In principio la Parola
[1] Carissimi Sacerdoti e fedeli, fratelli e sorelle nel
Signore,
Mi metto a stendere questa lettera pastorale sulla parola di
Dio e subito mi trovo come bloccato nello scrivere. Ho davanti a me i numerosi
suggerimenti ricevuti, che leggo e rileggo con attenzione e gratitudine. Sono
tanti, e ricchi di spunti felici. In certo senso sono troppi, per riuscire a
fonderli e a riassumerli in unità. Ma c'è qualcosa di più.
Sento, quanto più mi addentro nell'argomento, che la parola
di Dio è qualcosa che ci supera da ogni parte, che ci avvolge e che quindi ci
sfugge, se tentiamo di afferrarla. Noi siamo nella parola di Dio, essa ci spiega
e ci fa esistere. Come potremmo noi parlarne, farne oggetto della nostra
riflessione, addirittura farla entrare in un progetto pastorale?
E' stata la Parola per prima a rompere il silenzio, a dire il
nostro nome, a dare un progetto alla nostra vita.
E' in questa parola che il nascere e il morire, l'amare e il
donarsi, il lavoro e la società hanno un senso ultimo e una speranza.
E' grazie a questa Parola che io sono qui e tento di
esprimermi. "Nella tua luce vediamo la luce" (Sal 35, 10).
Rivivo qualcosa dell'impressione di Isaia, che sentiva le
labbra impure di fronte al mistero del Dio vivente (Is 6, 5). Vorrei dire come
Pietro: "Signore, allontanati da me che sono un peccatore" (Lc 5, 8). Intuisco
che sto per parlare di qualcosa che è come una spada a doppio taglio, che mi
penetra dentro fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, che scruta
i sentimenti e i pensieri del mio cuore (cfr. Ebr 4, 12).
Vorrei che tutti coloro che leggono partecipassero al senso
di timore, che mi invade in questo momento, e si mettessero spiritualmente in
ginocchio con me per adorare con commozione e gioia il mistero di un Dio che si
rivela e si comunica, che si fa "buona notizia" per noi, Vangelo. E' soltanto in
questo atteggiamento di adorazione e di obbedienza profonda alla Parola che
sento di poter dire qualcosa, con la coscienza di balbettare poco e male su un
mistero tremendo e affascinante.
Mi accosto a questo mistero anche in atteggiamento di
speranza. Il contatto vivo con questa Parola che, pur dimorando nell'intimo del
nostro cuore, ci oltrepassa e ci attrae con sé verso un'immagine sempre più
nuova e più pura di vita umana, produrrà certamente un benefico rinnovamento dei
nostri modi di pensare, di parlare, di comunicare tra noi.
Penso al linguaggio che usiamo noi credenti nella preghiera,
nella predicazione, nelle varie forme di comunicazione della fede: è talora
ripetitivo, convenzionale, senza vivacità e senza mordente. Un incontro più
intenso con la parola di Dio potrà ridargli chiarezza e incisività.
Ma penso anche a vari linguaggi che si intrecciano lungo le
strade, nelle case, nei luoghi di incontro, di lavoro, di studio, nei mezzi di
comunicazione sociale, insomma in ogni ambito di convivenza civile di questa
vivacissima, ma anche convulsa e problematica Milano degli anni '80, con tutto
il suo vasto e vario circondario geografico e sociale. Non sentiamo forse tutti
quanti l'esigenza di scoprire ciò che ci unisce al di là delle divisioni; di
ritrovare in una comune tradizione la spinta verso il futuro; di ricondurre i
diversi e spesso contrastanti progetti di vita umana a un'immagine di uomo, che
non mortifichi nulla di ciò che è bello, buono, onesto, che sia così ampia e di
così vasto respiro da accogliere con rispetto anche il più piccolo contributo al
vero progresso dell'uomo?
La Parola che Dio ci ha donato in Gesù, che ha suscitato
forme sempre nuove di vita umana, che ha alimentato per secoli la nostra
tradizione milanese può aiutarci a ritrovare valori comuni e creativi.
Per questo oso offrire queste pagine non solo ai credenti, ma
anche a quei fratelli e a quelle sorelle che, per vari motivi, non si sentono di
condividere la vita della comunità cristiana. Le offro come un dono e insieme
come una sfida; come una promessa e insieme come un impegno.
Ci sono nella parola di Dio tanti spunti che parlano
immediatamente all'uomo, trovano direttamente la via del cuore e generano una
coraggiosa volontà di servire l'uomo. Accogliere questi spunti significa
lavorare per il vero bene dei fratelli.
[2] L'infinità del mistero, che indichiamo con il termine
"parola di Dio", impone alla presente esposizione limiti insuperabili.
Altri limiti derivano dalla natura propria di questa lettera,
che solo impropriamente può essere detta un "piano pastorale". Infatti con tale
nome si designa piuttosto una visione d'insieme dell'attività diocesana con l'indicazone
di strumenti atti a stimolare e coordinare l'azione di tutti. Tale piano ha
carattere stabile, pur essendo in continua crescita e adattamento, e vuol tener
conto di tutte le realtà esistenti sulla base delle tradizioni pastorali genuine
e riconosciute. Appartengono ad esso scelte fondamentali della nostra Diocesi
come la sua unità articolata nelle diverse zone pastorali con a capo i Vicari
Episcopali, l'unità del Seminario, la struttura formativa degli oratori,
l'Azione Cattolica, i decanati, i Consigli Presbiterale e Pastorale, ecc.
Tuttavia è chiaro che il programma proposto quest'anno tocca
un punto nevralgico della pastorale ed esprime una delle preoccupazioni
fondamentali che portano oggi le diocesi a elaborare progressivamente un loro
disegno pastorale: cioè che "la parola di Dio compia la sua corsa e sia
glorificata" (2 Tess 3, 1) e il tesoro della rivelazione, affidato alla Chiesa,
riempia sempre più il cuore degli uomini. Queste parole sono la conclusione
della Costituzione conciliare "Dei Verbum" (n. 26), che è uno dei testi
fondamentali del Vaticano II, a cui si ispira largamente questa lettera.
Consiglio perciò a tutti di rileggere e meditare attentamente questo testo
conciliare, insieme con la "Evangelii Nuntiandi" di Paolo VI e la "Catechesi
Tradendae" di Giovanni Paolo II.
In particolare, nel capitolo VI, la "Dei Verbum" due volte
(n. 21 e n. 26) descrive lo strettissimo rapporto tra la Sacra Scrittura e il
Corpo del Signore, tra la mensa della Parola e la mensa Eucaristica. Lo sforzo
di vivere e rendere attuale questa unità tra Eucaristia e Parola ci prepara a
celebrare con frutto il prossimo Congresso Eucaristico Nazionale.
La presente lettera vuole dunque unicamente sottolineare
alcuni punti che servono alla comunità per rendere sempre più esplicito e
vissuto quel primato della parola di Dio, che è fondamento e radice di ogni
attività della Chiesa, e per inquadrare l'impegno pastorale di quest'anno nel
cammino della nostra Chiesa locale verso il Congresso e nel cammino della Chiesa
Italiana.
[3] Per dare chiarezza visiva a questa impostazione possiamo
riferirci all'episodio dei discepoli di Emmaus.
Spiccano in esso tre momenti.
Il momento finale è il riconoscimento del Signore risorto
attraverso l'esperienza dello "spezzare del pane". Tale riconoscimento conduce
alla corsa di ritorno verso Gerusalemme per annunciare la bella notizia della
risurrezione, cioè conduce alla riaggregazione alla comunità cristiana e alla
missione evangelica (Lc 24, 33-35).
Questo momento eucaristico e missionario, però, è preceduto e
preparato da un momento contemplativo. I discepoli insistono perché il
pellegrino, ancora ignoto, ma già amato attraverso i presentimenti del cuore,
resti con loro "perché si fa sera" (Lc 24, 29). E' la prima e forse la più
commovente preghiera della comunità cristiana dopo la Pasqua. Essa allude alla
povertà e alla solitudine dell'uomo che si fa più evidente nell'oscurità del
mondo. Essa chiede che il colloquio di speranza si prolunghi, che la presenza
contemplativa dei discepoli col Signore non si interrompa. Tale presenza sta
"riscaldando il cuore" e lo prepara ai propositi generosi dell'azione (cfr. Lc
24, 32).
A sua volta però questo momento contemplativo scaturisce
dall'annuncio della Parola. Quando i due discepoli parlavano al misterioso
viandante della loro speranza circa Gesù di Nazareth, pensavano certo ad una
salvezza misurata dai loro desideri più immediati: "noi speravamo che fosse lui
a liberare Israele" (Lc 24, 21). La figura del Messia, che essi attendevano,
corrispondeva ai progetti degli uomini, alle loro speranze politiche immediate,
non agli insondabili pensieri di Dio. Se confrontiamo questi loro desideri
iniziali con l'accorata preghiera finale che essi rivolgono al forestiero,
rimaniamo stupiti per la trasformazione avvenuta. Che cosa è successo in loro,
perché arrivassero a condividere i pensieri dell'inquietante sconosciuto e
riuscissero finalmente a riconoscere il Messia non in un gesto di trionfo, ma
nel dono pasquale del suo corpo ("lo riconobbero allo spezzare del pane", Lc 24,
35)? Il racconto evangelico attribuisce la trasformazione alla spiegazione delle
Sacre Scritture. Gesù introduce i discepoli nel senso misterioso dell'Antico
Testamento. La nuova, definitiva parola di Gesù fa vibrare le antiche parole e
mette in luce tutta la loro tensione profetica verso il Messia preparato non
dalle incerte attese umane, ma dalla fedeltà generosa di Dio. L'itinerario
dischiuso dalla parola di Gesù incrocia lo sconsolato viaggio di ritorno dei due
discepoli e lo fa diventare un cammino di speranza, un progressivo avvicinamento
ai progetti di Dio, un pellegrinaggio verso la Pasqua, l'Eucaristia, la Chiesa,
la missione fino agli estremi confini della terra.
[4] Nel cammino dei discepoli di Emmaus possiamo vedere una
immagine del cammino che sta percorrendo la nostra Chiesa milanese in questi
anni.
Un momento qualificante di questo cammino sarà costituito
dalla celebrazione del Congresso Eucaristico Nazionale nel 1983. Il tema del
Congresso "L'Eucaristia al centro della comunità e della sua missione" dice
chiaramente il carattere non occasionale e non marginale del Congresso nel ritmo
della nostra vita ecclesiale. Esso non deve rappresentare un evento che quasi ci
distoglie dalla gioiosa fatica quotidiana di essere Chiesa del Signore, popolo
missionario che coinvolge l'uomo di oggi in una responsabile adesione al
progetto di Dio. Il Congresso, invitandoci a riflettere sulla costitutiva
dipendenza della comunità cristiana e della sua missione dalla Eucaristia, sarà
una provvidenziale occasione per riscoprire, verificare, rinnovare la vita delle
nostre comunità, le loro iniziative pastorali, il loro impegno missionario.
A questa riscoperta della comunità, stretta attorno al
Signore risorto "nello spezzare del pane" e pronta a portare in tutto il mondo
l'annuncio della risurrezione, ci siamo preparati con una prima tappa
contemplativa. Come i discepoli di Emmaus, abbiamo chiesto al Signore di restare
con noi per farci scoprire la dimensione contemplativa della vita, per
insegnarci il gusto della preghiera silenziosa, per rivelarci l'atteggiamento di
filiale abbandono al Padre che ha accompagnato il suo gesto pasquale, accompagna
il Sacrificio Eucaristico e deve accompagnare e animare interiormente la nostra
esistenza cristiana fondata e normata dalla Eucaristia.
Quest'anno vogliamo compiere una nuova tappa verso il
Congresso Eucaristico, approfondendo l'incidenza che ha la parola di Dio nella
nostra vita. Questa Parola crea in noi una amorosa consuetudine con i pensieri
di Dio; ci introduce nel disegno della salvezza pienamente svelato e attuato
nella Pasqua di Gesù e presente nell'Eucaristia; ci offre provocazioni sempre
nuove per ricostruire il senso della nostra esistenza attorno alla Verità
definitiva, che brilla sul volto del Figlio dell'Uomo, mandato dal Padre nel
mondo.
