applicativa, che estenderà capillarmente a tutta la comunità il cammino spirituale e le acquisizioni pastorali del convegno. Il nostro programma pastorale sulla carità sarà una preparazione immediata al convegno e soprattutto potrà avvalersi di molti stimoli derivanti dalla fase applicativa.
In particolare il tema del convegno invia al tema della carità due sollecitazioni verso la concretezza.
[18] La prima sollecitazione è un invito a guardare l'uomo così com'è, con il suo carico di peccato e di miseria. La carità di Dio per noi ha dovuto assumere 1'atteggiamento della misericordia e del perdono. Anche la nostra carità deve tenere conto delle divisioni, delle guerre, delle ingiustizie e deve dischiudere itinerari di riconciliazione. Il male non può essere messo tra parentesi perché ci dà fastidio e ci richiama la nostra immensa fragilità. Non può essere considerato superficialmente come un intralcio nello sviluppo umano, facilmente superabile con il progresso civile e scientifico.
Esso ha radici profonde nel cuore degli uomini e ha ramificazioni inestricabili nella vita sociale. La carità sa tutto questo; perciò implora continuamente la misericordia di Dio e si impegna a tracciare le strade del perdono tra gli uomini.
[19] La seconda sollecitazione, che ci viene dal convegno, spinge la carità verso i concreti problemi della vita associata. Il convegno, infatti non parlerà genericamente della riconciliazione cristiana, ma metterà a tema i rapporti tra la riconciliazione cristiana e la comunità degli uomini. Nel bene e nel male ogni persona umana è strettamente collegata con le altre persone attraverso una rete di valori ideali comuni, di modi di pensare e di parlare, di tradizioni, di strutture economiche, di relazioni politiche. Amare l'uomo concreto vuol dire anche intervenire nel campo comunitario, sociale, politico, perché sia sempre più aperto alla libertà, alla pace, alla giustizia, alla collaborazione, alla ricerca di valori spirituali comuni. Vuol dire anche dialogare e lavorare con tutti coloro che vogliono coltivare questi valori nella comunità degli uomini.
[20] Il desiderio di concretezza e di dialogo nell'esercizio della carità mi conduce a rileggere il cap. 25 del vangelo di Matteo. La parola biblica, che talvolta è complessa, qui diventa semplicissima, essenziale, tagliente.
Viene descritto il giudizio finale, che avrà come unico criterio l'esercizio concreto della carità. Qualcuno ha parlato di pagina laica, perché non ci sono accenni alla fede, alla preghiera, al culto. I giusti non sanno nemmeno di aver soccorso il Signore stesso nei bisognosi: "Signore, ma quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo incontrato forestiero e ti abbiamo ospitato nella nostra casa, o nudo e ti abbiamo dato i vestiti? Quando ti abbiamo visto malato o in prigione e siamo venuti a trovarti?" (Mt 25, 37-39).
Quello che conta sembra essere qui il puro gesto materiale di aiuto all'affamato, all'assetato, al forestiero, all'ignudo, al malato, al carcerato.
Per comprendere questa pagina dobbiamo cogliere in essa un insegnamento globale e un particolare aspetto polemico.
L'insegnamento globale riguarda l'operosità della vita cristiana. Matteo scrisse il suo vangelo per una comunità che era tentata di parole vuote, di entusiasmi superficiali, senza impegnarsi seriamente nelle opere della carità. Di qui l'invito a non accontentarsi di dire "Signore, Signore", ma a fare concretamente la volontà del Padre e a mettere in pratica la parola del Signore. Anche la pagina del giudizio finale va letta in questa prospettiva di realismo, di operosa concretezza.
[21] Da questo punto di vista non c'è opposizione tra le opere della carità e le pratiche del culto. Se quello che veramente conta è l'intenso realismo nell'esercitare la carità, proviamo a pensare alla forte spinta verso la concretezza che il credente riceve da una vita di culto sinceramente praticata. Quando un cristiano, professando esplicitamente la fede e celebrando gli atti liturgici, si rende conto dell'immensa carità che Cristo ha per lui e per ogni uomo, non può rimanere indifferente. Vuole anch'egli spendersi totalmente per i fratelli. Questo desiderio ispirato dalla fede entra in risonanza con altri desideri spontanei o riflessi che noi proviamo dinanzi ai problemi dei nostri fratelli. I loro bisogni ci commuovono. Le loro povertà ci spingono a privarci di qualcosa per soccorrerli. I torti e le ingiustizie, che essi subiscono, suscitano in noi dispiacere, sdegno, condanna per chi compie l'ingiustizia, lotta contro la violenza, impegno per rinnovare profondamente la società.
I motivi suggeriti dalla fede e i motivi provenienti dai nostri naturali sentimenti si rafforzano reciprocamente verso un'operosità sempre più realistica e costante.
Così, almeno, dovrebbe accadere.
Purtroppo non sempre accade così. Interviene qui l'aspetto polemico del testo di Matteo. E' un aspetto che affiora in molte pagine evangeliche. Basti pensare alla parabola dei due figli invitati dal padre ad andare a lavorare nella vigna. Uno dice di sì, ma poi non va. L'altro dice di no, ma poi va (cfr. Mt 21, 28-32). Purtroppo il culto viene separato dalla vita, la fede dalle opere.
[22] Spesso i credenti si riempiono la bocca di parole, ma non fanno la volontà del Padre, mentre è possibile trovare realismo, concretezza, impegno fraterno, implicita corrispondenza ai desideri di Dio in chi non ha esplicitamente con Dio un rapporto di fede e di culto.
Mi viene alla mente una pagina struggente e amara di La peste di A. Camus. Un padre gesuita e un medico non credente passano l'intera notte al capezzale di un bambino, che muore dopo lunghe ore di angosciosa agonia. Al mattino, nell'atto di lasciarsi, i due si stringono la mano e il medico dice al gesuita: "Vede, padre: adesso neppure più Dio ci divide".
Perché Dio finisce per dividerci? Perché l'unità prodotta in noi dalla comune esperienza di un grande dolore pare più vera e intensa dell'unità creata dalla fede nell'unico Dio, Padre di tutti?
Vorrei dire ai credenti: "Riveliamo il volto paterno di Dio con le opere della carità fraterna. La fede nel Dio salvatore, redentore, liberatore ci dia il coraggio di stare a fianco ad ogni povertà, sofferenza, ingiustizia, con la sincera, operosa, illuminata volontà di cambiare le cose". Ma mi accorgo che queste parole si scontrano con tante pigrizie, incertezze, inerzie, che purtroppo trovo presenti anche nella mia vita e nel mio comportamento.
Vorrei dire ai non credenti: "Fondate nell'amore di Dio la vostra dedizione al prossimo. Noi uomini sappiamo così poco del nostro vero bene; come possiamo volere il vero bene degli altri? Siamo così pieni di paure e di incertezze, che la nostra passione per gli altri corre il rischio di arenarsi di fronte alle ingratitudini e agli insuccessi, se non è sostenuta dalla certezza che Dio è sempre in noi". Ma ancora una volta mi accorgo che le mie parole incontrano ostacoli insormontabili. Come si fa a penetrare nel cuore di un uomo? Come si fa a sapere per quali motivi uno non crede? L'educazione ricevuta, le difficoltà incontrate nella ricerca religiosa, i cattivi esempi dei credenti possono aver frenato il cammino verso la fede.
Non mi resta che sperare nella forza con cui Dio può toccare il cuore dei credenti e dei non credenti perché raggiungano una visione completa dell'uomo, nei suoi concreti bisogni quotidiani e nella sua chiamata a un destino ultraterreno.
[23] Intanto noi possiamo dialogare e collaborare.
La passione, l'impegno e talvolta anche la rabbia, con cui i non credenti cercano un mondo giusto, libero e fraterno, possono offrire stimoli efficaci verso la concretezza.
I credenti, fondando la sincerità e il realismo del loro amore nella fiducia in Dio, nell'umiltà, nella adesione a Gesù, nella speranza della risurrezione, possono per lo meno porre serie domande a ogni uomo circa il vero bene a cui siamo chiamati e destinati.
Per questo oso offrire questa lettera non solo ai miei fratelli e alle mie sorelle di fede, ma ad ogni fratello e sorella che cerca sinceramente il bene dell'uomo.
Spero che questa lettera possa suscitare dialogo. riflessione collaborazione.
Quello che conta è che ogni uomo sia avvicinato, fatto prossimo, aiutato con un amore sincero, vero, operoso.
[24] Nella parabola del buon samaritano c'è un penoso intervallo tra il gesto criminale dei briganti e l'intervento del soccorritore.
Non dobbiamo scavalcare troppo in fretta questo intervallo, rappresentato dall'egoismo del sacerdote e del levita che vedono l'uomo rapinato, e passano oltre.
Non dobbiamo pensare sbrigativamente che si riferisca agli altri e non a noi.
La via per la quale il Signore ci conduce a imitare il buon samaritano, passa attraverso l'umiltà con cui riconosciamo presenti in noi le colpe del sacerdote e del levita.
Possiamo scorgere nel comportamento di questi due personaggi tre aspetti che rivivono nelle difficoltà che oggi incontriamo nell'esercizio della carità: la fretta, la paura, la ricerca di un alibi.
La fretta è il difetto che balza immediatamente all'occhio. Quei due corrono via. Non hanno tempo di fermarsi. Non vogliono neppure esaminare la situazione. Vedremo in seguito le radici della fretta. Per ora richiamo l'attenzione su una edizione moderna della fretta, che si manifesta nella considerazione superficiale e disattenta della complessità che assumono i rapporti personali nella nostra società.
La produzione e lo scambio dei beni economici avvengono mediante sistemi complicati. I mezzi della comunicazione sociale diventano sempre più sofisticati e sempre più lontani dai linguaggi comuni e dai rapporti immediati tra gli interlocutori. La partecipazione democratica alla elaborazione e alla applicazione delle leggi che ordinano e promuovono la vita associata a livello nazionale e internazionale, richiede l'intervento di complessi meccanismi di rappresentanza, di delega, di supplenza.
Per questi motivi le relazioni personali immediate, libere, continuamente controllabili e modificabili dalle singole persone, sono immerse in una rete complessa di rapporti sociali più rigidi, più anonimi, più lontani dalla presa dei singoli. Bisogna vigilare su questi rapporti. Nati, di per sé, per favorire la crescita delle relazioni personali, possono diventare un sistema chiuso, che disturba e soffoca la vita interpersonale. Possono essere strumentalizzati dalla prepotenza di qualcuno o di qualche gruppo a danno degli altri.
Nella società attuale, amare con paziente concretezza il fratello povero, bisognoso, oppresso significa non limitarsi a fare qualche intervento personale, ma anche cercare e risanare le condizioni economiche, sociali, politiche della povertà e dell'ingiustizia. In altre parole, per essere buoni samaritani nella società attuale, occorre fare qualcosa di più di quello che ha fatto, secondo la parabola evangelica, il buon samaritano nella società di allora, meno complessa e stratificata.
Purtroppo la fretta e la superficialità caratterizzano i nostri incontri col prossimo e disturbano l'esercizio della carità.
[25] Voglio ricordare almeno due modi opposti, in cui si esprimono la fretta e la superficialità.
Il primo modo è proprio di coloro che non considerano con attento realismo la complessità della vita sociale. Si accontentano di gesti sporadici di carità. Trascurano una seria formazione all'impegno sociale e politico.
Il modo opposto è proprio di coloro che concedono importanza esclusiva agli interventi tecnici, scientifici, legislativi, politici, e trascurano l'insostituibile apporto dell'impegno personale e della carità immediata.
La sopravvalutazione di tali interventi; dipende anche da una forte crisi che ha colpito l'esercizio tradizionale della carità cristiana nella società contemporanea.
Infatti, la carità tradizionale doveva spesso limitarsi a soccorrere le singole persone emarginate. Ora lo sviluppo della società mette in luce le strutture emarginanti e spinge a intervenire su di esse. ( i si chiede allora se la carità, che aiuta gli emarginati, non debba lasciare il posto alla giustizia, che modifica le strutture emarginanti.
Inoltre nel caso di portatori di handicap, la carità, molto spesso, non poteva far altro che prestare assistenza. Oggi lo sviluppo delle scienze mediche, psicologiche, sociologiche propone l'ideale di una sempre più piena riabilitazione. Ci si chiede allora se la carità, che assiste gli handicappati, non debba lasciare il posto alla scienza che li riabilita e li reintegra completamente nella società.
Infine la carità agiva su una base di impegno volontaristico, lasciato alla generosità delle persone e dei gruppi. Ora lo sviluppo della coscienza civile e delle strutture socio-sanitarie dello Stato fa pensare a una possibilità più completa e più sicura di garantire a tutti l'assistenza, la riabilitazione, la reintegrazione sociale. Ci si chiede allora se la carità liberamente prestata dalla Chiesa non debba lasciare il posto ai servizi sociali obbligatoriamente erogati dallo Stato.
Sono problemi molto seri, che costringono a riflettere, a guardare le cose in tutti i loro aspetti.
[26] Sono innegabili i vantaggi dell'evoluzione avvenuta nel campo sociale e scientifico, ma bisogna considerare anche la fragilità, il rischio di anonimato, la tendenza al formalismo burocratico, che possono colpire una prestazione socio-sanitaria non animata e rigenerata continuamente dal calore personale della carità e dall'iniziativa volontaria.
La considerazione attenta e paziente delle cose porta, come vedremo anche in seguito, a scoprire l'insufficienza di alcune forme di carità e a far maturare nuovi germogli dall'inesauribile radice dell'amore cristiano. Invece la fretta e la superficialità hanno indotto alcuni a ritenere finito il tempo della carità.
[27] Dietro la fretta del sacerdote e del levita si nasconde una realtà più grave, cioè la paura di impegnare la propria persona. Se ci si ferma accanto al poveretto derubato e bastonato, non si sa che cosa potrà accadere: ci vuol tempo e pazienza, bisogna essere pronti a tutto, occorre prepararsi a dare senza condizioni e riserve. Allora si preferisce passare oltre.
Anche nella fretta e nella superficialità, che ostacolano oggi l'esercizio della carità, è presente la paura del dono di noi stessi.
Qui devo accennare ad una contraddizione, tipica del nostro tempo, tra la ricerca esasperata di intimità e il rifiuto della dedizione agli altri, come indispensabile base di ogni reale prossimità.
Così se ne parla, ad esempio, nel documento preparatorio del Convegno ecclesiale sulla riconciliazione.
"Si potrebbe tentare di analizzare qui due tendenze sincrone e contraddittorie. Da un lato una accresciuta coscienza del bisogno di rapporti, del bisogno di prossimità amicale, di comunicazione autentica tra le persone. C'è una gran voglia di avere amici e di vivere rapporti autentici tra persone e nell'ambito di gruppi.
D'altra parte si nota una fragilità crescente delle forme d'incontro, di comunione effettivamente realizzabili.
Le relazioni sono effimere, spesso deludenti e danno luogo al risentimento, alla frustrazione e all'accusa reciproca. Nasce allora la tendenza opposta a chiudersi in se stessi, a diffidare degli altri, a rifiutare consciamente o inconsciamente il "bene" dell'apertura e della disponibilità.
[28] La famiglia appare come il luogo privilegiato per verificare le tendenze a livello personale sopraindicato.
Da un lato sembra ci sia un indice di accresciuta esigenza di autentiche relazioni familiari. Tante volle 12 famiglia viene vista come la realtà che può e deve risanare e mettere a posto situazioni di sofferenza esistenziale e di solitudine. Questa attesa è comprovata, del resto, dall'ampio indice di scontentezza e frustrazione quando queste speranze non si verificano. Dove non c'è desiderio non c'è frustrazione: quando c'è disappunto, dolore, rabbia, vuol dire che ci si aspettava molto.
[29] Dall'altro lato cresce la fragilità dei legami familiari, specie sotto il profilo dell'unità e fedeltà coniugale e della comprensione tra le generazioni. Basta poco per mandare in crisi tante famiglie sia a livello orizzontale sia a livello verticale. Si nota in genere una preoccupante carenza di comunicazione, di accoglienza e d; dialogo all'interno delle famiglie. Alcuni fenomeni tra i più gravi, come la diffusione dell'aborto, andrebbero letti anche a partire da questi contesti.
Possiamo leggere sullo sfondo di questo ambito di rapporti personali anche la modalità insoddisfacente e variamente conflittuale con cui è vissuto in genere il rapporto uomo-donna" (cfr. La forza della riconciliazione, 2.3.1).
Per attuare la prossimità occorre abbandonare le pretese possessive e maturare la capacità di piena dedizione. Purtroppo, invece, la sensibilità odierna spesso ci inclina solo verso ciò che piace, che non costa troppo sacrificio, che non impegna per sempre.
Cerchiamo di approfondire questa paura della dedizione personale. Forse è il sintomo di difficoltà ancor più serie. Se decidiamo di stare accanto agli altri nelle loro molteplici necessità, dobbiamo prepararci a sperimentare spesso i nostri limiti. Non sempre riusciamo a conoscere il vero bene degli altri. Il nostro grande Manzoni, di cui quest'anno celebriamo il bicentenario della nascita, ci fa riflettere con molto realismo sulle scarse risorse del cuore umano.
Mentre Renzo e Lucia si accomiatano da padre Cristoforo nella chiesetta di Pescarenico dopo il fallito matrimonio di sorpresa, il padre esclama con voce alterata: "Il cuor mi dice che ci rivedremo presto". Ma il romanziere commenta con bonaria malinconia: "Certo, il cuore, chi gli dà retta, ha sempre qualche cosa da dire su quello che sarà. Ma che sa il cuore? Appena un poco di quello che è già accaduto" (cfr. I Promessi Sposi, cap. VIII).
Anche quando conosciamo le cose, di cui gli altri hanno bisogno, non sempre riusciamo a farle. Talvolta siamo bloccati dalla nostra pigrizia. Talvolta i problemi degli altri sono più grandi di noi. Pensiamo ai lutti, alle malattie gravi, ai disturbi psichici, ai casi cronici di asocialità, ai rivolgimenti socioeconomici che mettono in pericolo la casa e l'occupazione di tante persone. In queste circostanze tocchiamo con mano la nostra povertà. Ciò che possiamo fare è ben poco. Qualche volta possiamo offrire solo una solidarietà fatta di comprensione e di silenzio. Dobbiamo rinunciare alla pretesa di risolvere tutto. Dovremmo, forse, riempire il nostro sgomento e il nostro silenzio con una coraggiosa riflessione sulla nostra vita, con una rigorosa valutazione delle vicende umane. Dovremmo affidarci alla preghiera.
Mi viene in mente un'altra pagina manzoniana, che si riferisce alla drammatica notte passata da Lucia nel castello dell'Innominato. Lucia si risveglia dopo un breve, angoscioso assopimento. "L'infelice risvegliata riconobbe la sua prigione: tutte le memorie dell'orribile giornata trascorsa, tutti i terrori dell'avvenire, l'assalirono in una volta: quella nuova quiete stessa, dopo tante agitazioni, quella specie di riposo, quell'abbandono in cui era lasciata, le facevano un nuovo spavento: e fu vinta da un tale affanno, che desiderò di morire. Ma in quel momento si ricordò che poteva almeno pregare, e insieme con quel pensiero, le spuntò in cuore come un'improvvisa speranza.
Prese di nuovo la sua corona, e ricominciò a dire il Rosario; e, di mano in mano che la preghiera usciva dal suo labbro tremante, il cuore sentiva crescere una fiducia indeterminata" (cfr. I Promessi Sposi, cap. XXI).
[30] Umiltà, riflessione, preghiera, però, non sono sempre facili. Abbiamo paura di doverci dedicare totalmente al fratello. Ancor più abbiamo paura di confessare i nostri limiti e di affidarci all'amore di Dio che può fare ogni cosa.
Allora "passiamo oltre". Tanto più che non mancano mille altre cose da fare.
[31] La strada di Gerico al tempo di Gesù non era adatta alle passeggiate. Il sacerdote e il levita vi si trovavano certo per uno scopo preciso. Avevano qualche incontro, qualche occupazione che li attendeva. La qualifica sacerdotale, che Gesù attribuisce loro, fa pensare a qualche compito cultuale che essi dovevano svolgere. Questo compito urgente poteva diventare un alibi per non perdere tempo col poveretto assalito dai briganti.
Anche la nostra fretta e la nostra paura trovano il loro alibi.
Potremmo descrivere questo alibi come un certo modo di intendere e di vivere la realtà della comunità cristiana, che ostacola o lascia da parte la carità. Di per sé la carità dovrebbe essere il suggello, l'espressione più piena e il momento supremo di verifica dell'autenticità della comunità cristiana. Può accadere, invece, che i difetti della vita comunitaria non si lascino purificare, bruciare, correggere dal fuoco vivo della carità, ma addirittura spengano questo fuoco o lo lascino ardere a stento.
Cerco di descrivere qualche difetto delle nostre comunità, che ha un'influenza particolarmente negativa sulla vita di carità.
Per esempio, è frequente nelle nostre comunità l'atteggiamento della delega. Tanti cristiani ritengono l'esercizio concreto della carità verso chi è nel bisogno come un fatto facoltativo, che va delegato a chi ha tempo o doti o inclinazione a far questo. E' vero che un gruppo animatore è normalmente indispensabile per suscitare e coordinare i servizi della carità, ed è vero anche che alcuni settori caritativi esigono interventi specializzati, da riservare a persone preparate. Ma è anche vero che il tessuto della carità quotidiana, in cui si esprime la vitalità di una comunità, richiede il contributo personale di tutti.
Un altro difetto è là mancanza di collaborazione. Tanti preziosi interventi caritativi delle comunità e dei gruppi corrono il rischio di vedere svigorita la loro efficacia, perché non sanno confrontarsi e coordinarsi con altri interventi.
[32] I bisogni umani nella società attuale sono complessi e presentano radici e ramificazioni diverse. Occorre quindi che gli interventi della carità siano diversificatie e insieme collegati tra di loro.
Inoltre, le povertà attuali sono sempre nuove. Spesso è difficile scoprirle e inquadrarle. Gli interventi settoriali corrono il rischio di continuare a percorrere i sentieri già battuti, senza aprirsi alle nuove esigenze. Di qui l'importanza di collaborare con chi ha la responsabilità parrocchiale o diocesana unitaria e non pensa solo a singoli settori, ma guarda la realtà sociale nel suo complesso e deve provvedere anche a chi non è già stato raggiunto dalle iniziative tradizionali.
In particolare i settori della immigrazione estera, della tossicodipendenza, della malattia cronica, di alcuni tipi di lesioni fisiche o psichiche, degli ex-carcerati, della asocialità, ecc., richiedono contemporaneamente la genialità generosa di qualcuno che si butta pionieristicamente, e l'opera unificatrice di chi vede le cose nel loro complesso.
Infine le povertà attuali sono persistenti. Gli interventi sporadici, gli sforzi intermittenti non bastano. Occorre creare un atteggiamento di costanza, che si avvale di scelte vocazionali durature e di continuità istituzionale.
Tutto questo richiede un'abitudine alla collaborazione fondata in una chiara visione e in una pratica generosa della comunione e dell'appartenenza ecclesiale. Le lacune nell'appartenenza, nella comunione nella collaborazione creano un'immagine e una vita di Chiesa che non promuovono la carità.
[33] Un terzo difetto è la conseguenza dei primi due e consiste nel difficile rapporto della vita e della fede della Chiesa con la concreta realtà sociale e politica.
