venerdì 31 agosto 2012

Martini: Lettere Pastorali - "Partenza da Emmaus" (1984)

 http://www.itl-editore.com/Preview27284.jpg

Partenza da Emmaus
[0] Questa lettera ho cominciato a scriverla a Lourdes, nello scorso mese di giugno. Era l'ultimo giorno del Pellegrinaggio diocesano in ringraziamento per il Congresso Eucaristico e la visita del Papa. Alle migliaia di pellegrini raccolti sulla spianata per il saluto finale ho detto che la Madonna ci lasciava una consegna: siate testimoni del Risorto!
La lettera nasce da questa consegna. Essa è dunque sotto la tua protezione, o Maria. A te la offro anche ora che la sto stendendo. A te l'affido perché tu la porti all'indirizzo vero di ciascuno: non semplicemente quello anagrafico, ma quello del cuore.
Scrivendo questa lettera ho in vista principalmente gli operatori pastorali della diocesi, che durante questa estate intendono prepararsi e aiutare altri a vivere il tema del prossimo anno pastorale "Testimoni del Risorto". Ho in progetto, per il tempo dopo l'estate, una ripresa di questo tema missionario con una lettera che avrà per titolo "Testimoni del Risorto" e che riprenderà sostanzialmente, con un discorso per tutti, quanto viene qui anticipato per gli operatori. Ad essi rivolgo anche l'invito a tener presente per il loro lavoro alcuni documenti recenti; come la Lumen Gentium (n. 26) e la Ad Gentes (n. 6), i documenti CEI su Comunione e Comunità (1982), Eucaristia, Comunione e Comunità (1983), La formazione dei catechisti nella comunità cristiana (1981) e L'impegno missionario della Chiesa italiana (1983).
[1] Signore Gesù, grazie perché ti sei fatto riconoscere nello spezzare il pane. Mentre stiamo correndo verso Gerusalemme, e il fiato quasi ci manca per l'ansia di arrivare presto, il cuore ci batte forte per un motivo ben più profondo.
Dovremmo essere tristi, perché non sei più con noi. Eppure ci sentiamo felici. La nostra gioia e il nostro ritorno frettoloso a Gerusalemme, lasciando il pranzo a metà sulla tavola, esprimono la certezza che tu ormai sei con noi. Ci hai incrociati poche ore fa su questa stessa strada, stanchi e delusi. Non ci hai abbandonati a noi stessi e alla nostra disperazione. Ci hai inquietati con i tuoi rimproveri. Ma soprattutto sei entrato dentro di noi. Ci hai svelato il segreto di Dio su di te, nascosto nelle pagine della Scrittura. Hai camminato con noi, come un amico paziente. Hai suggellato l'amicizia spezzando con noi il pane, hai acceso il nostro cuore perché riconoscessimo in te il Messia, il Salvatore di tutti. Così facendo, sei entrato dentro di noi.
Quando, sul far della sera, tu avevi accennato a proseguire il tuo cammino oltre Emmaus, noi ti pregammo di restare.
Ti rivolgeremo questa preghiera, spontanea e appassionata, infinite altre volte nella sera del nostro smarrimento, del nostro dolore, del nostro immenso desiderio di te. Ma ora comprendiamo che essa non raggiunge la verità ultima del nostro rapporto con te. Infatti tu sei sempre con noi. Siamo noi, invece, che non sempre restiamo con te, non dimoriamo in te. Per questo non sappiamo diventare la tua presenza accanto ai fratelli.
Per questo, o Signore Gesù, ora ti chiediamo di aiutarci a restare sempre con te, ad aderire alla tua persona con tutto l'ardore del nostro cuore, ad assumerci con gioia la missione che tu ci affidi: continuare la tua presenza, essere vangelo della tua risurrezione.
Signore, Gerusalemme è ormai vicina. Abbiamo capito che essa non è più la città delle speranze fallite, della tomba desolata. Essa è la città della Cena, della Pasqua, della suprema fedeltà dell'amore di Dio per l'uomo, della nuova fraternità. Da essa muoveremo lungo le strade di tutto il mondo per essere testimoni della tua risurrezione.
[2] Cari sacerdoti e fedeli, e soprattutto voi, carissimi operatori pastorali: ho voluto iniziare questa lettera collegandomi idealmente ancora una volta alla vicenda dei discepoli di Emmaus, perché vedo in essa una immagine suggestiva, come una "icona" del cammino che la nostra Chiesa ha compiuto e deve ancora compiere.