[5] All'interno di questa tappa del nostro cammino, quasi a
esprimere meglio l'unità tra preghiera e parola di Dio, saremo invitati
quest'anno a vivere un avvenimento di particolare rilievo liturgico-pastorale.
Sta, infatti, per essere pubblicata, almeno parzialmente, la nuova Liturgia
delle Ore secondo il rito ambrosiano.
Il prossimo anno dovrà dunque vederci attenti a valorizzare
questo nuovo libro della preghiera della Chiesa e potrà pure essere l'occasione
propizia per una specifica attenzione alla parola di Dio su cui la Liturgia
delle Ore è strutturata. Qui indichiamo i due fatti nuovi che favoriscono il
recupero della Liturgia delle Ore ambrosiana.
Dopo il Concilio Vaticano II, la Chiesa di Milano - per varie
ragioni, derivanti per lo più dalla speciale condizione della sua autonomia
liturgica - non aveva ancora potuto proporre ai suoi fedeli in maniera forte,
organica, concorde, il recupero della Liturgia delle Ore.
Ora un primo fatto nuovo di straordinaria importanza è la
recente approvazione da parte della Santa Sede della "Institutio Generalis",
cioè dei princìpi e delle norme che devono regolare la Liturgia delle Ore
secondo il rito ambrosiano. Questo atto autorevole viene a confermare i
risultati di un lungo lavoro e, togliendo ogni perplessità, ci pone in grado di
procedere rapidamente alla preparazione del nuovo Breviario ambrosiano. E'
nostra fondata speranza che l'anno del Congresso Eucaristico Nazionale celebrato
a Milano sia anche l'anno della pubblicazione di quest'opera tanto attesa.
Il secondo fatto è l'approntamento di un "salterio popolare",
la "Diurna Laus", che confidiamo di poter mettere tra le mani dei nostri fedeli
col prossimo Avvento, come strumento indispensabile del rilancio nelle nostre
comunità della Liturgia delle Ore.
[6] Questo cammino della Chiesa milanese si inserisce nel
programma di rinnovamento che la Chiesa italiana va compiendo da anni, seguendo
le indicazioni provenienti dalle assemblee generali della CEI.
Dopo aver dedicato molto studio e impegno operativo al tema
della "evangelizzazione" in tutte le sue componenti e i suoi aspetti
problematici di fronte all'attuale società, i vescovi italiani vogliono
richiamare la nostra attenzione nei prossimi anni sulla concreta comunità
cristiana che, diventando sempre più fedele al modello evangelico, è la
protagonista della evangelizzazione.
La vita della Chiesa è vista dai vescovi italiani in tensione
tra due poli, che vengono designati con le parole "comunione" e "comunità".
La comunione allude ai beni misteriosi e invisibili, che
scaturiscono dalla vita trinitaria di Dio, vengono donati a noi dal Signore
Risorto e, attraverso la presenza dello Spirito Santo, raggiungono ogni
credente.
La comunità è la realtà storica e visibile della Chiesa,
fatta di parole, di gesti, di strutture, di iniziative pratiche, di relazioni
personali che scaturiscono dalla comunione, ne esprimono le ricchezze e ne
rivelano la vitalità in tutti i settori dell'esistenza umana.
La grazia della comunione, manifestandosi nella comunità,
assume le concrete situazioni umane, interpella la libertà dei credenti, scatena
e purifica le più belle energie dell'uomo, asseconda i progressi della vita
sociale, interpreta le aspirazioni profonde di ogni epoca e di ogni cultura.
E' lo Spirito del Signore che, agendo attraverso le infinite
possibilità vitali della comunione, crea la comunità cristiana; ma questa opera
creativa chiama in causa la nostra libertà. Dipende anche da noi il volto
concreto che la comunità cristiana assume in questo momento della storia e in
questo particolare luogo del mondo. Ma come può la nostra libertà contribuire ad
edificare una comunità che sia aperta a ogni uomo, capace di intuire i problemi
sociali, sappia rivivere in sé le tensioni della nostra epoca senza perdere la
propria originalità cristiana, anzi influisca coraggiosamente sulla mentalità e
sul costume?
E' l'accoglimento della parola di Dio che ci fa diventare
comunità autenticamente cristiana secondo le leggi della comunione. La parola di
Dio ci assicura il contatto vivo e immediato con Cristo stesso, Parola vivente
del Padre, fonte della comunione: ma, poiché rende testimonianza a Cristo a
partire da una ricchissima varietà di situazioni umane storiche, che sono state
lette e vissute nella luce di Cristo, essa arriva a noi ricca di provocazioni
concrete che riguardano tutti gli aspetti fondamentali della vita. Essa ci dice
come l'amore del Padre ha raggiunto in Cristo le varie situazioni umane, le ha
rese vere, le ha illuminate e purificate dal di dentro, le ha aperte a nuove e
insospettate possibilità. La vita, la morte, l'amicizia, il dolore, l'amore, la
famiglia, il lavoro, le varie relazioni personali, la solitudine, i segreti
movimenti del cuore, i grandi fenomeni sociali, tutta questa vita umana,
insomma, ci viene consegnata dalla parola di Dio in una luce nuova e vera. E
noi, mentre incontriamo questa Parola, incontriamo noi stessi, il nostro
passato, il nostro futuro, i nostri fratelli. Impariamo a costruire una comunità
che, in fedeltà alle leggi della comunione, trova un posto, un senso, un
messaggio di speranza per ogni uomo e per ogni situazione umana.
Dopo aver così situato il programma pastorale di quest'anno
nel cammino della nostra Chiesa, cercheremo prima di tutto di interrogarci su
come la parola di Dio è presente con il suo vigore salvifico oggi nella vita
delle nostre comunità. Richiameremo quindi alcuni aspetti fondanti del mistero
della Parola, in riferimento a quanto sarà emerso dall'analisi precedente.
Vedremo poi come la parola di Dio risuona nella liturgia, e
come dobbiamo disporci al suo ascolto, in particolare nella Liturgia delle Ore.
Un simile ascolto deve essere tale da trasformare l'esistenza. Ci domanderemo
dunque come vivere e verificare il rapporto Parola-vita.
Seguiranno alcune indicazioni operative.
[7] Dobbiamo essere grati a Dio di vivere in questo tempo. Il
Concilio ci ha dato una abbondanza e una facilità di accesso alla Sacra
Scrittura che era inaudita in tempi passati. Il cristiano ne ha bisogno oggi più
che mai, sollecitato come è da contrastanti provocazioni culturali. La fede per
risplendere, per non essere soffocata, deve essere nutrita costantemente dalla
Parola.
Uno sguardo alle nostre comunità ci riempie dunque di
consolazione. L'uso della lingua italiana nelle celebrazioni sacramentali,
sebbene non costituisca da solo un punto di arrivo, rappresenta comunque per
tutto il popolo cristiano una acquisizione felice, che favorisce un contatto più
diretto e frequente con la parola di Dio.
Per un numero sempre crescente di cristiani, poi, questo
contatto si prolunga nella Liturgia delle Ore, che sta diventando una benefica
consuetudine di tanti fedeli, di famiglie, gruppi, movimenti, associazioni.
Attraverso la liturgia, la parola di Dio si assicura un
ingresso più largo nella esistenza dei cristiani, secondo l'auspicio del
Concilio Vaticano II ("Dei Verbum" n. 25). Infatti, anche alri momenti della
vita personale e comunitaria, come la meditazione, la catechesi, le riunioni e
le discussioni, si ispirano sempre più alle pagine bibliche.
Mentre si consolida il contatto vitale del popolo cristiano
con la parola di Dio, si vanno perfezionando gli strumenti di accesso alla
Bibbia. La ricerca scientifica in campo biblico registra anche in Italia
risultati di rilievo. Alle scuole accademiche e seminaristiche, sempre più serie
e rigorose, si vanno affiancando per religiosi, religiose e laici, corsi di
introduzione sia agli aspetti storico-esegetici, sia al messaggio teologico, sia
al valore spirituale delle Sacre Scritture. Il testo biblico è accessibile in
svariate traduzioni con buoni commenti. La produzione sia scientifica sia
divulgativa si fa sempre più vasta, anche se si avverte ancora fortemente in
Italia l'esigenza di una letteratura che stia a metà tra l'indagine
specialistica e l'applicazione troppo divulgativa.
[8] Questi segni di speranza, per poter dare pienamente i
loro frutti, richiedono l'umile consapevolezza delle lacune che accompagnano il
nostro incontro con la parola di Dio.
Riferendoci all'episodio dei discepoli di Emmaus, dobbiamo
riconoscere che non sappiamo accogliere pienamente in noi la forza di
conversione, che è propria della Parola. Quante volte possiamo dire che
nell'ascolto e nella meditazione della Parola "ci ardeva il cuore" (Lc 24, 32)?
E soprattutto, vale questo per tutta la comunità cristiana? All'abbondanza e al
progressivo perfezionamento degli strumenti di accesso alla Bibbia non
corrisponde sempre la loro utilizzazione da parte della massa dei fedeli, né
sono sempre evidenti i frutti: un progressivo affiatamento con i pensieri di Dio
e con i suoi progetti, una resa alla sua potente azione di salvezza, una
purificazione della fede. Si può dire che ogni generazione di credenti registra
questo scarto tra le potenzialità presenti nella parola di Dio e la loro
effettiva attuazione in una vita cristiana pienamente disponibile al disegno
divino della salvezza.
"Come ci sembra difficile essere cristiani!" diceva Mons.
Lustiger, Arcivescovo di Parigi, iniziando il suo discorso al recente Congresso
Eucaristico di Lourdes. E continuava: "Come sopportare questa distanza
schiacciante tra la parola del Vangelo, che ci sembra portare in sé tutta la
speranza del mondo, e questa realtà nella quale ci ritroviamo con un senso di
tanta mediocrità"? Il cammino della Parola nei nostri cuori è lento e faticoso,
e questa nostra generazione sente in tante sue difficoltà lo scarto tra Vangelo
e vita.
Un sintomo significativo di questo scarto può essere offerto
dalle sofferenze della stessa predicazione. Tra le molte cose che si potrebbero
dire in proposito, accenno a due difficoltà di cui sono consci per primi i
predicatori stessi. E' ancora presente un certo atteggiamento occasionalistico.
Il ricorso ai testi biblici è una occasione per parlare di tante cose, anche
importanti e pertinenti, ma che vengono affrontate secondo l'urgenza e il peso
delle circostanze, senza raggiungere quella prospettiva radicalmente nuova che è
dischiusa solo da un accostamento più originale e organico alle Sacre Scritture.
La Parola non viene prima ascoltata per se stessa, per essere capita, assimilata
e poi applicata. Essa è invece chiamata rapidamente in causa per offrire la
risposta ai quesiti che noi poniamo a partire dalle nostre mutevoli situazioni e
dalle nostre visioni problematiche della realtà. Questo atteggiamento rischia di
eludere la prerogativa del primato della parola di Dio, per cui essa ci
interroga, ci mette in questione e ci offre delle risposte solo dopo aver messo
in crisi e verificato il nostro modo di porre le domande.
Per mettersi in sintonia con questo "primato della Parola" è
necessario avvicinarsi ad essa con una certa umile e disarmata semplicità,
congiunta con una maggiore attenzione al tenore del testo biblico, alla sua
struttura, alla sua interiore organicità, così come insegnano le acquisizioni
dei recenti studi biblici.
Fortunatamente la predicazione si va sempre più orientando in
questo senso. Ma può sorgere qui un nuovo rischio: ci si accosta al testo
biblico con un certo atteggiamento didascalico, quasi per fare una bella
lezione, attenta alle finezze delle pagine scritturistiche, ma astratta e chiusa
in se stessa. Soggiace a questo atteggiamento una concezione un po'
semplicistica della efficacia della parola di Dio: che basti, cioè, rendere
presente la Parola nella sua nuda oggettività, perché si renda presente la
potenza stessa di Dio.
In realtà la Parola, pur recando in sé la realtà stessa di
Dio, non cessa di essere una realtà storica, un segno umano di Dio. La sua
efficacia si manifesta nel suscitare, interpretare, purifìcare, salvare la
vicenda storica della libertà umana, che deve essere sempre tenuta presente con
le sue aspirazioni, i suoi problemi, i suoi peccati, le sue nostalgie di
salvezza, le sue realizzazioni nel campo personale e sociale. Essa agisce nello
Spirito e per la forza dello Spirito, e il puro risuonare delle parole, anche se
accuratamente elaborate, rischia di divenire semplicemente "un bronzo che
risuona" (1 Cor 13, 1).
