venerdì 31 agosto 2012

Martini: Lettere Pastorali - "La dimensione contemplativa della vita" (1981)

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La dimensione contemplativa della vita
[1] Carissimi Sacerdoti e fedeli, fratelli e sorelle nel Signore,
ringrazio Dio perché mi dà, in questi giorni in cui vi sto scrivendo, qualche momento di quiete contemplativa. Posso dedicare lunghe ore alla preghiera, alla riflessione, alla meditazione. Rivedo gli avvenimenti, gli incontri, le persone che sono entrate nella mia vita in questi ultimi mesi e li offro nella preghiera al Signore. Ripenso al cumulo di impegni attraverso i quali sono passato nel pur breve cammino di conoscenza della Diocesi e cerco di ordinarli nella mia mente. Mi sforzo di cogliere il significato delle diverse esperienze, di valutarle alla luce del Vangelo a imitazione di Maria che "serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore" (Lc 2, 20).
Nel fare ciò mi accorgo di stare vivendo, per dono di Dio, quella che si potrebbe chiamare la "dimensione contemplativa" dell'esistenza: cioè quel momento di distacco dall'incalzare delle cose, di riflessione, di valutazione alla luce della fede, che è tanto necessario per non essere travolti dal vortice degli impegni quotidiani
[2] E' proprio su questo prezioso "tempo dello spirito" che vorrei parlare un poco più a lungo con voi. Tra le tante cose che ho potuto osservare e ammirare in questi mesi, accanto alle splendide iniziative che fioriscono ovunque nella Diocesi per l'opera infaticabile dei battezzati, sacerdoti e laici, mi è sembrato fosse utile richiamare l'importanza di questi spazi di riflessione contemplativa, non per diminuire !'impegno, ma per renderlo più cosciente e attento. Il costruttore della parabola evangelica (LC 14, 28) che prima di iniziare la torre si siede e fa i suoi conti, non perde tempo, ma ne guadagna. Il lavoro procederà così più spedito e lieto.
Questo discorso sulla dimensione contemplativa della vita si dirige a ogni uomo e donna che intenda condurre un'esistenza ordinata e sottrarsi a quella frattura tra lavoro e persona che minaccia oggi un poco tutti.
Vorrei che queste parole fossero un messaggio per tutti gli uomini di buona volontà di Milano e dell'intera Diocesi, spesso appesantiti dall'accumulo delle fatiche quotidiane e dalla molteplicità delle preoccupazioni.
Vorrei dire loro che ammiro l'impegno stressante per la costruzione della città, per la difesa e la diffusione del benessere, per il trionfo dell'ordine contro la minaccia sempre incombente del disordine e dello sfascio.
Ma vorrei anche ricordare che l'ansia della vita non è la legge suprema, non è una condanna inevitabile. Essa è vinta da un senso più profondo dell'essere dell'uomo, da un ritorno alle radici dell'esistenza. Questo senso dell'essere, questo ritorno alle radici, ci permettono di guardare con più fermezza e serenità ai gravissimi problemi che la difesa e la promozione della convivenza civile ci propongono ogni giorno.
Tuttavia vorrei approfondire ulteriormente il discorso alla luce della fede, esplorando le profondità della persona redenta da Cristo, mostrando gli orizzonti reali e meravigliosi su cui ci fa aprire gli occhi la riflessione sul mistero della preghiera, in particolare sulla "preghiera eucaristica silenziosa".
Intendo trattare prima di tutto della "preghiera silenziosa", cioè di tutti quegli aspetti del rapporto dell'uomo con Dio in cui è sottolineata la dimensione contemplativa dell'esistenza: silenzio, ascolto della Parola, adorazione, riflessione, meditazione, ecc. Questo atteggiamento interiore non isola la persona dalla realtà della Chiesa e del mondo, ma aiuta ad immergervela seriamente e responsabilmente. Intendo mostrare come questo tipo di preghiera si può chiamare "eucaristica", perché ha come centro e punto di riferimento il mistero del Corpo del Signore, cioè l'Eucaristia. Essa aiuta a riscoprire quegli atteggiamenti di gratuità, di lode, di dono serio della vita che sono frutto del mistero eucaristico per la Chiesa.
[3] Prendendo il tema della dimensione contemplativa, che si specifica poi come "preghiera eucaristica silenziosa", a oggetto delle indicazioni pastorali per l'anno 1980-1981 intendo anche favorire la preparazione remota al Congresso Eucaristico Nazionale che si terrà nella nostra Diocesi nel 1983. Tema del congresso sarà: "L'Eucaristia al centro della comunità e della sua missione". Bisognerà allora riflettere esplicitamente sulla grande preghiera eucaristica pubblica, sulle manifestazioni solenni del culto verso l'Eucaristia e sulle loro conseguenze per la vita degli uomini e delle donne del nostro tempo. Questo anno 1980-81 può essere inteso come un anno di pausa riflessiva, che però già orienti verso il centro della vita dell'uomo redento, cioè l'Eucaristia.
L'argomento di quest'anno non si presenta sotto l'aspetto di un vero e proprio "piano pastorale". Sono troppo pochi i mesi di conoscenza della Diocesi per permettermi di dare indicazioni programmatiche tratte da una valutazione complessiva della situazione. Del resto, la Conferenza Episcopale Italiana ha pensato a quest'anno come a un momento di pausa. Vorremmo però dare a questa pausa il suo significato più profondo di "momento contemplativo". Per questo invitiamo tutti i battezzati della Diocesi ad un serio esame su questo tema, e alla promozione di iniziative che aiuteranno a concentrare l'attenzione su questo aspetto fondamentale dell'esistenza cristiana. A tutti coloro che per grazia e per vocazione sono "maestri della preghiera", ai sacerdoti, religiosi e religiose, specialmente di vita contemplativa, e a tutti quei battezzati che sentono in sé in modo speciale la grazia della preghiera di silenziosa adorazione e di ascolto della Parola, ai membri dell'Azione Cattolica e di altri gruppi e movimenti ecclesiali e a quanti sono impegnati nell'apostolato, raccomando in modo tutto speciale queste indicazioni.