Se ogni credente si impegnasse in un quotidiano servizio della carità e se tutti i credenti fossero abituati a confrontarsi tra di loro, a comunicarsi nella fede le esperienze di carità, a completare reciprocamente le proprie lacune, nascerebbe una vita di Chiesa più pronta a rispondere ai bisogni della società con la luce e la forza del Vangelo. Nel medesimo tempo i non credenti non vedrebbero negli interventi della Chiesa nel campo sociale e politico una pretesa di ingerenza indebita, dalla quale guardarsi, ma li apprezzerebbero per la loro effettiva, comprovata capacità di capire in profondità i bisogni degli uomini e di affrontarli con umiltà, disinteresse ed efficacia.
[34] Accade, invece, che la concretezza della carità non riesce a colmare la distanza tra la fede e la vita; e che, al contrario, una vita di chiesa ripiegata su se stessa, sui propri problemi interni, sulla propria autoconservazione, si trovi molto impacciata dinanzi alle scelte difficili esigite dalla carità, e si ritragga spaventata in un atteggiamento di chiusura, che diventa sempre più grave e quasi insuperabile.
[35] Abbiamo riflettuto sul diaframma dell'egoismo umano, che si frappone tra l'opera malvagia dei briganti e il bisogno di aiuto del ferito.
Ma una nuova distanza ora attira la nostra attenzione. E' quella che c'è tra i passi egoistici, che hanno allontanato il sacerdote e il levita dall'uomo rapinato, e i passi pietosi che hanno avvicinato il samaritano. Non sono semplicemente due cammini di segno opposto, ma appartenenti allo stesso livello. Tra di loro sta il dislivello, l'intervallo del mistero.
Il primo cammino è percorso dall'uomo in compagnia di se stesso e del proprio egoismo.
Il secondo cammino è percorso dall'uomo in compagnia di Dio.
Ho già accennato, nell'introduzione, al fatto che la parabola evangelica, prima di descrivere i gesti del samaritano, parla di una misericordia, di una tenerezza divina, che ha attratto e riempito il cuore del samaritano.
Qualcuno, forse, trova secondario tutto ciò. Che cosa interessa sapere se l'azione umana ha bisogno o no dell'intervento di Dio? Non ci basta sapere che il samaritano si è effettivamente preso cura dell'uomo bisognoso.
In realtà, però, il problema non è di sapere se l'azione umana ha bisogno o no dell'azione di Dio.
Chi pensa così, si è già fatta un'idea completa dell'azione umana e giudica l'intervento di Dio come un'aggiunta o necessaria o inutile. La questione invece è più complessa e affascinante. E' il senso stesso dell'azione umana ad essere messo in questione.
Quando un'azione è interiormente animata dal dinamismo della carità, viene come attraversata da una esigenza di trasparente luminosità. Colui che la compie è portato a chiedersi: perché agisco così? Fin dove posso e debbo spingermi nel gesto di carità? Chi sono io che agisco in questo modo? Chi è il fratello a cui mi dedico? Qual è la sua più profonda dignità? Qual è il vero bene che gli debbo volere?
La particolare prossimità interpersonale, a cui tende il gesto della carità, invita a porre le domande sul valore della persona umana. Un'azione pervasa dalla forza della carità è anche vivacizzata dalla ricerca della verità. Carità e verità si cercano reciprocamente.
[36] Sono molto stimolanti al riguardo le riflessioni proposte quest'anno da Giovanni Paolo II nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace sul tema: "La pace e i giovani camminano insieme".
Nel n. 3 del documento il Papa descrive i desideri che nascono nel cuore dei giovani dinanzi ai bisogni dell'umanità: "Quello che vedo sorgere in voi è una nuova consapevolezza della vostra responsabilità e una schietta sensibilità per i bisogni della comunità umana. Voi siete presi dal vivo desiderio della pace, che tanti condividono con voi. Voi siete turbati dalle grandi ingiustizie che ci circondano. Voi avvertite un opprimente pericolo nel gigantesco accumulo di armi e nelle minacce di una guerra nucleare. Voi soffrite, quando vedete largamente diffuse la fame e la denutrizione. Voi siete interessati allo stato dell'ambiente, oggi e per le generazioni future. Voi siete minacciati dalla disoccupazione, e molti di voi sono senza lavoro e senza la prospettiva di un impiego adeguato. Voi siete sconvolti dal grande numero di persone, che sono politicamente e spiritualmente oppresse e che non possono godere dell'esercizio dei loro diritti umani fondamentali sia come individui che come comunità".
Potremmo dire che il Papa descrive qui le situazioni che reclamano un gesto di prossimità, di carità. Orbene la carità, che vuole affrontare queste situazioni, deve anzitutto avere il coraggio di porre alcune domande.
Nel n. 4 del citato documento il Papa scrive: "Fra le domande inevitabili, che dovete porre a voi stessi, la prima e principale è questa: qual è la vostra idea di uomo? Che cosa, secondo voi, costituisce la dignità e la grandezza di un essere umano? Questa è una domanda che voi giovani dovete porre a voi stessi, ma che ponete anche alla generazione che vi ha preceduto, ai vostri genitori e a tutti coloro che, a vari livelli, hanno avuto la responsabilità di preoccuparsi dei beni e dei valori del mondo. Nel tentativo di rispondere onestamente e apertamente a questa domanda, giovani e anziani possono essere condotti a riconsiderare le loro proprie azioni e le loro proprie vicende".
Nel n. 5 il Papa continua: "La prima domanda conduce a un'altra domanda ancor più basilare e fondamentale: chi è il vostro Dio? Noi non possiamo definire la nostra nozione di uomo senza definire un Assoluto, una pienezza di verità, di bellezza, di bontà, da cui riconosciamo che sono guidate le nostre vite. E' vero, quindi, che un essere umano, "immagine visibile del Dio invisibile", non può rispondere alla domanda circa chi sia lui senza dichiarare al tempo stesso chi sia il suo Dio".
Mi sembrano così importanti e sentite queste domande, che ho pensato di farle oggetto di discussione nei miei incontri con i giovani durante le visite pastorali, insieme con le altre domande poste dal Papa circa il modo di intendere i valori della pace, della giustizia, della partecipazione (cfr. i nn. 78-9 del messaggio).
Quello che ora mi importa sottolineare è che la passione per i bisogni umani è strettamente congiunta con la passione per la verità.
Quando la parabola evangelica dice che il samaritano "si sentì mosso a compassione nelle sue viscere" vuole alludere a una esperienza intensa, che gli ha aperto gli occhi sul valore delle cose, gli ha fatto vedere l'uomo bisognoso in una luce nuova e vera, gli ha dischiuso nuove possibilità di azione e lo ha spinto a farsi prossimo.
Per questo invito i miei fratelli e le mie sorelle credenti a vivere con me un momento contemplativo, simile a quello vissuto dal samaritano. Chiediamo allo Spirito Santo, che ci comunica la tenerezza di Dio e crea in noi le viscere della carità, di aiutarci a conoscere le vie misteriose attraverso le quali il miracolo della carità accade.
[37] Vorrei tanto che i singoli, i gruppi, e soprattutto le famiglie, facessero la "lectio divina" dei testi biblici che ora proporrò, e la prolungassero nella lettura attenta della Enciclica "Dives in misericordia" di Giovanni Paolo II.
Vorrei, però, invitare anche il lettore non credente, che mi avesse seguito fin qui, a non saltare queste pagine passando subito al prossimo capitolo, che contiene alcune indicazioni operative.
Vorrei invitarlo a leggere le pagine bibliche che seguono. Contengono, se non altro, una profonda conoscenza del cuore umano.
[38] Chiediamo allo Spirito Santo di aiutarci anzitutto a capire le parole di Gesù stesso sulla carità.
Gesù ha sintetizzato il suo pensiero rispondendo alla domanda di un maestro della legge circa il comandamento più grande. L'episodio è raccontato da Matteo nel cap. 22, vv. 34-39, da Marco nel cap. 12 vv. 28-34, da Luca nel cap. l0, vv. 25-28.
Conosciamo tutti la risposta di Gesù: il comandamento più grande è amare Dio e amare il prossimo.
Con queste parole Gesù richiama alcuni passi delI'Antico Testamento. Leggiamo per esempio, nel Libro del Deuteronomio, cap. 6, vv. 4-5: "Ascolta Israele: il Signore è ;I nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore con tutta l'anima e con tutte le forze". E nel Libro del Levitico cap. 19 vv. 17-18. 1eggiamo: "Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai d'un peccato per lui. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore".
[39] Mentre ricorda la legge antica, però, Gesù introduce due importanti novità.
La prima è l'unione dei due comandamenti. Per Gesù la carità è un fatto complesso e articolato. Affonda le sue radici in una dedizione senza riserve a Dio: tutta la persona con le sue doti, i suoi progetti, le sue capacità operative deve affidarsi alla volontà di Dio, al progetto di amore che Dio ha sugli uomini. La manifestazione visibile e dinamica di questo affidamento è la dedizione a ogni uomo, considerato come un fratello, un prossimo, un altro se stesso. Separare o semplificare i diversi aspetti di quell'evento unitario che è la carità, significa far valere qualche nostra prospettiva ristretta contro gli immensi orizzonti dischiusi dallo sguardo di Gesù.
La seconda novità è la sorprendente e rivoluzionaria concezione del prossimo. Solo l'evangelista Luca pone sulle labbra del maestro della legge una seconda domanda: "Ma chi è il prossimo?". Gesù risponde raccontando la parabola del buon samaritano. Il prossimo non esiste già. Prossimo si diventa. Prossimo non è colui che ha già con me dei rapporti di sangue, di razza, di affari, di affinità psicologica. Prossimo divento io stesso nell'atto in cui, davanti a un uomo, anche davanti al forestiero e al nemico, decido di fare un passo che mi avvicina, mi approssima.
E' importante notare il rapporto tra le due novità` introdotte da Gesù. L'amore per l'uomo nasce dalla dedizione a Dio, manifesta l'affidamento alla volontà di Dio. Ma Dio è il Padre di tutti. Per questo, colui che è radicato nell'amore di Dio guarda e avvicina ogni uomo, creando vincoli nuovi di prossimità, e scavalca le barriere della razza, della classe sociale, della diversa mentalità, della diversa appartenenza religiosa.
[40] Una concreta esemplificazione di questa novità si può trovare nel cosiddetto discorso della montagna (capp. 5-6-7 del vangelo secondo Matteo), che viene letto cursivamente nei giorni feriali delle prime quattro settimane di Quaresima secondo la Liturgia ambrosiana. I singoli e le comunità lo meditino con attenzione. Esso descrive la vita del discepolo che, proprio perché ha incontrato il Regno dei cieli, cioè la bontà, la misericordia del Padre di Gesù, vive una vita di carità che compie e supera l'antica legge. Il modello del discepolo è l'amore stesso del Padre: "Siate perfetti, così come è perfetto il Padre vostro che è in cielo" (5,48).
Nel cuore del discorso della montagna sta il "Padre nostro", la preghiera dei figli di Dio (6, 9-13). Di qui tutta una gamma di concreti gesti e atteggiamenti di amore che vengono descritti con abbondante e stimolante esemplificazione. Sono esempi di amore così intenso verso tutti, anche verso i nemici, da commuovere anche coloro che non credono in Gesù come Figlio di Dio, ma lo considerano un grande maestro di umanità.
Ulteriori approfondimenti si trovano nel vangelo di Giovanni. Esso non ricorda le domande del maestro della legge e le relative risposte. Però nel cap. 13, vv. 3-1-35 riporta il comando nuovo dato da Gesù ai discepoli durante l'ultima cena: "Io vi do un comandamento nuovo: Amatevi gli uni gli altri. Amatevi; come io vi ho amato! Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se vi amerete gli uni gli altri".
[41] Notiamo anzitutto l'esemplarità di Gesù: la vicenda concreta di Gesù, soprattutto il gesto imminente di dare la vita, offre ai discepoli l'immagine viva dell'amore del Padre, il modello insuperabile da imitare, la sorgente inesauribile a cui attingere.
Notiamo anche l'esemplarità dei discepoli: tutti gli uomini vanno amati e sono invitati a entrare nella comunità di coloro che credono all'amore del Padre e di Gesù; ma, affinché sia annunciata e attuata questa universalità dell'amore, occorre che coloro che già credono, i discepoli, si vogliano bene tra di loro, offrendo un esempio e una profezia della carità. Gesù conferma questa intuizione nella preghiera con cui si concludono i discorsi dell'ultima cena: "Padre, io non prego soltanto per questi miei discepoli, ma prego anche per gli altri, per quelli che crederanno in me dopo aver ascoltato la loro parola. Fa` che siano tutti una cosa sola: come tu, Padre, sei in me e io sono in te, anch'essi siano in noi. Così il mondo crederà che tu mi hai mandato" ( 17, 20-21 ).
Con un linguaggio sintetico e un po' tecnico, possiamo dire che Giovanni, sullo sfondo teologico della carità (l'amore del prossimo si fonda nell'amore di Dio), e sullo sfondo antropologico (il prossimo è ogni uomo), già ricordati dai vangeli sinottici, precisa ulteriormente la dimensione cristologica (i discepoli devono amarsi "come" Gesù ha amato), ecclesiologica (l'amore dei discepoli dentro la comunità diventa profezia per il mondo) e trinitaria (l'unità del Padre e del Figlio è fondamento e modello dell'unità dei discepoli).
[42] Il Nuovo Testamento illustra l'inesauribile ricchezza della parola di Gesù, mostrando come essa è diventata fonte di vita nuova nella storia concreta delle prime comunità cristiane.
Considerando la vita dei primi cristiani dal punto di vista della carità, viene subito alla mente il notissimo fatto della comunione dei beni praticata nella comunità di Gerusalemme.
Questo fatto va colto nel suo immediato e realistico rilievo sociologico, cioè nella sua capacità di cambiare le cose, di risolvere i problemi della povertà, di prefigurare una società nuova. Comporta, però, anche altri aspetti, che ce ne danno l'interpretazione più profonda.
Notiamo anzitutto che questo gesto di carità è accostato ad altri doni del Signore, ad altre forme di presenza di Gesù nella comunità. Nei due passi del libro degli Atti, in cui è descritta la comunione dei beni (cfr. il cap. 2, vv. 42-47 e il cap. 4, vv. 33-37), essa è collegata con la preghiera, con l'ascolto della parola degli apostoli, con la frazione del pane, con i miracoli, con la gioia. Essa dunque non è semplice iniziativa sociale, ma dono di Dio, presenza di Gesù, espressione della fede nel Risorto.
Inoltre essa è un gesto libero. Nessuno è costretto a farlo. Lo ribadisce anche Pietro ad Anania che aveva venduto un campo, ma aveva mentito nel consegnare agli apostoli il ricavato: "Anania, come mai Satana ha potuto impadronirsi di te? Ti sei trattenuto una parte dei soldi ricavati dalla vendita, ma così facendo non sei stato sincero verso lo Spirito Santo! Prima che tu lo vendessi, il campo era tuo e, anche dopo averlo venduto, potevi benissimo tenere tutto il denaro per te: lo sai bene. Perché, invece, hai pensato di fare una simile azione? Tu non sei stato bugiardo verso gli uomini, ma verso Dio" (cfr. Atti, cap. 5,vv 3-4)
[43] Tutto questo ci porta a scorgere un rapporto dinamico tra la carità e il gesto concreto della comunione dei beni. La carità è più ampia di ogni gesto, è obbedienza al Signore, è celebrazione del Risorto nella Parola e nell'Eucaristia, è gioia per la perenne presenza di Gesù in mezzo ai suoi. Però la carità tende anche al concreto, cerca di fare tutto ciò che è possibile di volta in volta per manifestare anche nel campo sociale la vita nuova dei credenti; e il gesto della comunione dei beni è appunto segno concreto, manifestazione profetica e libera delle ricchezze della carità.
Ritroviamo questo rapporto dinamico, tra la carità e i gesti concreti di amore fraterno, nell'epistolario di S. Paolo e di S. Giovanni.
Nelle lettere di Paolo è frequente la descrizione della vita cristiana come concreta vita di carità. E' interessante notare che, per designare la vita di carità, Paolo usa le parole "offerta", "sacrificio" e simili, cioè le parole del linguaggio cultuale. Bastino due esempi. Nella lettera ai Romani, cap. 12, vv. 1-2, Paolo comincia a descrivere la vita cristiana come risposta all'iniziativa di Dio presentata nei precedenti capitoli della lettera. Così scrive: "Dio ha manifestato la sua misericordia verso di noi. Vi esorto dunque, fratelli, a offrire voi stessi a Dio in sacrificio vivente, a lui dedicato, a lui gradito. E' questo ii vero culto che gli dovete. Non adattatevi alla mentalità di questo mondo, ma lasciatevi trasformare da Dio con un completo mutamento della vostra mente. Sarete così capaci di capire qual è la volontà di Dio, vale a dire ciò che è buono, a lui gradito, perfetto". Paolo, poi, continua dando indicazioni concrete, puntuali, sul modo di esercitare la carità fraterna.
Nella lettera agli Efesini Paolo dedica i primi tre capitoli ad annunciare il posto centrale di Cristo nel disegno d'amore che Dio ha sull'umanità. Col cap. 4 l'Apostolo presenta la vita cristiana come adesione a Cristo e al disegno di Dio: "Perciò, io che sono prigioniero a causa del Signore, vi raccomando: fate in modo che la vostra vita sia degna della vocazione che avete ricevuto! Siate sempre umili, cordiali e pazienti; sopportatevi l'un l'altro con amore; cercate di conservare, per mezzo della pace che vi unisce, quella unità che viene dallo Spirito Santo" (4, 1-3). Paolo continua poi a descrivere la vita dei credenti in Cristo e le forme concrete di esercizio della carità. Nel mezzo della descrizione dice: "Siate buoni gli uni con gli altri, pronti sempre ad aiutarvi, perdonandovi a vicenda, come Dio ha perdonato a voi, per mezzo di Cristo. Poiché siete figli di Dio, amati da lui, cercate di essere come lui: vivete nell'amore, prendendo esempio da Cristo, il quale ci ha amati fino a dare la vita per noi, offrendola come un sacrificio che piace a Dio" (4,32 - 5,2).
Dunque la vita di Cristo, spesa nell'amore, e la vita dei cristiani, resa conforme a quella di Cristo, sono il vero culto gradito.
Questo significa anzitutto che il culto è opera di tutta la vita: sono importanti le concrete opere di carità, compiute nella esistenza quotidiana.
Ma significa anche che la vita è culto: le concrete opere di carità vanno inquadrate in un cammino di obbedienza a Dio, di ascolto della sua Parola, di ricerca della sua volontà, di adesione a Cristo che ha rivelato e compiuto pienamente la volontà del Padre.
[44] Questa visione della vita di carità ispira il famoso inno alla carità, contenuto nel cap. 13 della prima lettera ai Corinzi. Esso si compone di tre strofe.
La prima strofa (vv. 1-3) distingue la carità dai gesti compiuti a servizio degli altri. I doni delle lingue, della profezia, della scienza, dei miracoli, senza la carità non valgono nulla. Distribuire i propri beni ai poveri e addirittura consegnare il proprio corpo alle fiamme, senza la carità non sono niente. La carità è più grande di tutto ciò. Non consiste nella semplice esecuzione di un gesto, per quanto splendido o costoso.
La seconda strofa (vv. 4-7) descrive le multiformi manifestazione della carità. Essa, che oltrepassa ogni gesto e ogni atteggiamento, tende, però, a suscitare una sempre nuova varietà di atteggiamenti e di gesti. Paolo indugia particolarmente su alcuni orientamenti fondamentali che mettono tutta la persona in stato di accoglienza, di disponibilità, di perdono, di pazienza, di tensione premurosa e operosa, di comprensione, di fiducia, di speranza. La carità non è un cammino unidirezionale, ma un interiore senso delI'orientamento, che permette di prendere di volta in volta la direzione giusta.
La terza strofa (vv. 8-13) tenta di dire l'indicibile: la carità è un vivere già su questa terra, dove tutto è parziale e fuggevole, quel bene pieno e intramontabile che è il dimorare in Dio, il vederlo faccia a faccia, il conoscerlo come lui ci conosce. La carità è il supremo, sorprendente ritrovamento della nostra umanità e dell'umanità di ogni fratello, frutto del nostro abbandono nelle braccia paterne di Dio.
[45] Chiediamo un'ultima illuminazione alla prima lettera di S. Giovanni. Essa cerca di rispondere alla domanda: chi è il vero cristiano? Vengono presentati tanti segni distintivi del cristiano, che si suggellano nella carità. Ma che cos'è la carità? Da un lato essa è oltre la nostra portata. E' più grande di noi. Ci precede sempre. E' iniziativa di Dio che ci ha amati e continua ad amarci per primo, mandando a noi Gesù, il Figlio Unigenito, e donandoci lo Spirito Santo. La carità è Dio stesso. Ricordo un bellissimo commento del filosofo danese S. Kierkegaard: "Tu ci hai amati per primo, o Dio. Noi parliamo di te come se ci avessi amato per primo una volta sola. Invece continuamente, di giorno in giorno, per la vita intera, tu ci ami per primo. Quando al mattino mi sveglio ed elevo a te il mio spirito, tu sei il primo, tu mi ami per primo. Se mi alzo all'alba e immediatamente elevo a te il mio spirito e la mia preghiera, tu mi precedi, tu già mi hai amato per primo. E' sempre così. E noi ingrati, che parliamo come se tu ci avessi amati per primo una volta sola".
[46] Dall'altro lato, la carità chiede di diventare concreta e operosa nel nostro amore per i fratelli: "Noi abbiamo capito che cosa vuol dire amare il prossimo, perché Cristo ha dato la sua vita per noi. Anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli. Se uno ha di che vivere e vede un fratello bisognoso, ma non ha compassione e non l'aiuta, come fa a dire: io amo Dio?
Figli miei, vogliamoci bene sul serio, a fatti. Non solo a parole o con bei discorsi... L'amore vero è questo: non l'amore che noi abbiamo avuto verso Dio, ma l'amore che Dio ha avuto per noi; il quale ha mandato Gesù, suo Figlio, per farci avere il perdono dei nostri peccati.
Miei cari, se Dio ci ha così amati, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Dio nessuno l'ha mai visto. Però, se ci amiamo gli uni gli altri, egli è presente in noi e il suo amore è veramente perfetto in noi... Noi amiamo Dio, perché egli per primo ci ha mostrato il suo amore. Se uno dice: io amo Dio e poi odia suo fratello è bugiardo. Infatti, se uno non ama il prossimo che si vede, certo non può amare Dio che non si vede... Chi ama un padre, ama anche i suoi figli. I)i conseguenza, se amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti, amiamo anche i figli di Dio" (3, 16-18; 4, 10-12. 19-20; 5, 1-2).
[47] La carità si distende tra il mistero di Dio e la storia degli uomini. Affonda le radici nel mistero e produce frutti sempre nuovi nella storia. Per conoscere meglio le vie misteriose e feconde della carità, dobbiamo allora chiedere allo Spirito Santo di aiutarci a capire come essa si è manifestata nella storia, si è lasciata provocare dalle diverse vicende umane, ha dato la risposta del cuore di Dio alle povertà e ai bisogni degli uomini.
Non posso certo esaminare compiutamente venti secoli di storia cristiana. Farò solo qualche accenno, che ritengo utile per capire le vie che la carità deve percorrere nel nostro tempo.