Le oscillazioni, le incertezze, le lacune della nostra
normale predicazione nel proclamare 1' assolutezza divina e la concretezza
storica della parola di Dio non si possono semplicemente imputare
all'impreparazione o all'imperizia dei predicatori. Sarebbe ingiusto e
superficiale. Occorre mettere in luce profondi collegamenti con una più generale
situazione sia della comunità cristiana, sia della cultura attuale.
[9] Per quanto riguarda la comunità cristiana, dobbiamo
constatare, non senza dolore, che la predicazione ufficiale, anche quando è ben
curata, rischia di essere inefficace perché è isolata da altre forme di
comunicazione della fede. L'annuncio della parola di Dio, fatto nei momenti
ufficiali, per raggiungere capillarmente le intricate situazioni storiche,
richiede di intrecciarsi con molte altre forme di comunicazione nella famiglia,
nei gruppi di amici, negli ambiti di impegno comunitario.
Pensiamo alla ammonitrice sapienza cristiana che aleggia in
quella pagina de "I Promessi Sposi", in cui il buon sarto di un paese non
nominato rievoca dinanzi alla famiglia, raccolta a tavola, la predica tenuta dal
Cardinal Federigo durante la visita pastorale. Egli sminuzza ai figli le parole
dell'Arcivescovo; e proprio il ricordo di quelle parole, invitanti alla
condivisione delle altrui sofferenze, produce il gesto della elemosina, nel
senso semplice e commovente di prendersi a cuore la povertà degli altri: il
sarto invia una figlioletta con un po' di cibo alla casa vicina di una vedova.
La parola proclamata dall'Arcivescovo è diventata viva ed efficace attraverso la
mediazione del dialogo familiare.
Purtroppo non è facile oggi che la nostra comune
conversazione quotidiana tocchi con semplicità e serietà i temi relativi alla
fede. Si tratta talvolta di un istintivo senso di rispetto di fronte alle realtà
cristiane o di un atteggiamento di riserbo dinanzi ai propri o altrui sentimenti
profondi. Ma spesso è anche questione di pigrizia, di disimpegno, di rispetto
umano: ci pare "sconveniente" parlare di Gesù, del nostro misterioso rapporto
con Dio, delle esigenze evangeliche, dei problemi della vita ecclesiale, perché
intuiamo che questo discorso ci chiede sincerità e fatica o contravviene a
quella specie di congiura del silenzio, che la mentalità corrente ordisce
attorno agli argomenti religiosi e cristiani.
La predicazione ufficiale, allora, priva di un intenso
contesto di fede quotidianamente vissuta, parlata, comunicata, a cui attingere e
in cui concretarsi, rischia o di chiudersi in un astratto isolamento o di
tentare raccordi frettolosi e impacciati con la vita concreta.
Anche qui sarebbe semplicistico imputare questa situazione
alla cattiva volontà dei credenti. Bisogna tener conto delle condizioni
culturali in cui siamo chiamati a testimoniare la nostra fede.
[10] La difficile comunicazione nel campo della fede è
connessa con i più generali disturbi della comunicazione sociale. Non si può dir
tutto qui. Qualche cenno è stato fatto nel discorso per la festa di S. Ambrogio
dello scorso anno. In rapporto al tema che ci interessa, cioè il difficile
accostamento della parola di Dio, pare utile sottolineare particolarmente un
aspetto. La nostra epoca culturale sta subendo le conseguenze di una concezione
incompleta della libertà. Essa viene confusa con il potere e il diritto di avere
tutto e subito. L'incremento delle conoscenze scientifiche e lo sviluppo delle
applicazioni tecniche spingono l'uomo a sopravvalutare la sua potenza e a darsi
a una attività produttiva sempre più frenetica: un esempio drammatico e insieme
caso limite lo si ha nell'accumulo degli armamenti.
Come conseguenza l'essere dell'uomo, anziché rivelarsi e
costruirsi nel fare, tende a diluirsi nell'agitazione. Le coraggiose
interrogazioni sulla realtà profonda dell'uomo lasciano il posto alle
precipitose domande sui programmi. Ma mentre l'interrogazione sull'essere apre
l'uomo ai sorprendenti misteri del reale, la domanda frettolosa e ristretta
sull'agire rinchiude la globalità della realtà entro lo spazio di alcuni pochi
progetti umani. Perciò, la libertà, quando è vista giustamente come il senso
profondo dell'essere umano, è vissuta come responsabile capacità di disporre di
sé in un'attitudine di affidamento al mistero; quando, invece, è colta solo come
qualità dell'agire immediato, tenta di disporre di sé e di ogni cosa in un
atteggiamento di orgoglioso e bruciante possesso.
Di qui una frenesia d'azione, un'impazienza di ottenere tutto
a breve scadenza, una brama aggressiva verso i ritmi delle cose e delle
relazioni sociali.
Persino nell'amicizia e nell'amore si vuole ottenere subito e
senza riserve quel gusto dell'incontro che richiede invece una lunga e
rispettosa pazienza.
In progressione questa gestione convulsa e superficiale della
libertà si trasforma in una incapacità a capire le leggi dello sviluppo umano.
Essa genera perciò una sfiducia nelle reali possibilità dell'uomo e sfocia in
una rinuncia a vivere la fatica e la responsabilità.
Si attua così quella che Erich Fromm ha chiamato "fuga dalla
libertà". Ma anche quando imbocca la strada della disfatta, la libertà non
rinuncia all'impazienza. Vagheggia una salvezza miracolistica, cioè immagina che
oltre e sul crollo della libertà sorga un evento di speranza che, però,
riproduce le stesse caratteristiche di una soluzione illusoria a breve scadenza;
sogna un fatto che dispensa dai tempi lunghi, dai sacrifici e dalle pazienti
maturazioni.
Dobbiamo risalire a queste radici culturali per interpretare
gli atteggiamenti della comunità cristiana verso la parola di Dio. Nella
predicazione occasionalistica, che strumentalizza la parola di Dio entro il
quadro di una visione della vita prodotta dai progetti umani, riaffiora
l'impazienza attivistica e orgogliosa della libertà, mentre l'impazienza
disfattistica e tragica influenza quel tipo di predicazione che si affida
fideisticamente al testo biblico senza riuscire a collegarlo con i problemi, le
ricerche, le responsabilità della vita quotidiana.
Dobbiamo essere consci del fatto che, più o meno, un pò
tutti, in quanto siamo ancora lontani dall'aver assimilato pienamente la forza
della Parola, oscilliamo tra questi estremi. E' necessario un cammino paziente e
faticoso, uno sforzo sempre rinnovato.
Quanto alla lacunosa comunicazione della fede entro la trama
delle normali relazioni interpersonali, essa manifesta la superficialità delle
nostre quotidiane conversazioni, che non raggiungono la radice del nostro
essere, i fini ultimi del nostro agire, il senso profondo della nostra libertà.
D'altro canto, se queste generali condizioni culturali
influenzano il nostro accesso alla parola di Dio, si può anche dire che una
rinnovata comprensione e assimilazione di questa Parola condurrà a una
riscoperta della nostra libertà e a una benefica trasformazione del costume
sociale.
Un'analisi attenta della situazione delle nostre comunità
rispetto alla parola di Dio viene raccomandata per i "Gruppi di animazione"
costituiti in ogni parrocchia in preparazione al Congresso Eucaristico. Essi
potranno verificare e approfondire, partendo dagli ambiti loro suggeriti
(l'iniziazione cristiana dei ragazzi, la condizione giovanile, la vita coniugale
e familiare, la pastorale degli anziani e la liturgia domenicale) alcuni dei
fenomeni qui indicati e dare indicazioni preziose per un accostamento alla
Parola che si fa Eucaristia, il quale si sforzi di superare le difficoltà qui
segnalate.
Avviciniamoci, dunque, al mistero della parola di Dio senza
la pretesa di un'esposizione organica, ma col semplice intento di richiamare
alcuni punti essenziali più direttamente connessi con i comportamenti attuali
della comunità cristiana.
[11] Ci possiamo accostare alla parola di Dio, riflettendo,
da un lato, sul fatto che essa è parola e quindi ha a che fare con quell'evento
umano, che noi chiamiamo linguaggio; dall'altro lato, che è parola di Dio e
quindi ha una irriducibile originalità nei confronti della parola umana.
E' illuminante l'episodio del centurione romano, che chiede a
Gesù la guarigione del servo caduto in una malattia mortale (Mt 8, 5-13). Gesù
si offre di andare in casa sua, ma l'ufficiale espone una argomentazione ricca
di una fede così intensa, che strappa il consenso ammirato di Gesù. Il
centurione prende lo spunto dall'efficacia della parola umana: quando egli
ordina qualcosa a un subalterno, la sua parola di comando produce qualcosa
attorno a sé, fa sì che il subalterno vada o venga secondo l'ordine ricevuto.
A maggior ragione la parola di Gesù, nella quale la fede del
centurione riconosce presente la potenza stessa di Dio, saprà operare, anche a
distanza, la guarigione miracolosa del servo. Viene qui adombrato il mistero
della parola umana con la sua ricchezza e la sua povertà. Nella parola il nostro
essere profondo si manifesta; la nostra libertà sprigiona le sue capacità
operative; la nostra umanità va in cerca della umanità degli altri, cerca un
contatto con loro, genera consensi, coruisce comunità umane, interviene sulle
cose del mondo. Vita speranza, gioia, impegno, operosità, amore, luce di verità
sono misteriosamente depositati nel fragile involucro della parola.
Ma la parola umana è anche povera. Quante volte balbetta
impotente dinanzi a misteri che non riesce a penetrare. Quante volte non sa
comunicare il senso che essa racchiude. Quante volte non raggiunge gli esiti
desiderati. Quante volte, anziché rivelare amore di vita, luce di verità,
comunione interpersonale, produce odio, menzogna e discordia.
Nella povertà della parola si rivela la povertà del nostro
essere. Noi non siamo totalmente identici con la vita, la gioia, l'amore, la
luce della verità. Questi beni sono presenti in noi, ma sono anche lontani da
noi. Noi li andiamo cercando come beni assenti, spinti da quelle parziali forme
di presenza che essi hanno in noi.
Quando noi non riconosciamo questa presenza-assenza della
vita, della verità, dell'amore e pretendiamo di essere noi stessi, in un modo
totale ed esaustivo, la vita, la verità, l'amore, inganniamo noi stessi e le
nostre parole producono la morte, la menzogna e la discordia. Dovremmo, a questo
punto, dare un nome più preciso alla vita, alla verità e all'amore. Non possiamo
percorrere qui gli ardui sentieri che si addentrano nel mistero della realtà.
Basterà dire che, mediante una intuizione, che è depositata
da sempre nel cuore dell'esperienza umana e che può e deve assumere anche
l'andamento di una rigorosa argomentazione riflessiva, l'intelligenza umana
arriva a comprendere che la pienezza della vita, della verità e dell'amore
stanno in una realtà che, pur rendendosi presente nell'uomo, è al di là
dell'uomo ed è chiamata Dio.
L'uomo allora si scopre come presenza del Dio assente, come
segno di Lui, come espressione in cui Egli si manifesta, pur essendo
l'inesprimibile. L'uomo in questo senso è parola di Dio e nel parlare umano
viene alla luce questa radicale caratteristica dell'uomo.
Allora la parola e l'essere dell'uomo sono creativi, ma solo
in quanto obbediscono, in un atteggiamento di attesa, di disponibilità, di
fedeltà, a quello che Dio dice in loro. Che cosa Dio possa dire all'uomo, con
quanta intensità, con quale forza comunicativa non può essere anticipato,
determinato, deciso dall'uomo. L'unica anticipazione, l'unica decisione, che
compete all'uomo, è quella del silenzio pieno di attesa, di rispetto, di
obbedienza. Quali imprevedibili forme di comunicazione Dio ha deciso di attuare
nel suo amore infinito?
L'imprevedibile è accaduto in Gesù di Nazareth.