Questa lettera si articolerà nel modo seguente.
Cercheremo di fare prima di tutto una analisi della situazione attuale: come è vissuto nella nostra società e nella nostra Chiesa il momento contemplativo dell'esistenza?
Vedremo poi di chiarire i rapporti tra preghiera, silenzio e struttura della persona umana, e di approfondire i rapporti fra preghiera e Eucarestia.
Tratteremo infine dell'educazione alla preghiera silenziosa, terminando con alcune indicazioni pratiche.
Non si intende in nessun caso offrire un'esposizione esaustiva, ma si propongono incitamenti a riflettere e a operare.
Questa lettera vorrebbe avviare il lavoro personale e di gruppo su questo tema. Sarò grato a tutti coloro che mi scriveranno osservazioni, aggiunte, chiarimenti, approfondimenti su quanto qui viene suggerito, come ringrazio tutti coloro che hanno contribuito in vari modi alla stesura di questa lettera.
Mio desiderio è unicamente di stimolare ciascuno a fare l'esperienza di queste cose, e a gustarne i frutti nella propria vita.
[4] Ricorderemo alcune caratteristiche più vistose della maniera in cui oggi è vissuta l'istanza contemplativa della vita, ne vedremo lo sfondo nella cultura attuale, e su di esso cercheremo di cogliere il cammino della Chiesa Italiana e della nostra Diocesi.
[5] Tra le molte cose che si possono dire sulla maniera in cui è vissuta oggi la dimensione contemplativa dell'esistenza, vengono alla mente le seguenti:
- la disabitudine presso la grande massa alla pratica della preghiera e delle pause contemplative. In questo la nostra civiltà occidentale si distingue nettamente dalle civiltà dell'Oriente dove sono in onore la pratica e le tecniche contemplative e il gusto per la riflessione profonda;
- la ricerca, diversamente motivata, presso alcuni gruppi, di forme e momenti più intensi di preghiera, di esperienze di "deserto" e di riconversione alla natura;
- l'inconsapevolezza, un poco presso tutti, dell'importanza del problema, insieme con una certa nostalgia per questo valore irrinunciabile della vita. Forse la gente prega e riflette più di quanto non sappia o non dica. Si tratta di aiutarla a dare un nome più preciso, un indirizzo più costante, un contenuto più cristiano a certe provvidenziali impennate del cuore che, più o meno intensamente, sono presenti nella storia di ognuno. L'esodo massiccio dalle città nei periodi di vacanze e nei fine settimana esprime in fondo anche questo desiderio di ritorno alle radici contemplative della vita.

[6] Lo sfondo generale di questa situazione è costituito da una cultura occidentale attuale, che ha un indirizzo prevalentemente prassistico, tutto teso al "fare", al "produrre", ma che genera, per contraccolpo, un bisogno indistinto di silenzio, di ascolto, di respiro contemplativo. Ma entrambi gli orientamenti rischiano di rimanere superficiali. Sia l'attivismo frenetico, sia certe maniere di intendere la contemplazione possono rappresentare una "fuga" dal reale. Per far evolvere cristianamente questa situazione, non basterà risvegliare una ricerca di preghiera. Occorrerà anche purificare, orientare, cristianizzare certe forme scorrette o insufficienti di ricerca. In particolare occorrerà evitare le generiche contrapposizioni tra azione, lotta, rivoluzione, da un lato, e contemplazione, silenzio, passività, dall'altro. Bisognerà dare uno specifico orientamento cristiano sia all'azione, sia alla contemplazione.
Quanto qui diremo sull'impegno per rendere più cosciente la dimensione contemplativa della vita va dunque inteso nel quadro dell'impegno generale per un'armonica crescita dell'uomo, homo faber e homo sapiens, secondo la sua piena misura e capacità.
[7] Su questo sfondo generale si può collocare il cammino della Chiesa Italiana, così come è espresso dai piani annuali della CEI. Essi sono stati tesi a cogliere il senso della "evangelizzazione" in un confronto con i sacramenti, la promozione umana, i ministeri, la famiglia, la comunità cristiana. Il tema della "evangelizzazione" letto nel contesto di alcuni grandi interventi del Magistero Pontificio, si presenta come il grande sforzo fatto dalla Chiesa di oggi per capire se stessa e la propria missione di fronte ai complessi fenomeni del mondo contemporaneo. Evangelizzare significa "portare la buona novella in tutti gli strati dell'umanità e, col suo influsso, trasformare dal di dentro, render nuova l'umanità stessa... La Chiesa evangelizza allorquando, in virtù della sola potenza divina del Messaggio che essa proclama, cerca di convertire la coscienza personale e insieme collettiva degli uomini, l'attività nella quale essi sono impegnati, la vita e l'ambiente concreto loro propri" (Evangelii Nuntiandi, n. 18).
La Chiesa, nata dalla Parola di salvezza, costruita dai sacramenti, guidata dal Signore e dallo Spirito che distribuiscono i vari ministeri, ha il compito di assumere l'ansia e l'impegno di promozione umana e di dirigerlo verso qualcosa che non si limita alla promozione orizzontale, ma costituisce un "di più" non pleonastico o facoltativo, ma essenziale e decisivo per la salvezza dell'uomo.