[48] Ricordo anzitutto due luoghi in cui la voce dello Spirito si fa particolarmente chiara nell'insegnarci il valore e le espressioni della carità.
Il primo luogo è la liturgia, specialmente la celebrazione eucaristica. Essa attraversa tutte le generazioni cristiane; col suo linguaggio intenso e sobrio rivela ai credenti i prodigi dell'amore di Dio; con la forza di Gesù stesso realmente presente, attrae tutti gli uomini, insieme con Gesù, nel mistero della carità del Padre. Lo Spirito Santo, invocato alla Consacrazione, perché il pane e il vino diventino il corpo e il sangue di Gesù, viene invocato dopo la Consacrazione perché tutti i credenti diventino il corpo di Cristo, cioè la reale manifestazione di lui e del suo amore presso ogni uomo.
Dobbiamo lasciarci guidare con maggiore docilità dallo Spirito Santo nel capire e nel vivere questa stretta relazione tra il corpo eucaristico e il corpo ecclesiale di Gesù, tra la carità vissuta da Gesù nella Pasqua e la carità che la Chiesa deve vivere nella storia.
La stessa azione liturgica ci offre gli strumenti per diventare docili allo Spirito.
Penso alla Parola proclamata durante la celebrazione, commentata nell'omelia, illustrata con la catechesi, affidata alla meditazione personale e alla comunicazione della fede nei gruppi. Se il lezionario viene veramente usato, capito, gustato in questo modo, diventa una ricchissima miniera di provocazioni, di esempi pratici, di stimoli concreti, perché il rito celebrato si trasformi in carità vissuta.
Penso a tutta la ricchissima eucologia ambrosiana, alla ricchezza di orazioni che menzionano cosi spesso l'amore di Dio e del prossimo.
Penso anche ad alcuni momenti significativi della Messa, i quali per la loro stessa natura, fanno da cerniera tra la liturgia e la vita.
L'atto penitenziale, per esempio, ci aiuta a scoprire e a confessare le concrete mancanze contro la carità.
La preghiera dei fedeli ci educa a confrontare la Parola annunciata con i problemi della Chiesa e del mondo.
Lo scambio della pace ci invita a "farci prossimo" dell'uomo che ci sta accanto non perché l'abbiamo scelto noi, ma perché è stato anch'egli convocato nell'assemblea dei credenti.
La raccolta delle offerte, sia nella forma ordinaria, sia nella forma delle "giornate straordinarie" indette lungo l'anno, promuove attenzione e solidarietà verso i bisogni dei fratelli.
[49] Un secondo luogo in cui lo Spirito ci parla della carità è la storia della santità cristiana. I Santi, proprio perché si lasciano veramente guidare dallo Spirito, non si gloriano delle loro opere e delle iniziative talvolta eccezionali, a cui hanno dato vita. Con l'umiltà e la preghiera essi si affidano a Dio. Ma, proprio perché dimorano in Dio e sono vicinissimi al cuore di Dio hanno una genialità profetica e una forza eroica nel percepire i bisogni degli uomini e nel venire loro incontro.
[50] Cito semplicemente la testimonianza di uno dei santi più famosi nell'esercizio della carità, cioè di S. Vincenzo de' Paoli.
Nell'ufficio delle letture della sua memoria (27 settembre) la Liturgia delle Ore propone una sua stupenda lettera sul servizio da prestare ai poveri. Il santo raccomanda anzitutto una visione di fede: "Non dobbiamo regolare il nostro atteggiamento verso i poveri da ciò che appare esternamente in essi e neppure in base alle loro qualità interiori. Dobbiamo piuttosto considerarli al lume della fede". Dopo aver ricordato l'esempio di Cristo, il santo invita a pregare: "Sforziamoci di diventare sensibili alle sofferenze e alle miserie del prossimo. Preghiamo Dio per questo, che ci doni lo spirito di misericordia e di amore, che ce ne riempia e che ce lo conservi". Ma proprio la fede e la preghiera, che ci portano oltre le cose umane, ispirano a San Vincenzo espressioni fortissime e bellissime sulla concretezza con cui la carità ci comanda di servire i poveri: "Il servizio dei poveri deve essere preferito a tutto. Non ci devono essere ritardi. Se nell'ora dell'orazione avete da portare una medicina o un soccorso a un povero, andatevi tranquillamente. Offrite a Dio la vostra azione, unendovi l'intenzione dell'orazione. Non dovete preoccuparvi e credere di aver mancato, se per il servizio dei poveri avete lasciato l'orazione. Non è lasciare Dio, quando si lascia Dio per Iddio, ossia un'opera di Dio per farne un'altra. Se lasciate l'orazione per assistere un povero, sappiate che fare questo è servire Dio. La carità è superiore a tutte le regole, e tutto deve riferirsi ad essa. E' una grande signora: bisogna fare ciò che comanda".
[51] L'esercizio della carità nella società attuale richiede anche preparazione specifica e competenza tecnica. Ma sarà sempre indispensabile un fervore spirituale, che ci verrà comunicato dalla fàmiliarità con la vita dei santi.
Cerchiamo in particolare di approfondire la tradizione di santità e di carità della nostra chiesa milanese.
[52] La vita di S. Ambrogio, che troviamo nel lezionario ambrosiano per la solennità del 7 dicembre. contiene brevi, ma significativi accenni alla carità del nostro Patrono: "Amò intensamente i poveri e i prigionieri: donò ai poveri e alla Chiesa tutto l'oro e l'argento che possedeva, quando fu eletto vescovo; alla Chiesa donò pure i suoi terreni--destinandone il solo usufrutto alla sorella Marcellina--in modo da non serbare per sé cosa alcuna che potesse dire sua. Così, come un soldato privo di impedimenti e pronto a combattere, si mise al seguito di Cristo Signore che "da ricco che era, si è fatto povero per noi, perché diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà" (cfr. 2 Cor 8,9). Godeva con coloro che erano nella gioia, piangeva con chi era afflitto; ogni volta che qualcuno gli confessava i suoi peccati per riceverne la penitenza, piangeva a tal punto da ridurre al pianto il penitente: sì considerava, infatti. peccatore col peccatore".
Della carità di San Carlo vorrei parlare più ampiamente in qualche altra occasione come mi sono ripromesso di fare nella "Lettera a S. Carlo", che ho scritto la scorsa estate.
Suggerisco anche la lettura di qualche profilo storico, come il volumetto: "Preti ambrosiani al servizio dei poveri", o la storia di: "Marcello dei lebbrosi". Emergerà non solo la commovente storia della santità, ma anche la geniale intraprendenza con cui la carità ha animato la vita sociale milanese nell'arco .li questi ultimi due secoli.
Coloro che hanno raccolto l'eredità spirituale e le Istituzioni caritative di persone generose e coraggiose che Dio ha donato alla nostra Chiesa, cerchino di studiare e di far conoscere un patrimonio tanto prezioso, che può ispirare e alimentare anche oggi la nostra vita di carità.
[53] Cerchiamo ora di conoscere più da vicino le vie che la carità ha tracciato nella storia della Chiesa e della società, lasciandosi provocare dai bisogni degli uomini.
Sono vie sempre nuove e imprevedibili. Entrano nel vivo dei problemi, ma sfuggono a schemi e classificazioni. La carità è la forza più profonda della vita e come la vita, non cessa mai di sorprenderci.
Tanto per orientarci, però, negli innumerevoli sentieri percorsi dalla carità possiamo farci guidare da due criteri: il primo riguarda il tipo di società in cui la carità agisce; il secondo considera i rapporti tra la Chiesa e la società.
Nell'ambito di questi due criteri è avvenuta una importante trasformazione con quella che si chiama comunemente la "modernità", cioè con tutta quella serie di fenomeni economici, sociali, politici, culturali, religiosi, che hanno dato origine al mondo moderno. Dobbiamo allora considerare il volto storico della carità in due momenti, prima e dopo l'avvento de]l'era moderna.
Prima dell'era moderna il tipo di società è generalmente piuttosto semplice, con una forte prevalenza dei rapporti immediati tra le persone sui rapporti mediati dai sistemi economici e sociali. In questa società la carità si sente soprattutto impegnata in interventi personali e diretti, per alleviare la sofferenza del prossimo. Questi interventi cambiano pian piano anche la mentalità, il costume, le forme della vita associata: pensiamo soprattutto alla rigida divisione in classi, propria della società antica, con la terribile piaga della schiavitù.
Quanto al secondo criterio, cioè il tipo di rapporto tra Chiesa e società, la tendenza va dalla forte separazione verso una specie di compenetrazione.
[54] All'inizio, la Chiesa vive ai margini della grande società pagana. La carità si svolge soprattutto tra i fratelli di fede. Nella Chiesa apostolica abbiamo già ricordato la comunione dei beni. Possiamo ricordare anche la colletta organizzata da Paolo presso le comunità cristiano-ellenistiche a favore della comunità di Gerusalemme in stato di necessità (Paolo ne parla soprattutto nella lettera ai Romani, cap. 15, vv. 2531; nella prima lettera ai Corinzi, cap. 16, vv. 1-4 e nei capp. 8 e 9 della seconda lettera ai Corinzi). Vengono anche istituiti alcuni uffici per il servizio assistenziale nella comunità: Paolo, quando elenca i carismi, parla pure di "colui che assiste" (cfr. la prima lettera ai Corinzi, cap. 12, v. 28 e la lettera ai Romani, cap. 12, v. 7). Nel cap. 6 del libro degli Atti vengono presentati coloro che, se non hanno ancora il nome di diaconi (di essi si parlerà più tardi, nelle cosiddette "lettere pastorali di S. Paolo), svolgono comunque il compito diaconale di servire alle mense. Nei primi secoli la Chiesa prolunga e perfeziona questo servizio di carità soprattutto a favore degli infermi, degli orfani, delle vedove, degli schiavi, dei pellegrini.
Col riconoscimento pubblico della Chiesa, l'attività caritativa si estende dalla Chiesa a tutta la società. La Chiesa riceve in eredità molti beni. Ai vescovi vengono attribuiti anche incarichi civili. Vescovadi e monasteri diventano centri di intensa attività caritativa, la quale fa parte del più ampio progetto di rendere cristiana la società.
Nel Medio Evo l'azione caritativa, da un lato viene sempre più legata alle istituzioni che reggono la vita sociale (i feudatari, le corporazioni, i comuni, ecc.) sulla base di principi cristiani; dall'altro si esprime in un'intensa fioritura di gruppi e movimenti carismatici, che sottolineano tre esigenze: il carattere più gratuito e carismatico che non istituzionale della carità; la necessità di pensare alle sempre nuove forme di povertà non raggiunte dagli interventi istituzionali; l'impegno a rendere evangelicamente più povera la Chiesa.
In questo contesto è facile comprendere perché la riflessione cristiana sulla carità cerchi soprattutto di mettere in luce il suo posto nella vita del cristiano e nella vita della Chiesa.
La carità è vista come il valore unificante e fondante, che rende veramente cristiani tutti gli altri gesti e le altre virtù del credente. Uno è cristiano quando ha la carità.
Nel medesimo tempo la carità è vista come il principio che dà unità a tutta la vita della Chiesa e impegna i credenti a cercare l'unità con i propri fratelli di fede.
[55] Le testimonianze. che si possono citare, sono innumerevoli. Voglio citare almeno qualche testo di S. Agostino, non solo perché egli rappresenta uno dei vertici del pensiero cristiano, ma anche perché ricordiamo in questi anni il sedicesimo centenario della sua venuta a Milano e della sua conversione. Egli, infatti, dal 384 al 387 fu ospite della nostra città vi incontrò S. Ambrogio, si convertì alla fede cattolica e cominciò proprio qui tra noi il suo mirabile cammino di teologo di pastore e di santo.
Vi propongo due passi, tratti dalle dieci bellissime prediche, con cui commentò, nel tempo pasquale del 413, la prima lettera di S. Giovanni, la lettera della carità.
Il primo passo è contenuto nella settima predica e presenta la carità come il valore supremo che dà autenticità e unità ai diversi aspetti della vita cristiana: "Diversi sono i modi di agire. Possiamo trovare un uomo che si mostra duro in forza della carità e uno affabile in forza dell'iniquità. Un padre, per esempio, percuote il figlio, mentre un mercante di schiavi si mostra pieno di riguardi. Se fai scegliere tra queste due cose, le percosse e le carezze, chi non preferisce le carezze e fugge le percosse? Se guardi alle persone, la carità colpisce, l'iniquità blandisce. Considerate bene quanto vogliamo sottolineare, che cioè i fatti degli uomini non si differenziano se non partendo dalla radice della carità. Possono infatti accadere molti fatti che hanno l'apparenza buona, ma non procedono dalla radice della carità... Al contrario alcune cose sembrano aspre e crudeli, ma si fanno per instaurare una disciplina, sotto il comando della carità. Una volta per tutte, dunque, ti viene dato un breve precetto: abbi la carità e poi compi tutto ciò che la carità ti fa volere. Se taci, taci per amore. Se parli, parla per amore. Se correggi, correggi per amore. Se perdoni, perdona per amore. Sia in te la radice dell'amore, poiché da questa radice non può nascere che il bene... Se vuoi vedere Dio, hai a disposizione l'idea giusta: Dio è amore. Quale volto ha l'amore? Quale forma, quale statura, quali piedi, quali mani? Nessuno lo può dire. Tuttavia ha i piedi: sono quelli che conducono alla Chiesa. Ha le mani: sono quelle che donano ai poveri. Ha gli occhi, coi quali si viene a conoscere colui che è nel bisogno, come è detto nel salmo (40,2): Beato colui che ha cura del povero e dell'indigente. Ha orecchi, di cui parla il Signore: Colui che ha orecchi per intendere, intenda. Queste varie membra non si trovano separate in luoghi diversi, ma chi ha la carità vede con un colpo d'occhio della sua mente tutto l'insieme. Tu dunque abita nella carità ed essa abiterà in te: resta in essa ed essa resterà in te".
[56] Il secondo passo viene dalla decima predica e descrive la carità come principio di autenticità e di unità nella vita della Chiesa. "Il Signore nostro Gesù Cristo, salendo al cielo, il quarantesimo giorno, ci ha raccomandato il suo corpo che doveva restare quaggiù, perché prevedeva che molti avrebbero reso onore a lui appunto perché ascendeva al cielo, ma vedeva pure l'inconsistenza di tali onori resi a sé, dato che questi tali avrebbero calpestato le sue membra qui in terra. Affinché nessuno fosse tratto in errore -adorando il capo che sta in cielo ma calpestando i piedi che stanno in terra ci ha precisato dove si sarebbero trovate le sue membra. Mentre ascendeva al cielo, disse le sue ultime parole, pronunciate le quali non parlò più qui in terra. Il capo che doveva salire in cielo raccomandò a noi le sue membra che restavano sulla terra e partì. Ormai non ti può accadere più di sentire Cristo che parla qui in terra. Puoi sentirlo parlare, ma dal cielo. E dal cielo, perché parlò? Perché le sue membra erano calpestate qui in terra. A Saulo, suo persecutore, disse dal cielo:" Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?" (Atti 9,4). Sono salito al cielo, ma rimango ancora in terra; siedo qui in cielo alla destra del Padre, ma lì in terra ancora patisco la fame, la sete, ancora sono pellegrino. In che modo ci ha raccomandato il suo corpo in terra mentre stava per salire al cielo? Quando i discepoli lo interrogarono: "Signore, è forse venuto il momento in cui tu ristabilirai il regno di Israele? ". Sul punto di partire, egli rispose: "Non tocca a voi sapere il tempo che il Padre ha posto in suo potere; ma riceverete la virtù dello Spirito Santo che verrà in voi e mi sarete testimoni". Vedete fin dove fa giungere il suo corpo, vedete dove non vuole essere calpestato: "Voi mi sarete testimoni in Gerusalemme e in tutta la Giudea, in Samaria e in tutta la terra" (Atti 1, 6-8). Ecco dove rimango io, che pure ascendo in cielo; ascendo perché sono la testa, ma il mio corpo giace ancora quaggiù. Dove giace? Per tutta la terra. Vedi di non colpire, di non violare, di non calpestare il mio corpo. Sono queste le ultime parole di Cristo mentre ascende al cielo".
[57] Con l'avvento dell'era moderna si verificano profonde trasformazioni.
Il tipo di società, in cui la carità opera, vede la tendenza verso la complessità: sui rapporti personali e immediati prevalgono sempre più i rapporti mediati dal sistema economico, sociale, politico. La carità non può limitarsi a ispirare i rapporti personali, ma deve chiedersi come influenzare beneficamente anche il sistema. Si trasforma anche il tipo di rapporto tra Chiesa e società. Dapprima il tono aggressivo e semplicistico, con cui la modernità afferma l'autonomia assoluta dell'uomo, tende a spingere di nuovo la Chiesa ai margini della società. Poi una visione più armonica e serena dei diversi aspetti della persona umana e della vita associata, con le loro diverse esigenze, porta a parlare di distinzioni e di legittime autonomie tra la vita e l'autorità ecclesiastica, da un lato, e la vita e l'autorità civile e politica, dall'altro. Infine si arriva a parlare di reciproca collaborazione per il bene dell'uomo. Per fare un esempio a noi vicino, mi pare sintomatico il nuovo orientamento espresso nella revisione degli accordi tra la Santa Sede e lo Stato italiano, firmati nel febbraio dello scorso anno. Proprio nel primo articolo la Repubblica Italiana e la Santa Sede non si limitano a riaffermare "che lo Stato e la Chiesa cattolica, sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani" come si diceva precedentemente, ma si impegnano anche "alla reciproca collaborazione per la promozione dell'uomo e il bene del Paese".
[58] La carità reagisce a questi complessi fenomeni con sorprendente vitalità.
Si rinnovano anzitutto i soggetti dell'azione caritativa. La vita religiosa consacrata produce nuove istituzioni di vita attiva a servizio delle sempre nuove povertà. La fioritura è particolarmente ricca nel Cinquecento e nell'Ottocento. Anche gli Istituti femminili, con geniali anticipazioni circa la funzione della donna nella società, si impegnano nella vita attiva di carità. Nascono nel nostro secolo gli Istituti secolari, che uniscono la consacrazione speciale con la presenza capillare nella società. I laici riscoprono e attuano sempre più pienamente la loro responsabilità nella vita della Chiesa e della società. Diocesi, parrocchie, gruppi, associazioni, movimenti si aprono al servizio caritativo, ritornando alle radici evangeliche della vita cristiana, ma anche esprimendosi in importanti fenomeni della sensibilità contemporanea, quali il volontariato, la cooperazione internazionale, l'aspirazione alla pace.
[59] Si rinnovano anche l'ambito e lo stile dell'azione caritativa. La carità continua la sua presenza immediata accanto ai bisogni umani; anzi la complessa evoluzione della società moderna fa emergere sempre nuove forme di povertà, a cui prestare un soccorso immediato, in forma pionieristica. Però la carità cerca insieme di diventare sempre più intelligente ed efficace, cioè cerca di capire dal di dentro i fenomeni complessi della società attuale e sperimenta gli strumenti più adatti per rispondere ai bisogni, alle povertà, alle sofferenze. Per far questo utilizza e insieme promuove tutte le risorse che provengono dalla scienza e dalla tecnica e cerca le forme più opportune di collaborazione tra l'intervento volontaristico e l'intervento statale.
Gli ostacoli che la carità incontra sono notevoli. Non provengono solo dall'egoismo e dalla pigrizia, ma anche dalla oggettiva complessità della situazione.
La riflessione attuale sulla carità cerca di affrontare questi problemi. Si continua certo a riflettere sul posto centrale che la carità occupa nella vita del cristiano e della Chiesa; ma l'interesse principale della riflessione si sposta verso altri problemi: che rapporto c'è tra carità e giustizia? come la carità aiuta il cristiano non solo a essere se stesso, ma anche ad agire da cristiano nel mondo d'oggi? come la carità non solo anima e unifica la vita della Chiesa, ma ispira la missione della Chiesa nella società attuale?
Sono domande che ci inquietano e ci appassionano ancor oggi. Cercherò di lasciarmi provocare da esse nella quarta parte della lettera.
Sarebbe importante a questo punto rievocare il cammino percorso negli ultimi decenni dall'insegnamento del magistero papale ed episcopale, dalla riflessione teologica in campo sociale, dalla coscienza dei credenti particolarmente impegnati nel servizio della carità. Non posso affrontare un compito così vasto neppure per brevi cenni.
[60] Però, come nel punto precedente ho citato almeno qualche pagina emblematica di S. Agostino, così voglio ora ricordare un documento particolarmente significativo, cioè il volumetto: "La forza della Riconciliazione", preparato per aiutarci a camminare verso il Convegno della Chiesa italiana su: "Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini".
Esso è significativo non solo perché si riferisce a un evento, che ci interessa da vicino, ma anche perché si presta a sintetizzare il cammino che la Chiesa italiana va facendo in questi anni, in ascolto del magistero papale ed episcopale, della coscienza dei credenti, della riflessione teologica, dei problemi e delle voci della nostra società.
Del documento sottolineo anzitutto l'intento descrittivo: si fa un reale sforzo di trattare i problemi non genericamente, ma attraverso una descrizione di come essi si presentano nella Chiesa e nella società italiana oggi.
Noto anche l'apertura dialogica: si cerca di dialogare con tutti coloro che possono portare qualche onesto contributo a capire meglio questo o quelI' aspetto delle complesse situazioni che vengono esaminate.
Infine mi pare importante la chiave interpretativa unitaria. Il documento parla di una realtà cristiana che è già viva e operante nella Chiesa, cioè il dono evangelico della riconciliazione; e si chiede come questo dono diventa missione della Chiesa nella comunità degli uomini che vivono oggi in Italia.
Siamo quindi in presenza di un tema propriamente e specificamente cristiano, riguardante qualcosa che solo la Chiesa sa e può dire. Ma insieme è un tema che interessa qualcosa che è comunemente cercato, pensato, vissuto nella società.
Qual è il valore unitario, che mette in rapporto il dono della riconciliazione con la missione riconciliatrice della Chiesa nella società? Che cosa unisce la riconciliazione come tema specificamente cristiano e la riconciliazione come tema comunemente considerato nella società?
[61] Il documento invita a percorrere, non certo come esclusiva, ma come significativa, la pista della riscoperta e del consolidamento dei valori morali. Infatti i valori morali sono strettamente connessi col valore cristiano della riconciliazione: questa è sì un dono che discende dalla gratuita misericordia di Dio, ma si esprime in concreto suscitando e configurando una libertà umana capace di dedicarsi al vero bene delI'uomo. Nel fare ciò il dono cristiano della riconciliazione valorizza, purifica e attua l'impegno etico che fonda la comunità degli uomini. Infatti la società umana non è solo un insieme di leggi, organismi, istituzioni. Queste realtà sociali devono servire al bene dell'uomo; e il bene pur incarnandosi in esse, ha il suo posto cruciale di emergenza e di attuazione nella vita morale, cioè nei dinamismi intelligenti e liberi con cui la persona umana aderisce al vero bene.
Pertanto la ricerca e il consolidamento dei valori morali sia nella coscienza dei singoli, sia nella mentalità comune, diventano un reale punto di incontro tra il bene cristiano della riconciliazione e l'aspirazione della comunità umana a una vita associata favorevole al vero bene dell'uomo.
Poiché la riconciliazione è un aspetto importante della carità, possiamo dire che i rapporti tra carità, giustizia, società nel tempo presente chiedono una seria attenzione ai problemi morali.