Ho messo sulle labbra dei due discepoli una preghiera, che fosse come il prolungamento della loro invocazione "resta con noi, Signore!". Ma le parole di questa preghiera, pur ispirandosi al racconto evangelico, contengono anche le aspirazioni più urgenti della nostra Chiesa: fa che restiamo con te, fa che sappiamo essere la tua presenza!
Abbiamo bisogno di scoprire l'esito missionario del cammino di contemplazione, di ascolto, di eucaristia fin qui percorso.
In questi tre anni di preparazione al Congresso Eucaristico abbiamo contemplato il mistero di Dio che avvolge e oltrepassa la nostra esistenza: abbiamo cercato di renderci sensibili alla dimensione contemplativa della vita.
Il silenzio adorante dinanzi al mistero ci ha preparati a meditare sul "principio" della nostra vita: essa non si trova in noi stessi, ma nella Parola, detta definitivamente a noi da Dio in Gesù, testimoniata nelle Sacre Scritture, riattualizzata nella nostra vita quotidiana attraverso la preghiera e la proclamazione liturgica della Chiesa: in principio, la Parola.
Ci siamo allora lasciati attrarre da Gesù: attirerò tutti a me.
Unendoci, attraverso l'Eucaristia, alla sua Pasqua, ci siamo impegnati a condividere il suo atteggiamento di obbedienza alla volontà amorosa con cui il Padre guarda e salva ogni uomo.
Dobbiamo ora approfondire le conseguenze di tutto questo.
Per riferirci ancora all'episodio di Emmaus, dobbiamo tentare di capire che cosa è avvenuto nel cuore dei discepoli dopo lo spezzare del pane. Che cosa li ha spinti a correre verso Gerusalemme? Quale forza interiore li ha mossi a lasciare tutti gli altri progetti e a farsi testimoni del Risorto? Come possiamo anche noi rivivere qui e ora, nelle nostre comunità, lo stesso movimento generoso verso la missione e la testimonianza?
Alcune circostanze significative, passate e future, sollecitano e inquadrano lo studio e l'impegno della "missione". Ricordo in particolare il Congresso Eucaristico e la visita del Papa, il centenario di S. Carlo e l'Anno Santo col Giubileo della Redenzione.
[3] Si è conclusa la fase della preparazione e della celebrazione del Congresso. Siano rese grazie a Dio per i doni che da esso ci sono venuti.
Ma rimane aperta la fase della verifica e della attuazione. Il Congresso continua a camminare con noi come un evento da interpretare e sviluppare nelle sue implicazioni di fondo, da approfondire nelle indicazioni positive, da precisare negli aspetti rimasti oscuri o incompleti.
Le giornate conclusive, riassumendo un lavoro pluriennale, ci hanno educati a tre atteggiamenti: celebrare, adorare, comunicare.
Abbiamo gustato la celebrazione, non come momento staccato dalla vita, ma come spazio spirituale in cui Cristo si rende presente, anche nello spazio fisico della città (si pensi a piazza del Duomo o al quartiere Gallaratese), per dare senso e dinamismo a tutti gli altri momenti della nostra esistenza.
Abbiamo sperimentato che è importante, è ancora possibile adorare, non solo privatamente, nel silenzio di una chiesa, ma anche coralmente, dentro il clima convulso di una città moderna come Milano. E' possibile una preghiera di massa, che diviene preghiera di popolo.
Abbiamo imparato a comunicarci le nostre esperienze di fede sui problemi gravi della vita contemporanea, che chiedono di essere illuminati dalla Eucaristia. Ma in particolare su questo punto abbiamo capito che il cammino da percorrere è ancora lungo. Dobbiamo creare nuove forme e abitudini di comunicazione nella Chiesa, per essere all'altezza della missione che Gesù ci affida.
Ci ha aiutati moltissimo in questo il magistero del Papa, che ancora una volta ringraziamo per essere venuto ad adorare con noi l'Eucaristia, a visitare la città e la diocesi, a raccogliere dalla celebrazione congressuale alcune conclusioni autorevoli. Egli ci ha detto che dalla presenza di Gesù nella Eucaristia, sotto l'azione potente dello Spirito, nasce un uomo nuovo, che rende grazie, si affida a Dio, diventa disponibile al servizio dei fratelli. Negli incontri con le diverse categorie di persone il Papa ha descritto alcuni aspetti di questo uomo nuovo, dell'uomo "eucaristico", che "rende grazie", mettendolo a confronto e a contatto con i problemi presenti nei diversi settori della realtà sociale e culturale d'oggi.