Questo "di più", da un lato, può essere espresso facendo riferimento al Vangelo, al Regno, alla realtà di Gesù morto, risorto e vivente nella Chiesa come esprimenti l'infinito amore del Padre che chiama l'uomo alla partecipazione alla sua stessa vita; dall'altro, può essere intravisto anche mediante una riflessione antropologica che colga l'uomo come aperto al mistero, paradossale promontorio sporgente sull'Assoluto, essere eccentrico e insoddisfatto, che soltanto in una incondizionata dedizione all'imprevedibile piano di Dio trova le condizioni per realizzare la propria autenticità.
Ma questo "di più" evangelico, questa tensione e vocazione dell'uomo a qualcosa che lo trascende, non richiedono forse, per essere capite e accolte, uno spazio di silenzio, un'attitudine contemplativa? Ma a ciò si oppone la molteplicità e l'urgenza delle incombenze quotidiane, che tendono a dividere l'uomo, a sommergerlo nelle preoccupazioni e a stordirlo con mille sensazioni diverse, così come le spine tendono a soffocare il germoglio (cfr. Lc 8, 14; 10, 40-42).
Perciò un'attenzione riflessa alla dimensione contemplativa della vita è necessaria per inserirsi con verità nel cammino della Chiesa Italiana sulla linea di una evangelizzazione capace di rivelare all'uomo gli orizzonti sconfinati della sua chiamata.
[8] In questo quadro culturale generale e in questo cammino della Chiesa Italiana, la Chiesa che è in Milano si inserisce con le sue particolarità.
- Va tenuto presente innanzi tutto il tono esasperato che assumono nella nostra Diocesi le contraddizioni della civiltà industriale. Questo rende ancor più stimolante e profetico il compito di elaborare modelli e forme di preghiera contemplativa per l'uomo d'oggi.
- Si può ricordare quel misto di realismo pratico e di soda pietà tradizionale che caratterizza le nostre parrocchie e costituisce un patrimonio da verificare, aggiornare, armonizzare, approfondire.
- Si può ricordare la crisi degli adulti che, sparite certe forme tradizionali di preghiera, legate al ritmo pre-industriale, faticano a trovare nuove forme.
- Si può ricordare la consolante richiesta di silenzio contemplativo da parte di gruppi giovanili, che vanno scoprendo che il cristianesimo impegnato socialmente di qualche anno fa, pur senza perdere la sua ansia sociale, esige una immersione nel mondo misterioso della fede.
- Si può ricordare la confluenza di più civiltà nella trama internazionale della nostra Città. Il confronto con le forme di preghiera provenienti soprattutto dall'Oriente può diventare uno stimolo a una più rigorosa scoperta degli originali valori della preghiera cristiana, sullo sfondo di un dialogo e di un reciproco arricchimento con altre tradizioni. Il centenario di S. Benedetto celebrato quest'anno ci invita in particolare a saper riscoprire quanto dei valori fondamentali della vita monastica possa oggi essere rivissuto nel contesto della civiltà contemporanea.
- Si può ricordare infine la preparazione al Congresso Eucaristico Nazionale, volto a riflettere sulla centralità dell'Eucaristia nella comunità cristiana. Per questo è necessario cogliere attentamente sia il posto della Eucaristia nella comunità, sia la relazione tra ogni preghiera del battezzato, anche quella solitaria e silenziosa, e l'Eucaristia.
[9] La proposta di riflettere sulla dimensione contemplativa della vita intende provocare implicitamente il recupero di alcune certezze che nei confusi e pur fecondi anni appena trascorsi hanno patito qualche scolorimento o qualche eclissi.
Tali sono l'importanza religiosa del silenzio, il primato, nella persona umana, dell'essere sull'avere, sul dire, sul fare; il giusto rapporto persona-comunità.
Naturalmente, il recupero di questi valori non può significare abbandono o misconoscimento di quelli che il recente passato ha posto giustamente in rilievo, come la preghiera della comunità che coralmente canta e parla con Dio, la necessità che alla professione di fede e alla lode segua la coerenza della testimonianza e delle opere, l'importanza della dimensione ecclesiale in tutti gli ambiti dell'esistenza cristiana.
Ma pare venuto il momento di ricordare, in vista di una sequela di Cristo più intensa e armoniosa, che l'abitudine alla contemplazione e al silenzio feconda e arricchisce la preghiera vocale e comunitaria; che non si dà azione o impegno che non sgorghi dalla verità dell'essere profondo dell'uomo che in Cristo è stato rinnovato ed esaltato; che proprio la coscienza e ]a libertà delle singole persone, con le loro convinzioni, le loro speranze e i loro propositi, costituiscono l'autenticità e il pregio di ogni esistenza associata nel nome del Signore.
[10] Il silenzio. Se in principio c'era la Parola e dalla Parola di Dio, venuta tra noi, è cominciata ad avverarsi la nostra redenzione, è chiaro che, da parte nostra, all'inizio della storia personale di salvezza ci deve essere il silenzio: il silenzio che ascolta, che accoglie, che si lascia animare. Certo, alla Parola che si manifesta dovranno poi corrispondere le nostre parole di gratitudine, di adorazione, di supplica; ma prima c'e il silenzio.
Se, com'è avvenuto per Zaccaria, padre di Giovanni Battista, il secondo miracolo del Verbo di Dio è quello di far parlare i muti, cioè di sciogliere la lingua dell'uomo terrestre ricurvo su se stesso nel canto delle meraviglie del Signore, il primo è quello di far ammutolire l'uomo ciarliero e disperso (cfr. Lc 1, 20-22).
"La Parola zittì chiacchiere mie": così Clemente Rebora, nobile spirito di poeta milanese dei nostri tempi, descrive con rude chiarezza gli inizi della sua conversione.
Possiamo anzi dire che la capacità di vivere un po' del silenzio interiore connota il vero credente e lo stacca dal mondo dell'incredulità.