[62] Siamo arrivati al momento dell'olio e de] vino. Insieme col samaritano ci siamo lasciati attrarre nel dinamismo della carità. Ora esploriamo il suo farsi concreto nella realistica successione dei gesti raccontati dalla parabola: l'olio e il vino versati sulle piaghe, la fasciatura delle ferite, il trasporto sulla cavalcatura, l'assistenza premurosa nella locanda, i due denari versati al padrone dell'albergo con l'impegno di rifondere tutte le spese ulteriori.
Questi gesti sono molto semplici e umili. Sappiamo ormai che la carità è più grande di loro. Eppure in essi si esprime concretamente la carità. Sono un segno, una testimonianza sempre superabile, ma sempre urgente.
Anche noi vogliamo conoscere quali testimonianze concrete ci suggerisce la radice della carità messa a contatto con i problemi del nostro tempo.
Se confrontiamo il cammino compiuto dalla carità lungo la storia con i bisogni della nostra umanità, vediamo delinearsi cinque ambiti di testimonianza. Per ora mi accontento di abbozzarli brevemente. Per precisarli ulteriormente e per tradurli in un più dettagliato programma operativo attendo sia le indicazioni del Convegno ecclesiale sulla riconciliazione, sia i suggerimenti di coloro che, leggendo questa lettera, si sentiranno spinti a trovare applicazioni pratiche nel loro campo di vita e di esperienza.
La prima testimonianza è quella dell'amore fraterno dentro la comunità cristiana. Gesù ha comandato ai discepoli di amarsi l'un l'altro per offrire al mondo una testimonianza credibile dell'amore di Dio.
Suggerisco alcuni punti che possono suscitare riflessioni, verifiche, propositi di rinnovamento.
[63] a) La carità fraterna nasce dal contatto con l'Eucaristia e la Parola. Occorre dare ritmo più autentico e vivace a quei momenti della celebrazione liturgica, che ho già ricordato in precedenza e che costituiscono una naturale cerniera tra il rito e la vita di carità.
b) La carità, come ci ha insegnato S. Paolo, si esprime anzitutto in orientamenti profondi della persona. Occorre che le nostre comunità diano I'esempio di rapporti personali sinceri, pazienti, accoglienti, a modo di concreta attuazione della seconda strofa dell'inno della carità contenuto nel cap. 13 della prima lettera ai Corinzi.
Il giorno domenicale soprattutto deve essere riscoperto come giorno dell'amicizia, degli incontri fraterni, della gioia rasserenatrice, della visita ai malati, della prossimità confidenziale dentro le singole famiglie e tra le diverse famiglie.
c) Alimento e insieme espressione di rapporti personali, freschi e creativi, sono alcune abitudini che vanno coltivate e consolidate:
- l'edificazione reciproca con parole ricche di sapienza cristiana e con esempi di umile e luminosa bontà;
- la correzione fraterna fatta con dolcezza e con franchezza:
- la comunicazione delle esperienze di fede e di carità, per leggere evangelicamente le diverse situazioni che si creano nella famiglia, nell'ambiente di lavoro, nel quartiere, ecc.;
- qualche forma di comunione anche dei beni economici: a questo proposito faccio notare alle le nuove norme concordatarie circa gli enti e i beni ecclesiastici in Italia, pur con le difficoltà e i disagi che comporteranno, specialmente all'inizio ci incamminano provvidenzialmente verso un uso più fraterno dei beni.
[64] d) La carità trova un campo privilegiato di espressione nei carismi, nei ministeri, nelle diverse vocazioni. La carità attua l'unità tra di essi, fa sì che ciascuno di essi sia di aiuto e di stimolo agli altri; sviluppa la tensione al servizio che essi si portano dentro. Occorre riscoprire e rinnovare la vita ministeriale della comunità. Mentre invito ogni vocazione a ritrovare la propria originalità e autenticità, faccio qualche sottolineatura:
[65] - le vocazioni alla vita contemplativa siano implorate da Dio e siano accolte come un dono prezioso che alimenta la radice contemplativa della carità di tutta la Chiesa. Rimane sempre vera, nella sua intatta bellezza, la pagina della "Storia di un'anima" in cui S. Teresa di Gesù Bambino descrive la scoperta della sua vocazione a vivere nel cuore della Chiesa, corpo di Cristo;
- le vocazioni alla vita attiva di carità sappiano ritornare, oltre le eventuali incrostazioni, alla purezza originaria e creativa del carisma dei fondatori e delle fondatrici;
- gli Istituti secolari siano conosciuti ed apprezzati nella loro originalità: essi testimoniano in un modo particolarmente intenso l'amore del Padre e di Cristo per il mondo. congiungendo la consacrazione speciale con una presenza operosa che si colloca dentro e anima dal di dentro le realtà del mondo;
- Le vocazioni alla vita familiare siano coltivate e vissute non solo come naturale inclinazione dell'uomo e della donna al matrimonio, ma anche e soprattutto come autentiche e originali vocazioni cristiane, che sanno imprimere alla vita familiare uno stile evangelico. una tensione alla dedizione piena e senza riserve, una generosa apertura alla vita, una operosa attenzione ai problemi della società;
- perché la ricchezza ministeriale della comunità si esprima più pienamente, occorre scoprire e configurare sempre meglio, sotto la guida dell'autorità ecclesiastica la varia gamma di funzioni che le donne possono svolgere nella Chiesa;
[66] - infine, perché il ministero dei vescovi e dei presbiteri possa essere aiutato a esprimere e ad attuare più efficacemente la propria interna tensione al servizio della carità, occorre verificare anche nella nostra diocesi l'opportunità che vengano aggregati all'ordine sacro i diaconi non solo in forma transeunte, ma anche in modo permanente. Invito per questo ad assecondare l'opera di sensibilizzazione, promossa dall'apposita commissione arcivescovile per il diaconato permanente.
[67] e) Una forma importante di carità fraterna è la cooperazione missionaria tra le Chiese, con particolare attenzione alle Chiese del terzo mondo. Lo scambio delle ricchezze cristiane, dei valori culturali, dei beni economici, offre un immenso campo di esercizio della carità.
[68] f) Ricordo, infine, l'impegno ecumenico, che è molto vivace anche nella nostra diocesi. La ricerca della unità è obbedienza al desiderio espresso da Gesù nella preghiera al Padre prima di morire. Mentre camminiamo verso una comunione più piena nella fede. nella liturgia e nella vita ecclesiastica, possiamo vivere momenti preziosi di reale comunione, collaborando a comuni iniziative di carità per il bene dei nostri fratelli.
[69] La dedizione personale dinanzi alla persona del fratello è un aspetto irrinunciabile della carità. Nella parabola del buon samaritano è il momento fondamentale. In questo fatto si rispecchia certo una caratteristica della società antica, nella quale l'aiuto ai bisognosi era affidato prevalentemente all'iniziativa personale; però viene anche illustrato un valore perenne, che non va eliminato, ma integrato nelle più ampie possibilità di intervento sociale proprio della nostra civiltà.
La dimensione spiccatamente personale della carità mi suggerisce alcuni richiami.
[70] a) Dobbiamo riscoprire il valore dell'elemosina, dell'intervento immediato, che non pretende di risolvere tutto, ma fa quello che è possibile al momento. Può essere un gesto ambiguo. Può incoraggiare la pigrizia e la menzogna in chi lo riceve mentre in chi lo compie può far nascere l'idea di sentirsi a posto, senza andare alla radice dei problemi. Nel fare l'elemosina, quindi, è necessario un grande realismo e soprattutto bisogna evitare che essa diventi il surrogato di altri interventi più completi ed efficaci. Pur con questi rischi, l'elemosina contiene molti valori.
Anzitutto è un gesto di aderenza alla realtà. Anche nella nostra civiltà ci sono situazioni di povertà difficilmente individuabili e sanabili a livello sociale. Anzi proprio alcuni meccanismi della nostra civiltà del progresso e del benessere tendono a produrre disadattati, emarginati, asociali. Occorre certo intervenire perché i meccanismi siano corretti, così che non producano effetti negativi; o perché, una volta prodotti tali effetti, si trovino rimedi a livello sociale. Intanto però occorre fare qualcosa. La carità suggerisce quello che di volta in volta si può fare.
E proprio in questo fare qualcosa, sapendo che molto di più andrebbe fatto, si va delineando un secondo valore della elemosina. Essa è un gesto profetico ed educativo. Proclama che nessuna civiltà terrena, per quanto perfetta, può risolvere tutti i problemi: solo Dio, con la venuta finale del suo Regno, tergerà ogni lacrima e farà cessare ogni lutto, pianto e dolore. In questa luce l'elemosina ci educa ad avvicinarci ai fratelli con molta umiltà, non sentendoci superiori a loro, ma chiedendo scusa perché riusciamo a fare così poco per loro. Inoltre ci educa a capire il vero valore della carità: essa vale per se stessa, non soltanto o soprattutto per i frutti che produce. Già nella lettera pastorale: "Attirerò tutti a me", al n. 98, scrivevo: "Chi, per potersi impegnare di fronte al male, pretende di vedere un esito immediato e totalmente soddisfacente del proprio impegno, si condanna a pericolose delusioni.
Pur tendendo a esiti efficaci, occorre credere che l'impegno della carità vale per se stesso, nonostante l'eventuale permanere delle difficoltà. Il cristiano riceve dall'amore pasquale, presente nell'Eucaristia, un messaggio di speranza, che lo rende incrollabile anche di fronte ai pericoli e alle sconfitte. Egli entra nelle esperienze di sofferenza e di dolore con l'intento di superarle; ma le supera, anzitutto, chiedendosi come, entro questi fatti, l'amore può produrre pazienza, fede, coraggio, perdono".
[71] b) Nella luce della carità, intesa come partecipazione all'amore pasquale di Gesù di fronte alle situazioni più difficili e drammatiche, possiamo comprendere un tema particolarmente sottolineato nei programmi della Chiesa italiana in questi ultimi anni, cioè la partenza dagli ultimi.
L'attenzione agli ultimi si fonda su motivazioni ovvie e immediate. Sono i più bisognosi, i più trascurati, al limite della resistenza: occorre intervenire con urgenza, con assoluta priorità.
In realtà l'attenzione media della gente è rivolta ai bisogni medi. Gli ultimi sono tali non solo per la situazione in cui versano, ma anche perché non riescono a farsi sentire, ad attirare l'attenzione.
E' importante allora che le ragioni istintive di intervento a favore degli ultimi vengano rese efficaci e risonanti dalle perentorie ragioni della carità. Gli ultimi vanno preferiti perché sono coloro che Gesù ha maggiormente amato; sono coloro che hanno maggiormente bisogno della speranza che deriva dall`amore pasquale. In loro la Pasqua rivela più chiaramente la sua capacità di essere una vittoria definitiva proprio sui mali più irreparabili.
A loro in modo particolare bisogna dire che Cristo è vicino; che anche nella loro situazione è possibile far nascere un germe di amore. In loro bisogna far sorgere urgentemente la certezza che, se riescono a credere all'amore e a vivere nell'amore, hanno trovato la salvezza.
Propongo di interrogarci, verificarci, rinnovarci sui seguenti punti:
- dare una voce a chi non ha voce, scoprendo le forme sempre nuove di povertà che stentano a farsi notare e a farsi soccorrere;
- attrezzare le nostre comunità, dai livelli diocesani giù giù fino ai livelli parrocchiali, di strumenti più agili, più capillari, più efficaci di pronto intervento per casi difficili che non riescono ad essere affrontati dai normali mezzi dell'assistenza sociale;
- creare raccordi tra questi strumenti di pronto intervento così da rendere più sollecito il passaggio dal pronto intervento all'intervento organico e prolungato.
Bisogna ribadire l'importanza di vivere la vicinanza agli ultimi in una prospettiva di fede: la carità che si accosta deve radicarsi, mediante la fede, nel!'amore pasquale di Gesù. Altrimenti si rischia l'entusiasmo passeggero, che non ha tenuta. Oppure si rischia l'enfatizzazione sentimentale o ideologica degli ultimi, cadendo in una strana contraddizione: da un lato, in nome del Vangelo, si vogliono levare gli ultimi dalla loro condizione di povertà; dall'altro si dichiara che la loro condizione permette una vita più vicina al Vangelo.
[72] La contraddizione si supera comprendendo che il vero valore è la carità radicata nella fede. Si può applicare alle diverse condizioni di sofferenza quello che ha affermato circa la morte il Santo Padre nel discorso rivolto ai milanesi davanti al cimitero maggiore la sera del 2 novembre 1984: "La morte di Cristo ci insegna paradossalmente a non volere e insieme a volere la morte. Ci insegna a non volere quella morte che è frutto di odio, di ingiustizia, di peccato. Anche a Milano si muore per la solitudine, per l'abbandono, il disprezzo della vita che inizia o finisce, per l'aggressione ingiusta, per l'egoismo di chi non pensa ai gravi bisogni degli altri, per l'inosservanza o la carenza delle leggi. La morte di Cristo ci insegna a non volere con tutte le nostre forze queste morti. E insieme ci insegna a volere la morte nel senso di prepararci, giorno per giorno, alla morte, nel senso di essere pronti a servire i fratelli fino al dono della vita, fino a spendere giorno per giorno tutte le energie della nostra vita non nella ricerca del nostro interesse egoistico, ma nella dedizione incondizionata al bene dei fratelli".
[73] Applicando queste intuizioni ad ogni caso di sofferenza, possiamo dire che il vero valore non è la condizione povera in sé e per sé, né la lotta per venirne fuori, ma quel potenziale di amore che si può sviluppare nel viverla o nell' uscirne. Ed è la sapienza della fede, interna alla carità, che ci dice di volta in volta quando e come viverla e quando e come uscirne. O quando e come scegliere liberamente noi stessi di diventare gli ultimi, sull'esempio di Gesù "il quale era come Dio, ma non pensò di dover conservare gelosamente il fatto di essere uguale a Dio. Rinunciò a tutto; scelse di essere come servo e diventò uomo fra gli uomini. Tanto che essi lo riconobbero come uno di loro. Abbassò se stesso e fu ubbidiente a Dio sino alla morte, alla morte in croce" (cfr. lettera ai Filippesi, cap. 2, vv. 6-8).
[74]] Nella nostra società complessa, la carità deve congiungere l'impegno personale diretto e immediato con un intervento più vasto e articolato nelle strutture stesse della vita associata.
Descrivo questo intervento in tre tappe:
- l'animazione sociale;
-il discernimento spirituale;
- l'impegno politico.
L'animazione sociale comporta tutti quegli interventi che tendono a creare una umana sensibilità nella società, un'attenzione più vera ai bisogni delle persone, un insieme di programmi economici, di iniziative assistenziali e di attività culturali, che favoriscano l'accoglienza, l'inserimento sociale, la crescita libera di tutti i membri della società.
Qui trova l'applicazione più appropriata l'appello ai valori morali fatto precedentemente.
[75] Cerco di spiegarmi con un esempio biblico molto noto. Nel cap. 7 del libro di Isaia si descrive il disagio in cui si trova Acaz, re di Giuda, quando il re di Aram e il re di Israele volevano trascinarlo in una coalizione contro il potente re di Assiria. Poiché Acaz si rifiutò, i due re marciarono contro Gerusalemme, la capitale del regno di Giuda. Acaz, allora, chiese aiuto all'Assiria. Isaia fu mandato dal Signore a proporre ad Acaz una terza via di salvezza: confidare nel Signore e raccogliere attorno ad una rinnovata fede le energie, il coraggio, il valore del popolo. Il Signore è pronto a dare un segno, la nascita dell'Emmanuele. Acaz non accetta la proposta di Isaia e preferisce farsi aiutare dal re di Assiria. Questi interviene, vince i re di Aram e di Israele, ma in pratica riduce al vassallaggio anche il suo alleato, il re di Giuda.
Acaz, dunque, incontra una forza che lo minaccia. Pensa che l'alternativa sia o soccombere a questa forza o neutralizzarla ricorrendo a un'altra forza simile. Isaia, invece, prospetta un valore che si trova a un diverso livello, cioè il rientro nel profondo della persona, la riscoperta del mistero di Dio come fondamento della libertà e delle capacità dell'uomo. Questo valore, poi, sa scendere anche al livello delle forze che si contrappongono, trovando strade nuove, più efficaci e più degne dell'uomo.
[76] Qualcosa di simile accade quando, nella nostra società complessa, si parla di strutture sociali, di leggi economiche, di condizionamenti psicologici. Spesso si pensa che la libertà o è totalmente estenuata in tutto ciò o deve semplicemente lottare contro alcune strutture mediante strutture opposte. C'è invece un altro livello, il livello della persona libera. Essa accetta da Dio la libertà come un dono e come una responsabilità. Essa sa realisticamente che la propria libertà cresce in un contesto di eventi, di condizioni, di relazioni che la interpellano. Essa sa che la fiducia in Dio aiuta ad attraversare anche i momenti più drammatici. Essa sa che, comunque, non deve pagare una propria affermazione con la diminuzione del fratello. Questi valori profondi, che sono la base della vita morale, sanno poi rendere nel concreto. Là dove incontrano strutture, forze, leggi, programmi contrapposti, sanno scoprire nuove vie, che prendono ciò che c'è di buono in ogni cosa e dischiudono la strada a nuove strutture, forze, leggi più favorevoli alla libertà e alla dignità di ogni uomo.
Vorrei invitare a riflettere su tre esempi concreti, in cui è particolarmente impegnata la carità.
[77] a) Il primo esempio riguarda la vita economica. In essa si affermano spesso come inesorabili la legge del profitto o la legge della lotta di classe. Mi chiedo se una visione più ampia dell'uomo non permetta di mettere in discussione queste leggi, di assumerne gli aspetti positivi eliminando le rischiose limitatezze, di inventare vie più complesse, più efficaci, più libere, più umane per risolvere i problemi che esse tentano invano di risolvere.
[78] b) Il secondo esempio riguarda le persone portatrici di handicap. Una visione della vita esclusivamente in chiave di benessere porta o a escludere gli handicappati, perché inadatti a usufruire del benessere, o a tentare delle socializzazioni, nel senso di forzate immissioni nel mondo del benessere. Invece una visione etica dell'handicap, senza rinnegare i vantaggi del benessere, dischiude più ampie possibilità di vita e di reale valorizzazione sociale delle persone handicappate.
[79] c) Infine un esempio relativo alla terza età. Una interpretazione della vita come efficienza porta o a escludere gli anziani perché inefficienti o a cercare semplicemente i modi più o meno artificiosi di prolungarne l'efficienza. Anche in questo caso una visione etica dell'uomo darebbe il giusto peso anche alla efficienza e agli strumenti per conservarla, ma aprirebbe molte altre prospettive di valorizzazione dell'anziano, al limite anche del totalmente impedito, anche de] moribondo.
Ho fatto solo alcuni esempi schematici. Potremmo moltiplicare gli esempi e riempire gli schemi con tanti contenuti concreti, che una visione cristiana dell'uomo sa suggerire.
Per la vita economica, per esempio, potrei ricordare i molti suggerimenti che ho già dato in varie occasioni, in particolare per l'annuale giornata della solidarietà.
Per i problemi dell'handicap ho raccolto in molti interventi, soprattutto nell'anno dell'handicappato, la forza umanizzatrice che ho incontrato in tante persone e gruppi che si dedicano a questo importante aspetto del]a vita contemporaneità.
Anche per la terza età ha raccolto suggerimenti precisi da coloro che vivono in prima persona i problemi degli anziani, specialmente del Movimento della Terza Eta.
Chiedo a tutti di impegnarsi a trovare e a configurare altre situazioni concrete, bisognose di sensibilizzazione sociale. Per ora mi limito a due semplici, ma Importanti annotazioni.
[80] In primo luogo faccio osservare quanto sia importante che la visione cristiana dell'uomo non esprima soltanto principi rinnovatori della vita sociale, ma li possa anche incarnare concretamente in opere e iniziative di assistenza, di riabilitazione, di educazione, ecc. Non si tratta di rivendicare diritti, ma di permettere alla carità di esprimere più compiutamente le sue inesauribili capacità di servire l'uomo e la società .
[81] In secondo luogo invito a riflettere sulla necessità dell'azione educativa. I valori morali non vanno solo enunciati. Chiedono di essere concretamente sperimentati e assimilati in un cammino educativo, che ne riveli l'austera bellezza e l'intensa umanità contro le tentazioni della pigrizia, della stanchezza, dell'egoismo, del]'incomprensione da parte degli altri. Occorre che le comunità cristiane si impegnino, a vari livelli e con tutti gli strumenti possibili, a una seria e organica opera di educazione dei giovani ai valori morali. E proprio la graduale introduzione alle opere della carità può essere il momento più cruciale e fecondo di questa educazione.
Invito a valorizzare al proposito l'anno internazionale della gioventù indetto dall'O.N.U.
[82] La visione spirituale dell'uomo contempla la sublime chiamata, che il Padre rivolge a ogni uomo, ad essere figlio di Dio in Gesù Cristo e propone un itinerario di fede, di amore, di riconoscenza, di obbedienza, di gioia filiale, come risposta a questa chiamata.
Dentro questo itinerario vengono assunti, purificati, rinnovati anche gli atteggiamenti fondamentali della vita morale: la scoperta e la libera accettazione delle altre persone; la ricerca di un bene che, proprio per essere un bene autentico della mia persona, deve essere un bene anche per le altre persone; la fondazione di questo bene comune nell'adesione a un bene misterioso e trascendente, che dà il significato vero a tutti gli altri beni, che attraggono di volta in volta, il mio desiderio di vita e di gioia; la testimonianza, che reco a questo bene supremo, attraverso le responsabilità che mi assumo nei diversi ambiti della vita personale, familiare, professionale, sociale, ecc.
[83] Si intravede a questo punto la possibilità che tra la visione cristiana dell'uomo e i valori morali comuni ad ogni uomo nasca una feconda relazione, che può essere percorsa in due sensi.
Da un lato la visione cristiana dell'uomo può arricchirsi di tutte quelle conoscenze ed esperienze che gli uomini incontrano nella loro vita morale, sia a livello di intuizioni personali, sia a livello di indagine più organica e riflessa sui vari fenomeni della vita dei singoli e delle comunità. Si dischiude qui un campo di lavoro molto vasto, che vede credenti e non credenti impegnati nella ricerca e nella comunicazione di valori comuni, nel rispetto di ogni contributo che nasca da buona volontà e da onesta ricerca della verità.
Dall'altro lato la visione cristiana dell'uomo quanto più aderisce al disegno di Dio sull'umanità, tanto più acquista una specie di chiaroveggenza nell'interpretare quello che sta maturando nella vita dei singoli e della società.
Di fronte a una scelta economica o politica a un costume sociale che si va consolidando, a certi orientamenti che nascono nella vita familiare, ecc. la visione cristiana intuisce quali fenomeni rappresentino un inizio promettente quasi un albeggiamento della civiltà dell'amore, della giustizia, della fraternità; e quali fenomeni invece, nonostante l'ampio consenso che incontrano, preludano a un mesto tramonto della civiltà, allontanando gli uomini da una vita di libertà e di pace.
[84] Questo discernimento spirituale dei fenomeni dell'epoca presente è un compito che la carità, che è il cuore della visione cristiana dell'uomo deve assumersi per il vero bene dell'umanità.
Solo per avviare una riflessione, che spero si estenda a tutte le comunità indico qualche fenomeno che chiede un discernimento spirituale.