Dal Congresso Eucaristico, autorevolmente interpretato dal Papa, deriva la spinta verso la missione. Deriva anche una preziosa indicazione su una caratteristica della missione. La missione "agli uomini", sia a quelli che vivono accanto a noi senza condividere, o condividendo solo parzialmente, la vita della comunità cristiana, o che vivono in altri Paesi non ancora raggiunti dal messaggio evangelico, si fonda nella missione "all'uomo", cioè nell'atto di fede con cui la Chiesa scopre, vive, proclama il rapporto intrinseco e fondamentale che intercorre tra il mistero di Gesù e l'enigma dell'uomo: l'uomo "via della Chiesa", l'uomo quindi anche "via della missione". Questa grande parola di Giovanni Paolo II ci aiuta a definire e a valutare la "missionarietà" dell'assemblea dei credenti.
[4] La seconda ricorrenza è il centenario carolino, per il quale sono in programma molte iniziative. Esse ci aiuteranno a riscoprire e ad aggiornare non poche intuizioni geniali inserite da S. Carlo nella tradizione spirituale e pastorale della nostra diocesi. Penso in particolare a tre aspetti della figura di S. Carlo, che sono ricorrenti nella iconografia carolina e soprattutto sono stampati nella memoria del nostro popolo: il lungo sostare, pregare, piangere davanti al Crocifisso; la riforma coraggiosa e capillare di tutti gli aspetti organizzativi e amministrativi della vita della Chiesa a partire da una fede coltivata mediante la catechesi; l'esercizio infaticabile delle opere di carità.
a) Sotto la guida di questi atteggiamenti di S. Carlo, arriviamo a intuire anzitutto che la missione nasce da un profondo amore a Gesù Cristo, dalla contemplazione del Crocifisso. Contemplandolo vediamo nella croce il gesto supremo dell'amore di Dio per l'uomo. Partecipiamo all'agonia mortale di Gesù, ci sentiamo anche noi come "lacerati" tra la fedeltà assoluta al Padre e la fedeltà senza pentimento all'uomo che rifiuta Gesù e il Padre. Partecipiamo alla sua "compassione" (cfr. Mt 9,35) per gli uomini che non sanno fino a che punto Dio li ha amati o, pur sapendo tutto questo, non corrispondono a tanto amore.
b) Tale compassione diventa "missionaria". Essa spinge il credente a ripensare la propria vita, a lasciarsi "convertire", perché ogni gesto, ogni rapporto con gli altri uomini diventino un annuncio di questo amore di Dio. In un uomo di Chiesa, come S. Carlo, l'istanza evangelizzatrice, nata dalla contemplazione del Crocifisso, sotto la spinta della riforma tridentina si è estesa allo stile pastorale e alle istituzioni della comunità, a partire dalle iniziative finalizzate alla predicazione e all'insegnamento della dottrina cristiana. S. Carlo è stato un grande riorganizzatore della sua Chiesa, ma tutto ciò è stato fatto a partire dalla missione e a misura della missione.
c) Il suggello, poi, del rinnovamento ecclesiastico si ha in una realtà che oltrepassa ogni riforma istituzionale e dà la misura definitiva dell'obbedienza della Chiesa di S. Carlo alla missione di Gesù: sono le opere della carità, che incarnano l'amore incondizionato di Cristo per ogni uomo, specialmente per chi è meno fortunato e meno amato.
Ritorneremo in seguito su queste caratteristiche della missione. Per ora notiamo che esse, pur essendoci suggerite dai due avvenimenti del Congresso Eucaristico e dell'anno carolino, sono più grandi degli avvenimenti stessi e richiamano alcuni fatti più generali sui quali è utile sostare un poco, per comprendere meglio l'importanza e l'attualità del tema della missione. In particolare la riforma missionaria della Chiesa, proposta dall'anno carolino, e la missione all'uomo, dischiusa dal Congresso Eucaristico, ci invitano a esaminare alcuni aspetti attuali della vita ecclesiale e della vita sociale, che possono dare maggiore concretezza storica alla riflessione sulla missione.
[5] Per quanto riguarda l'Anno Santo che stiamo vivendo, mi limito a richiamare per ora quanto ha scritto il Santo Padre sul rapporto tra Anno Santo e Giornata Missionaria. Dice il Papa: "Richiamando pertanto a ogni cristiano le ricchezze recate al mondo dalla Redenzione, il Giubileo acquista perciò stesso un rilevante significato missionario. Diventa un rinnovato appello alla evangelizzazione di quei milioni di persone che, dopo ben 1950 anni dal Sacrificio redentivo del Calvario, non sono ancora cristiane e non possono, nella sofferenza e nella gioia, invocare il nome del Salvatore, perché ancora non lo conoscono.