L'uomo che ha estromesso dai suoi pensieri, secondo i dettami della cultura dominante, il Dio vivo che di sé riempie ogni spazio, non può sopportare il silenzio. Per lui, che ritiene di vivere ai margini del nulla, il silenzio è il segno terrificante del vuoto. Ogni rumore, per quanto tormentoso e ossessivo, gli riesce più gradito; ogni parola, anche la più insipida, è liberatrice da un incubo; tutto è preferibile all'essere posti implacabilmente, quando ogni voce tace, davanti all'orrore del niente. Ogni ciarla, ogni lagna, ogni stridore è bene accetto se in qualche modo e per qualche tempo riesce a distogliere la mente dalla consapevolezza spaventosa dell'universo deserto.
L'uomo "nuovo" - cui la fede ha dato un occhio penetrante che vede oltre la scena e la carità un cuore capace di amare l'Invisibile - sa che il vuoto non c'è e il niente è eternamente vinto dalla divina Infinità; sa che l'universo è popolato di creature gioiose; sa di essere spettatore e già in qualche modo partecipe dell'esultanza cosmica, riverberata dal mistero di luce, li amore, di felicità che sostanzia la vita inesauribile del Dio Trino.
Perciò l'uomo nuovo, come il Signore Gesù che all'alba saliva solitario sulle cime dei monti (cfr. Mc 1, 3; Lc 4; 42; 6, 12; 9, 28), aspira ad avere per sé qualche spazio immune da ogni frastuono alienante, dove sia possibile tendere l'orecchio e percepire qualcosa della festa eterna e della voce del Padre.
Nessuno fraintenda, però: l'uomo "vecchio", che ha paura del silenzio, e l'uomo "nuovo" solitamente convivono, con proporzioni diverse, in ciascuno di noi. Ciascuno di noi è esteriormente aggredito da orde di parole, di suoni, di clamori, che assordano il nostro giorno e perfino la nostra notte; ciascuno è interiormente insidiato dal multiloquio mondano che con mille futilità ci distrae e ci disperde.
In questo chiasso, l'uomo nuovo che è in noi deve lottare per assicurare al cielo della sua anima quel prodigio di "un silenzio per circa mezz'ora" di cui parla l'Apocalisse (8, 1); che sia un silenzio vero, colmo della Presenza, risonante della Parola, teso all'ascolto, aperto alla comunione.
[11] Preghiera ed essere dell'uomo. Considerata nella sua natura profonda e nel suo momento originario, la preghiera non è attività che si giustappone estrinsecamente all'uomo: sgorga dall'essere, stilla e fluisce dalla realtà di ogni uomo.
Potremmo dire che la preghiera è, in qualche modo, l'essere stesso dell'uomo che si pone in trasparenza alla luce di Dio, si riconosce per quello che è e, riconoscendosi, riconosce la grandezza di Dio, la sua santità, il suo amore, la sua volontà di misericordia, insomma tutta la divina realtà e il divino disegno di salvezza come si sono rivelati nel Signore Gesù crocifisso e risorto.
Prima ancora che parola, prima ancora che pensiero formulato, la preghiera è percezione della realtà che immediatamente fiorisce nella lode, nell'adorazione, nel ringraziamento, nella domanda di pietà a Colui che è la fonte dell'essere.
Emergono e si configurano come contenuti fondamentali, in questa esperienza globale, sintetica, spiritualmente concreta:
- la percezione della vanità delle cose divelte dal progetto di Dio, che si tramuta in supplica ad essere noi stessi salvati dall'insidia dell'insignificanza e della vuotezza;
- la percezione della Presenza di Colui che è pienezza e non è mai assente e lontano là dove c'è qualcosa che veramente esiste;
- la percezione del Cristo vivo nel quale tutto il progetto divino è riassunto e personalizzato ("Ubi Christus, ibi Regnum", dice Sant'Ambrogio), che fonda il riconoscimento e l'inveramento del rapporto di comunione con Colui che unico è Signore e Salvatore;
- la percezione, in Cristo, della volontà del Padre come norma assoluta di vita, sicché l'orazione non è più il tentativo di piegare la divina volontà alla nostra, ma il tentativo sempre rinnovato di conformare il nostro al volere del Padre (cfr. Mt 6, 10; 26, 39-42);
- la percezione della realtà dello Spirito, sorgente di tutta la vita ecclesiale, che prega in noi (cfr. Rom. 8,19-27), così che il pregare diventa anelito a uscire dalla solitudine e dalla chiusura dell'individualismo e richiesta ad aprirci sempre più al Regno di Dio che si va instaurando nei cuori e fra gli uomini, cioè alla Chiesa;
- la percezione della croce come vittoria sul male che è in noi e fuori di noi, che fa della preghiera attitudine di contestazione del peccato, dell'ingiustizia, del "mondo", e nostalgia della Gerusalemme celeste dove tutto è santo.
[12] La persona, protagonista di ogni preghiera. E' senza dubbio giusto e doveroso sottolineare la vocazione sociale che è inscritta in ogni atto dell'uomo e l'indole ecclesiale della intera vita cristiana. Ma non bisogna mai dimenticare che alla sorgente di tutto sta il mistero della persona, mistero sempre singolare e singolarmente inedito, non sommabile, non raffrontabile.
Anche se costituito in una condizione e in una natura che egli riceve per generazione e condivide con tutti i suoi simili, l'uomo trova la ragione prima della sua grandezza nel fatto di provenire, secondo il nucleo originario e inconfondibile del suo essere, immediatamente dal Dio creatore, che dall'eternità lo ha chiamato per nome; e nel fatto di dover tornare a Colui che è al tempo stesso il suo principio e il suo destino, con una decisione (o, meglio, con una serie di decisioni) di cui egli porta la responsabilità totale, perché non è condizionabile in modo determinante da nessuna creatura diversa da sé.