In chiave positiva penso al volontariato nelle varie forme, alla visione universale dei problemi umani espressa nelle varie iniziative di cooperazione internazionale all'aspirazione sempre più diffusa verso 1a pace.
In chiave negativa penso alla subordinazione della persona a interessi economici o politici, all'incomprensione dei valori della famiglia, ai molti attentati contro la vita, al corporativismo gretto e litigioso, alla distanza tra cittadini e istituzioni. Questi orientamenti non agiscono solo nella società ma si introducono talvolta anche nella vita della comunità cristiana offuscandola e disturbandola.
Di questi fenomeni ho già parlato in parecchi interventi, nei quali ho cercato di ascoltare il magistero del Papa e degli altri vescovi e di interpretare i suggerimenti della coscienza credente, i problemi e le voci del mondo che ci sta attorno. Come possiamo completare, sintetizzare, ringraziare il discernimento spirituale di questi fenomeni? Come andare alle radici profonde, buone o cattive, dei fenomeni stessi? Come leggerli in modo sempre più aderente alla situazione della nostra società milanese?
Di questi fenomeni parlano ampiamente anche gli strumenti preparatori del Convegno ecclesia]e del prossimo aprile. Spero che l'intensa partecipazione sia alla fase preparatoria, sia soprattutto alla fase di svolgimento e di applicazione del Convegno aiuti la nostra Chiesa a vivere le ricchezze della carità anche dal punto di vista del discernimento spirituale.
[85] Il buon andamento della vita sociale dipende molto dalla vivacità, dalla efficienza, dalla correttezza del sistema politico. Il realismo tenace, con cui la carità cerca il bene di ogni uomo, la impegna anche nel campo delle scelte politiche.
Molti suggerimenti circa 1'impegno dei cristiani in campo politico si trovano nel documento del consiglio permanente della C.E.I. "La Chiesa italiana e le prospettive del Paese" (1981).
Faccio qualche sottolineatura per suscitare riflessione e discussione.
[86] a) Bisogna prendere atto con realismo dell'attuale tendenza delle strutture politiche a espandersi anche in quei settori della vita associata che, di per sé, potrebbero essere gestiti con strutture più agili, espresse dall'iniziativa e dal consenso dei cittadini interessati. Penso alla scuola, all'assistenza, al quartiere, ecc. Oltre che di realismo, però, occorre dar prova pure di coraggio critico verso questa tendenza a "politicizzare" tutto. Come ho già detto nel discorso di S. Ambrogio dello scorso dicembre, "talvolta gli interventi politici fanno riferimento a matrici ideologiche generali più che all'esame concreto delle situazioni. Gli organismi di partecipazione e di decentrarnento dovrebbero invece introdurre un prezioso correttivo verso la concretezza e verso una attenzione a tutte le esigenze provenienti dalla loro base. Tra queste esigenze mi permetto di ricordare quella di avere accanto a tante infrastrutture, i luoghi necessari per celebrare il culto e per attuare le iniziative caritative ed educative della comunità cristiana".
[87] b) L'attuazione dei princìpi dell'autonomia, della distinzione e della collaborazione tra Chiesa e Stato chiede ai cristiani molta versatilità nell'individuare e configurare i diversi tipi di presenza della Chiesa nella società. A un estremo stanno gli interventi ufficiali della Chiesa in quanto tale, per casi di estrema gravità che chiedono un consenso di tutti i credenti; all'altro estremo sta la quotidiana presenza della Chiesa attraverso le decisioni aflidate alla responsabilità dei singoli cittadini credenti. Tra questi estremi si distendono molti livelli di intervento, in cui è particolarmente chiamato in causa l'associazionismo cattolico, con la sua capacità di produrre programmi dí promozione umana e civile e di creare un libero consenso attorno ad essi.
c) Un dovere grave della carità cristiana in campo politico è la denuncia dei sistemi generali e delle singole leggi che violano la libertà e la dignità dell'uomo. Un esempio recente di denuncia si trova all'inizio del messaggio inviato dal Santo Padre per la Giornata Mondiale della Pace, il 1 gennaio 1985. Invito a meditarlo, trovando applicazioni concrete alla nostra situazione.
d) Più difficile è descrivere l'opera propositiva della carità in campo politico. Si può dire, però, che tutte le testimonianze della carità descritte nei punti precedenti, specialmente quelle relative all'animazione sociale e al discernimento spirituale, vengono a costituire un patrimonio di orientamenti, di valori ideali e anche di progetti operativi concreti che i cristiani offrono come un contributo originale alla vita politica del Paese. A questo patrimonio i cristiani si ispireranno nel dar vita alle loro iniziative e nella scelta di coloro che dovranno democraticamente rappresentarli nei vari organismi della vita pubblica.
Tutto quello che è stato detto non si può improvvisare. Occorre un'opera di formazione sia alla coscienza politica di tutti i credenti, sia all'impegno politico diretto di coloro che hanno vocazione e doti.
[88] Prima di uscir di scena il buon samaritano rivela ancora una volta la profonda passione che la carità gli ha acceso nel cuore. Sborsando due denari, raccomanda al padrone dell'albergo: "Abbi cura di lui e quello che spenderai in più, lo pagherò io al mio ritorno".
La carità non abbandona l'uomo a se stesso. Sa che può sempre aver bisogno di qualcosa.
Come interpretare questa esigenza di disponibilità incondizionata, propria della carità? Come educarci a una carità che sa far fronte ai bisogni sempre nuovi dei fratelli?
[89] Tra i molti valori cristiani che vanno chiamati in causa, quali là fedeltà, la pazienza, l'umiltà, la definitività vocazionale, voglio sottolineare il valore della "diocesanità " Si tratta di un atteggiamento spirituale che ci inclina a condividere la tensione che ha la Chiesa locale verso una visione globale, aggiornata, universalmente aperta, dei bisogni e delle povertà presenti in quelle concrete persone che vivono nel territorio umano in cui la Chiesa rende presente il mistero dell'amore di Dio.
Occorre allora ripensare le cinque testimonianze della carità, precisandone la prospettiva diocesana, cioè cercando le linee specifiche, le sottolineature particolari dell'esercizio della carità, che viene richiesto qui e ora nella nostra Chiesa diocesana in tutte le sue articolazioni.
ln questo lavoro di precisazione pastorale vorrei essere illuminato e aiutato da tutti.
Per questo propongo alle varie comunità diocesane un lavoro di riflessione e di consultazione, che applichi alla concreta vita della diocesi le linee fondamentali tracciate in questa lettera.
a) La consultazione potrà riguardare anzitutto alcuni temi di fondo già accennati, ma bisognosi di ulteriore approfondimento: per esempio il rapporto carità-verità o l'intreccio carità-società-moralità, o l'impegno politico della carità, ecc.
b) Un altro argomento di scambio di esperienze e di consultazione è rappresentato dalle cinque testimonianze della carità. Presentandole, ho spesso accennato a domande, questioni, problemi aperti. E' utile, allora, riprendere i singoli punti e farli andare verso una concretezza sempre maggiore.
c) Le proposte abbozzate tendono a coprire con una certa completezza e organicità, le diverse aree dell'impegno caritativo. In un programma operativo, però, occorre scendere al concreto e individuare alcune priorità. Anche su questo aspetto chiedo di essere illuminato.
d) Infine la consultazione deve riguardare gli strumenti che vanno perfezionati o creati ai vari livelli della vita diocesana in vista dell'animazione e del coordinamento delle diverse iniziative della carità. e) Mentre chiedo a tutti di impegnarsi in questo lavoro e di mandarmi suggerimenti e consigli, indico due interlocutori privilegiati, dai quali mi aspetto una più precisa collaborazione: i Consigli pastorali parrocchiali e il Consiglio pastorale diocesano, e le commissioni "Caritas" parrocchiali, che avranno come punto di riferimento la "Caritas" diocesana.
f) I contributi dovranno pervenire entro la fine di giugno, così che approfittando della pausa meditativa dell'estate, sia possibile, all'inizio del nuovo anno pastorale, proporre il programma applicativo di questa lettera sulla carità.
[90] Affido questo cammino alla protezione di Maria. Mi piace contemplarla nell'icona evangelica delle nozze di Cana. In quella circostanza Gesù la chiama col nome misterioso di "donna, signora, sposa".
Ella si rivela veramente come la donna che ama Dio con amore sponsale, primizia della Chiesa sposa di Cristo.
In forza di questo amore, ella si fa attenta ai bisogni degli uomini e chiede a Gesù di offrire alla povertà dei due sposi il vino miracoloso della gioia e dell'amicizia.
In questo amore per Dio e per gli uomini Maria è pronta ad ogni sacrificio. Il momento delle nozze di Cana è collegato con un altro momento, nel quale per la seconda volta Gesù chiama sua madre col nome di "donna": è il momento del Calvario, che vede Maria pienamente associata all'amore pasquale del Figlio.
"O Maria, aiutaci ad amare Dio con tutta la nostra vita, diventando partecipi dell'amore fedele che la Chiesa porta a Gesù.
Risveglia e consolida in noi un'attenzione premurosa ai bisogni dei fratelli.
Donaci la gioia e il coraggio di unirci all'amore più grande di ogni altro, che è stato celebrato sulla Croce".
Lettera al clero e ai fedeli per l'anno pastorale 1985/86
10 febbraio 1985
[91] Questo mio scritto alla diocesi è la continuazione di quello dell'anno scorso dal titolo Lettera a San Carlo.
Mentre l'anno scorso riflettevo sui temi delle prime tre lettere pastorali (Contemplazione, Parola, Eucaristia), qui invito a un esame di coscienza sul tema delle due ultime (Missionarietà e Carità).
Il genere letterario è leggero, ma l'intenzione è seria: si tratta di aiutare la riflessione dei prossimi mesi sul programma pastorale in atto stimolando a una intensa revisione di vita con l'aiuto del "fuoco" di san Carlo.
Che ora è?
Non sto dormendo nel mio letto, e faccio fatica a trovare l'interruttore. Devo essere in visita pastorale, nella casa di qualche parroco. Nel dormiveglia non mi sovviene neppure quale sia esattamente la parrocchia in cui dimoro. Ne ho girate tante. Ma nel frattempo, non trovando dove accendere la luce, mi metto ad ascoltare il silenzio della notte. Qualche canto di gallo lontano mi dice che devo essere in un luogo di campagna.
Sento il campanile che batte le ore. Sono le tre. Questa era l'ora in cui il cardinale Schuster si alzava e scendeva in chiesa, trovando magari la porta ancora chiusa.
Ma i tempi sono un po' cambiati e io rimango ancora a letto a pensare. Già, anche san Carlo a quest'ora era forse già alzato, in preghiera. Anzi, ora mi viene in mente che la canonica in cui mi trovo sarebbe stata visitata da san Carlo, quattrocento e passa anni fa. Ma si dice che san Carlo non abbia preso se non qualche ora di riposo a notte fonda, appoggiato a una poltrona. Potrebbe essere quella che c'è ancora qui nella camera. E se lui fosse ancora lì seduto pronto a rimproverarrni per questo mio ritardato risveglio?
Vedi, san Carlo, i tempi sono cambiati e anche le visite pastorali non cominciano più alle cinque del mattino. E voi, poi, stavate in piedi fino a mezzanotte? C'erano al tuo tempo i consigli pastorali da ascoltare?
Mi accorgo che sto usando un linguaggio un po' risentito, e me ne dispiace. Forse san Carlo non vuole rimproverarmi. Forse vuol solo entrare un pò in dialogo con me. Anche ai santi piace comunicare, dialogare, sentirsi capiti.
Mentre ripenso a queste cose mi sembra che sia opportuno spiegare meglio a san Carlo che cosa sia un consiglio pastorale. Ho voglia di raccontare a lui l'esperienza di ieri sera, quando ci siamo intrattenuti fino a tardi nel consiglio pastorale di una parrocchia vicina, riflettendo sui programmi pastorali di questi due anni.
Vedi, san Carlo, ho avuto l'impressione di trovarmi davanti a gente che sarebbe piaciuta anche a te. Uomini e donne responsabili, preoccupati del vero bene delle parrocchie, desiderosi di esporre al vescovo il loro cammino. E anche di condividere con lui le loro perplessità e i loro ritardi.
[92] Mi è sembrato che dalla lettera pastorale di due anni fa Partenza da Emmaus avessero certamente colto l'istanza "missionaria" e fossero sinceramente disposti a confrontarsi con essa. Mi parevano preoccupati della carente apertura "estracomunitaria" delIe parrocchie. Si dicevano umilmente ancora fermi alla pagina di Esaù e Giacobbe, e come bloccati su Esaù.
La dimensione "intracomunitaria" dei problemi appariva loro preponderante, e in concreto non superabile. Come lasciare le pecore del gregge senza pascolo per ricercare quella smarrita? Continuava a emergere la domanda: ci dica lei quali iniziative potremmo fare per i lontani! Cosa fare per i giovani che non vengono più? Per i ragazzi che abbandonano il catechismo dopo la cresima? Di chi è la colpa, loro, delle famiglie, o nostra?
Ascoltavo queste cose con disagio e sofferenza perché capivo che avevano colto il problema, ma lo sentivano più come blocco che come sfida. La soluzione che la lettera Partenza da Emmaus tentava di annunciare in fondo non era stata intesa se non come lontana e impraticabile esigenza, buona per qualche mea culpa che lascia il tempo che trova.
E la carità? Come avevano cercato quest'anno di realizzare il Farsi prossimo? Qui il bilancio era apparentemente più positivo. Potevano elencare varie iniziative per i ragazzi handicappati, per gli anziani soli, per visitare con i giovani un ospizio vicino e offrire agli ospiti un pò di festa, ecc.
Ma a me sembrava di cogliere tra le righe che non erano del tutto contenti. Sembrava che dicessero: basta questo, o ci voleva qualcosa d'altro? Mi pareva che avessero scorso rapidamente come ovvi i primi capitoli della lettera sul buon samaritano, passando subito a qualche applicazione di "olio e vino", senza lasciarsi interpellare dalla serietà e dalla totalità del precetto dell'amore.
Mentre ripetevo tra me queste parole "serietà" e "totalità", mi pareva che san Carlo dal suo seggiolone annuisse gravemente: "E' proprio questo il punto dolente!".
E mi pareva che insistesse: "E' proprio qui! E' proprio qui!". Mi veniva quindi il timore che allora non solo la carità, ma anche la missionarietà non fosse stata colta nella sua urgenza drammatica, ma come un "fare un pò di più". E san Carlo incalzava dal suo seggiolone: "Voi avete come smarrito il senso della serietà delle esigenze di Dio sull'uomo!".
A queste parole mi sentivo tremare. Cosa volevano dire? Probabilmente san Carlo intendeva sottolineare che non si trattava di conservare più o meno intatto un certo perbenismo di chiesa, sforzandosi di fare un pò di più e un pò meglio. "E' in gioco, affermava, la vita eterna dell'uomo e del mondo; la missione della chiesa sta in bilico tra salvezza e dannazione, tra vita e morte. Non basta ritoccare i dettagli, se il cuore non è afferrato dall'urgenza della decisione per il regno di Dio".
[93] Ripensavo con tremore alle parole che avevano risuonato in quei giorni nelle letture feriali della Messa: Se la vostra giustizia non sarà più grande di quella degli scribi e dei farisei (che pure pretendevano di fare le cose per bene!) non entrerete nel regno dei cieli (Mt 5,17). E questa parola richiama l'altra: siamo servi inutili! (Lc 17,10). Servi inutili!
Il parroco
[94] Di solito iniziamo le riunioni del consiglio pastorale con l'ascolto di una pagina biblica.
Pregherei l'arcivescovo di suggerircene una adatta.
L'arcivescovo
Per stare in tema con quanto mi è successo nella notte scorsa, in cui ho dormito poco nella casa del vostro parroco, suggerirei di leggere qualche pagina sulla "veglia" o "vigilanza". Nei vangeli questo tema ricorre con insistenza.
Tra i molti passi scegliamo Luca 12,35-48. C'è qualcuno che vuole leggere? Potremmo chiedere ai catechisti presenti di alternarsi nella lettura.
Primo catechista
"Siate pronti con la cintura ai fianchi e le lucerne accese; siate simili a coloro che aspettano il padrone quando torna dalle nozze, per aprirgli subito, appena arriva e bussa. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico: si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se giungendo nel mezzo della notte o prima dell'alba, li troverà così, beati loro!
Secondo catechista
Sappiate bene questo: se il padrone di casa sapesse a che ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa.
Anche voi tenetevi pronti, perché il Figlio dell'uomo verrà nell'ora che non pensate.
Terzo catechista
Allora Pietro disse: Signore questa parola la dici per noi o anche per tutti?
Il Signore rispose: Qual è dunque l'amministratore fedele e saggio che il Signore porrà a capo della sua servitù, per distribuire a tempo debito la razione di cibo? Beato quel servo che il padrone arrivando, troverà al suo lavoro. In verità vi dico: lo metterà a capo di tutti i suoi averi.
Ma se quel servo dicesse in cuor suo: il padrone tarda a venire, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere, a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà nel giorno in cui meno se lo aspetta e in un'ora che non sa, e lo punirà con rigore, assegnandogli il posto con gli infedeli.
Quarto catechista
Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche.
A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più".
L'arcivescovo
Invito anzitutto a tenere presente lo stato d'animo delle primitive comunità che ascoltavano la proclamazione di queste parole di Gesù. Sono comunità un pò stanche. Avevano atteso come imminente il ritorno di Gesù, e il fatto che Gesù tardasse a venire aveva affievolito un pò l'entusiasmo. Il differimento della venuta finale di Gesù serviva loro di pretesto per non prendere sul serio le altre venute di Gesù nella comunità.
Di qui un certo disimpegno nello svolgere i propri compiti, o addirittura un esercizio del ministero non per l'utilità dei fratelli ma per il proprio tornaconto, non con umiltà, ma con arroganza.
Potremo dunque esprimere il messaggio di queste parole così.
[95] 1) L'assenza di Gesù tornato al Padre (il padrone della parabola che è andato fuori casa) apre lo spazio alla missione della chiesa. I credenti animati dallo Spirito santo (i servitori della parabola) sono la nuova forma di presenza di Gesù nella storia degli uomini.
2) La missione dei credenti non è protagonismo ma testimonianza. Essa chiede ai credenti decisioni coraggiose e attività infaticabile, ma non per mettere in mostra se stessi, bensì per divenire servitori di Gesù. In un'altra pagina del suo vangelo Luca è ancora più chiaro e tagliente. Nel c. 17 egli narra la parabola dei servi che, dopo aver lavorato tutto il giorno nei campi, devono, senza sosta alcuna, prestare il servizio necessario per la cena del padrone. E oltre tutto sono invitati a dichiararsi "servi inutili". Da un lato viene ingigantita la mole del lavoro da svolgere; dall'altro viene tolta ogni possibilità di gratificante compiacimento per la fruttuosità del servizio. Tutto ciò può far sospettare durezza d'animo nel padrone. In realtà proprio questo riconoscere l'inutilità del servizio permette ai servi di cambiare mentalità e di entrare in una nuova dimensione spirituale, dove quello che conta non è tanto l'esecuzione puntuale e perfetta del lavoro (la "giustizia degli scribi e dei farisei" di cui parla Mt 5,17, che si rivela in pratica carente di amore), ma il rapporto di amore, di gratitudine, di umiltà, di familiarità con il padrone. Egli da padrone diventa padre, i servi diventano figli, consapevoli che tutto quello che fanno non è nulla di fronte all'immenso amore che hanno ricevuto. Allora continuano a fare, a lavorare, a servire, ma non con la pretesa di fare qualcosa di importante e di risolutivo, bensì nell'intento di porre segni autentici con cui esprimere la propria gratitudine e la propria volontà di condividere la sollecitudine amorosa del padrone assente. E questa sollecitudine è senza limiti, e anche questo amore dei servi fatti figli ha la insaziabilità, il dinamismo mai stanco proprio della carità.
3) Poiché sono in gioco valori spirituali così alti e misteriosi, la condizione dei servi è stupenda, ma anche drammatica. Si vive in un clima di enorme serietà. C'è il rischio di non capire il cuore del padrone, di fraintendere il senso del servizio, di non compiere bene la missione ricevuta, di usare dei beni ricevuti dal padrone per soddisfare i propri desideri egoistici, di trattare malamente quelli che sono in casa. Così facendo ci si esclude dal clima della casa e ci si espone alla terribile condanna di essere irrevocabilmente cacciati di casa. Gesù parla alla nostra libertà e, purtroppo, la libertà è esposta al rischio di dir di no, o almeno di dare risposte languide, malferme, che alla fine sono perdenti. Di qui l'accorato, severo invito di Gesù ad essere sempre vigilanti. Di qui l'ardore con cui san Carlo, visitandovi quattro secoli fa, vi esortava a non rendere vano il sangue di Cristo sparso per voi. Le sue prediche erano molto serie, della serietà dell'amore.
Dobbiamo vedere ora come queste parole si applicano alla nostra comunità. Ci sono in essa le stanchezze e le infedeltà che Luca scopriva nella sua comunità?
Che cosa vuol dire per noi oggi l'invito di Gesù alla vigilanza?
Il parroco
Forse l'arcivescovo ci vuole chiedere in altre parole come viviamo nella nostra comunità i temi della missione e della carità, che egli ha trattato nelle ultime due lettere pastorali Partenza da Emmaus (con la breve sintesi di Testimoni del Risorto) e Farsi prossimo.
L'arcivescovo
Effettivamente la pagina di Luca con la quale vogliamo confrontarci, descrive il contesto di enorme serietà e rischio, in cui i credenti sono chiamati a vivere la missione e a praticare la carità fraterna. E' questo il contesto in cui sono state recepite le ultime due lettere pastorali?
Una suora
Io ho l'impressione che non siamo stati molto toccati da questi temi. Siamo stati probabilmente colpiti di più dalle prime tre lettere pastorali sul silenzio contemplativo, sulla Parola, sull'eucaristia. Io personalmente sono stata aiutata a vivere meglio il battesimo e la consacrazione. Ma anche tanti altri cristiani e le intere comunità hanno trovato un richiamo semplicissimo ad alcuni punti essenziali della vita cristiana. Tutti, in fondo, vivevamo già queste realtà, però in mezzo a tante altre cose. Il provare sul serio a metterle al primo posto ci ha dato dapprima un senso di sorpresa, poi il senso di un'avventura bella da vivere, infine un senso di pace, di ritrovamento di noi stessi. Poi le scuole di preghiera e le scuole della Parola hanno tenuto deste a lungo queste tensioni spirituali. Mi pare invece che a proposito dei temi della missione e della carità riusciamo meno a capire qual è il loro ruolo essenziale nella vita cristiana e ci imbattiamo in iniziative un po' scontate e ripetitive.
Il parroco
Io non sarei del tutto d'accordo. Per certi aspetti i temi della missione e della carità ci hanno trovato più preparati. L'immagine biblica di Esaù e Giacobbe, ricordata nella lettera Partenza da Emmaus, ha bene interpretato le nostre tensioni. E' vero che, per lo più, ci rifugiamo nella vita casalinga di Esaù, però in noi c'è anche lo spirito di avventura di Giacobbe: visite missionarie alle famiglie, tentativi di catechesi per i lontani in alcuni caseggiati nuovi, sforzo di dialogo con tutti sui problemi umani fondamentali del territorio, impegno per i paesi di missione e iniziative di volontariato internazionale. Quanto alla carità, cerchiamo di scoprire le famiglie in difficoltà, seguiamo scolasticamente i ragazzi un po' disadattati, accogliamo nei nostri ambienti gli handicappati, cerchiamo di approfondire i temi della giustizia sociale e della pace, abbiamo tra i nostri giovani alcuni esempi di volontariato e di servizio civile. Forse il problema è che sono ancora troppo pochi a capire e a seguire queste iniziative. La massa dei credenti rimane piuttosto inerte.