"Entrare, dunque, nello spirito dell'Anno Giubilare equivale ad immergersi nello spirito missionario, a rivolgere il cuore non solo alla profondità della propria coscienza, ma anche a tutti coloro che sono nostri fratelli e hanno il diritto di conoscere Cristo e di godere delle ricchezze del suo Cuore "dives in misericordia" .
"Auspico sinceramente che tutte le forze della Chiesa, del Popolo di Dio, in quest'ora difficile che l'umanità sta vivendo, densa, si, di minacce, ma anche foriera di speranze, si mobilitino attingendo una rinnovata carica spirituale da questo Anno Santo della Redenzione affinché l'annuncio del Vangelo raggiunga in modo sempre più ampio e profondo le Genti e i Popoli della terra" (Messaggio di Giovanni Paolo II per la Giornata Mondiale Missionaria 1983 ) .
[6] Nel seno di Rebecca si combattevano tra loro i due figli: Esaù e Giacobbe.
Qualche volta si ha l'impressione che nel seno della nostra Chiesa si affrontino due mentalità, entrambe mosse dal legittimo desiderio di vivere e di espandersi. Anzi è nell'intimo stesso di ciascuno di noi che questa tensione si manifesta.
Esaù rappresenta la cura delle cose domestiche, l'attenzione ai vicini. E' l'uomo che lavora sodo e non si prende mai un giorno di ferie. Di fronte a lui sta Giacobbe, a cui piace viaggiare, fare esperienze all'estero.
Fuor di metafora, noi sperimentiamo da una parte il bisogno di un lavoro paziente e tenace in casa nostra, cioè a vantaggio di tutti quelli che ci seguono e sono aperti alle nostre iniziative pastorali. Ma viviamo insieme il rimorso e il desiderio di fare qualcosa anche per gli altri, per quelli che restano fuori. Qualche volta ci domandiamo con trepidazione se non sia venuto il tempo di abbandonare le novantanove pecore del gregge al sicuro nell'ovile e correre fuori a cercare quella smarrita: con la constatazione amara che sono più le pecore fuori che non quelle che, con tanta fatica, seguiamo nella pastorale ordinaria. Mi ha fatto molta impressione ciò che mi disse un prete zelante e attivo, in una delle mie prime visite a una grande parrocchia di periferia. "Vede--mi diceva--io ho ventimila anime in Parrocchia. Ma le tremila che frequentano assiduamente mi danno talmente da fare, riempiono talmente il tempo di noi preti, che ce ne resta ben poco per pensare seriamente alle altre".
Questo ragionamento fatto da un buon prete di periferia lo faccio anch'io per l'intera diocesi. Quante volte ho pensato con sofferenza che, malgrado tutto il mio affannarmi e correre, malgrado abbia l'impressione di incontrare centinaia e migliaia di persone nelle visite pastorali, il numero di coloro con cui non mi sarà mai possibile avere alcun contatto come Vescovo è immensamente più grande della somma di tutte le persone che potrò incontrare.
Si scatena allora nell'intimo del cuore la lotta tra Esaù e Giacobbe.
Giacobbe vorrebbe che si andasse ai lontani, che si cancellassero tutti gli impegni che sembrano finalizzati alla conservazione dell'esistente, che si buttasse a mare la cosiddetta "ordinaria amministrazione" per dare tutto il tempo a miziative nuove, di avvicinamento dei lontani, di penetrazione missionaria.
Il senso di sofferenza e quasi di sgomento cresce quando si paragonano le cifre di coloro che tra noi hanno bisogno di essere evangelizzati con le innumerevoli masse di coloro che in altri Paesi sono infinitamente più svantaggiati rispetto alle possibilità che ci sono da noi di ascoltare la Parola di Dio. E queste masse forse ne avrebbero più desiderio e disponibilità.
Ricordo d'aver letto una volta una lettera di San Francesco Saverio dall'India in cui esortava gli orgogliosi maestri universitari di Parigi ad abbandonare le loro cattedre e a correre verso quei Paesi lontani dove infinitamente più grandi e urgenti erano i bisogni e la disposizione ad apprendere la vera dottrina. Non potremmo forse oggi ripetere le stesse parole a tanti nostri operatori culturali e pastorali?
Queste considerazioni un po' personali su quell'Esaù e quel Giacobbe che ci portiamo dentro ci introducono a una riflessione più ampia sulle tensioni interne che possiamo notare in mezzo a noi quando ci confrontiamo col tema della missione.