Pur generato e nutrito in una comunione universale di vita che è la Chiesa, il cristiano ha un pregio inestimabile perché è stato amato personalmente dal Padre, che lo ha voluto suo figlio; è stato personalmente raggiunto dall'azione redentrice di Cristo, che per lui ha versato il suo sangue; è guidato dallo Spirito nella positiva risposta personale alla divina chiamata alla salvezza. Dal "noi" e sul "noi" della Chiesa emerge e si definisce l'io del credente, il quale si apre al "tutto" della cattolicità.
Così la preghiera - anche quando è vocale, liturgica o, comunque, associata - riceve verità e valore solo se trova la sua costante ispirazione nel mistero personale e concreto della adesione di fede, di speranza, di carità che alimenta e caratterizza la vita rinnovata.
Davanti al Padre, che è la sorgente della mia vita e il mio traguardo, davanti al dramma dí un destino che è giocato una volta per tutte, davanti ai sì e ai no che decidono della mia sorte etema, ci sto io, non il gruppo, la classe, la comunità. Non sono solo perché lo Spirito domanda in me e per me ciò che io non so chiedere e il mio Salvatore mi sta accanto, mi avvince a sé, mi partecipa i suoi sentimenti filiali. Ma nessuno può sostituirmi in questa impresa.
Anche se vivo, decido, prego in una comunità di fratelli che mi sostiene, mi rianima e spiritualmente mi dilata, resto sempre io in definitiva a vivere, a correre il rischio della decisione, ad affrontare l'avventura difficile ed inebriante della vita di preghiera.
Fermarci a considerare l'orazione proprio all'atto in cui sgorga silenziosamente e segretamente dal cuore dell'uomo, significa dunque meditare sul mistero stesso di ogni orazione cristiana.
Sia che si mantenga tacita e solitaria, sia che si rivesta di parole esteriormente e anche pubblicamente proferite, sia che raggiunga la dignità di preghiera liturgica e diventi il canto e l'imploraziolle della Chiesa, ogni sincera invocazione a Dio trova sempre nell'essere personale, che antecede e fonda ogni estrinseca comunicazione, la sua scaturigine prima e possiede nella vita personale di fede, di speranza e di carità la sua anima necessaria e non surrogabile.
[13] La preghiera nasce dunque dal mistero stesso dell'uomo. Ciascuno è invitato a riscoprire nel silenzio e nell'adorazione la sua chiamata ad essere persona davanti a un Tu personale che lo interpella con la sua Parola. Ma il cristiano vive l'esperienza della sua preghiera, anche la più silenziosa e segreta - che egli fa "entrando nella ptopria camera e chiusa la porta" Mt 6, 6) - come membro di una Chiesa che ha nella Eucaristia la fonte e il culmine della sua adorazione e della sua lode.
In quale rapporto sta la preghiera silenziosa con l'Eucaristia?
[14] Eucaristia e Chiesa. E' necessario prima di tutto chiarire il rapporto tra Eucaristia e Chiesa. L'Eucaristia, con tutta l'economia sacramentale che essa riassume, è il "segno" voluto da Cristo stesso e da Lui continuamente gestito, addirittura con una presenza personale e reale, per mediare tra quel "segno" definitivo e inesauribile dell'amore di Dio, che è la Pasqua, e il segno che è la Chiesa. Questa infatti è la comunità di coloro che "fanno memoria" di Cristo e del suo mistero pasquale, e che in forza del Cristo stesso che si rende presente tra loro mediante l'Eucaristia, si amano come Egli li ama e, testimoniando l'amore verso tutti, cercano di inserire tutti in questa comunione d'amore che viene da Dio.
Va superata quindi una concezione un po' impersonale e quasi meccanica del rapporto tra Eucaristia e Chiesa, quasi che la Chiesa, fatta dall'Eucaristia, sia un'entità separata dalla libertà, dall'intelligenza, dalla corrispondenza dei battezzati. Non c'è vera e piena Eucaristia senza la partecipazione personale del credente.
Certo, la presenza del Signore Gesù è assicurata dal servizio sacerdotale che agisce a modo di mediazione "in persona Christi". Ma tale presenza esige sia che il sacerdote si sforzi di ripetere il gesto eucaristico condividendo l'offerta che il Redentore fa di se stesso, sia che i fedeli presentino al Padre la vittima santa presente sull'altare unendosi ad essa con l'impegno di una vita conforme al Vangelo. Il comando, "Fate questo in memoria di me" non dice solo la ripetizione di un rito, ma anche la partecipazione a ciò che il rito significa, vale a dire l'offerta che Cristo fa di sé al Padre per la salvezza degli uomini.
In questo senso va superata anche una concezione moralistica, sia che essa si esprima in un'enfasi dei doveri che i credenti hanno verso l'Eucaristia (adorazione, culto ecc.), sia che si esprima in un'enfasi dei doveri che i credenti si assumono a partire dall' Eucaristia: impegno sociale, nuovi rapporti fraterni ecc. Questi atteggiamenti sono giusti, ma vanno vissuti secondo tutta la ricchezza formatrice e plasmatrice che l'Eucaristia esercita sulla vita concreta dei credenti radunandoli nella comunità che è la Chiesa.
[15] Eucaristia e atteggiamento di preghiera silenziosa.
L'Eucaristia è veramente capíta e accolta non solo quando si fanno certe cose verso di essa (la si celebra, la si adora, la si riceve con le dovute disposizioni ecc.) o si fanno certe cose a partire da essa (ci si vuol bene, si lotta per la giustizia ecc.), ma anche e soprattutto quando essa diventa la "forma", la sorgente e il modello operativo che impronta di sé la vita comunitaria e personale dei credenti. Nell'Eucaristia si rende presente e operante nella Chiesa il Cristo del mistero pasquale. E' il Figlio in ascolto obbediente alla parola del Padre. E' il Figlio che nell'atto di spendere la propria vita per amore, trova nella drammatica e dolcissima preghiera rivolta al suo "Abba" (cfr. Mc 14, 36; Lc 23, 46) il coraggio, la misura, la norma del proprio comportamento verso gli uomini.