Una mamma
Non è la prima volta che sento il nostro parroco lamentarsi della poca partecipazione della gente alle iniziative missionarie e caritative. Qualche volta mi sento un po' in colpa, perché io non posso fare molto in questi campi. D'altra parte la vita della famiglia mi assorbe molto. Cerco anche di riflettere su queste cose e arrivo a conclusioni un po' diverse da quelle del parroco.
Il parroco
Dica pure con libertà, signora.
La mamma
A me pare che non si tratta di fare tante iniziative. La missione e la carità non si aggiungono alla nostra vita, ma passano attraverso le azioni quotidiane. Io cerco di dedicarmi alla casa senza badare a me stessa; seguo la crescita dei figli, cerco di trovare insieme con mio marito (non è facile, mi creda) un equilibrio sempre nuovo tra la voglia di essere onnipresenti nella loro vita e il rispetto per quello che essi vanno decidendo. Cerco di tenere aperta la mia famiglia verso la vita di altre famiglie, spesso meno fortunate e serene della mia. A me è piaciuto molto quello che vostra eminenza ha scritto nella lettera natalizia Testimoni del Risorto sulla fecondità missionaria delle famiglie. Recito ancora la preghiera con cui si concludeva quella lettera, affidando al Signore il cammino quotidiano della mia casa. Mi pare che missione e carità siano soprattutto questo.
Un lavoratore
[96] Io sono abbastanza d'accordo con la signora. Capisco anch'io che le occasioni più semplici e più giuste di testimoniare la mia fede e di aiutare il prossimo sono quelle che trovo nel mio lavoro di ogni giorno, dentro la fabbrica, a contatto con tanti problemi di altri operai, coi quali si diventa più o meno amici, stando insieme tanto tempo e vivendo le stesse cose. Però mi accorgo che proprio per vivere bene queste cose quotidiane, ho bisogno della parrocchia e delle sue iniziative, ho bisogno di essere nutrito nella mia fede e di confrontarmi con gli altri credenti. Lei, signora, ha detto che cerca di tenere aperta la sua famiglia verso la vita di altre famiglie in difficoltà. Alcuni problemi di queste famiglie forse sono alla nostra portata e si possono risolvere con un consiglio fraterno, con un po' di amicizia, magari con qualche aiuto economico. Ma ci sono nella famiglia tanti altri problemi più grandi di noi. Davanti alla crisi di certe coppie o al fallimento dell'educazione dei figli o ai problemi morali del matrimonio io a volte non so cosa dire. Ho bisogno di conoscere meglio la mia fede e di scambiare le mie idee con qualcuno che è più esperto di me. Lo stesso vale per i problemi della fabbrica. Qualcosa si può fare con l'amicizia tra operai, con l'aiuto spicciolo. Ma i problemi dell'occupazione, della scala mobile, delle condizioni in cui si lavora, dei turni, della cassa d'integrazione, della coscienza che il lavoratore deve avere di sé come soggetto, come persona e non come ingranaggio de1 sistema economico, tutte queste cose vanno pensate e attuate insieme. Io credo che il vangelo, anche se non ha soluzioni tecniche precise, ha però qualcosa di importante da dire su questi argomenti. E io chiedo alla chiesa, alle parrocchie, ai miei fratelli di fede di aiutarmi a conoscere e a praticare il vangelo su questi punti.
Una ragazza
[97] Se permettete mi inserisco in questo confronto tra vita quotidiana e iniziative comunitarie. Penso che la missione e la carità richiedono tutte e due le cose. Ma forse ci vuole qualcos'altro. Forse il problema vero è quello di uno stile di vita che è chiesto ai credenti e alle comunità. Io mi faccio spesso delle domande, a cui non so rispondere. Per servire i poveri non dovremmo imitare un pò più la loro vita? Non dovremmo usare mezzi un pò più poveri? Non stiamo forse facendo semplicemente dei doppioni di ciò che fa lo stato? Non stiamo forse dando un carattere troppo manageriale organizzato ai nostri interventi di carità? Perché non usiamo quei mezzi poveri di contestazione sociale quali sono la resistenza passiva, la non violenza, l'astensione ad oltranza da certi prodotti per i quali i popoli si fanno la guerra? Perché non rilanciamo l'idea dei prestiti senza interesse? Perché quando non vediamo dei risultati immediati, andiamo in crisi e non crediamo che proprio allora comincia la carità vera, quella che Dio crea in noi, dentro la nostra povertà e la nostra preghiera? Perché non pratichiamo più seriamente il digiuno, come segno di povertà davanti a Dio e come risorsa per aiutare chi non ha da mangiare?
Un giovane
Io non oso rispondere alle domande che tu hai fatto.
La ragazza
Non pretendo una risposta immediata. Però chiedo che tutti noi abbiamo il coraggio di farci queste domande.
Il giovane
[98] Volevo appunto dirti questo. Le tue domande mi interessano. Anzi, tutta la discussione, che stiamo facendo, mi interessa. Mi pare che stiamo toccando qualcosa di veramente importante per la vita della nostra comunità. Noi giovani viviamo un pò ai margini della comunità. Voi adulti cercate magari di venirci incontro e di attirarci in ogni modo, ma noi siamo sempre sfuggenti. Voglio essere sincero: la colpa è anche nostra. Ci piace la vita comoda. Siamo sempre in cerca di ciò che ci diverte di più. Siamo troppo preoccupati di noi stessi e del nostro avvenire. L'impegno serio e stabile, che la comunità cristiana ci chiede, ci fa paura e cerchiamo in tutti i modi di scansarlo. Però siate sinceri anche voi: non sempre ci proponete cose serie. La smania del benessere ce l'avete comunicata voi, anche se voi sapete coprirla bene con alcune abitudini di moralità e di religiosità che avete imparato fin da bambini, quando questo benessere non c'era ancora e la vita era più dura. Poi non ci convincono molto le proposte di catechesi e di carità. Io sono mancato tante volte alla catechesi per pigrizia, però penso che bisogna inventare qualche forma nuova, che raggiunga i giovani là dove essi vivono e li risvegli dalla loro superficialità. Guardiamo, per esempio, anche all'ora di religione Tante volte si chiacchiera e si perde tempo. Però quando l'insegnante propone un discorso serio e organico, l'attenzione aumenta. Adesso si potrà scegliere se chiedere o no l'ora di religione. Io penso che sceglierò di chiederla, perché, come cristiano, mi interessa sapere come la mia fede abbia anche degli aspetti culturali e, come cittadino, ritengo utile conoscere un pò meglio il cristianesimo che è una matrice fondamentale della nostra civiltà. Però voglio sperare che siano stati preparati programmi seri e interessanti e non ci si sia accontentati di conservare comunque l'ora di religione anche nel nuovo concordato.
Quanto alle proposte di carità sono utili le esperienze con gli anziani, con gli handicappati; e io ho fatto male a snobbare queste cose. Però qualche volta mi sembrano un gioco, che elude i problemi più seri della società. Invece mi pare che stavolta ci stiamo avvicinando alle cose veramente importanti. Non vorrei dare l'impressione di aver fatto un giudizio universale. Sono il meno adatto, perché sono il primo a tirarmi indietro dai miei impegni.
Il parroco
Ti ringrazio per la schiettezza. Le cose che hai detto mi sembrano serie e oneste. Vorrei solo dirti di non accontentarti di riconoscerti pigro ed egoista. Si può anche migliorare. Sentiamo se qualche altro giovane ha cose nuove da sottolineare.
Un altro giovane
[99] Io non voglio passare per giovane modello. Ho anch'io tanti difetti. Però sinceramente mi sento inpegnato nella mia vita di fede. Devo ringraziare il mio gruppo, che mi è stato vicino nella crisi dell'adolescenza e mi ha aiutato a conoscere Gesù Cristo in un modo convincente ed essenziale: un modo che chiamava in causa la mia vita, i miei problemi e mi chiedeva scelte precise e coraggiose. Nel mio gruppo trovo tutti gli strumenti che mi aiutano a coltivare la mia fede. Trovo anche tante iniziative concrete di impegno verso gli altri. Comunque anch'io ritengo interessante e importante il discorso che stiamo facendo. Mi accorgo infatti che il mio gruppo ha soprattutto una funzione educativa. Vuole educarmi a una vita cristiana che non devo vivere dentro il gruppo, ma dentro tutta la comunità cristiana aperta ai problemi della società.
Qualche volta la chiusura della parrocchia a certe esigenze di rinnovamento nell'annuncio della fede e nel vivere l'impegno sociale finisce per creare una barriera tra la comunità cristiana più vasta e i singoli gruppi, che fanno quel che possono: qualche volta cercano di dialogare con le altre componenti della comunità, qualche volta vanno per la loro strada. Eppure è importante che vengano capiti e configurati meglio i ruoli diversi e complementari che hanno le comunità istituzionali e i gruppi. Penso che i temi della missione e della carità, così come abbiamo cercato di discuterli ora, possono veramente aiutare le parrocchie a rinnovarsi e a diventare un luogo stimolante di unità e di confronto per i vari gruppi. Per questo prego l'arcivescovo di insistere su questi temi e di trovare modi concreti per farli passare nella vita delle parrocchie e dei gruppi.
L'arcivescovo
Il tuo intervento mi chiama in causa direttamente, ma anche gli altri interventi mi hanno colpito e interessato. Vedo tanta buona volontà, tanta saggezza e capacità di ascolto nel vostro parroco. Non voglio dare per ora delle risposte. Cerco soltanto di capire se le tante cose serie, che sono state dette, hanno una radice comune, dipendono da una questione fondamentale. Ho parlato di cose serie: ecco vorrei insistere su questo aspetto della serietà. Mi pare questo il problema cruciale: l'enorme serietà della vita cristiana. La missione e la carità dicono che la vita cristiana è un caso serio. La suora ha detto che le è sembrata più facile l'assimilazione delle prime lettere pastorali sulla contemplazione, sulla Parola, sull'eucaristia. Ma qui sta il punto: la missione e la carità non si aggiungono ai temi precedenti, bensì ne esprimono semplicemente l'impressionante serietà. Il Dio a cui ci apre la dimensione contemplativa della vita; il Dio che ci parla in Gesù è nella Scrittura; il Dio a cui Gesù ci unisce, attirandoci a sé nell'eucaristia, è un Dio che ci ama in modo estremamente serio.
L'amore di Dio è serio, perché suscita la nostra libertà e rischia fidandosi di essa. Corre il rischio che essa dica di no, condannando se stessa alla rovina e al fallimento. E' serio, perché ci mette in guardia contro questo rischio, parlandocene apertamente, avvisandoci della dannazione irreparabile a cui andiamo incontro, se ci ostiniamo nel rifiutare l'amore.
E' serio, perché quando l'uomo ha effettivamente detto di no col peccato, Gesù si è avvicinato all'uomo peccatore, ha preso su di sé il dramma del peccato e della morte, è diventato un amore maltrattato e crocifisso, per liberare l'uomo dal peccato e restituirgli la possibilità di dire di sì all'amore e di testimoniare l'amore presso i fratelli.
La contemplazione, l'ascolto della Parola, l'eucaristia non raggiungono il loro pieno valore, se non ci portano a scoprire la serietà delle nostre scelte libere, il dramma in sé irreparabile del nostro rifiuto, l'amore di Dio che perdona persino il peccato e ci affida di nuovo il compito di amare. La missione e la carità parlano appunto del nostro compito di testimonianza e di amore. Ma la libertà, il peccato, la solidarietà delle persone umane nel bene e nel male, l'intreccio della libertà di ogni persona con la libertà delle altre, il cammino di riconciliazione, sono tutti argomenti seri e complessi. Per questo, forse, le lettere pastorali sulla missione e sulla carità sono difficili da scrivere e da leggere, da proporre e da assimilare.
Mentre, però, parlo del peccato, della minaccia della dannazione, dell'amore di Gesù crocifisso, mi vengono alla mente tante parole forti e chiare, dette a questo proposito da san Carlo nei discorsi tenuti ai milanesi del suo tempo.
Come sarebbe bello se san Carlo potesse ridirle oggi qui per noi, magari in modo adatto al nostro linguaggio!
Ma qui mi viene incontro una scoperta curiosa, frutto anch'essa di questa visita pastorale. E' un manoscritto antico. Ascoltatemi con attenzione.
Nel mostrarmi l'archivio, il parroco mi dice: qui c'è una cartella molto antica. Vi sono i documenti della prima visita pastorale di san Carlo.
Apro la cartella e soppeso i vecchi fogli nella mano con venerazione. Li scorro per vedere se riesco a decifrare qualcosa di quella scrittura vigorosa ma troppo compatta, e un po' sbiadita. All'improvviso mi si illuminano gli occhi. Mi pare di leggere nel margine destro di un foglio un titolo press'a poco così: Omelia che tenne il Cardinale di Santa Prassede in occasione della Sacra Visita dell'anno del Signore 1583.
L'emozione cresce a mano a mano che trascrivo le parole, o meglio le riscrivo nella nostra lingua. Mi viene alla mente la fatica del Manzoni con quel suo antico manoscritto, con quel suo "dilavato e graffiato autografo". E forse questo pensiero che mi autorizza a ritrascrivere liberamente queste pagine, cosicché ora non so più bene se esse sono di san Carlo o sono mie. Sarà un po' una predica a quattro mani. Ascoltatela!
La predica di san Carlo
Grande tu sei o Signore nella tua misericordia, e grande con i tuoi figli che in ogni tempo istruisci con la dolcezza della tua grazia.
Grande sei tu nei tuoi doni, che in ogni tempo dispensi a noi, poveri peccatori!
[100] Ecco che tu mi hai ispirato due intuizioni nate attorno ai due doni più preziosi, che Gesù tuo figlio ha fatto alla chiesa sua sposa: la Parola e l'eucaristia. Attorno alla Parola sono fiorite le scuole della dottrina cristiana per l'istruzione religiosa del mio popolo. Attorno all'eucaristia sono cresciute le confraternite del santissimo sacramento. Come sono belle le divise fiammeggianti dei confratelli durante le processioni eucaristiche! Quanto grande la fede che tu ispiri, quanto solenni i canti vigorosi che ti celebrano, quanto preziosi i turni di adorazione in cui essi ti vegliano in compagnia degli angeli!
O Signore, custodisci la semplicità dei tuoi figli e custodisci nel futuro la loro fede, che sarà insidiata in tempi difficili.
Il mondo cambierà: sorgeranno anche nella tua chiesa parole nuove per indicare contenuti antichi. Ma anche se mutano i vestiti degli uomini, Tu sei sempre lo stesso, e i tuoi anni non hanno fine.
[101] Ma come faranno i tempi futuri a tenere salde le radici perenni della missione e della carità? Vi dirò questo a partire dalle mie meditazioni notturne, che faccio non di rado anche quando visito le parrocchie. Mi concedo qualche ora di riposo, ma passo per lo più lunghi tempi in preghiera. In certe occasioni, prima di giornate importanti, quando mi trovo in luoghi particolari come i santuari, la preghiera dura tutta la notte. Contemplo a lungo Gesù crocifisso e non riesco talvolta a frenare le lacrime. Ecco: vorrei cercare di farvi capire il perché di quelle ore contemplative e di quelle lacrime. Cercherò di farlo con ordine. Infatti ho imparato a stendere in maniera originale gli schemi, con cui raccolgo e ordino i pensieri da dire nelle prediche. Quegli schemi assomigliano a delle piante. Il tema centrale della predica è come il tronco, da cui partono, come rami, i punti principali del discorso; da questi partono, come rami più piccoli, le applicazioni derivate, e così via.
Se volete, vi delineo la "pianta" del discorso di oggi. E' semplicissima: un tronco e quattro rami. Il tronco è la contemplazione del Crocifisso; i rami sono gli insegnamenti che Gesù ci impartisce dalla croce: la gravità del peccato, il pericolo della dannazione, la necessità della conversione, I'urgenza della carità.
[102] Che cosa accade in me durante le lunghe ore di contemplazione di Gesù crocifisso? Qualche volta mi accontento di guardare intensamente il corpo di Gesù, i suoi occhi, le sue ferite, le sue braccia aperte per accogliere tutti. Altre volte riunisco mentalmente attorno alla croce gli altri episodi della vita di Gesù e scopro che la croce li interpreta tutti, dalla nascita povera e umile all'infanzia nascosta e laboriosa, alla preferenza per i malati, per i piccoli, per i peccatori, per i poveri. Altre volte ancora, specialmente dopo alcune dure esperienze del ministero episcopale, pongo ai piedi della croce di Gesù le malattie, le povertà, le miserie morali, i casi disperati, che vado incontrando ogni giorno.
Tutto questo però è come l'attesa e la preparazione di un momento misterioso, a cui la mia anima si protende con intenso desiderio e insieme con timore e trepidazione. Non saprei dire quando e come quel momento arriva. Non saprei nemmeno dare un nome a ciò che sperimento in quel momento. Potrei dire che avviene il passaggio dal dolore all'amore. Anche se avviene tante volte, mi pare sempre un'esperienza nuova. Ad un certo punto sento che tutta la mia persona viene afferrata dalla certezza luminosa che il sangue di Gesù, le piaghe, la corona di spine, le sofferenze atroci dell'agonia e della morte sono "parole di amore". Il dolore rimane in tutta la sua durezza, ma è come attraversato e oltrepassato dalla forza con cui il Padre e Gesù, uniti in un'unica intenzione e in un'unica decisione, dicono il loro amore per me e per ogni uomo, si dicono pronti ad affrontare qualsiasi sofferenza per attrarre me e ogni uomo in quel!'unico Spirito di amore, che fa di loro due una cosa sola. A questo punto, senza che me ne accorga, mi sgorgano le lacrime. Mi lascio attrarre dall'amore. Capisco che un amore così immenso, come quello che viene vissuto sulla croce, è capace di vincere ogni male. Sento che tutti gli uomini, che ho posto ai piedi della croce col loro peso di peccato, di malattia, di povertà, di disperazione, vengono attratti con me da Gesù crocifisso. Provo un senso di consolazione e di pace. Poi, però, m'accorgo che non è sempre così. Io stesso, in certi momenti della mia vita, non penso a Gesù, non mi lascio attrarre totalmente dal suo amore. Penso agli uomini che non conoscono l'amore di Dio, lo disprezzano, lo rifiutano. Sgorgano allora altre lacrime: di pentimento per i miei peccati e di immensa pietà per gli uomini. Penso al mio compito di vescovo, a quello che dovrei fare per annunciare l'amore di Dio. Davanti al Crocifisso verifico i miei propositi, chiedo luce per la mia azione pastorale, preparo le mie prediche, penso ai gesti di carità con cui recare l'amore di Dio ai poveri, ai malati, ai carcerati. La croce mi suggerisce alcune verità fondamentali, che cerco di ricordare insistentemente ai miei fratelli di fede, e che ora ricordo a voi.
[103] La croce rivela anzitutto il nostro peccato. Il peccato da solo non basta a spiegare la croce di Gesù. C'è in essa un amore così sovrabbondante, che è inconfrontabile con il peccato. Il peso dell'amore è immensamente più grande del peso del peccato. Solo l'amore spiega compiutamente la croce. Sta di fatto, però, che la desolazione, l'atrocità, la sofferenza, la crudezza, presenti nella croce di Gesù, ci dicono che Dio ha preso sul serio la nostra libertà, con tutta la sua terribile capacità di dir di no, di odiare, di far soffrire, di dare la morte. Quando uno guarda la croce, comprende fin dove la libertà peccatrice è capace di arrivare. Però comprende anche fin dove è capace di arrivare l'amore di Dio nel distruggere il peccato e nel perdonare. Peccato e perdono vengono compresi insieme nello sguardo rivolto alla croce.
Nasce allora nel mio cuore un desiderio struggente: se gli uomini guardassero la croce! E insieme col desiderio una domanda: che cosa tiene gli uomini lontano dal guardare la croce?
Là dove c'è poca cultura e rozzezza di vita agisce forse una specie di grossolanità della coscienza, di inerzia spirituale, di ignoranza. Per questo mi sforzo di predicare con chiarezza e insistenza contro i vizi morali più diffusi e di curare l'istruzione religiosa e morale del popolo.
[104] Ma verranno tempi in cui i popoli staranno di fronte a un ostacolo ancora più insidioso nel guardare la croce. Sembrerà impossibile che da essa venga la salvezza. Così come non si vorrà ammettere che il fallimento possa venire dal peccato. Gli uomini, alle prese con le conquiste del mondo materiale, con le strutture sociali, con i mezzi della scienza e della tecnica, penseranno che il "bene" e il "male", la "salvezza" e la "dannazione" si giochino unicamente in questi settori. Ammetto pure che tali realtà hanno un grande rilievo. Tuttavia il dare un rilievo assoluto a queste cose, il farle diventare il fattore più importante è falso. Si rientra nella verità solo se si riesce a guardarle e ad apprezzarle dentro una scala di valori più ampia. Questo è già il frutto di una decisione, di un giudizio etico, di una valutazione morale. La sfera morale è quella che vale veramente. Se uno guarda le cose da questa sfera, comprende la propria miseria morale, accoglie l'amore del Crocifisso, come salvezza indispensabile e suprema e ha un'unica paura: quella di non capire, di rifiutare l'amore, che ci viene offerto dall'alto della croce.
[105] Purtroppo questa paura salutare si attenua spesso o addirittura scompare. Dio allora nelle sacre scritture ci fa il dono di ricordarci frequentemente il rischio a cui siamo esposti. Nella mia predicazione insisto fortemente sui castighi eterni, di cui sono ammonitrice prefigurazione i castighi temporali. Verranno tempi in cui non piacerà molto questo tipo di predicazione. Si dirà magari che questi richiami non corrispondono alla centralità dell'amore, che è il messaggio essenziale del vangelo. Eppure anche la minaccia della dannazione deriva dall'amore. Gesù sa che soltanto dimorando nel suo amore noi abbiamo la vita. Gesù vuole intensamente e seriamente che viviamo nel suo amore. Da questa medesima, irremovibile volontà, vengono sia le prove dell'amore - e la croce è la prova suprema - sia gli ammonimenti circa la morte, la "dannazione" che incontriamo fuori da questo amore.
Forse voi siete sorpresi e disgustati dalle minacce dei castighi corporei. Ma noi siamo esseri corporei. La salvezza e la dannazione riguardano anche la nostra corporeità. Siamo inoltre così superficiali e grossolani, che talvolta siamo scossi solo da minacce che riguardano i beni materiali. Gesù, che ci vuol bene, non ci fa mancare nel suo vangelo queste minacce. Accogliamole con umiltà e gratitudine. E facciamo in modo che esse diventino sempre meno necessarie, perché sempre più ci lasciamo attrarre, stimolare, correggere dai grandi segni di amore, che Gesù ci ha offerto.
L'importante è che, sia attraverso le prove dell'amore di Dio per noi, sia attraverso le minacce, noi ci convertiamo dal peccato a una vita nuova, a un nuovo modo di vivere la libertà.