Infatti, se guardiamo alla nostra Chiesa diocesana dal punto di vista della sensibilità e della attività missionarie, vi troviamo una grande ricchezza di fermenti.
La nostra diocesi ha dato e continua a dare alle Missioni un numero considerevole di vocazioni sacerdotali, religiose, laicali.
Fioriscono molte opere di generosità missionaria e di volontariato internazionale, che trovano nell'Ufficio Missionario Diocesano un valido punto di riferimento: esso valorizza, sostiene, coordina queste opere e insieme diffonde capillarmente la loro carica profetica come un benefico contagio in tutte le comunità parrocchiali.
La nostra missione diocesana in Africa non ha certamente monopolizzato il nostro impegno missionario, ma serve da modello e da sprone per altre forme di gemellaggio, di sostegno, di cooperazione tra la nostra comunità e le Chiese missionarie.
La tensione missionaria intesa più largamente come ansia evangelizzatrice e apertura ai lontani appare anche chiaramente in molti aspetti della vita delle nostre comunità. Movimenti di ambiente, gruppi di promozione culturale, di formazione cristiana fondamentale, di animazione familiare, di servizio caritativo, imprimono un ritmo dinamico e aperto alla vita pastorale.
La stessa comunità istituzionale si interroga spesso sui modi per passare da uno stile di ordinaria amministrazione, di gestione dell'esistente, a uno stile di mobilitazione delle forze, di ricerca delle persone che non vengono spontaneamente, di sperimentazione e di innovazione.
Il passaggio però non si attua senza lentezze e remore. Dobbiamo efEettivamente riconoscere che, nella gran parte dei casi, le nostre comunità parrocchiali sono cosl ricche di attività organizzative e amministrative, di iniziative tradizionali, di movimento di persone che ruotano attorno al prete, da poter vivere, se lo volessero, quasi di autoconservazione, al riparo da forti provocazioni missionarie.
Di tanto in tanto il pensiero dei lontani, di coloro che non sono raggiunti dalle iniziative parrocchiali, di coloro che non conoscono il Vangelo, ci attraversa la mente, ci dà una stretta al cuore, ci ispira desideri apostolici; ma poi viene rapidamente cancellato dalle mille incombenze quotidiane.
Il rischio per la vita parrocchiale è di venire privata a poco a poco di forti e drammatiche stimolazioni e di adagiarsi nella ripetizione dei gesti e dei riti.
In questa atmosfera la missione fuori della patria finisce per essere considerata un'aggiunta, un momento episodico, un compito per alcuni, non un impegno fondamentale e costante di tutta la comunità. L'azione dei movimenti e dei gruppi, non trovando il modo di sintonizzarsi con lo stile generale della comunità, può correre il rischio di stemperare la propria carica dirompente e profetica in atteggiamenti di risentimento e di contrapposizione.
Occorre creare un'osmosi benefica tra la tensione missionaria, profeticamente alimentata da alcune iniziative e da alcune persone, e lo stile missionario di tutta la comunità.
Esaù e Giacobbe devono riconciliarsi nel seno della nostra Chiesa.
[7] Da quanto si è detto segue l'articolazione della lettera che ora propongo. Essa consta delle parti seguenti:
1. Il messaggio: cogliere i suggerimenti di alcuni testi biblici sulla comunità cristiana "missionaria".
2. La distanza: cercare le espressioni e le ragioni della distanza tra i comportamenti delle nostre comunità e l'ideale missionario annunciato dalla Bibbia.
3. La dimora: approfondire il messaggio biblico, delineando i nessi profondi che intercorrono tra EucaristiaChiesa-Missione, con particolare attenzione a quegli aspetti della missione che sono disattesi nei nostri comportamenti attuali insufficientemente evangelici.
4. Lo stile: ricavare dai punti precedenti alcune conseguenze circa lo stile missionario delle nostre comunità.
5. L'azione: proporre un esempio di intervento concreto relativamente alla catechesi, con particolare attenzione alla figura spirituale e pastorale dei catechisti.
L'andamento della lettera può rievocare le tappe di una "lectio divina", nelle tre articolazioni tradizionali: lectio (l'annuncio), meditatio (la distanza), contemplatio (la dimora, lo stile, l'azione).
Questo significa che le indicazioni pastorali vengono collocate in un contesto di "comunicazione della fede" per la promozione di un consenso di fede sull'immagine che la Chiesa milanese vuole offrire all'uomo d'oggi, in obbedienza alla missione che il Signore le affida.