Pertanto la celebrazione eucaristica realizza se stessa quando fa in modo che i credenti donino "corpo e sangue" come Cristo per i fratelli, ma mettendosi in ginocchio, in attenzione di ascolto e di accoglienza, riconoscendo che tutto questo è dono del Padre, non confidando nelle proprie forze, non progettando il servizio degli altri secondo i propri modi di vedere.
Tutto questo richiede, in concreto, la coltivazione di atteggiamenti interiori che precedano, accompagnino, seguano la celebrazione Eucaristica: ascolto della Parola rivelata, contemplazione dei misteri di Gesù, intuizione della volontà del Padre tralucente dalle parole di Gesù, confronto tra il progetto di vita che scaturisce dalla Pasqua-Eucaristia e le sempre nuove situazioni spirituali in cui le comunità e i singoli credenti vengono a trovarsi.
Per questo, preghiera silenziosa, ascolto della Parola, meditazione biblica, riflessione personale, non sono disgiunti dall'Eucaristia, ma sono vitalmente collegati ad essa.
Di qui l'importanza che si attui la preparazione remota al Congresso Eucaristico facendo in modo che la Diocesi si metta, per così dire, in ginocchio, proponendo il valore della preghiera silenziosa, indicando strumenti concreti per coltivare questo clima contemplativo che è indispensabile per celebrare degnamente l'Eucaristia .
[16] Fede, speranza ed Eucaristia.
I1 collegamento tra preghiera ed Eucaristia appare più chiaro se consideriamo il rapporto tra Eucaristia e virtù teologali.
L'Eucaristia è la forma esemplare che plasma la vita della Chiesa e dei singoli credenti sul modello della Pasqua. In questa luce il frutto fondamentale dell'Eucaristia è la carità come capacità di dare la vita come l'ha data Gesù. Ma il riferimento a Gesù colloca la carità entro le coordinate della fede e della speranza: Gesù dona la vita in nome e in forza di uno speciale rapporto "contemplativo" con il Padre. Questo rapporto di abbandono fiducioso, di ascolto, di obbedienza può essere descritto, nella sua estensione, a ogni credente in Cristo, come rapporto di fede e di speranza. La fede esprime la sicurezza dell'Alleanza, l'affidamento del credente alla fedeltà amorosa del Padre che ha risuscitato dai morti Gesù Cristo. La speranza si estende oltre le insicurezze, i rischi, le contraddizioni di una libertà umana che è sempre tentata di infedeltà. Facendo continua memoria delle promesse di Dio e riconducendo i propri progetti al progetto del Padre, il cristiano si apre al futuro del Regno di Dio, può progettare, può sperare e attendere il compimento definitivo dei suoi desideri.
Ora è proprio attorno ai valori della fede e della speranza cristiana che si costruisce l'immagine cristiana della preghiera:
- sia nella sua motivazione profonda:
la preghiera cristiana è inserzione del credente nel rapporto di comunione filiale che Cristo ha con il Padre, allo scopo di esprimere nella carità il volto del Padre, riflesso nel volto di Cristo;
- sia nelle sue espressioni fondamentali: in connessione con la fede, la preghiera è lode, adorazione, ringraziamento, riconoscimento del Padre, affidamento a Lui;
in connessione con la speranza, 1a preghiera è intercessione, domanda, implorazione che accoglie in sé i desideri dell'uomo, ma integrati e purificati nel desiderio fondamentale di fare, nella fede, la volontà del Padre. Il cuore si apre alle dimensioni del Regno e alle sue realizzazioni ecumeniche e missionarie.
In questo quadro generale della preghiera cristiana prendono il loro giusto posto i suoi vari aspetti: quello liturgico-sacramentale, quello personale e quello comunitario, quello del cuore e quello delle labbra, quello del silenzio teso all'ascolto e quello della vigilante applicazione di ciò che si è ascoltato al tessuto storico quotidiano.
Non è dunque possibile cogliere il frutto specifico dell'Eucaristia, che è la carità, senza camminare nella via della fede e della speranza. Ma questo suppone un esercizio costante di silenzioso ascolto della Parola di Dio e di abbandono fiducioso al Suo piano di salvezza.
[17] Come vivere tutte queste realtà nella esperienza quotidiana? Potremmo avere l'impressione che si tratti di verità grandiose, che ci aprono nuovi orizzonti, ma che è difficile riportare alla pratica di ogni giorno. Tuttavia il riflettervi un po' sopra costituisce già un primo passo.
La nostra povera preghiera personale, le nostre semplici letture della Bibbia e i momenti di adorazione e silenzio che riusciamo a strappare all'incalzare degli impegni quotidiani, sono davvero un "tesoro nascosto" che dobbiamo riscoprire nel campo della nostra vita. Si tratta di partire da ciò che già ci è dato di capire e di vivere e di metterci a camminare risolutamente per questa via, con coraggio e spirito di sacrificio, avendo ben chiari in testa le mete, gli strumenti e gli ambiti dell'educazione alla preghiera.
[18] Occorre anzitutto chiarire la mèta.
E' importante evitare un certo estrinsecismo (proporre la preghiera come una cosa da fare accanto alle altre, senza capire la sua coestensione alla vita globale del cristiano e dell'uomo) e un certo efficientismo (illudersi di raggiungere risultati immediati, quasi automatici, in conseguenza di certi strumenti messi a disposizione).