[106] La libertà dell'uomo che ha peccato, quando incontra la croce di Gesù, non è distrutta o esonerata dai suoi compiti, bensì viene restituita a se stessa. Le viene ridata la possibilità gioiosa di scoprire il disegno di Dio, di scoprire se stessa in questa chiamata a esprimere questo disegno, di aderire a questo disegno con stupore, con gratitudine, con obbedienza, con generosità. Questa è la conversione cristiana. Anch'essa è una prova della serietà con cui Dio ci ama, fino a volerci e a costituirci suoi collaboratori nella libertà e nella operosità. Credetemi: faccio molta fatica a far capire la bellezza e le esigenze della vita nuova, propria dei discepoli di Gesù. Incontro come uno stordimento generale, una cecità morale, che non dipende soltanto dalla vita indebolita degli animi, ma anche da una tenebra esteriore, che colpisce la mentalità, le abitudini, i costumi. Ecco perché non mi accontento di predicare alle coscienze, ma impartisco anche regole severe e minuziose per la vita comunitaria e cerco di intervenire nella società, scontrandomi talora direttamente con i responsabili della vita pubblica.
[107] Cesserà un giorno questa ottusità morale? Non lo sappiamo. Io penso che dovremo sempre lottare, giorno e notte. Verranno anzi tempi in cui crescerà la confusione circa il vero bene dell'uomo. Dovrete avere il coraggio di cercare le cause di questa confusione. E dovrete intervenire con ogni mezzo per ricreare nella società alcune certezze fondamentali, che siano capaci di orientare il cammino morale, che ciascuno deve compiere personalmente nella libertà e nella responsabilità. I mezzi a disposizione sono diversi nei diversi tempi. Dovrete scoprirli di volta in volta e adattarli alle nuove situazioni, partendo dai valori della famiglia e dell'educazione e arrivando alle forme di partecipazione in tutti i settori della vita culturale, sociale, economica e politica.
[108] Quello che fraternamente vi chiedo è che in tutte le vostre azioni e i vostri interventi abbiate un'unica mira: testimoniare la carità di Cristo per ogni uomo.
[109] Proprio sulla carità voglio dirvi l'ultima mia parola. So che è ancora viva nella vostra memoria la carità da me praticata in tutti questi anni, ma specialmente durante la peste del 1576. Le lacrime da me sparse davanti al Crocifisso e quelle versate davanti agli appestati, si sono fuse in un unico pianto.
La cosa semplicissima, che vorrei dirvi, è di tenere sempre uniti questi due atteggiamenti, questi due pianti.
Talvolta, leggendo il resoconto della mia azione caritativa durante la peste, siete portati a sottolineare l'efficienza organizzativa o a esaltare l'eroismo personale. Vi dico con tutta sincerità che l'ultima cosa a cui pensavo era la mia capacità di organizzare o di rischiare personalmente. Ero come schiacciato da un sentimento di impotenza. Giravo tra gli appestati oppresso da una agonia mortale. L'unica forza era il pensiero di Gesù crocifisso: vedevo negli appestati un'immagine vivente di lui e vedevo in lui l'unico dono, che potessi fare alla mia povera gente. Allora cercavo il più possibile di stare di persona tra i malati, quasi a significare la fedeltà di Gesù. Cercavo di parlare di lui, di dare lui ai moribondi attraverso i sacramenti. Cercavo evidentemente anche di dare tutto quello che potesse portare sollievo materiale: cibo, alloggio, vesti, medicine, assistenza. Ma sapevo che erano solo piccoli, poveri segni dell'amore di Gesù.
Ecco, figli miei carissimi, vi invito a coltivare nella vostra azione caritativa l'attenzione a Gesù e l'attenzione alle singole persone. C'è un'immediatezza di rapporti tra le persone, che precede gli interventi più complessi e organizzati. E c'è un'immediatezza personale, che viene riscoperta al termine di questi interventi, dopo che si è esplicato un immenso lavoro per i fratelli attraverso la ricerca scientifica, l'organizzazione assistenziale, la legislazione, la programmazione politica. Essa viene riscoperta come suggello di tutto il lavoro, come verità e senso dei progressi compiuti, come incitamento per il molto che resta ancora da fare, come ricompensa per le fatiche incontrate, come speranza in Dio, che solo può guarire, consolare, salvare pienamente, oltre ciò che possiamo fare e non possiamo fare su questa terra.
[110] La carità è infaticabile nell'inventare i mezzi, con cui aiutare i fratelli; il vostro tempo vi offre la sfida, la possibilità e il compito di inventare e usare nuovi mezzi, proporzionati allo sviluppo tecnico, scientifico, sociale, politico.
Ma chiedete al Signore il dono di arrivare, proprio attraverso questa possibilità, alla scoperta di una nuova immediatezza di rapporti fraterni.
Io prego perché ciascuno di voi sappia vedere ogni fratello attraverso lo sguardo di Gesù crocifisso.
[111] Quando fu terminata la lettura della predica di san Carlo, ci fu un silenzio profondo. Nessuno osava più prendere la parola. Allora pensai di esporre alcune brevi riflessioni conclusive, che aiutassero a calare nel presente alcune delle gravi affermazioni di san Carlo .
Ecco più o meno quanto dissi.
Fratelli e sorelle nel Signore, con un linguaggio
semplice, adatto alla stagione estiva, ho cercato di dirvi alcune cose gravi e importanti, che riguardano il nostro cammino pastorale. In particolare vi ho comunicato preoccupazioni e speranze circa i temi della missione e della carità.
L'urgenza e insieme la difficoltà di questi temi dipendono dal fatto che in essi emerge, in modo più esplicito che non in altri, l'attualità della fede, cioè il confronto della fede con l'oggi, col nostro tempo, col mondo in cui viviamo, coi problemi della nostra società.
Il confronto non avviene per semplice accostamento di due realtà estranee, come se l'oggi fosse un recipiente e la fede una sostanza preziosa che vi viene versata .
L'oggi siamo noi, con la nostra storia personale, con la nostra intelligenza, con la nostra libertà, con le nostre relazioni, con le concrete condizioni materiali e sociali in cui viviamo.
La fede è ancora questo nostro oggi visto e vissuto come libera apertura a Dio; come accoglimento della parola di Dio; come sequela di Gesù, in cui Dio si è donato totalmente a noi; come docilità allo Spirito, che ci fa scoprire e ci fa compiere i gesti concreti, con i quali noi possiamo vivere qui e ora la stessa carità di Gesù.
[112] Si suole indicare tutto questo, dicendo che i credenti compiono la loro missione di carità nel mondo d'oggi mediante il discernimento spirituale. Questo comporta attenzione, docilità, familiarità con i desideri dello Spirito, così da saper distinguere e assecondare, dentro i fatti della storia, quei fenomeni, quei gesti, quelle scelte, quegli orientamenti che vengono da Gesù e a lui conducono, attuando in tal modo il vero bene dell'uomo.
[113] Per il discernimento ha un grande valore educativo la consuetudine contemplativa con la Parola di Dio; occorre abituarsi alla comunicazione della fede con i fratelli; conta l'analisi attenta e serena dei fatti umani.
Tra tutti questi aspetti, però, ha un'incidenza molto significativa l'accostamento di quei modelli concreti di discernimento spirituale, che ci vengono offerti da alcuni eventi della chiesa o della vita di singoli credenti.
Accenno quindi in chiusura a qualche evento di questo genere, che ci tocca particolarmente da vicino .
[114] Celebriamo quest'anno il duecentesimo anniversario della nascita del Manzoni. Il periodo più feeondo dell'attività letteraria di questo nostro grande scrittore si colloca in quei primi prestigiosi decenni del secolo scorso, in cui la cultura occidentale ha cercato di interpretare i fenomeni che erano andati maturando nell'epoca moderna, quali il senso della storia, il valore della soggettività, i conflitti sociali, l'aspirazione alle diverse espressioni personali e comunitarie della libertà.
Qualche pensatore ha cercato di ricondurre tutto ciò a un quadro razionale onnicomprensivo, immanente alla storia umana. Altri, nei decenni successivi, hanno criticato l'astrattezza di un simile quadro e hanno costruito sistemi di pensiero e programmi di azione o sulle condizioni materiali della storia o sugli interessi economico-sociali o sulle pulsioni vitali o sulla esasperata e disperata autoaffermazione della libertà.
Il Manzoni, dotato di un acuto senso della storia, attento alle vicende di singoli personaggi dentro i fatti e lo spirito di diverse epoche, colpito anche nella vita personale dal dramma del dolore, partecipe delle aspirazioni del popolo italiano alla libertà e all'unità, ha cercato di trovare nella fede cristiana la luce per interpretare tutti questi fermenti dell'uomo moderno. La sua opera, quindi, può essere vista come un poderoso e suggestivo esempio di discernimento spirituale, reso particolarmente efficace dalla genialità artistica. Le vicende dei personaggi sia delle due tragedie, sia del romanzo, così come i casi della vita, descritti e trasfigurati negli Inni sacri dentro la luce degli eventi di Gesù, della chiesa e della Madonna, ci possono aiutare a capire anche gli aspetti più significativi e inquietanti del mondo contemporaneo, che ha la sua matrice nell'epoca moderna.
[115] Alcuni dei temi accennati in questo mio scritto, come la libertà, il peccato, la riconciliazione nella chiesa e nel mondo, hanno trovato un'ampia trattazione nell'ultimo sinodo dei vescovi. Anch'esso può essere visto come un esempio di discernimento spirituale, perché ha cercato di capire in quali forme il peccato è presente nel mondo d'oggi, quale rapporto c'è tra individuo e società in ordine alle lacerazioni tipiche del nostro tempo, quale coscienza del peccato ha l'uomo contemporaneo, come la riconciliazione, operata da Cristo nella chiesa e accolta negli itinerari penitenziali, diventa compito missionario per le comunità cristiane e per i singoli credenti nel mondo d'oggi.
[116] Il sinodo è stato preparato e poi interpretato autorevolmente da due interventi del papa, I'enciclica Dives in misericordia e la lettera apostolica Reconciliatio et poenitentia: il rileggere attentamente questi documenti orienterà fruttuosamente il nostro discernimento spirituale.
[117] Un'applicazione del discernimento operato dal sinodo alla nostra situazione italiana è stata fatta nel convegno di Loreto dello scorso aprile. Più volte ne ho parlato. Mi limito a invitare alla lettura attenta del documento conclusivo e a ricordare che i delegati della nostra diocesi - che di nuovo ringrazio per la generosa partecipazione - sono ancora al lavoro per trovare i modi con cui trasmettere alla nostra chiesa diocesana i doni di discernimento spirituale sperimentati nel convegno di Loreto.
[118] Vorrei mettere in continuità col convegno di Loreto il convegno diocesano sulla carità, con il quale concluderemo il biennio pastorale, che stiamo dedicando al tema della carità. E' già nelle nostre mani da alcuni mesi la lettera pastorale Farsi prossimo. L'estate può offrire ai singoli e ai gruppi molte occasioni per approfondirla, anche con l'aiuto del presente mio scritto.
Nel discorso programmatico dell'8 settembre indicherò alcune mete spirituali e pastorali, che tutte le comunità si impegneranno a perseguire nel prossimo anno.
Prima della quaresima verrà approntato un sussidio, contenente riflessioni, piste di ricerca e di lavoro, punti particolareggiati per poterci preparare al convegno conclusivo che si terrà nell'autunno del 1986.
Nel frattempo ci stiamo anche preparando a due scadenze che caratterizzano il prossimo anno 1986: il sesto centenario della posa della prima pietra del Duomo (1386) e il decimo-sesto centenario della conversione di sant'Agostino (386).
Queste le scadenze esteriori del nostro cammino. Per i passi interiori affidiarnoci alla grazia di Dio, che ha saputo infondere nel cuore del buon samaritano un vivo sentimento di compassione per l'uomo maltrattato e bisognoso di salvezza.
La Madonna, che ci ha introdotti nell'estate con la festa della visitazione; che ci verrà incontro nel cuore delle vacanze con la festa dell'assunzione; che ci attende per la ripresa piena delle attività pastorali nella festa della sua natività, cammini insieme con noi.
Lettera ai fedeli nella memoria dei santi Nabore e Felice - 12 luglio 1985
[119] Con questa lettera desidero rendere conto del convegno "Farsi prossimo" che si è concluso ad Assago il 23 novembre u.s. E giusto infatti che quella che è stata una fatica e una costruzione paziente di tutta la diocesi, a partire dalla lettera pastorale Farsi prossimo del 10 febbraio 1985, venga ora ripresentata alla diocesi stessa nei suoi risultati e nelle sue conseguenze per il nostro cammino futuro.
In realtà questa "ripresentazione" è affidata anzitutto agli Atti del convegno, che riporteranno per intero gli interventi, le relazioni e le sintesi. Qui mi limito a sottolineare alcuni punti che è utile portare subito a conoscenza di tutti riprendendo il contenuto del discorso di s. Ambrogio del 6 dicembre.
La festa di s. Ambrogio ha assunto infatti quest'anno un rilievo particolare. Essa si è celebrata nel XVI centenario della Basilica ambrosiana, la cui dedicazione avvenne nel 386 con il trasporto fatto dallo stesso s. Ambrogio delle reliquie dei santi Gervasio e Protasio; reliquie che ancora oggi sono venerate insieme con il corpo del santo patrono nella cripta sotto l'altare.
Insieme con il sesto centenario del Duomo e il decimosesto centenario della conversione di s. Agostino, la celebrazione del centenario della Basilica ambrosiana ci ha fatto rivivere alcuni momenti molto intensi della nostra storia religiosa e civile, e ha preparato gli animi alla celebrazione del convegno diocesano "Farsi prossimo" che si è celebrato nella seconda metà di novembre a Milano e Assago. E appunto di questo convegno che vorrei parlare rispondendo ad alcune semplici domande, che aiutino anche coloro che non vi hanno partecipato o ne hanno avuto notizie solo frammentarie, a entrare in comunione con un evento singolare nella storia della nostra chiesa.
[120] Lo faccio pensando da una parte a s. Ambrogio e alla sua preoccupazione per esprimere nella società del suo tempo il sigillo della carità cristiana e della giustizia evangelica, e dall'altra al card. Andrea Carlo Ferrari, di cui è prossima la beatificazione. Egli, che è stato l'arcivescovo del popolo, venuto da gente semplice ed educato alle aperture pastorali dalle sofferenze del popolo del suo tempo, ci apra gli occhi perché comprendiamo la chiamata che risuona da questo convegno.
[121] 1. Lo potremmo descrivere facendo riferimento ad immagini bibliche. Qualcuno ha suggerito quella dei discepoli di Emmaus, il cui cuore si accendeva mentre conversavano con il viandante nel cammino. Oppure, pensando al grande numero dei delegati riuniti insieme in preghiera ad Assago, si potrebbe fare riferimento ai discepoli riuniti nel cenacolo, in attesa della pentecoste. Nella mia predica di apertura in Duomo mi ero rifatto all'immagine del ferito sulla strada di Gerico, che vede uno sconosciuto chinarsi con amore su di lui e fasciargli le ferite. Ciascuno di noi si incontra così con gli occhi di Gesù e contempla nel suo soccorritore il Signore crocifisso, che ci guarda con amore, ci guarisce dalle ferite del nostro orgoglio, ci ispira il desiderio di fare anche noi lo stesso per gli altri (cf. Lc 10,37).
A questo proposito così si esprime la sintesi del secondo itinerario del convegno: "Non esisterebbe esercizio di carità nella chiesa... se Dio non lo avesse avuto per primo".
[122] Ma l'immagine che ora mi viene più spontanea dopo quanto è avvenuto è quella della "Pentecoste in piazza" descritta nel capitolo 2 degli Atti: cioè l'immagine di una moltitudine che esperimenta davanti a tutti, nel quadro della vita di ogni giorno, la gioia e la novità dello Spirito santo.
Cito testualmente alcune testimonianze pervenutemi. Si avvertiva "una tensione e una vitalità che poche volte si vedono in assemblee così numerose. Gli intellettuale e i politici di solito i convegni li fanno nei corridoi: qui invece c'era una straordinaria volontà di partecipazione" .
"Da sottolineare il clima spirituale: sereno, senza tensioni senza condizionamenti, di entusiasmo: un'esperienza straordinaria di carità e un'esperienza autentica di chiesa, da trasportare nelle comunità".
"Erano all'opera i fedeli in quanto "profeti e re", svolgendo con molta convinzione il loro ruolo attivo" .
Uno ha scritto la mattina stessa della chiusura del convegno: "Sono un delegato come tanti, in parrocchia non ho mai fatto nulla se non aiutare il parroco nella festa patronale per far cuocere i salamini. Sono stato spinto in questa vicenda a forza... sono arrivato con un po' di paura e scetticismo, vado via con la gioia nel cuore. Questa gioia la voglio portare ai miei amici, a quelli che non hanno vissuto questi giorni, a tutti i parrocchiani".
2. Ma può anche essere utile richiamare brevemente il quadro strutturale e cronologico dei lavori. Parlando in sintesi si potrebbe dire che il convegno è stato caratterizzato da preghiera, ascolto, dialogo, i proposta .
Esso si è articolato in un momento introduttivo di preghiera in Duomo il 15 novembre, in cui ha trovato posto la prima relazione di mons. Nervo su "L'educazione alla carità". Il 21 novembre, nel centro congressi di Assago, mons. Nicola ha tenuto la seconda relazione su "Educazione alla carità politica", seguita da una introduzione di Maria Dutto dal titolo "Una chiesa della carità". Seguivano nel pomeriggio e nel giorno seguente i lavori delle quaranta commissioni, divise in quattro itinerari o ambiti (1. Per una chiesa della carità: il soggetto ecclesiale; 2. L'azione pastorale della chiesa come esercizio della carità; 3. La chiesa della carità nelle sue relazioni con la società civile; 4. La responsabilità dei cristiani nella dialettica giustizia-carità). Il mattino del 23 novembre vennero proposte quattro sintesi dei lavori delle commissioni secondo i quattro ambiti, per concludere con la celebrazione dell'eucaristia. Al mattino e al pomeriggio si celebrava sempre con solennità la liturgia delle ore, e nelle sere di venerdì e sabato vennero presentate 22 esperienze di carità nel territorio, tratte dalle 73 pervenute.
Nel complesso i partecipanti furono 2260 (di cui il 37% donne). I laici presenti rappresentavano 1'80% del totale. A questi dati è opportuno aggiungere che nella fase preparatoria si erano tenute 930 assemblee parrocchiali, 72 assemblee decanali e 74 assemblee civili, quattro seminari di studiosi ed esperti e due incontri di tutti i delegati per ogni zona pastorale. Erano anche giunti numerosi contributi scritti, in particolare di aggregazioni ecclesiali.
Queste cifre mi danno qui l'occasione di riesprimere il mio più vivo ringraziamento a tutti quanti hanno lavorato con così grande impegno e sacrificio, dalla giunta direttiva ai più remoti collaboratori. Tutti meritano il "centuplo in questa vita e la vita eterna" dalla bontà del Signore, ma vorrei sottolineare in particolare tra tanti il contributo preziosissimo delle commissioni decanali e delle loro segreterie.
Questo breve richiamo delle coordinate esteriori merita alcune osservazioni. L'impianto già sperimentato nel convegno di Loreto dell'aprile 1985 si è rivelato utile. E stata notata la mancanza di una relazione teologica, che sottolineasse gli elementi dottrinali, specialmente ecclesiologici, sottesi alla riflessione dedicata dal convegno da una parte al tema della parrocchia e del "cristiano di base", dall'altra al tema della coscienza morale. Si è pure osservato che le "testimonianze" della sera, per la loro collocazione nell'orario, non furono seguite da tutti, mentre rappresentavano un momento particolarmente forte di "contagio" e una dimostrazione di quanto valga la creatività anche a livelli semplici quando si apre il cuore al vento dello Spirito. Ha scritto un delegato: "Le esperienze andavano simbolicamente poste non solo alla sera, ma nel pieno dei lavori assembleari e liturgici".
[123] Da quanto si è detto sin qui è possibile dedurre qualche riflessione sul convegno in quanto specchio che riflette il vissuto della nostra chiesa particolare di Milano e luogo di discernimento per un progetto da attuare nella luce e nella grazia dello Spirito.
[124] 1. Il convegno, così come è stato preparato e si è svolto, conferma il carattere popolare della nostra chiesa. Non è stato un convegno soltanto di esperti o specialisti: in esso erano rappresentate le parrocchie, le istituzioni di base; c'erano giovani e uomini maturi, laici e laiche, religiosi, preti e vescovi; sani e sofferenti, gente semplice e gente impegnata nella cultura o nell'attività sociale e politica. Erano molti, ma uniti e composti, segno di una moltitudine non massa, ma popolo, capace di organizzarsi e articolarsi secondo doni, doveri e competenze. E questa la realtà che ha fatto il convegno, che ha mostrato che nel nostro popolo cristiano c'è vivacità, capacità di stare insieme, di esprimersi, di organizzarsi, di muoversi con disinvoltura anche nella "società complessa", di guardare all'avvenire con fiducia.
[125] Si può concludere da tutto ciò che è bene scommettere sulla base popolare della nostra chiesa e in particolare su quelle strutture che sono più vicine a tale base popolare, cioè sulla parrocchia e sul decanato.
Di queste due realtà si è parlato ampiamente nel convegno. "Alla parrocchia- cito dalla relazione finale del primo itinerario - si deve guardare con interesse e simpatia: essa nella sua normalità e quotidianità rappresenta, nel cuore di un determinato territorio, la realtà ecclesiale dove si fa memoria del Signore e si sperimenta il dono della salvezza. E' il luogo dell'ascolto della parola di Dio, della celebrazione dei sacramenti di Cristo, della carità fraterna nella condivisione dei doni dello Spirito".
"11 decanato - cito dal documento conclusivo della commissione 2a - con le strutture di collegialità e partecipazione che lo connotano e lo fanno operare (consiglio pastorale decanale, commissioni, segreteria, ecc.), alimenta le finalità pastorali e missionarie della chiesa e offre alla parrocchia e alle altre aggregazioni ecclesiali occasioni precise e concrete per farsi prossimo".
[126] 2. E' bene scommettere sui laici e sulla loro maturità ecclesiale. Cito dalle testimonianze ricevute. "E la gente comune che ha fatto riuscire con il suo entusiasmo il convegno... Non sciupare il desiderio di lavorare nella quotidianità che era proprio dei delegati. E questo patrimonio di "volontà" e di "esperienza" che va fatto maturare e va educato, anche politicamente...". "I laici presenti hanno sentito di essere dentro una realtà viva, umana e divina, hanno compreso di più il Vangelo come senso della loro vita; hanno conosciuto per la prima volta persone impegnate cristianamente vicine alla propria parrocchia; hanno sperimentato la possibilità di una reale e sincera fusione di associazioni e movimenti".
[127] Sarà dunque importante portare avanti quelle strutture e sussidi formativi che sono stati più volte invocati durante il convegno, tenendo presente in modo speciale il ruolo formativo che l'Azione cattolica, con le altre aggregazioni ecclesiali, è chiamata a compiere per statuto in vista di suscitare nella chiesa locale un laicato maturo nella fede e nell'azione sociale e politica.
Se ne deduce anche l'importanza di quelle strutture che servono per programmare, animare e coordinare il lavoro di base, cioè i consigli pastorali parrocchiali e decanali.
[128] 3. E' necessario privilegiare quelle scelte e far emergere quelle priorità pastorali che configurano il volto della parrocchia come volto familiare e fraterno, come trasparenza del "volto di Dio".