[12] Una persona che coltiva onestamente questi atteggiamenti
di rispetto, di obbedienza e di attesa, quando si imbatte nella vicenda di Gesù
di Nazareth e la sente proclamare fino in fondo, viene afferrata da un senso di
sorpresa, che poi diventa segreta inquietudine ed esplode infine in una
folgorazone: quest'uomo è parola di Dio non come tutti gli altri, ma in un modo
unico e irripetibile.
"La Parola era presso Dio, la Parola era Dio, la Parola si
fece carne e prese ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1, 1.14).
I gesti di Gesù, i suoi discorsi, i suoi comportamenti verso
gli altri uomini, i suoi miracoli, il suo modo di affidarsi al mistero del
Padre, la sua libertà coraggiosa, i suoi confronti con i personaggi dell'Antico
Testamento, le esigenze che propone ai discepoli, il suo sguardo lungimirante
lanciato sul futuro conducono ad affermare che la presenza di Dio si attua in
lui in un modo eccezionale. Dio non solo è presente in lui, ma è una cosa sola
con lui. In lui Dio non solo ha comunicato con l'uomo, ma si è comunicato:
"Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso" ("Dei Verbum", n.
2). Quello che l'uomo non può né anticipare, né esigere si è misteriosamente
compiuto in Gesù per magnanima decisione divina. Quest'uomo di Nazareth, che è
inserito nella vicenda storica dell'umanità e parla parole umane è, nella
misteriosa profondità del suo essere, una cosa sola con Dio.
Egli, dunque, è la parola piena e definitiva. Egli è l'uomo
perfettamente realizzato. Ogni altra persona umana, ogni altra parola umana sono
veramente umane in riferimento a lui e a partire da lui. La vicenda storica di
Gesù, come parola di Dio, come segno umano di Dio, così vicino a Dio da essere
realmente identico a Dio, trova il suo suggello nella Pasqua, dove l'unità reale
di Gesù con il Padre è supremamente manifestata. Gesù si affida al Padre in
un'obbedienza così radicale, da abbracciare anche la morte di croce; e il Padre
a tal punto congiunge con sé Gesù, da comunicargli la vita gloriosa della
risurrezione; e lo Spirito Santo, che è l'amoroso suggello dell'unità del Padre
con il Figlio, guida tutta la vita di Gesù fino alla morte, agisce come
principio potente di risurrezione e dal Cristo risorto, in cui dimora in
pienezza, viene effuso sulla Chiesa e in tutti i credenti. La vita di Gesù,
dunque, dall'incarnazione fino all'effusione pasquale dello Spirito, è parola di
Dio in modo definitivo. In essa Dio dice chi Egli è propriamente: è comunione di
vita, è amore, è Trinità. E dice anche chi Egli vuol essere per l'uomo: vuole
essere il Padre che ama, l'alleato che accoglie e salva, l'amico che condivide
fino alla morte la condizione dell'uomo, per rendere l'uomo partecipe della Sua
condizione divina.
[13] Il senso profondo dell'essere e della storia di Gesù,
come rivelazione definitiva di Dio, ci viene dischiuso da Gesù stesso attraverso
il linguaggio dei suoi comportamenti, delle sue espressioni, delle sue parole,
che, in quanto parole del Figlio unigenito, mandato dal Padre, sono
rigorosamente e propriamente parola di Dio. Ma le parole di Gesù arrivano a noi
attraverso e insieme ad altre parole, suscitate dallo Spirito Santo nel popolo
dei credenti. Da un lato, infatti, le parole di Gesù, mentre emergono dal suo
essere profondo, affondano le radici nella storia del popolo dell'antica
alleanza: Gesù ha inteso e presentato se stesso come il compimento delle
promesse, come il Messia atteso dagli antichi padri, come l'imprevedibile e
insieme fedele attuazione delle parole che Dio stesso aveva deposto nel cuore
del Suo popolo.
Dall'altro lato, le parole di Gesù hanno convocato il nuovo
popolo dei credenti, nel quale esse sono state custodite, meditate, trasmesse
secondo modalità stabilite da Gesù e garantite dalla presenza dello Spirito
Santo. La testimonianza profetica del popolo dell'Antico Testamento e la
testimonianza apostolica del popolo del Nuovo Testamento, in quanto parlano di
Gesù, sono anch'esse, in senso vero e proprio, parola di Dio. Questa Parola,
dopo tempi variamente lunghi di trasmissione orale, è stata fissata per iscritto
in tempi e con modalità diverse, ma sempre secondo una sapiente disposizione
divina, che ha voluto così assicurare alla Parola ispirata da Dio stesso una
forma di più stabile continuità e di più fedele conservazione.
Si è così giunti al canone delle Sacre Scritture dell'Antico
e del Nuovo Testamento, nelle quali la fede della Chiesa si riconosce pienamente
espressa, nel senso che riconosce in esse l'autentica parola di Dio, da cui la
fede è continuamente suscitata e alimentata.
[14] Queste brevi riflessioni sulla parola di Dio, che
illustrano i suoi diversi significati e aspetti, unificandoli e concentrandoli
in Gesù Cristo, ci ammoniscono a non isolare la Bibbia, che la fede riconosce
come parola di Dio in modo privilegiato e normativo, ma a collocarla nel
contesto di alcune relazioni qualificanti.
Anzitutto la Bibbia va collocata nella Chiesa. La Bibbia
contiene la Parola che suscita la fede e convoca la Chiesa; ma, a sua volta, la
fede della Chiesa, accogliendo la Parola, le dà risonanza e consistenza storica,
la custodisce gelosamente, la trasmette fedelmente, la interpreta
autorevolmente, attraverso quella varietà di funzioni e ministeri ecclesiali che
Gesù stesso ha istituito e che lo Spirito Santo anima interiormente con i suoi
doni. La tradizione della Chiesa è l'ambito concreto entro cui la Sacra
Scrittura riceve forma e figura definitiva, trova le determinazioni che la
distinguono da altri scritti non ispirati, incontra la memoria viva della
testimonianza apostolica, che è fonte autorevole di interpretazione e di
riattualizzazione. L'accesso alla Sacra Scrittura, quindi, mentre richiede
l'intensa applicazione delle energie personali, esige anche una cordiale e
attiva consonanza con la fede di tutta la Chiesa.
Questo deve suonare prima di tutto come richiamo alla
sintonia con le indicazioni autorevoli del Magistero. Infatti "l'ufficio di
interpretare autenticamente la Parola di Dio scritta o trasmessa è stato
affidato al solo magistero vivo della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel
nome di Gesù Cristo" ("Dei Verbum", n. 10). Ma a ciò va aggiunto anche un invito
a una felice convergenza delle competenze, dei carismi, dei lumi di tutti i
credenti: "infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole
trasmesse, cresce sia con la riflessione e lo studio dei credenti, i quali le
meditano in cuor loro, sia con la profonda intelligenza che essi provano delle
cose spirituali, sia con la predicazione di coloro i quali con la successione
episcopale hanno ricevuto un carisma certo di verità" ("Dei Verbum", n. 8).
Tante potenzialità contenute nelle Sacre Scritture, come
prezioso messaggio di speranza per il mondo di oggi, rimangono inesplorate e
improduttive, perché gran parte del popolo cristiano è inerte e muta, per
indifferenza o per impreparazione, nei confronti del testo sacro.
[15] Una seconda relazione che deve essere considerata è
quella tra Bibbia ed Eucaristia.
Infatti la vicenda storica di Gesù, che scaturisce dalle
profondità dell'essere di Gesù, consostanziale con il Padre, è parola di Dio in
modo originario e insuperabile. Orbene l'Eucaristia, con tutta la realtà
sacramentale che da essa promana, è memoria della Pasqua di Gesù, non nel senso
psicologico del ricordo, sulla misura e secondo le leggi della memoria umana,
bensì nella luce della potenza dell'amore divino manifestato nella Pasqua. In
Gesù morto e risorto Dio proclama e attua la Sua amorosa volontà di vicinanza
all'uomo, di presenza nella storia, di perdono del peccato, di vittoria sulla
morte, di inizio di una vita nuova. L'Eucaristia è la concreta modalità storica
con cui l'amore onnipotente di Dio, culminante nella Pasqua di Gesù, raggiunge
il suo intento di rendersi realmente presente e operante in ogni momento della
storia umana.
L'Eucaristia è presenza viva e reale di Gesù, del suo
mistero, del suo sacrificio, della sua Pasqua. Tutta la vicenda di Gesù,
dall'incarnazione del Figlio preesistente alla dolorosa umiliazione del
Crocifisso, alla glorificazione del Cristo risuscitato e datore dello Spirito,
si ripropone a noi nell'Eucaristia, in forza dell'interiore efficacia del
sacrificio pasquale. Anche la parola di Dio, contenuta nella Bibbia, è efficace
in forza della Pasqua: altro non fa che proclamare l'efficacia dell'amore di Dio
culminante nella Pasqua. Quindi la Bibbia è orientata e orienta all'Eucaristia e
alle altre celebrazioni sacramentali. Ma, se la Parola biblica trova il supremo
suggello e il radicale fondamento della sua efficacia nell'Eucaristia, a sua
volta l'Eucaristia si fonda in un certo senso nella Bibbia.
La Bibbia, infatti, conserva e trasmette le parole con cui
Gesù istituì l'Eucaristia. La Bibbia ricorda il comando di Gesù: "Fate questo in
memoria di me", a partire dal quale la Chiesa, obbedendo fedelmente al suo
Fondatore, celebra l'Eucaristia.
La Bibbia, ancora, rievoca l'arco complessivo della storia
della salvezza, annuncia i gesti mirabili dell'amore di Dio, ci introduce nei
misteri della vita di Gesù e nel mistero del suo essere: in tal modo ci dà una
comprensione distesa, piena e saporosa dell'amore di Dio, che nell'Eucaristia è
come compendiato e condensato.
La Bibbia, infine, presentandoci la fede di coloro che hanno
aderito con tutta la loro vita alla parola di Dio, ci offre gli spunti concreti
per fare memoria di Gesù, non solo nel senso di compiere la celebrazione
rituale, ma anche nel senso di impostare la nostra vita in modo tale che essa
sia una offerta del nostro corpo e del nostro sangue, cioè di tutto il nostro
essere, al Padre e ai fratelli. La vita concretamente spesa nella carità è lo
scopo ultimo dell'Eucaristia. Nel tendere a questo scopo, l'Eucaristia si avvale
anche della parola di Dio, per l'intrinseca relazione che intercorre tra la
Parola e la vita.
[16] E' questa la terza relazione, che merita una sosta
riflessiva: la Bibbia incrocia la vita dell'uomo, secondo un complesso movimento
che va dalla vita alla Parola e dalla Parola ritorna alla vita.
L'uomo accede alla Bibbia portando con sé la dignità e il
peso della propria libertà, delle irrequiete ricerche, delle involuzioni
spirituali, dei fremiti di coraggio e di speranza, delle conquiste effettive ma
precarie nei vari settori dell'esperienza umana. L'intuizione, continuamente
offuscata e rinnegata, ma sempre riaffiorante, di esse re l'attonito, fragile,
indegno custode dell'inafferrabile mistero di Dio; l'intuizione di essere lui
stesso segno, cifra, parola di Dio, in un modo che Dio solo può chiarire,
determinare, liberare dalle ambiguità e dalle distorsioni; l'intuizione di
potersi pienamente attuare solo in un evento che lo eccede e lo mette in un
atteggiamento di confidente abbandono e di umile adorazione: ecco, proprio
questa intuizione, in cui culminano e si inverano le varie esperienze umane, è
la condizione spirituale che l'evento della parola di Dio suppone e fonda nel
medesimo tempo.
Addentrandosi, poi, nella contemplazione della parola di Dio;
cogliendo nella storia sacra il mistero della volontà di Dio circa la storia
umana; imbattendosi in una infinita varietà di situazioni umane illuminate e
salvate dalla parola di Dio; immergendosi, soprattutto, nella meditazione della
vita di Gesù, l'uomo incontra la forma pura e autentica della vita umana, quella
che Dio stesso ha proposto come luminosa rivelazione di Se stesso.