[8] Il nostro cammino tra le pagine bibliche sulla missione può partire ancora una volta da Emmaus. In questo episodio S. Luca riesce a farci percepire con particolare evidenza un aspetto che è presente in tutti i racconti evangelici delle apparizioni del Risorto ai discepoli, cioè la progressiva consistenza che la libertà dell'uomo assume dentro il mistero di Cristo, la liberazione della libertà.
La risurrezione è presentata dalla Bibbia come un evento che discende direttamente dall'amore e dalla potenza del Padre e supera le leggi della nostra esistenza storica. Però questo evento deve essere annunciato nella storia umana e deve essere accolto da ogni uomo, perché dice qual è il senso della storia, il destino dell'umanità. L'uomo quindi entra in causa sia come destinatario sia come protagonista dell'annuncio della risurrezione. Anzi si può dire che la libertà dell'uomo esiste appunto per questo: per partecipare alla vita risorta di Gesù, per accoglierla pienamente dentro di sé e per comunicarla agli altri.
La libertà nasce in un contesto contrassegnato dall'evento di Gesù. Pertanto non è una libertà senza radici, senza riferimenti e senza norme, come talora ci si immagina quando si parla della libertà oggi. Essa nasce da una chiamata, riceve un compito e una missione, cresce nella sequela generosa di Cristo, lungo la via da lui tracciata.
Possiamo quasi toccare con mano questo progressivo consolidarsì della libertà umana dentro il mistero di Cristo cogliendo la successione di alcune tappe nell'episodio dei discepoli di Emmaus.
a) L'iniziativa dell'incontro è presa da Gesù. I discepoli non solo non fanno nulla perché l'incontro possa accadere, ma addirittura oppongono l'ostacolo della delusione, della rinuncia a credere e a sperare. Gesù, però, dà rilievo alla libertà dei discepoli, che dapprima scoraggiata e rinunciataria, viene via via rigenerata e aperta alla speranza, alla fiducia nel disegno di Dio sulla storia umana.
b) Dopo essersi reso presente con l'amicizia, con la parola, con il convito, Gesù scompare. La sua assenza però non è pura e semplice assenza. Essa apre lo spazio e crea le premesse per una nuova forma di presenza, che non è più esterna ai discepoli, ma viene, per così dire, interiorizzata. La libertà dei discepoli, rigenerata dall'amicizia, dalla parola, dal convito, diventa essa stessa una forma di presenza di Gesù: è una libertà divenuta ardente e desiderosa di testimoniare l'amore di Gesù per ogni uomo.
c) La nuova realtà, creata da Gesù nei discepoli, comincia a esprimersi in un nuovo stile di vita, nel quale la libertà sprigiona le sue energie più belle: i discepoli si staccano dalle loro speranze ambigue, dai loro progetti, dalle stanchezze e dalle pigrizie; un ardore nuovo invade il loro cuore e lo riempie di gioia; a sera inoltrata, deponendo ogni preoccupazione per se stessi e per il proprio riposo, corrono verso Gerusalemme, tutti presi ormai da un compito che li sollecita e li affascina.
d) Anche le relazioni libere tra uomo e uomo vengono coinvolte nella novità della vita. I discepoli non restano soli. Sentono il bisogno di parlarsi l'un l'altro, non più per comunicarsi, come poche ore prima, le amarezze e le delusioni, ma per spronarsi a vicenda col ricordo del cuore ardente, che l'incontro con Gesù ha suscitato in loro. Sentono soprattutto il bisogno di correre a Gerusalemme per raccontare quanto hanno vissuto, per riaggregarsi alla comunità dei discepoli e per prepararsi a un compito che li vedrà testimoni del Risorto presso ogni popolo e ogni uomo fino agli estremi confini della terra.
Questi aspetti della missione, colti sinteticamente nell'episodio di Emmaus, vengono sviluppati e approfonditi in molti testi missionari del Nuovo Testamento.
Ci soffermeremo in particolare sui testi seguenti:
- il discorso di Gesù per la prima missione dei discepoli;
- i discorsi dell'ultima cena;
- i discorsi missionari del Risorto;
- l'esperienza missionaria delle comunità apostoliche.
Propongo le semplici riflessioni che seguono su questi testi perché nei prossimi mesi essi possano essere fatti oggetto di studio e di preghiera in particolare nei campiscuola, nei ritiri, negli incontri dei consigli pastorali e dei gruppi.