Le mete devono essere più modeste e insieme più radicali, Esse potrebbero essere così indicate:
- la consapevolezza del valore cristiano della preghiera. Occorre rendersi conto dal di dentro che la preghiera silenziosa e contemplativa è indissociabile dall'esistenza cristiana autentica (cfr. sopra pp. 10-20);
- l'educazione progressiva: si tratta di cominciare a fare alcuni passi: importante è farli nella direzione giusta, suscitando e chiedendo la voglia di fare passi ulteriori;
- l'iniziale esperienza: occorre prevedere forme e modi che già immettano le persone, secondo i diversi stadi di maturità spirituale, nel mondo meraviglioso della preghiera contemplativa. A pregare, infatti, si impara pregando.
[19] Gli strumenti si proporzioneranno alle mete:
- In ordine alla consapevolezza sembrano particolarmente utili:
a) una catechesi ben fatta, distribuita magari in alcuni momenti dell'anno con sussidi appositi. Potrebbe essere interessante, quest'anno, dato che è proposto alla lettura liturgica domenicale il Vangelo secondo Matteo, fare particolare riferimento ai testi di questo Vangelo alla preghiera (in particolare Mt 6, 5-14; 7, 7-11). Si tenga ben presente tuttavia che non si dà una catechesi astratta sulla preghiera: occorre contemporaneamente pregare e far pregare, con opportuni esercizi e pause di silenzio. La necessità di unire parola, silenzio e preghiera vale per ogni comunicazione della fede cristiana.
b) Una conoscenza concreta della vita di preghiera vissuta da coloro che hanno la vocazione profetica della preghiera. Occorre favorire per questo i contatti con i vari luoghi e centri di contemplazione per far conoscere il loro modo di pregare.
Sarebbe auspicabile che coloro che vivono questo dono della preghiera in comunità, in particolare i religiosi e le religiose, potessero aprirsi a momenti di accoglienza per chi volesse partecipare con essi a queste esperienze.
- In ordine alla educazione occorre tener presente e vedere di proporre in sussidi pratici i valori costanti e insieme le più significative variabili dei diversi metodi di preghiera meditativa proposti dai santi lungo la storia della tradizione spirituale cristiana, tenendo anche conto delle proposte di preghiera profonda che giungono dall'Oriente cristiano e non cristiano.
Potrebbe anche essere utile tentare di affrontare qualche concreto itinerario di preghiera per varie categorie di persone, utilizzando le molte esperienze già fatte in questo campo.
In ordine alla iniziale esperienza, sarà utile preparare sussidi e valorizzare quelli già esistenti in rapporto a due realtà con cui la preghiera contemplativa e silenziosa deve sempre essere connessa, cioè la liturgia e la vita con i suoi ritmi: di qui l'utilità di sussidi legati ad una comprensione più profonda dei momenti dell'anno liturgico e di sussidi miranti ad una comprensione cristiana dei momenti più significativi della vita (orazioni quotidiane - mattino e sera, prima e dopo i pasti, ecc.- e settimanali, in particolare per la famiglia: nascita, infanzia, adolescenza, amore, lavoro, tempo libero, malattia, morte).
[20] Gli ambiti entro cui vanno messi in atto questi strumenti riguardano le varie componenti della comunità cristiana e i nuclei fondamentali della società umana.
- Il presbiterio con il suo vescovo deve riscoprire il posto della preghiera contemplativa entro il quadro della spiritualità sacerdotale. Si tengano presenti a questo proposito le indicazioni della lettera del Giovedl Santo, il documento della CEI su "Seminari e vocazioni sacerdotali" e le indicazioni sulla "spiritualità del presbitero diocesano" preparate dal Consiglio Presbiteriale.
- I decanati potranno riflettere su quali iniziative, fra quelle indicate, conviene far convergere, in alcuni tempi dell'anno, a motivo di segno e di stimolo, l'attenzione delle parrocchie e dei gruppi particolari. Va anche presa in considerazione la possibile esperienza di una "scuola di preghiera" da offrire da uno o più decanati congiuntamente, in eventuale relazione con luoghi particolarmente a ciò adatti (case di esercizi, monasteri contemplativi, ecc.).
- Le parrocchie: valorizzino i momenti di preghiera silenziosa già presenti nell'azione liturgica; educhino i vari gruppi alla preghiera contemplativa con gli strumenti sopra indicati; propongano tempi comuni di preghiera soprattutto in connessione con i tempi forti della liturgia annuale, in speciali occasioni di adorazione, quali Quarant'ore ecc.; offrano strumenti per far pregare i parrocchiani con i tempi importanti della vita. Si tenga presente che la parrocchia, insieme con la famiglia, è il luogo normale di educazione alla preghiera dei battezzati. Dal modo e dal tono con cui si prega, dal rispetto delle pause e dei momenti di silenzio, dalla solennità, dignità e intelligibilità con cui viene proclamata dai lettori la Parola della Scrittura, dalla cura posta nel canto, dipende in gran parte la intuizione che esiste, al di là della preghiera delle labbra, una preghiera del cuore, e l'invito a prolungarla e a coltivarla esplicitamente.
Si valorizzi anche l'educazione teorica e pratica alla preghiera che può essere data, in maniera molto semplice ed efficace, in occasione del sacramento della Riconciliazione secondo il nuovo rituale e nella direzione o guida o "accompagnamento spirituale". Ci si ricordi che anche i bambini sono suscettibili di una profonda educazione alla preghiera, che sappia valorizzare anche i gesti e i segni esteriori.
- I santuari e i centri di preghiera contemplativa vanno riscoperti, valorizzati, proposti come meta di pellegrinaggi e incontri. Le comunità religiose operanti nel territorio si prestino generosamente a offrire la loro esperienza, i luoghi, il tempo, le persone per favorire l'educazione alla preghiera.
- Le famiglie, educatrici prime della preghiera, devono assolutamente riscoprire questo loro compito ed essere aiutate a diventare vero luogo di preghiera.