Allora l'uomo ritorna alla vita di ogni giorno con una nuova
luce di speranza. E anche con un impegno nuovo: testimoniare, con gli esempi
concreti del proprio comportamento, la vittoriosa energia della parola di Dio,
che salva la libertà dall'illusoria autosufficienza, dai desideri ambigui, dalla
prepotenza ottusa e dalle rinunciatarie disperazioni.
Per dare maggiore concretezza a quanto sin qui detto,
passiamo ora ad alcune riflessioni circa la presenza della parola di Dio nelle
celebrazioni liturgiche e circa la testimonianza della parola di Dio nella vita.
[17] La parola di Dio ha squarciato il silenzio
dell'universo, ha animato il deserto dell'esistenza, ha dato un senso e una meta
ai nostri passi incerti.
Essa, che al culmine della sua rivelazione si è presentata
con il volto amabile di Gesù di Nazareth, non è dunque un dono superfluo, ma il
rimedio offerto dalla misericordia del Padre alla tristezza e alla paura che non
potrebbero non provare e fiaccare l'uomo lasciato a se stesso nella
vicissitudine enigmatica e penosa della vita.
"Cristo e la Scrittura divina - dice S. Ambrogio - sono il
rimedio di ogni disgusto e il solo rifugio nelle tentazioni" ("De
Interpellatione David" IV, 4, 18).
Quando la Parola ci raggiunge, l'esilio è vinto, Dio ritorna
a camminare sulle nostre strade, la terra ridiventa in qualche modo il giardino
di delizie dove è ancora possibile alla creatura intrattenersi familiarmente con
il suo Creatore: "Quando leggo la divina Scrittura, Dio torna a passeggiare nel
Paradiso terrestre" (S. Ambrogio, "Epistola" 49, 3).
C'è tuttavia nella terra del nostro pellegrinaggio, un
"luogo" dove la parola salvatrice risuona con efficacia eccezionale: la sacra
liturgia.
Essa è veramente un ininterrotto dialogo tra la Parola e
l'uomo, chiamato a essere una eco di questa stessa divina Parola. La sacra
liturgia, infatti, è l'incontro salvifico del Padre che è nei cieli e viene a
conversare con molta amorevolezza con i suoi figli; è il colloquio tra lo Sposo,
il Signore Gesù, e la sua diletta Sposa, la Chiesa, fatta partecipe dell'eterno
canto di lode che il Verbo incarnato ha introdotto in questo nostro terrestre
esilio (cfr. "Sacrosanctum Concilium", n. 83).
La sacra liturgia, perciò, si nutre abbondantemente alla
mensa della parola di Dio: prende dalla Bibbia le sue letture, canta i salmi, si
ispira alla Scrittura nel comporre inni, preghiere, esclamazioni e invocazioni.
Nel suo concreto svolgimento manifesta una struttura dialogica che esprime la
vita stessa della Chiesa. Come, infatti, nel Vecchio Testamento l'assemblea di
Iahvé è chiamata in primo luogo per ascoltare Dio che parla: "Ascoltate oggi la
sua voce" (Salmo 94, 4), così l'assemblea liturgica, il vero popolo di Dio,
viene radunato anzitutto per ascoltare la Parola, Cristo Signore, e per unirsi a
Lui, guidata dal suo Spirito, nella lode e nella supplica al Padre.
Nella sacra liturgia appare con evidenza privilegiata che il
destinatario della Parola non è l'individuo che si isola, ma il popolo dei
redenti che si raduna; che la sua voce viva non è l'uomo che la proclama a se
stesso, ma il Magistero della Chiesa che, attraverso la varietà dei ministri,
l'annuncia all'assemblea; che il suo esito naturale non è il compiacimento della
dotta speculazione, ma è l'energia trasformante dei sacramenti e la vita
palpitante dello Spirito che inabita i cuori.
Perciò la parola della Scrittura, quando risuona nelle
celebrazioni liturgiche, costituisce uno dei modi della reale, misteriosa,
indefettibile immanenza di Cristo tra i suoi, come ci insegna il Concilio
Vaticano II: "Egli è presente nella sua Parola, giacché è lui che parla quando
nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura" ("Sacrosanctum Concilium", 7).
Quando Dio parla, sollecita una risposta. Noi rispondiamo al
Dio che parla e ci ricorda l'evento della nostra salvezza e il mistero del suo
amore, con la celebrazione dell'Eucaristia - grande preghiera di ringraziamento,
memoriale perenne della passione redentrice, offerta con la Vittima immolata
della propria vita -, con le altre celebrazioni liturgiche, intimamente connesse
con l'Eucaristia, tra cui l'Ufficio Divino o Liturgia delle Ore.
Fermiamo la nostra attenzione sull'annuncio e l'ascolto della
Parola e sulla Liturgia delle Ore.
[18] Risulta anzitutto l'importanza di una predicazione che
sia "nutrita e regolata dalla Sacra Scrittura". Le settimane residenziali
previste per quest'anno per l'aggiornamento del clero saranno tutte su questo
tema. Confido che da esse verrà rinnovata e consolidata in tutti i presbiteri
una profonda coscienza della propria responsabilità verso l'annuncio della
parola di Dio.
La lettura personale e in comune della Scrittura come parola
di Dio ("lectio divina") è uno dei mezzi più efficaci per ogni fedele per
disporsi a cogliere i frutti dell'ascolto della Parola nella liturgia e
prolungarne gli effetti.
Essa consiste nella lettura di una pagina biblica tesa a far
sì che essa diventi preghiera e trasformi la vita. Si può attuare secondo due
movimenti diversi. Il primo, quello classico, parte dal testo per arrivare alla
trasformazione del cuore e della vita secondo lo schema
lettura-meditazione-orazione-contemplazione. Il secondo parte dai fatti della
vita per comprenderne il significato e il messaggio alla luce della parola di
Dio. I suoi momenti possono essere espressi nelle due domande: come si rivela la
presenza di Dio in questo fatto? quale invito il Signore mi rivolge attraverso
di esso? tenuto conto che l'autenticità delle risposte sarà verificata
richiamandosi a esempi o parole di Gesù nel Vangelo o ad altre situazioni o
parole della Scrittura. Una variante di questo metodo è il trinomio
vedere-giudicare-agire, dove il giudicare significa comprendere il fatto alla
luce della parola di Dio, e l'agire va confrontato con gli imperativi del
Vangelo.
Il primo metodo si adatta meglio per la lettura personale, il
secondo per un incontro di gruppo (revisione di vita). Ma i due metodi si
integrano a vicenda, e si correggono nelle loro possibili unilateralità. Un
esercizio di essi assicurerà quella penetrazione della Parola nella vita che è
lo scopo di questo programma pastorale.
Tutta questa attività a servizio della Parola sembra
richiedere che nella comunità cristiana vi siano, accanto ai presbiteri, anche
dei laici capaci di animare e sostenere lo sforzo capillare di lettura e di
ascolto. Dobbiamo qui esprimere un vivo ringraziamento ai tanti, uomini e donne,
che già operano in questo campo, sia come lettori durante l'assemblea liturgica,
sia come catechisti, sia come animatori di gruppi di preghiera e di ascolto. C'è
da domandarsi se non sia giunto il tempo di pensare ad offrire e poi anche a
richiedere una formazione più omogenea e costante a tutti coloro che già
esercitano questi ministeri di fatto, e se non sia opportuno pensare, per
persone particolarmente preparate in questo campo, anche a ministeri istituiti.
I pareri raccolti su questo punto sono stati vari e diversi, data la complessità
dell'argomento, già più volte emerso in passato. L'esperienza di quest'anno
mostrerà su quale via procedere perché la figura di una chiesa ministeriale
acquisti la necessaria chiarezza e forza espressiva.
[19] Voglio aggiungere ora alcune osservazioni sulla Liturgia
delle Ore. In essa il Dio, che ripetutamente ci parla, ascolta la nostra
risposta e ci suggerisce la parola stessa con cui rispondere.
Tutta la creazione, che ha il suo capo nel Gesù crocifisso e
risorto e il suo corpo in tutti coloro che a lui sono vitalmente connessi,
risponde al suo Creatore ritmando la sua lode e la sua implorazione si direbbe
sul respiro stesso dell'universo, cioè sul fluire del tempo e sulla vicenda
perenne e sempre nuova della luce.
Ogni essere, in qualche modo, si congiunge a questa preghiera
cosmica che si eleva a Dio, soprattutto nei due momenti cardinali del tramonto e
del primo mattino
"Quale uomo dotato di sensibilità non arrossirebbe di
concludere la sua giornata senza la recita dei salmi, dal momento che anche gli
uccelli piccolissimi accompagnano il sorgere del giorno e della notte con un
atto di pietà abituale e con un dolce canto?" (S. Ambrogio, "Exameron", V, 12,
36).
"Invitati da tanta grazia data alla Chiesa e da così grandi
premi promessi alla pietà, anticipiamo il sole che sorge, andiamo incontro alla
sua aurora, prima che egli dica: Eccomi!
Il Sole di giustizia vuol essere anticipato e aspetta che lo
anticipiamo" ("In Psalmum 118", 19, 30).
Il Concilio Vaticano II ci ha ricordato la dignità singolare
e il valore di questa preghiera: "Quando a celebrare debitamente quel mirabile
canto di lode sono i sacerdoti e altri a ciò deputati da un precetto della
Chiesa, o i fedeli che pregano insieme col sacerdote nella forma approvata,
allora è veramente la voce della Sposa stessa che parla allo Sposo, anzi è la
preghiera che Cristo, insieme col suo Corpo, eleva al Padre" ("Sacrosanctum
Concilium", 84).
[20] Nella Liturgia delle Ore la stessa parola di Dio mette
sulle nostre labbra il canto di risposta, proponendoci la recita dei salmi, i
quali sono, come tutte le altre pagine della Bibbia, divinamente ispirati, e
insieme sono vera e appassionata preghiera dell'uomo.
E così si avvera in modo significativo quanto dice S. Paolo:
"Nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso
intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili" (Rm 8, 26). Lo
Spirito Santo dunque, "che ha parlato per mezzo dei profeti" ed è l'autore
principale dei salmi, prega con la nostra voce e assicura alla nostra
implorazione il gradimento del Padre.
Lo stesso Signore Gesù nella sua vita terrena ha pregato coi
salmi, e continua oggi a pregare con noi. Coi salmi ha pregato la Vergine Maria,
coi salmi hanno pregato tutte le generazioni cristiane.
Per questa preghiera così ha espresso il nostro S. Ambrogio
la sua ammirazione: "Che cosa vi è di più bello del salmo?... Il salmo è
benedizione del popolo, lode a Dio, inno di lode del popolo, applauso generale,
inno dell'universo, voce della Chiesa, canora professione di fede, devozione
piena di autorevolezza, gioia della liberazione, grido di allegrezza, esultanza
della goia. Mitiga l'ira, respinge l'angoscia, solleva dal pianto. Arma nella
notte, magistero nel giorno, scudo nel timore, festa nella santità, immagine
della quiete, pegno della pace e della concordia: come una cetra, da suoni
diversi e diseguali esprime un unico canto. Lo spuntare del giorno fa risonare
il canto del salmo, col canto del salmo risponde il tramonto" ("Explanatio" Ps.
1, 9).
Le diffcoltà che l'uomo di oggi può incontrare nella
comprensione dei salmi sono facilmente superate, se si ricordano e si accolgono
nella fede le norme della loro interpretazione, insegnateci dagli antichi Padri,
e in particolare da S. Ambrogio e S. Agostino, generati alla vita di grazia da
questa nostra Chiesa Milanese, e perciò a noi vicini e carissimi: tutti i salmi
nel loro senso più profondo e pieno parlano di Cristo (che soffre nella sua
passione ed è salvato e glorificato dal Padre nella risurrezione) o della Chiesa
(che è pellegrina in terra e si allieta nel Regno) o dell'uomo redento
(tribolato e perseguitato, ma insieme in serena attesa della gioia eterna);
oppure in essi parla Cristo o la Chiesa o il cristiano.
I pastori d'anime, con magistero assiduo e paziente, ridonino
a tutti i fedeli la ricchezza di questa lettura veramente "cristiana". Sarà
opportuno che quest'anno nelle "Scuole della parola di Dio" vengano spiegati
alcuni salmi, indicando modi concreti di lettura e di assimilazione nella fede.