Per volto si intende la declinazione completa della realtà parrocchiale, il suo linguaggio, i suoi gesti, le sue intenzioni profonde, potremmo dire il suo carattere. E aperto o chiuso? disponibile o irascibile? accogliente o elitario? dialogico o scontroso? umile o saccente? (cf. sintesi del primo ambito).
Il problema serio della parrocchia è dunque quello di chiedersi: come rivelo il volto di Dio? Ia sua carità? Ia sua misericordia? Ia sua disponibilità? Come accolgo lontani e vicini, anche quelli "scomodi"? Come accolgo i carismi suscitati dallo Spirito?
Perché la parrocchia possa rendere visibile la chiesa della carità, occorre rivedere con coraggio la sua conduzione nella catechesi, nella liturgia, nella possibilità per donne e uomini, giovani e adulti di essere protagonisti della costruzione della comunità.
Alcune prassi vanno cambiate, con equilibrio, ma anche con coraggio. Alcune voci di bilancio vanno riviste, con serenità, ma con determinazione.
Alcuni consigli pastorali vanno rinsanguati per stile, partecipazione, programmi.
E' la carità che illumina i cambiamenti personali, di gruppo, di comunità, fino ad arrivare alla testimonianza di cui erano capaci i primi cristiani.
[129] 4. Affinché la parrocchia possa essere se stessa, è necessario che essa faccia riferimento alla dimensione del decanato. Solo così essa potrà essere veramente attenta ai problemi del territorio, alle situazioni civili e sociali. Solo in questo modo si assicurerà la necessaria programmazione della pastorale d'insieme e delle attività formative dei quadri.
Occorre, come ho ricordato nell'omelia finale, "allargare i pali della tenda", cioè della comunità parrocchiale.
Occorre però che anche il decanato si faccia luogo fraterno, con la mutua conoscenza e la comunicazione nella fede tra coloro che vi operano, in particolare tra i membri di gruppi e movimenti operanti in diversi ambienti.
5. Questo stile fraterno e dedicato di chiesa non potrà crescere senza un riferimento costante alla centralità dell'eucaristia e la cura del rapporto tra liturgia e vita, con una speciale attenzione alla liturgia domenicale. "Di fatto si tratterà per la comunità cristiana di non vivere in modo separato la fede e la carità, I'eucaristia e il farsi prossimo" (sintesi itinerario 2°).
Si riprendano a questo proposito le indicazioni conclusive della lettera pastorale Attirerò tutti a me, riflettendo nell'ambito del consiglio pastorale parrocchiale su quanto si è fatto e si farà in avvenire per attuare le proposte ivi contenute così da far comprendere che la liturgia eucaristica domenicale è veramente la "forma" della comunità.
[130] 6. Una parrocchia formata dall'eucaristia non può essere che una parrocchia missionaria, cellula di una diocesi che allarga i pali della sua tenda anche verso le dimensioni più ampie dell'evangelizzazione a livello planetario. Non è possibile partecipare con gioia a una mensa come quella eucaristica senza desiderare ardentemente che molti altri, vicini e lontani, dalle siepi e dai crocicchi delle vie come dalle isole d'oriente o dalle estremità del mare, vengano a sedersi alla mensa di Abramo e dei suoi figli. Il nostro ideale di pace e di fraternità lo viviamo in un mondo senza frontiere, dove ovunque desideriamo riconoscere dei fratelli.
[131] 1. Vorrei qui accennare anzitutto a ciò che caratterizza in maniera peculiare il modo di essere della chiesa nella società, che è il modo del servizio, dell'attenzione all'uomo, della dedizione di sé fino al dono della vita.
L'essere cristiani, come ho ricordato nell'omelia finale, non è caratterizzato dall'andare a messa alla domenica ma dal vivere per gli altri, fondato sul fatto che si va a messa alla domenica. Non vive dell'eucaristia se non chi dona corpo e sangue per i fratelli come Gesù.
La chiesa non ha altro modo di essere nella società: la sua ambizione è di servire, a partire dagli ultimi. Perché questo `desiderio rimanga sempre nella sua incandescenza, occorre mettersi alla scuola dei poveri, dei più poveri, stare con loro, condividere il più possibile con loro.
[132] 2. Anche la carità cosiddetta politica, che stimola a mettere le proprie forze al servizio del bene comune per la costruzione della città insieme con tutte le forze vive operanti in essa, nasce da questo desiderio di servire con amore e disinteresse.
L'educazione alla carità politica partirà da questo atteggiamento di fondo per aiutare ad affrontare la procella dell'esperienza politica con la chiara intuizione del fine a cui tendere, della moralità dei mezzi da adoperare. Non si può tendere al bene comune politico se non con mezzi politici buoni e morali.
Di conseguenza la carità può - anzi, deve - investire anche la politica con la propria forza di illuminazione, energia di dedicazione, capacità di servizio. Nel far questo la carità assume connotazioni particolari e anima virtù peculiari (ad esempio, le virtù "civiche"). Trattandosi di un confronto particolarmente arduo e complesso, la carità che si esprime in impegno politico esige uno sforzo educativo specifico da parte della comunità cristiana (cf. relazione di mons. Nicola).
[133] 3. Nasce di qui un modello di rapporti chiesa-società che rifiuta sia quelli ispirati a un senso di estraneità/separazione, o a un senso di appiattimento/omologazione o ancora di concorrenza/sovrapposizione, o anche della "delega" dei compiti civilmente rilevanti ad alcuni più sensibili e versatili. Si fa strada invece un più maturo modello di relazioni che tende a conferire alla chiesa nel suo insieme compiti e responsabilità di animazione etico-civile, cioè di positivo intervento per la salvaguardia e la promozione dei valori e della dignità dell'uomo e per la formazione di uomini e donne disponibili a impegnarsi, con forti motivazioni etiche a partire dalla propria ispirazione cristiana, nei diversi campi del servizio sociale, amministrativo e politico (cf. per tutto questo numero la sintesi del 3° itinerario).
Per quanto riguarda il rapporto tra comunità cristiana e comunità civile, I'immagine a cui è stato fatto riferimento è quella suggerita dalla Lettera a Diogneto, dell'anima e del corpo che connota l'idea di una intima, solidale partecipazione dei cristiani alla condizione comune degli uomini e degli ordinamenti del proprio paese, ma insieme di una eccedenza di ideali di vita rispetto alla giustizia puramente legale, che è indizio e anticipazione di rapporti umani eticamente più densi e aperti a un orizzonte trascendente.
Per quanto riguarda invece le specifiche relazioni tra chiesa e istituzioni pubbliche, là prospettiva è quella suggerita in apertura del nuovo accordo concordatario che si può esprimere con la formula della collaborazione nell'autonomia per la promozione dell'uomo e il bene del paese.
Un chiaro senso dei ruoli di servizio e delle reciproche responsabilità insieme con la coscienza della serietà e della gravità dei patti e delle intese che li sanciscono, sarà condizione necessaria per un più armonico intreccio di forze civili e religiose nel servizio ai drammatici bisogni dell'umanità qui da noi e in ogni angolo della terra.
La carità anima dunque la sfera dei rapporti della chiesa con la società civile, come pure quella dell'azione dei cristiani nel loro agire responsabile nell'ambito della società.
4. La competenza-responsabilità della chiesa in rapporto alla società civile si esprime a diversi livelli: quello del discernimento e del giudizio etico e di una progettualità ispirata dai valori e arricchita da una vivace elaborazione culturale, e quello del concreto servizio ai bisogni.(1)
(1) Il giudizio etico presuppone anzitutto la carità di una verità radicale sull'uomo, che permetta un adeguato discernimento (e se è il caso anche "smascheramento") dei bisogni e sostenga in particolare il primato dell'etica sulla tecnica e anche sull'economia.
Occorre poi dare nome alle forme della vera indigenza che non sempre risultano di immediata evidenza dentro le pieghe della complessità sociale. A questo riguardo si dovrà prestare orecchio soprattutto a quei bisogni di persone e gruppi che non si esprimono, che non si organizzano, che non trovano adeguata rappresentanza (cf. sintesi 3° itinerario).
I cristiani sotto l'urgenza della carità che prende a cuore la realizzazione della giustizia nella società e nell'ambito delle istituzioni, possono percorrere, secondo la vocazione e le circostanze, vie diverse ma complementari: quella della profezia, quella della testimonianza, quella dell'elaborazione e proposta culturale e politica che tende a un consenso che travalica il riconoscimento esplicito della fede (cf. sintesi 4° itinerario).(2)
(2) Per quanto riguarda specificamente le responsabilità civili del cristiano nella dialettica giustizia-carità è stato sottolineato che i credenti si dispongono a questo compito assumendo pienamente l'esercizio della loro laicità e cercano l'incontro con chiunque, anche non credente, sia animato da un coerente e sincero proposito di costruire una città degna dell'uomo e aperta alla sua realizzazione integrale (cf. sintesi 4° itinerario).
[134] 5. Passando in rassegna alcune tra le più significative esperienze presentate nelle serate del convegno, è apparsa una certa latitanza del settore pubblico in ambiti caldi dell'emarginazione. D'altra parte chi si impegna davvero nel volontariato in questi settori, soprattutto se coltiva forme di condivisione, sa quanto bisogno c'è di recuperare in questi tipi di attività il senso politico e dell'istituzionale. Anche nell'impegno per il soccorso dei bisogni il cristiano deve porsi con franchezza nel quadro della società attuale, valorizzando a pieno le opportunità e gli istituti - specie quelli partecipativi - resi disponibili dal nostro stato democratico.
Nasce così, dall'esperienza genuina del farsi prossimo, un'apertura in genere verso il politico che non è fatta né di sterili polemiche O contrapposizioni, né di gesti possessivi, ma cerca forme sincere di collaborazione per venire davvero incontro ai bisogni.
6. E stata anche auspicata in questa linea l'elaborazione di una nuova cultura dell'impegno politico. Ad essa ci stimola una situazione di pluralismo culturale da non intendersi esclusivamente Come elemento negativo, come pure la constatazione ormai comune dello "scollamento tra cittadini e istituzioni, e della relativa crisi dei partiti come strumenti intermediari e soggetti propositivi".(3)
(3) Partendo da una coscienza nuova, e che oggi si fa sempre più acuta, della planetarizazione dei problemi e quindi delle responsabilità, del valore della "pace totale" e del desiderio di partecipazione si è riconosciuto che v'è oggi un'occasione provvidenziale per rilanciare una cultura che si radichi sui principi espressi dal magistero sociale della chiesa e che, recuperando in un clima nuovo le tradizioni di protagonismo laicale del mondo cattolico, parta nell'elaborazione dei progetti da un'attenzione specifica agli ultimi, rendendoli anch'essi soggetti di partecipazione, e divenga il vero parametro dei rapporti tra cattolici e forze politiche in generale. Nella elaborazione di una "cultura" politica, andrà recuperato e fatto assurgere a dignità il "quotidiano" in cui la maggioranza di donne e di uomini si trova: illuminare e rendere critico e collaborante il rapporto tra famiglie, nel quartiere, nel consenso, nella partecipazione alla scuola dei propri figli, nel contatto con gli enti pubblici, con le strutture sanitarie, civiche sociali. Questa politica "sommersa" che migliaia di cittadini (in particolare le donne) vivono può uscire dalla privatezza, connotarsi, diventare determinante e punto focale della talvolta sterile e astratta discussione politica.
7. Tutto questo avverrà però sempre con la coscienza che la carità, anche quella che si impegna nel quotidiano spicciolo ed entra in politica, è dono che va umilmente invocato e al quale deve aprirsi la nostra libertà, affinché Si produca la conversione del cuore. Perciò va gelosamente custodito anche il senso della differenza, cioè di uno scarto irriducibile tra la misura della giustizia cristiana che attinge la dimensione del perdono gratuito e la giustizia civile storicamente possibile.
[135] La coscienza di tale scarto è garanzia di sano realismo politico - cioè di relativizzazione della politica che non va caricata di aspettative improprie; ed è anche garanzia di fedeltà all'eccedenza, alla paradossalità della legge evangelica dell'amore incondizionato (cf. 3° itinerario).
[136] 8. Nella coscienza della relatività o dei limiti della politica, occorre anche riconoscerne la grandezza e la sua obbligatorietà per l'esercizio pieno della carità. La politica non è solo rimedio alla disumanizzazione prodotta dal peccato, ma anche liberazione e via di accesso ai piani di una buona convivenza civile.
Perciò anche riguardo alla testimonianza da dare nella vita politica i cristiani sono chiamati a uno stile di vita che, andando, anche coraggiosamente, contro gli stereotipi prevalenti del consumismo e del successo fine a se stesso (anche in politica!) e del calcolo esclusivo del vantaggio individuale, introduca e diffonda i germi della gratuità e della dedizione (cf. 4° itinerario).
Come ha affermato mons. Nicora: "la testimonianza di un impegno politico eticamente irreprensibile è oggi tra quelle più significative per la credibilità della fede cristiana".
[137] 9. Tale testimonianza è concretamente possibile oggi nella politica? E possibile per uomini e donne comuni che abbiano buona volontà, desiderio di onestà e intelligenza, senza aver per questo la vocazione all'eroismo o al martirio? La questione è cruciale oggi in Italia, perché riguarda la possibilità reale di incoraggiare o no nuove leve per il servizio sociale e politico dei prossimi vent'anni. Essa è emersa più volte nel convegno, a partire dalla constatazione della distanza da più parti denunciata tra coloro che operano in politica e la gente comune, inclinata a guardare i primi con un certo istintivo sospetto, e più in generale dalla denuncia di un certo disagio dei giovani di fronte all'impegno politico.
La risposta a questi interrogativi tocca il sistema partitico, non in astratto, ma così come esso è vissuto oggi nel nostro paese. Si ha talora l'impressione che il sistema dei rapporti tra i partiti, così come esso oggi di fatto si va aggrovigliando, tenda a fissarsi in un pericoloso, e un giorno forse irreversibile, ciclo di degrado. Allorché, mediante alleanze occulte e spartizioni sotterranee, nascono situazioni ibride in cui le alleanze e le opposizioni tradizionali tra partiti diversi, conclamate alla luce del sole, non rispondono a quanto avviene invece nelle camere oscure del palazzo, si attua un fenomeno che tra menzogne e coperture rischia di scoraggiare chi vorrebbe avventurarsi in tali labirinti.
Per parte nostra non possiamo non continuare a proclamare che la carità politica salvata da Cristo è capace di per sé di redimere anche il mondo della politica, anch'esso viziato, come tutto il resto, dal peccato, e di dare coraggio alle vocazioni politiche serie e oneste. Ma quale grave responsabilità si assumerebbe chi facesse sì che la scelta di impegnarsi e restare onestamente in politica diventi atto eroico di pochi, meritevoli dell'aureola del martirio! Non ci si dovrebbe allora lamentare se i giovani migliori di tutte le estrazioni culturali o ideologiche, scelgano piuttosto le professioni in cui è rimasta consolidata una sicura etica del comportamento.
Se di fatto i giovani si decideranno sì o no a servire anche in politica e ad esprimere così un aspetto fondamentale del "farsi prossimo", dipenderà anche dalla capacità dei partiti di offrire itinerari onesti e accettabili di militanza, nei quali la coscienza non sia costretta a compromessi, ma sia valorizzata nei suoi ideali di fondo.
[138] Ma non vorrei insistere troppo su questo tono e su questo tema, memore della parola di Ambrogio che dice: "Concedimi anzitutto, o Signore, di essere capace di condividere con intima partecipazione il dolore dei peccatori. Questa infatti è la virtù più alta, perché sta scritto: "E non ti rallegrerai sui figli di Giuda nel giorno della loro rovina e non farai grandi discorsi nel giorno della loro tribolazione" (Abd 12). Anzi, ogni volta che si tratta del peccato di uno che è caduto, concedimi di provare compassione e di non rimbrottarlo altezzosamente, ma di gemere e piangere, così che, mentre piango su un altro, io pianga su me stesso" (De Paenit. II, 8,73).
[139] Il convegno è stato soprattutto uno stile, un modo di stare insieme e di prendere coscienza delle nostre responsabilità oggi come chiesa di Milano. Dice un testimone: "Ho visto nel convegno "Farsi prossimo" la scelta di un metodo che dovrebbe essere connaturale alla comunità cristiana. Già abituato a "convenire" a livello liturgico-sacramentale, il popolo di Dio deve acquisire l'abitudine a "convenire" anche a livello pastorale-esistenziale".
[140] 1. Il modo migliore di attuare il convegno sarà dunque anzitutto quello di portare lo stesso stile e le modalità di riflessione a livello di base negli organismi già esistenti, in particolare nei consigli pastorali parrocchiali e decanali e nelle Caritas, da istituire dove ancora non ci fossero secondo le indicazioni già date nei programmi pastorali precedenti (1978 e 1982). Al presente le Caritas parrocchiali sono 419 presenti in parrocchie su 1103,(4) e i decanati con responsabili Caritas sono 58 su 73.
(4) Lo strumento per promuovere nella comunità cristiana la crescita nella dimensione della carità è la Caritas parrocchiale. Essa non è un nuovo gruppo caritativo, ma un organo pastorale di promozione e coordinamento, che fa capo al consiglio pastorale e ha il compito di fungere da antenna della comunità parrocchiale per cogliere i bisogni antichi e nuovi, da motorino di avviamento per informare e stimolare all'impegno tutta la comunità; da coscienza critica e da punto di coagulo dei vari gruppi ed espressioni di carità nel pieno rispetto della specifica originalità.
Si organizzino le realtà decanali già esistenti in maniera più razionale e organica con l'aiuto di una segreteria decanale che può diventare anche utile punto di raccordo con gli indirizzi e le iniziative degli uffici pastorali della curia e le relative consulte e commissioni.
2. Disponiamo che tutti i delegati nominati dalle parrocchie e dai decanati che ancora non fossero membri dei consigli parrocchiali e decanali lo divengano a partire da ora, fino alla scadenza dei consigli stessi, e là dove essi non esistano ancora, siano membri d'ufficio del consiglio di cui auspichiamo presto la costituzione. Essi saranno così i primi ambasciatori del convegno qell'ambito delle strutture di base delle comunità.
3. Sarà anche opportuno che nelle parrocchie, in una domenica prima di natale, o immediatamente successiva a tale festività, uno dei delegati possa riferire brevemente, in connessione con l'omelia domenicale, qualcosa del convegno, concordando il suo intervento con il parroco, così che tutte le comunità ricevano una risonanza ufficiale di quanto si e vissuto ad Assago.
[141] 4. Occorre avere il coraggio di investire tempo, persone e mezzi, ancor più di quanto non si faccia ora, nella formazione delle coscienze cristiane adulte, per mettere le comunità sempre più in grado di assumere stili di corresponsabilità, di discernimento, di verifica, di programmazione intelligente.
[142] Si attuino per questo iniziative organiche e coordinate nei decanati per una formazione di base e per una formazione specializzata di operatori pastorali. Si crei parimenti una iniziativa di formazione e sostegno per i cristiani impegnati nel campo amministrativo e politico, con la proposta di itinerari rigorosi ed esigenti. Quest'ultima iniziativa, insieme con quelle di formazione specializzata già in atto, si potranno talora attuare più efficacemente a livello pluridecanale o diocesano. In questa linea si stanno elaborando nelle sedi competenti idonei strumenti formativi che verranno proposti ai decani.
[143] 5. Sarà pure necessario attuare prossimamente un coordinamento stabile e un riferimento autorevole di verifica per i gruppi e le aggregazioni ecclesiali presenti e operanti in diocesi, secondo quanto ho già indicato nell'intervento ai decani dello scorso settembre.
6. Infine voglio annunciare ufficialmente la decisione di istituire nella nostra diocesi il diaconato permanente, ministero che ha un ben preciso e diretto orientamento a servizio e per la promozione di una chiesa dalla carità e della carità.
[144] 7. Sarà utile infine dotare la diocesi di uno strumento ufficiale di osservazione e di intervento sui grandi temi della giustizia, dell'economia e del lavoro, del diritto internazionale, del progresso dei popoli, della pace. Un'educazione alla mondialità che investa positivamente e qualifichi l'impegno missionario della chiesa.
[145] 8. Tra le varie povertà che il convegno ci ha esortato ad affrontare con coraggio facendoci prossimi ai più indifesi e agli ultimi vanno certamente sottolineati due momenti di un'esistenza umana che stentano a trovare accoglienza e spesso sono messi fuori della porta ed esclusi anche dalla mentalità corrente: sono coloro che bussano alla porta della vita e sono soppressi mediante l'aborto, e coloro che dopo un periodo di segregazione bussano alla porta della società civile e non trovano spesso né accoglienza, né lavoro, cioè i dimessi dal carcere. Vogliamo sperare che queste tragiche povertà trovino attenzione appassionata e intelligente perché si venga incontro ai casi difficili medicando piaghe sociali dolorose, e si ripensino in senso autenticamente promozionale leggi e strutture spesso deviate in senso antiumano nella loro pratica realizzazione.
[146] 9. Infine vorrei suggerire a tutte le famiglie della diocesi un semplice gesto che significhi una prima immediata applicazione pratica del convegno. Lo chiamerei "Farsi prossimo a natale". Si tratta di questo. Una o due settimane prima di natale ogni famiglia faccia un conto preventivo delle spese straordinarie previste nel periodo natalizio, sommando almeno le seguenti voci: regali, viaggi, pranzi straordinari e feste, spettacoli... Si calcoli una percentuale della somma complessiva in misura ragionevole, ad esempio sulla base del principio della decima, da sottrarre alle spese previste per destinarla a situazioni di povertà e di bisogno. Ogni famiglia si assuma la responsabilità autonoma della ricerca dei destinatari di questa somma, senza indicazioni collettive o dall'alto. Ciò garantirà anche la segretezza evangelica del gesto e la sua gratuità assoluta, con esclusione di ogni possibile autocompiacimento.
Ricevendoci in udienza un mese fa, 1'8 novembre 1986, in occasione della celebrazione del centenario del Duomo, Giovanni Paolo II ci diceva: "Carissimi fratelli e sorelle, voi siete venuti a ritemprare la vostra fedeltà a Cristo e alla chiesa sulla tomba di Pietro per meglio prepararvi al convegno diocesano sulla carità, che si articola intorno al tema "Farsi prossimo". Sarà quella la tappa conclusiva di un ampio progetto pastorale, iniziato nel novembre 1980 e che dovrà in seguito coinvolgere a fondo l'intera comunità.
Apprezzo grandemente - diceva il papa - questo grande sforzo di organizzazione e di sensibilizzazione, ed auspico di cuore che veramente si possano formare le coscienze sul valore della carità, in cui ogni altro valore trova la sua fondazione e il suo coronamento".
Noi siamo grati al Signore e al nostro patrono s. Ambrogio, perché la benedizione ricevuta da Pietro si è trasformata in rugiada di grazia per la nostra comunità.
Secondo la leggenda un favo di miele si sarebbe posato sulla bocca di Ambrogio ancora bambino, simbolo della sua eloquenza, ma anche della sua carità. Questo favo di miele sia anche il simbolo di una chiesa che dai fiori non di rado avvelenati di una cultura inquieta sa trarre frutti di buone opere per una crescita di quella carità in cui ogni altro valore trova la sua fondazione e il suo coronamento.
Il prossimo natale ci trovi tutti uniti nel desiderio di accogliere il dono della carità del Padre che ci viene dato nel suo Figlio Gesù.
Lettera alla diocesi - Milano, 9 dicembre 1986