La famiglia è luogo di interessi affettivi, di rapporti personali profondi: può e deve essere, quindi, un ambito privilegiato per ricostruire il tessuto antropologico previo e abilitante alla preghiera. Sarà importante per esempio che i genitori sappiano educare i figli a rinunciare a elementi di dissipazione (particolarmente a programmi televisivi quanto meno inutili) per riservare spazi di aperta e affettuosa conversazione e di raccoglimento davanti a Dio. Si potrebbe fare in modo che i diversi sussidi di stampa cattolica o i ciclostilati che entrano un po' in tutte le famiglie, anche quelle che non frequentano la chiesa, offrano lungo l'arco di tutto l'anno, sia una catechesi, sia qualche itinerario concreto di preghiera famillare.
- Tutti i gruppi in cui si attua una qualche esperienza di comunità si esamino attentamente per vedere quale posto danno alla "preghiera silenziosa" nel senso sopra descritto. Là dove si recitano lodevolmente insieme Lodi e Vespri, si curi di farlo con la dovuta calma, le pause e i momenti di silenzio che danno il gusto della preghiera profonda.
- A livello diocesano sarà utile prevedere qualche iniziativa che metta il popolo di Dio in comunione di ascolto silenzioso della Parola letta e commentata dal vescovo. Si studierà di prevedere tali riunioni in alcuni momenti particolari dell'anno.
[21] Si potrebbero prolungare indefinitamente i diversi riferimenti per l'educazione alla preghiera silenziosa. Dopo averci riflettuto, ho pensato che fosse più opportuno che ulteriori indicazioni più specifiche fossero proposte a parte. Del resto gli educatori per eccellenza alla preghiera che sono i sacerdoti, sapranno trarre dal tesoro della tradizione e spiritualità ambrosiana "cose vecchie e nuove" per questo compito fondamentale.
Volendo tuttavia dare alcuni suggerimenti riassuntivi, mi limiterei ai tre seguenti.
[22] Silenzio e adorazione. Allarghiamo in noi e negli altri i momenti di pausa contemplativa, di silenzio adorante. Ci sarà chi lo farà aiutandosi con le preghiere di tipo ripetitivo-contemplativo tradizionali, come il Rosario o la Via Crucis, chi userà piuttosto la "preghiera di Gesù" della tradizione orientale o le giaculatorie o altre forme. Tra di esse è certamente da rivalorizzare la preghiera adorante connessa alla Comunione e davanti al Santissimo Sacramento. Si tenga conto di quanto i giovani siano sensibili al richiamo della preghiera silenziosa.
[23] Ascolto della Parola e lectio divina. Il silenzio prepari il terreno su cui cade il seme della Parola. Alla luce dell'insegnamento della Chiesa, e particolarmente del Concilio, leggiamo attentamente, con calma, il brano del lezionario del giorno, chiedendoci: quale "buona notizia" è contenuta qui per la mia vita? Oppure percorriamo attentamente un libro della Scrittura, un Salmo, lasciando che il messaggio penetri in noi. Facciamo delle pause, e sentiamo verso quali forme di preghiera ci muove lo Spirito del Signore che è dentro di noi.
[24] Tempi forti dello Spirito. Ricaviamo per noi e per gli altri dei tempi dedicati soltanto al silenzio e all'ascolto orante. Per questo occorrerà di solito avere luoghi diversi da quelli in cui si svolge la nostra vita, cercare un po' di "deserto". Ciascuno deve mettere in programma qualche giornata di ritiro che sia veramente tale. Si promuovano gli Esercizi Spirituali in quelle forme che insegnano davvero a pregare. Gli Esercizi sono infatti la più efficace scuola di preghiera. Qui nascono spesso le vocazioni di speciale consacrazione e impegno nella Chiesa. E' lodevole iniziativa quella che prevede, al compimento della scuola secondaria o comunque nel periodo di scelte decisive, un corso di Esercizi in ordine agli orientamenti di vita.
[25] Programmare e verificare. Aggiungo un'ultima indicazione, che è di metodo, ma che ritengo importante, se vogliamo seriamente camminare per questa strada.
Bisogna che nei vari ambiti sopra menzionati (in particolare nelle parrocchie e nei consigli pastorali, nei decanati, nelle comunità e nei gruppi) ci si impegni durante il mese di ottobre a rispondere alle domande seguenti, o simili:
Qual è la nostra situazione rispetto a questa proposta? Che cosa si potrebbe programmare per far crescere la consapevolezza e per favorire l'educazione alla preghiera? Quali strumenti usare, quali iniziative proporre, quali "segni" concreti suscitare?
Periodicamente, e soprattutto in Avvento e Quaresima, sarà importante operare una verifica di quanto si è fatto e aggiornare il programma a partire dalla esperienza.
Da parte mia chiederò ai Vicari Episcopali di zona di tenermi informato sulle iniziative più interessanti e stimolanti, che potranno anche essere comunicate ad altri. Il Signore ci aiuti così ad aprirci sempre più alla sua Parola di salvezza .
Ho scritto queste cose con la convinzione che la realtà più importante a cui la preghiera ci deve orientare è la carità. Questa è la meta finale a cui siamo chiamati. Su questo punto, che mi sta tanto a cuore, cioè sul come la nostra Chiesa deve vivere la carità verso tutti dovremo un giorno fermarci più a lungo. Ma mi è sembrato che in questo primo dialogo prolungato con gli uomini e le donne di questa nostra diocesi fosse necessario insistere sulle radici personali profonde di ogni nostro fare, di ogni nostro servizio alla gente e specialmente ai più poveri.
La preghiera, come la carità, è un dono dall'alto. Essa ci mette a servizio di una società più giusta. Ci fa vedere il mondo con gli occhi li Dio. Da un dono come questo possono nascere tante cose.
Per intercessione di Maria, modello di preghiera silenziosa, invoco questo dono su di me e su tutti voi.
Milano, 8 settembre 1980
+ CARLO MARIA Arcivescovo