Si favorirà così quel movimento della Parola verso la vita quotidiana di cui
diremo ora qualcosa più esplicitamente.
[21] "Le parole che vi ho detto sono spirito e vita" (Gv 6,
63). Tutto ciò che è stato detto fin qui è destinato a trasformare la vita del
credente e farne un uomo nuovo, una persona in cui Cristo stesso si esprima, ami
e si metta a servire. E' destinato a trasformare la comunità degli uomini
secondo il dinamismo e la grazia della comunione, così da farne un popolo nuovo,
"fino a quel giorno in cui gli uomini, salvati dalla grazia, renderanno gloria
perfetta a Dio, come famiglia da Dio e da Cristo fratello amata" (Gaudium et
spes, n. 32).
Come la Parola si esprime nella vita? Su questo punto
occorrerebbe parlare soprattutto con esempi concreti. Mi limito qui a dare
alcune indicazioni più generali e ad accennare a tre esempi: i lontani, la
famiglia, gli eventi dolorosi della vita personale e sociale. Altri, come quelli
riguardanti più specificamente il mondo del lavoro, la condizione giovanile, la
condizione femminile, l'impegno politico e sociale del credente, potranno essere
ripresi opportunamente nel corso dell'anno in occasione dei vari incontri con
diverse categorie di persone. Il loro approfondimento è raccomandato vivamente a
tutti.
La Parola domanda di inserirsi sempre di nuovo dentro le
nostre parole e nella nostra vita. Essa vuole farsi testimonianza, attraverso
alcuni passi progressivi.
Anzitutto domanda umilmente di diventare "dono mutuo" tra di
noi! La comunione esige di concretarsi nella comunicazione. Dobbiamo comunicarci
tra di noi anzitutto la parola di Dio: "La parola di Cristo dimori tra di voi
abbondantemente" (Col 3, 16).
Con la Parola e nella Parola ci si edifica a vicenda,
comunicandoci le rispettive reazioni e risonanze suscitate dallo Spirito. Ci si
critica, anche, e ci si corregge a vicenda. La correzione fraterna autentica è
una realtà profondamente evangelica. Siamo tutti responsabili gli uni per gli
altri, tutti umili ascoltatori della Parola e bisognosi di mutua comunicazione
nella fede.
Solo per tale via si arriva a costruire la comunità nella
comunione. Nasce la comunità come la realtà in cui crediamo, testimoniamo la
fede e la diffondiamo missionariamente: "La parola del Signore riecheggia per
mezzo vostro" (1 Tess 1, 8); "La nostra lettera siete voi" (2 Cor 3, 2).
Allenandosi a una più intensa comunicazione, le nostre
comunità si abilitano a interpretare più efficacemente, nella luce della Parola,
le diverse situazioni umane. Davanti a urgenti interpellanze provenienti dal
mondo del lavoro, dalle nuove circostanze in cui vive la famiglia, dalla
inquieta condizione dei giovani e delle donne, per citare solo alcuni casi
significativi, le nostre comunità si trovano mute e impacciate, perché non sono
abituate a un costante confronto, in cui il riferimento alla parola di Dio si
intreccia con il riferimento alla concreta situazione umana vista in tutta la
sua complessità e in tutte le sue sfaccettature. Solo in questo confronto la
Parola rivela e attua la sua capacità di essere la "verità", cioè il senso
profondo e la salvezza integrale della storia umana.
Non serve la Parola chi la ripete soltanto meccanicamente. A
partire dalla comunità bisogna dunque leggere e decifrare la storia con la
Parola.
Ciò richiede tempo, pazienza, dialogo. Ma bisogna mettersi
per questa strada e saper uscire fuori, anche lontano: interpretare le religioni
del mondo, la religiosità popolare, le culture e le vicende culturali dei popoli
e delle minoranze, le sofferenze e le ansie della nostra civiltà della tecnica,
i fermenti nuovi, gli echi del passato e del futuro. Contro la tendenza a
spegnere fermenti di vita, bisogna con la forza della Parola risuscitare i
morti, ridare memoria e speranza. In un'epoca di disperati e senza senso, di
smarriti in un universo che sembra spegnersi, solo la Parola dura in eterno,
supera e salva ciò che muore.
La Parola, che si incarna nella vita, tocca le situazioni
difficile del nostro tempo.
Consideriamo alcune realtà concrete.
[22] Dobbiamo renderci conto che purtroppo molta parte della
nostra popolazione, specialmente nei grandi agglomerati urbani, non ha un
rapporto regolare con la comunità cristiana, con le sue celebrazioni, con la sua
predicazione e le sue iniziative. Vicino a noi, nelle nostre case, dentro le
nostre stesse famiglie incontriamo dei "lontani": si tratta di cristiani che
solitamente non hanno del tutto abbandonato la loro fede, ma non la vivono
secondo il normale ritmo della comunità cristiana, per le cause più diverse:
insufficiente cura educativa nell'adolescenza e nella giovinezza; difficile
impatto con il mondo della scuola e del lavoro; illusioni e disillusioni della
società del benessere; intolleranza per le lacune della comunità cristiana;
ricerca di forme di vita e di impegno che sembrano più aderenti ai problemi
della società attuale. Sarebbe utile continuare l'analisi di queste cause,
perché saremmo così aiutati a conoscere meglio sia il tipo di fede, che è ancora
presente in questi cosiddetti lontani, sia le insufficienze della nostra vita di
fede e del nostro impegno pastorale. Vorrei notare che le difficoltà richiamate
riguardano particolarmente i giovani Parecchi si trovano di fatto nella
condizione di non saper ascoltare la Parola; occorre che tutti noi, credenti e
pastori, sentiamo la responsabilità grave di operare perché ad essi risuoni
ancora l'annuncio, del quale le loro inquietudini mostrano chiaramente la sete.
Ma limitiamoci ad alcuni spunti, più strettamente legati con l'annuncio della
parola di Dio.
Notiamo, anzitutto, che molte pagine della Bibbia ci
presentano dei forestieri, dei pagani, degli esclusi, che diventano i
destinatari privilegiati della parola di Dio. Effettivamente su coloro che
frequentano regolarmente la vita della comunità incombe il rischio di abituarsi
ai grandi doni cristiani, di trattarli in modo possessivo, di mortificarne
l'efficacia operativa. Invece la condizione di lontananza, soprattutto quando
non dipende prevalentemente da cause colpevoli, come la pigrizia,
l'indifferenza, la condotta morale contraria al modello evangelico, può
conferire alla ricerca di fede un tono di profondo rispetto, una passione per
l'autenticità, una maggiore serietà nel correlare la fede con i problemi del
mondo d'oggi. Questi possibili valori, presenti nella fede dei lontani, non
devono indurre a pensare che sia preferibile mantenere la condizione di
lontananza. Si tratta di valori precari, che, per essere veramente e
fruttuosamente operanti, richiedono che la lontananza venga superata in un
accostamento critico e coraggioso alla vita della comunità cristiana.
Nell'aiutare fraternamente i lontani occorre riconoscere che
spesso la nostra presentazione della fede cristiana dà per scontate alcune cose,
che, invece, richiedono riflessione critica; non sempre esprime la gerarchia
obbiettiva delle realtà cristiane, finendo per offrire un'immagine sfocata e
livellata del messaggio di Gesù; ricorre a un linguaggio ripetitivo, logorato
dall'uso, compromesso da significati convenzionali e non più capiti dal di
dentro; non tiene conto delle particolari prospettive degli ascoltatori. Occorre
elaborare una forma di presentazione, che, pur abbracciando la totalità del
messaggio rivelato, tenga conto sia del progressivo avvicinamento che
l'ascoltatore deve compiere, sia della logica interna, secondo cui si dispongono
le realtà cristiane.
Alcune verità sono oggettivamente il corollario di altre, che
quindi esigono un annuncio prioritario; soprattutto certe impegnative esigenze
cristiane nel campo morale rivelano il loro senso solo quando si sono proclamate
e capite certe caratteristiche con le quali l'amore di Dio è stato donato a noi
in Cristo. Orbene un ricorso più fiducioso e più intelligente alle pagine
bibliche può dare organicità e vigore alla presentazione della fede cristiana ai
lontani. Non si intende sostenere con ciò un ricorso semplicistico e quasi
magico alla Bibbia. La Sacra Scrittura richiede di essere collocata nel
complessivo sviluppo della tradizione ecclesiale e di essere confrontata con i
concreti itinerari culturali, attraverso i quali ogni persona e ogni epoca
camminano verso la verità.
Però, per un primo impatto con la fede cristiana, una ben
studiata aderenza alla pedagogia del testo biblico favorisce un contatto con gli
elementi essenziali della fede; permette itinerari diversi e complementari,
sempre orientati alla centralità del mistero pasquale; assicura quel costante
contatto con la realtà storica, che dà fondamento critico alle certezze della
fede; assume un andamento esistenziale e narrativo, che permette di congiungere
una estrema concretezza con inesauribili risorse contemplative e spunti
riflessivi; propone una mirabile varietà di formule sintetiche, con cui la fede,
senza nulla perdere della sua vastità e complessità, riesce però a dire la sua
pregnante compiutezza nel giro di poche parole.
Occorre sperimentare pazientemente e confrontare tra loro
diversi itinerari di annuncio della fede secondo le modalità ora accennate,
valorizzando alcune occasioni di incontro che i lontani hanno con la comunità
cristiana o creandone di nuove: catechesi prematrimoniale; Battesimo, Prima
Comunione, Confermazione dei figli; predicazione per i matrimoni e i funerali;
visita missionaria a singole famiglie o a gruppi di famiglie da parte di persone
ben preparate; possibilità di sereni colloqui col sacerdote e con laici
disponibili e capaci; scuole organiche di introduzione alla fede, a livello
diocesano e decanale, alle quali poter inviare quelle persone che talvolta si
presentano al sacerdote per chiedere seriamente un aiuto nella riscoperta della
fede.
[23] Dobbiamo, purtroppo, collocare la famiglia tra gli
ambiti di difficile penetrazione della Parola di Dio. La famiglia, di per sé,
dovrebbe essere un luogo di intensa comunicazione non solo della parola di Dio,
ma anche di quelle fondamentali parole umane che introducono al senso profondo
della vita. In realtà la famiglia vede molto compromessa, nella società attuale,
la sola insostituibile funzione educativa. Alcuni sintomi allarmanti denunciano
la crisi profonda di quei valori umani, di cui la famiglia è portatrice in modo
specifico e costitutivo.
Per esempio, il rapporto uomo-donna tende a perdere la sua
specifica caratteristica di dedizione incondizionata e definitiva, per
uniformarsi ad altri rapporti umani a breve scadenza, fondati sull'interesse,
sull'arbitrio, su quello che di volta in volta appare come utile e piacevole,
senza il coraggio della libera scelta irrevocabile.
Così la tipicità del rapporto genitori-figli viene intaccata
sia dal fatto che il figlio tende ad essere visto come un fenomeno accessorio o
addirittura fastidioso del rapporto coniugale, sia dal fatto che altre e
contraddittorie figure di adulti, che si presumono autorevoli, impongono se
stesse ai figli, non in collaborazione con l'autorevolezza dei genitori, ma
spesso in sottile o clamoroso contrasto, rendendo ancora più difficile il
dialogo familiare, già disturbato dall'ingigantito "salto generazionale".
La conseguenza di tutto ciò è una grave riduzione del rilievo
sociale e culturale della famiglia. Il senso pregnante di quelle fondamentali
parole a cui uno deve far riferimento per orientarsi nella vita - come amore,
lavoro, amicizia, apertura al mistero, nascita, morte, dolore, onestà sociale
ecc. - non è più determinato dall'ambito familiare, con la sua carica di vita
vissuta, di sapienza tradizionale, di affetto rispettoso, ma tende a essere
influenzato sempre più da mille altre voci extra-familiari, spesso
caratterizzate da superficialità, da distorsioni, da intenti di
strumentalizzazione e di cattura psicologica. Anche i tempi del dialogo
familiare e dell'intimità post-lavorativa vengono invasi dai mezzi di
comunicazione sociale, che condizionano pesantemente la vita intellettuale e
affettiva della famiglia.
Occorre aiutare la famiglia a ritrovare il gusto e la
responsabilità di quei valori umani originali, che in essa vengono celebrati a
beneficio delle persone e, a lungo andare, dell'intera convivenza sociale.