[9] L'invio dei discepoli in missione durante il ministero messianico di Gesù in Galilea è un dato presente in tutti e tre i vangeli sinottici: Mc 3,13-19; 6,7-13; Lc 6,12-16; 9,1-6; 10,1-20; Mt 10,1-42. Mentre riferiscono le parole di Gesù, gli evangelisti hanno davanti agli occhi l'azione missionaria delle comunità cristiane a cui appartengono. Sono quindi portati a vedere in questa prima missione dei discepoli nei villaggi della Galilea il fondamento e il paradigma di ogni successiva missione della Chiesa. Soprattutto Matteo, che ha un testo molto più ampio degli altri due evangelisti, sente il bisogno di ordinare le parole rivolte da Gesù ai primi discepoli in una specie di "manuale" per ogni discepolo mandato in missione: perciò raccoglie in questo contesto parole che Marco e Luca collocano in contesti diversi.
Cogliamo alcuni elementi essenziali, particolarmente significativi per la nostra situazione.
a) Gesù rivela la chiara volontà di associare gli uomini alla missione ricevuta dal Padre. Gesù quindi ha stima e fiducia per la libertà umana che è chiamata a collaborare all'annuncio del Vangelo.
Ma si tratta appunto di chiamafa, di associazione, di collaborazione. Il discepolo interviene come discepolo, cioè con una libertà che è interiormente animata e normata dalla volontà del Maestro. I discepoli devono fare le stesse cose che ha fatto Gesù. E' lui che liberamente li sceglie e li invia. Per meglio sottolineare questo fatto Matteo presenta come introduzione al discorso missionario la chiamata dei dodici (10,1-4): la missione della Chiesa deriva da Gesù e si compie sotto la guida dei dodici designati da Gesù.
b) I vangeli sono molto sobri nel riferire le cose che i discepoli devono dire. Si accenna al Regno che si è fatto vicino: con la venuta di Gesù la volontà amorosa e misericordiosa di Dio è qui, in mezzo agli uomini, per guarire, perdonare, portare pace. L'insistenza maggiore è posta però sul come i discepoli devono comportarsi: i contenuti profondi del Regno vengono rispecchiati nel nuovo stile di vita dei suoi annunciatori. Il nuovo stile comporta alcuni atteggiamenti nitidi e irrinunciabili.
Viene raccomandata una attenzione preferenziale, una tenerezza operosa per i malati, i poveri, i lebbrosi, gli indemoniati.
I poteri miracolosi di Gesù vengono estesi ai discepoli, ma soprattutto va estesa a loro la compassione di Gesù per la gente povera e sofferente: è ancora Matteo che sottolinea questo aspetto, collegando direttamente la chiamata e la missione dei dodici con la compassione di Gesù per la folla (9,35-38).
Il comportamento dei discepoli deve ispirarsi a sobrietà, essenzialità, povertà nel cibo, nel vestito, nelle esigenze quotidiane e nelle relazioni interpersonali. Il Regno è un fatto così importante e prioritario, che tutte le altre cose passano in secondo piano. Questa volta è Luca, solitamente molto sensibile al tema della povertà, a fare le sottolineature più vigorose (9,3).
La missione deve svolgersi in un clima di gratuità e di disponibilità. I discepoli devono essere pronti a dare tutto senza badare al contraccambio. Devono quindi essere pronti a tutto. Il Regno, infatti, consiste nell'amore gratuito con cui Dio si mette liberamente a disposizione dell'uomo, senza riserve e senza condizioni.
c) La misura estrema della povertà e della disponibilità si ha nella capacità di sopportare contrasti e rifiuti. Tutti i vangeli preannunciano la possibile ottusità a cui i discepoli vanno incontro. Ma è ancora Matteo che, ispirandosi alle persecuzioni incontrate dalla Chiesa primitiva, sottolinea con forza questo aspetto e riporta alcune parole di Gesù riferite da Marco e Luca in altri contesti: i discepoli devono aspettarsi dolori e persecuzioni, seguendo la sorte del loro Maestro (10,16-25); ma non devono avere paura: lo Spirito parlerà in loro (10,19-20) e il Padre li custodirà (10,24-31); essi devono solo preoccuparsi di essere fedeli pubblicamente e coraggiosamente alle esigenze radicali del Vangelo e alla croce di Gesù (10,32-39).