Se la famiglia riuscisse a raccogliere se stessa, intorno
alla parola di Dio, o riandando a ciò che fu proclamato in chiesa, durante la
liturgia, o leggendo direttamente e organicamente le pagine bibliche, troverebbe
una fonte inesauribile di messaggi preziosi circa la vita stessa della famiglia,
circa le vicende che i familiari attraversano nelle diverse stagioni della vita,
circa gli avvenimenti che succedono nel mondo d'oggi. Allora fatti e situazioni
entrerebbero nella famiglia, non più in forma grezza e incombente, ma attraverso
quel filtro di sapienza e di serenità che è la parola di Dio. Questa Parola,
inoltre, potrebbe stimolare le famiglie a inventare una socialità nuova,
superando, anche a prezzo di tempo e di fatica, le aggregazioni istintive e
discriminanti, fondate sulla comune estrazione sociale e culturale.
Le parrocchie si impegnino a preparare sussidi opportuni,
utilizzando il bollettino parrocchiale, prevedendo nel programma di catechesi
dei ragazzi qualche parte da svolgere in famiglia con i genitori, educando le
famiglie più sensibili a una meditazione comune dei testi biblici almeno nei
tempi forti dell'anno liturgico.
La visita annuale alle famiglie (trovando ad esempio anche il
tempo di leggere insieme un Salmo e attualizzandolo brevemente) sarà un tempo
propizio per stimolare questa apertura della comunità familiare alla parola di
Dio.
[24] L'efficacia della parola di Dio può essere ulteriormente
illustrata, mettendola a confronto con tanti momenti bui e angosciosi della vita
personale e sociale. Quando il dolore bussa alle porte della nostra vita, quando
siamo coinvolti nella sofferenza e nel lutto di persone a noi vicine, quando
siamo colpiti da tragedie sociali, tocchiamo con mano l'impotenza delle parole
umane. Un istintivo senso di pudore ci consiglia di stare in silenzio accanto a
chi soffre, testimoniando la nostra solidarietà con una presenza discreta e
operosa. Ma l'impotenza colpisce anche la parola di Dio? Non c'è forse nella
parola di Dio una luce di speranza, di cui dovremmo renderci testimoni, senza
retorica e affettazione, ma con umiltà e semplicità? Il fatto stesso che,
donandoci la Sua Parola Dio assicuri a noi la Sua presenza in ogni momento della
vita, non dovrebbe costituire l'avvio di un cammino di consolazione e di
impegno? O forse a noi Dio non interessa e ci premono di più i beni che noi
esigiamo da Lui? Infatti noi arriviamo a capire che Dio è il bene vero e la
gioia suprema della nostra vita, attraverso le esperienze dei beni e delle gioie
parziali che incontriamo nella vita di ogni giorno.
Ma dovremmo anche capire che Dio, mentre è la fonte dei beni,
che sono oggetto dei nostri immediati desideri, è, però, più grande di questi
beni e può prepararci dei beni che superano le nostre attese. Talvolta, invece,
i beni da noi desiderati e programmati ci interessano di più di Dio e dei beni
che Egli prepara. Di qui la nostra diffidenza o addirittura il rifiuto verso
Dio, quando non abbiamo quei doni di vita, di salute, di serenità personale,
familiare, sociale, che sono certamente importanti e che vanno umilmente
richiesti a Dio, ma non ponendo l'esaudimento di questi desideri come condizione
per credere in Lui.
Nei momenti del dolore la parola di Dio può splendere sulla
nostra vita proprio come un richiamo all'essenziale: Dio ti parla, Dio ti è
vicino, Dio è fedele: questo deve bastarti. La Bibbia, per il semplice fatto di
esistere come parola di Dio, prima ancora che per i contenuti che ci propone,
diventa un consolante viatico per tutti i momenti della vita. Ma anche i
contenuti accendono luci di speranza. L'esempio dei credenti che si sono
affidati a Dio, soprattutto l'esempio di Gesù, che aderisce al Padre fino alla
morte, alimenta in noi un senso profondo di Dio, che è più grande dei beni da
noi desiderati.
Inoltre la parola di Dio ci mostra che, mentre alcuni beni
non ci vengono concessi o ci sono dolorosamente sottratti, altri beni più
profondi ci vengono dischiusi: il coraggio, una più profonda solidarietà umana,
un senso più umile della nostra fragilità, una maggiore vigilanza sui nostri
desideri superficiali, una più fedele dedizione al nostro dovere, di là da
facili gratificazioni, ecc.
Infine la parola di Dio accende in noi la speranza in quei
beni misteriosi, ma reali e mirabili, che il Padre va preparando nel mondo nuovo
per coloro che, uniti a Gesù Cristo, si sono totalmente affidati al Suo amore.
[25] Occorre che il primato della Parola sia vissuto. Ora
esso non lo è. La nostra vita è lontana dal potersi dire nutrita e regolata
dalla Parola. Ci regoliamo, anche nel bene, sulla base di alcune buone
abitudini, di alcuni principi di buon senso, ci riferiamo a un contesto
tradizionale di credenze religiose e di norme morali ricevute. Nei momenti
migliori, sentiamo un pò di più che Dio è qualcosa per noi, che Gesù rappresenta
un ideale e un aiuto. Al di là di questo però sperimentiamo di solito ben poco
come la parola di Dio possa divenire il nostro vero sostegno e conforto, possa
illuminarci sul "vero Dio" la cui manifestazione ci riempirebbe il cuore di
gioia. Facciamo solo di rado l'esperienza di come il Gesù dei Vangeli,
conosciuto attraverso l'ascolto e la meditazione delle pagine bibliche, può
divenire davvero "buona notizia" per noi, adesso, per me in questo momento
particolare della mia storia, può farmi vedere in prospettiva nuova ed esaltante
il mio posto e compito in questa società, capovolgere l'idea meschina e triste
che mi ero fatto di me stesso e del mio destino.
La Messa domenicale passa spesso sulle nostre teste senza
riempirci il cuore e cambiare la vita. Ci sembra che la parola di Dio e la
cronaca quotidiana costitutscano come due mondi separati. La nostra vita
potrebbe riempirsi di luce al contatto prolungato e attento con la Parola, e noi
invece la trascorriamo in una penombra pigra e rassegnata.
Perché non scuoterci, darci da fare affinché i tesori che
abbiamo tra le mani siano resi produttivi? Nell'agire quotidiano, anche se
moriamo di fatica, non chiamiamo spesso a raccolta se non una magra percentuale
delle nostre reali capacità espressive e operative. Perché non accettare di
sperimentare come le nostre possibilità latenti e inoperose vengono scosse,
riordinate e rese esplosive per l'azione dall'appello misterioso e penetrante
della parola di Dio?
Ecco il frutto che mi attendo da questo programma pastorale,
lo stesso che si attendeva il Concilio concludendo la Costituzione "Dei Verbum":
"Come dall'assidua frequenza del mistero eucaristico si accresce la vita della
Chiesa, così è lecito sperare nuovo impulso di vita spirituale (cioè di vitalità
operante mossa dall'energia dello Spirito) dall'accresciuta venerazione della
parola di Dio che "permane in eterno" ("Dei Verbum", n. 26).
[26] La prima indicazione operativa, che emerge da questa
meditazione sulla Parola di Dio, è quella di deporre l'atteggiamento
dell'attivismo precipitoso, per assumere l'atteggiamento della operosità
paziente e lungimirante. Non dobbiamo pretendere che basti la programmazione di
qualche felice iniziativa pastorale per dichiarare risolti i problemi e assolti
gli impegni che la parola di Dio propone alla comunità cristiana.
E' proprio questa Parola a dirci che le vie di Dio sono
misteriose e che l'operosità dell'uomo, se vuole unirsi all'efficacia
dell'azione di Dio, deve compiere una profonda conversione nei criteri e nei
metodi. La prima cosa che la parola di Dio ci chiede è un lento cammino di
acclimatamento con un nuovo modo di pensare e di vivere. Anche se le iniziative
concrete e le proposte pastorali sono importanti, non vanno, però,
sovraccaricate di una efficacia indebita: esse servono a farci prendere
coscienza dei compiti che ci attendono e a metterci sulla strada. Ma poi il
cammino va fatto giorno per giorno, confidando nei doni dello Spirito,
mobilitando le energie più belle delle persone, ritrovando coraggio e creatività
dopo ogni insuccesso.
[27] Poste queste premesse, passo a segnalare alcune
applicazioni concrete che si aggiungono a quelle già date nei capitoli
precedenti circa la evangelizzazione ai lontani, la Parola nella famiglia, le
situazioni dolorose dell'esistenza.
Sono cose semplici, che è possibile iniziare subito e che
vogliono stimolare la creatività per iniziative di più largo respiro. Altre
indicazioni più specifiche saranno preparate dai competenti Uffici di Curia.
1. E' necessario che la proclamazione delle letture bibliche
in ogni Messa sia fatta con proprietà, con decoro e con una qualche solennità.
Non si tratta di una semplice lettura, ma di una proclamazione a voce alta
(anche se non necessariamente con un tono di voce elevato), fatta con una certa
lentezza, con gusto, con le dovute pause, rispettando il senso, la
punteggiatura, la correttezza degli accenti. Nessuno dovrebbe leggere
pubblicamente un brano senza averlo prima accostato, rendendosi conto del senso.
Quanta sofferenza provo quando in alcune chiese non riesco a
seguire le parole del lettore! Che cosa capirà in questo caso la gente che
ascolta? E come seguirà l'Omelia, se prima non ha inteso il testo che è stato
letto?
2. Occorre per questo avvertire per tempo i lettori e
fornirli di una adeguata preparazione e formazione spirituale.
Essi devono essere consapevoli di compiere un gesto che rende
presente Cristo, Parola di Dio, in mezzo ai suoi fedeli.
Essi devono poter rendere ragione in qualche modo del testo
che sono chiamati a proclamare.
Inviteremmo noi qualcuno a leggere pubblicamente un canto di
Dante o una pagina del Manzoni senza verificare se hanno la cultura e la
preparazione sufficienti per capire ciò che leggono ed esprimerlo con efficacia?
Ragazzi e ragazze dovrebbero essere chiamati a leggere
normalmente non prima della Professione di Fede.
3. Occorre per questo che nella Catechesi, in particolare
nella preparazione alla Cresima e alla Professione di Fede, si insegnino anche
le poche ma indispensabili premesse tecniche per l'uso della Scrittura e per il
suo confronto con il Lezionario.
Si insegni a riconoscere e trovare i singoli libri della
Bibbia, cominciando da quelli del Nuovo Testamento, a verificare le citazioni, a
individuare nel loro contesto i brani riportati dalla liturgia, a cercare i
passi paralleli, a fare uso delle note e delle introduzioni.
4. Il Salmo responsoriale, felicemente ripristinato nella
Liturgia, sia proposto in modo da risultare un vero canto o recitativo di
meditazione, curando in maniera particolare il ritornello.
Si utilizzi con cura anche il testo dei canti dopo il Vangelo
e allo spezzare del Pane.
5. Si abbia cura di prevedere e attuare brevi pause di
silenzio durante la Liturgia della Parola, così da introdurre opportuni
distacchi nel suo svolgimento ed evitare il susseguirsi e l'accumularsi troppo
rapido dei testi, dei gesti e della preghiera.
Occorre nell'insieme riuscire a creare una situazione di
dialogo tra la Parola che invita e illumina e il popolo che si apre ad
accoglierla come giudizio di salvezza.
6. L'Omelia sia preparata sempre con la massima cura. Vi si
dedichi durante la settimana un tempo conveniente, iniziando di preferenza la
preparazione all'inizio della settimana.
L'Omelia deve far sì che la parola proclamata venga percepita
come annunzio, come buona notizia e invito incoraggiante rivolto alla concreta
assemblea che ascolta.
7. La Parola nella liturgia del sacramento della
Riconciliazione aiuti a percepire in tutta la sua ricchezza l'appello alla
conversione, a conoscere il peccato, a manifestare la volontà di comunione con
il Signore e i fratelli, a rendere grazie per l'esperienza del perdono.
La Parola celebrata nel rito esequiale aiuti a configurare la
celebrazione della morte di un fratello come luogo dell'annuncio della speranza,
della condivisione del dolore, della volontà di riprendere il cammino della vita
alla luce della fede.
La riforma liturgica dispone che normalmente ogni azione
sacra sia compiuta nel contesto della celebrazione della parola di Dio. E'
raccomandato, inoltre, che i sacramenti, fatta eccezione del sacramento della
Penitenza, siano inseriti nella santa Messa in modo da esprimere meglio il loro
stretto legame con il mistero eucaristico. Tuttavia in alcune circostanze potrà
essere opportuno non celebrare l'Eucaristia. In questi casi la celebrazione
della parola di Dio sarà curata anche mediante una intelligente scelta dei testi
biblici, in modo che tutta l'azione sacra appaia appropriata e sia
autenticamente recepita.
8. Qualche volta all'anno gioverà che i preti della
Parrocchia, insieme con alcuni laici, verifichino il rapporto tra Omelia e vita:
quale il rapporto tra i temi trattati in un arco di tempo nelle omelie
domenicali e i principali problemi e interrogativi della gente che ascolta?
Come migliorare sapientemente questo rapporto?
9. Si organizzino scuole della Parola di Dio, in cui si
insegni praticamente come leggere il testo biblico mettendosi nella giusta
situazione di ascolto, così da raccoglierne frutto per l'analisi e la
trasformazione della realtà.
10. Si prevedano opportuni sussidi per le famiglie e i gruppi
familiari, come anche per quelle famiglie cristiane che volessero intraprendere
una capillare attività missionaria presso altre famiglie.
11. Aggiungiamo qui un'ultima riflessione sul rapporto tra la
catechesi e la Parola. I cenni fatti in precedenza sulla relazione della Parola
con la vita, l'esistenza, la storia, lasciano intuire che una sua assimilazione
personale profonda e un suo annuncio efficace al mondo di oggi esigono un ampio
progetto di catechesi, mediante il quale si fa vedere, in modo programmatico e
organico, che la verità, manifestata nella parola di Dio, integra in sé gli
itinerari personali e culturali secondo i quali gli uomini camminano verso la
verità nelle diverse età della vita e a partire dalle diverse condizioni
storiche. Non è possibile qui dilungarsi su un argomento tanto importante. Mi
limito, per ora, a ricordare il Sinodo dei Vescovi del 1977 che è stato
suggellato con la "Catechesi Tradendae" e il piano pastorale del Card. Giovanni
Colombo per l'anno 1977-78 su "Evangelizzazione e ministero della catechesi".
Invito, inoltre, ad accogliere con rinnovato impegno i
Catechismi proposti dalla Conferenza Episcopale Italiana. La loro chiara
impostazione biblica e il loro intento di mediare culturalmente la fede ne fanno
un prezioso strumento di catechesi, anche se si tratta solo di uno strumento,
che non dispensa da una vigile e solerte opera di interpretazione e di
attualizzazione. Per facilitare quest'opera sono opportuni alcuni sussidi.
Raccomando in particolare quelli prodotti dall'Ufficio Catechistico e
dall'Azione Cattolica.
[28] Anzitutto una notazione preliminare.
La "Diurna Laus" o "Salterio popolare" non va considerato
come un sussidio pastorale, prezioso, ma facoltativo.
E' piuttosto un testo liturgico della nostra Chiesa, la
quale, prima ancora che ai sacerdoti e ai religiosi, ha pensato alle comunità
cristiane e ai singoli fedeli e ha preparato un libro che contiene, in modo
parziale ma in forma definitiva, la nostra preghiera ufficiale "del giorno".
Essa contiene le Lodi, l'Ora media, il Vespro e la Compieta
delle quattro settimane della nuova Liturgia delle Ore ambrosiana, unitamente a
un repertorio di inni per i tempi forti e di orazioni per i diversi tempi e le
diverse categorie dei santi. Conterrà inoltre l'ufficiatura della S. Croce,
dell'Eucaristia, della Beata Vergine e dei Defunti, che la saggezza dei pastori
d'anime potrà talvolta, nei giorni consentiti, proporre in forma votiva.
Le parrocchie, le associazioni, i movimenti e i gruppi, che
appartengono alla Chiesa di Milano, superata ormai ogni difformità e ogni
particolarismo, dovranno attenersi a questo testo per la loro celebrazione della
Liturgia delle Ore.
Sono certo che tutti i nostri sacerdoti si adopereranno
perché lungo il prossimo anno pastorale questa "conversione" a poco a poco si
compia, in modo che l'ultimo anno che ci separa dal Congresso (e cioè il
1982-83) veda dall'inizio un popolo che si dispone a quel grande dono di Dio
pregando allo stesso modo con la preghiera ufficiale della sua Chiesa.
Ritengo anzi che il recupero della Liturgia delle Ore
ambrosiana sia al tempo stesso l'elemento più decisivo della nostra spirituale
preparazione alla grande assise eucaristica e uno dei frutti più preziosi e
duraturi della sua celebrazione.
Ecco qualche suggerimento pratico perché venga raggiunto il
traguardo di una Liturgia delle Ore omogenea e ben celebrata in tutte le nostre
comunità.
1. I sacerdoti studino con calma e attenzione la "Diurna laus"
e le sue "Norme per l'uso", e ne facciano argomento di accurata spiegazione
nella catechesi, nei raduni di associazione, negli incontri dei gruppi, in modo
che tutti siano posti in condizione di usare correttamente il volume.
2. Si proponga l'acquisto del volume - anche con un po' di
sacrificio e con la fatica del risparmio - soprattutto a coloro che, a diverso
titolo, sono impegnati intensamente nella vita ecclesiale.
3. Si trovi modo di collocare la celebrazione pubblica del
Vespro nell'attività liturgica di ogni parrocchia, con la frequenza, i giorni e
gli orari che saranno giudicati opportuni nella situazione concreta.
4. Sarebbe molto bello se i sacerdoti di una stessa
parrocchia, dove è possibile, si trovassero insieme ogni giorno con i fedeli per
la recita del Vespro.
5. E' buona cosa che ogni incontro serale del Consiglio
pastorale cominci con la recita del Vespro o termini con la recita della
Compieta. Suggerimento analogo può essere dato per gli incontri serali dei
diversi gruppi.
6. La "Diurna laus" è il libro che deve essere posto nelle
mani di ogni ragazzo che compie la sua professione di fede, naturalmente dopo
che sia stato aiutato a usarlo, a capirlo, a gustarlo.
7. Si esortino i cristiani meglio disposti anche alla recita
individuale o familiare di qualche parte della Liturgia delle Ore.
[29] Se mi si dovesse chiedere, al termine di questa lettera,
quali indicazioni pratiche ritengo maggiormente importanti per quest'anno ai
fini dell'assimilazione del messaggio qui proposto, non avrei esitazione a
indicare quattro punti: l'Omelia, le scuole della Parola, la "Diurna Laus" e la
"lectio divina".
1. L'Omelia. Se ogni prete dedicherà lungo tutto quest'anno
una attenzione speciale alla preparazione dell'Omelia, prevedendo attentamente i
testi biblici domenicali fin dall'inizio della settimana, meditandoli con calma,
utilizzando buoni sussidi, confrontando i testi - anche insieme con altri preti
e laici - con i problemi della comunità in cui vive e con i grandi problemi
della società, sarà certamente assicurato un frutto importante di questo anno
pastorale. Tutti i fedeli saranno stimolati a seguire le ricchezze della Parola
proclamata nella liturgia.
2. Le "Scuole della Parola". Sono riunioni di fedeli
(parrocchiali, decanali o zonali) in cui si insegna come leggere un testo
biblico usato nella liturgia per gustarlo nella preghiera e applicarlo alla
propria vita. Sarebbe opportuno che quest'anno avessero per oggetto specialmente
i Salmi, per preparare all'uso fruttuoso della Liturgia delle Ore. La proposta
più semplice è quella di far ascoltare il Salmo, in un clima di preghiera (e in
questo caso è più opportuno riunirsi in chiesa), dandone poi la spiegazione
esegetica, liturgica, spirituale e l'attualizzazione per l'oggi, e facendolo poi
cantare lentamente con opportuni responsori, così che diventi testo di
preghiera. Secondo l'opportunità si potrà anche allargare l'ambito di questa
"scuola", trattando in essa i problemi di introduzione alla lettura della Bibbia
o di alcuni libri letti nella liturgia del tempo, o di testi connessi con
particolari momenti dell'itinerario cristiano, trasformandola in una vera e
propria catechesi sulla Parola e a partire dalla Parola. Tali scuole potranno
essere utili soprattutto per la formazione dei Lettori.
3. La "Diurna Laus". Se ne è già parlato sopra ampiamente.
L'impegno che metteremo quest'anno per farla entrare nella
vita della comunità sarà una delle attività qualificanti di questo programma
pastorale e produrrà frutti duraturi.
4. La "lectio divina". E' l'attività raccomandata a ogni
fedele, in particolare ai religiosi, alle religiose e ai gruppi di impegno
cristiano, come preparazione e prolungamento della proclamazione della Parola
nella liturgia. Per i preti e i religiosi e per coloro che dicono l'ufficio
intero, questa lettura può essere collegata con la lettura biblica del
Mattutino.
Per tutti è da raccomandarsi la riflessione sui brani del
lezionario delle Messe feriali e festive.
Nella nuova Liturgia delle Ore ambrosiana sarà possibile, per
chi lo desidera, inserire uno di questi brani anche nella struttura delle Lodi e
del Vespro, favorendo così la concentrazione ogni giorno su alcuni brani biblici
fondamentali.
Sarebbe molto desiderabile che come frutto del centenario di
S. Benedetto, celebrato quest'anno, portassimo con noi l'abitudine a un pò di
"lectio divina" quotidiana: quanto infatti noi oggi ci proponiamo si avvale di
regole codificate da una lunga esperienza, che risale ai primi tempi della
Chiesa ed è stata specialmente coltivata nella tradizione monastica.
[30] Gesù ci ammonisce: "Beati coloro che ascoltano la parola
di Dio e la osservano" (Lc 11, 28). "Sapendo queste cose, sarete beati se le
metterete in pratica" (Gv 13, 17). E San Giacomo ci esorta a non essere "come un
ascoltatore smemorato" (Giac 1, 25). Questi passi mi ritornano in mente al
termine di questa lettera. Essi ci invitano ad ascoltare la Parola, a viverla, a
custodirla, a praticarla. Non si può certo pensare di esaurire il nostro impegno
in qualche gesto di immediata attuazione: sarebbe troppo semplicistico e
riduttivo sia nei confronti della ricchezza della Parola, sia in relazione alla
complessità dei bisogni dei nostri fratelli.
Sarà appunto l'abitudine ad ascoltare con docilità e coraggio
la Parola a renderci attenti alle necessità degli altri e a suggerirci i gesti
concreti, che la carità di volta in volta ci richiede.
Però può essere opportuno che ogni parrocchia, comunità,
gruppo e famiglia si proponga uno sbocco concreto dell'ascolto della Parola, una
specie di scelta prioritaria, un gesto di carità che venga incontro a un bisogno
particolarmente urgente o a una grave situazione di ingiustizia .
Sarò grato, poi, a coloro che mi suggeriranno indicazioni e
proposte per una analoga scelta prioritaria a livello diocesano in vista di un
comune gesto di carità, che potrebbe vederci tutti impegnati nella prossima
Quaresima.
Affido questa lettera alla Madre di Gesù. Lei che "ha creduto
nell'adempimento delle parole del Signore" (Lc 1, 45), che ha offerto la sua
vita come "serva del Signore" perché tutto si compisse in conformità alla Parola
che le era stata annunciata (cfr. Lc 1, 38), che ha esortato a fare tutto ciò
che Gesù avrebbe detto (cfr. Gv 2, 5) ci insegni a riconoscere nella nostra vita
il primato della Parola che sola ci può dare salvezza.
Lei che ha pregato con gli Apostoli nel Cenacolo perché la
Parola trasformasse il mondo, interceda per rendere efficace la nostra
testimonianza. "Il Signore della pace vi dia egli stesso la pace sempre e in
ogni modo" (2 Tess 3, 16).
Vi saluto affettuosamente con l'abbraccio di pace.
Milano, 8 settembre 1981
+ CARLO MARIA Arcivescovo