[10] Un importante approfondimento della missione della Chiesa è offerto dai discorsi dell'ultima cena, contenuti nei capitoli 13-17 del vangelo di Giovanni.
a) Il tema centrale è la preparazione dei discepoli alla morte imminente. Per Gesù la morte non vuol dire finire nel nulla, bensl andare al Padre, fare pienamente la volontà del Padre, manifestare deíinitivamente l'unità che c'è tra il Figlio e il Padre nello Spirito Santo. Gesù ritornando al Padre, approfondisce, mediante lo Spirito, la sua dimora in mezzo ai suoi. I discorsi dell'ultima cena illustrano lo stretto rapporto che c'è tra l'assenza e la presenza di Gesù. Annunciano l'imminente assenza del Maestro: per questo sono discorsi di congedo. Ma l'assenza è la premessa per una nuova forma di presenza attraverso i discepoli stessi, guidati interiormente dallo Spirito: per questo sono discorsi di missione.
b) Lo sfondo della missione è costituito dal mondo, visto come realtà posta sotto il dominio del male, ma suscettibile anche di essere chiamata alla fede. La vita dei discepoli, resa conforme a Gesù mediante l'azione dello Spirito, diventa giudizio di condanna per il mondo che si chiude in se stesso e strada verso la fede per il mondo che ha il coraggio di aprirsi.
c) L'accento, quindi, cade sulla vita dei discepoli, che devono attuare nel mondo una vita diversa dal mondo e resa conforme a Gesù dallo Spirito. Il Vangelo cerca di descrivere la conformità dei credenti a Gesù.
-Essa comporta anzitutto obbedienza al comando di Gesù. Giacche l'antica alleanza comportava una legge, cosi la nuova alleanza, sancita dal sangue di Cristo, comporta una nuova legge. Giovanni non ricorda l'istituzione dell'Eucaristia, mistero della nuova alleanza, già nota attraverso il racconto dei vangeli sinottici, ma ci tiene a ricordare il comandamento nuovo dell'amore fraterno sull'esempio e con la forza di Gesù, che ha lavato i piedi ai discepoli ed è pronto a dare la vita per gli amici.
--L'obbedienza deve diventare conformità interiore. Il discepolo deve essere unito a Gesù come il tralcio alla vite. Deve dimorare in Gesù, cioè deve vivere nel mondo spirituale di Gesù, deve fare proprie le motivazioni e le origini profonde dell'amore di Gesù. Per questo deve dimorare insieme con Gesù, nel Padre, nell'amore che unisce il Padre e il Figlio. Dimorando nel Padre e nel Figlio in forza dello Spirito, il discepolo diventa lui stesso dimora, tempio, abitazione del Padre e del Figlio.
-Questa dimora nell'amore diventa comunitaria e missionaria. La dimora di tutti i credenti nell'unico mistero dell'amore di Dio rivelato da Gesù diventa il fondamento di una comunione profondissima dei credenti tra di loro. La comunione, poi, si esprime in una vita comunitaria contrassegnata dalla ricerca dell'unità. E l'unità tra i credenti diventa una testimonianza cosi viva dell'amore che c'è tra il Padre e il Figlio, da attrarre il mondo alla fede nella missione che Gesù ha ricevuto dal Padre.
[11] La missione che Gesù ha affidato ai discepoli durante la sua vita terrena e nella imminenza della morte, viene confermata e precisata dopo la risurrezione. Colui che parla è ormai il vincitore della morte, il Signore glorificato, il Figlio pienamente associato alla potenza misericordiosa del Padre. Il quarto vangelo pone un discorso missionario sulle labbra di Gesù la sera stessa del giorno di Pasqua (Gv 20,19-23), mentre i tre vangeli sinottici collegano l'invio in missione con il definitivo commiato del Risorto dai suoi discepoli (Mc 16, 15-20; Mt 28, 16-20; Lc 24, 44-53; At 1,8-9). Vanno tenuti presenti anche i primi messaggi alle donne presso il sepolcro (Mt 28,7-10; Lc 24, 1-10; Gv 20, 11-18): una riflessione sul ruolo della donna nella Chiesa dovrà sempre riferirsi a questi testi.
a) L'aspetto più evidente di questi discorsi è la dimensione universale della missione I discepoli devono annunciare il Vangelo in tutto il mondo, a ogni popolo, a ogni uomo. Occorre però cogliere il fondamento della universalità. L'andare presso tutti gli uomini potrebbe essere inteso in senso proselitistico, come un guadagnare adepti alla comunità cristiana per aumentarne la potenza e il prestigio. Inversamente potrebbe essere inteso come un adattare superficialmente il Vangelo alle diverse situazioni umane ed etniche, svigorendone l'interiore energia. Invece il Nuovo Testamento fonda l'universalità della missione nello speciale rapporto che Gesù Risorto ha con ogni uomo.
b) Il Vangelo dev'essere annunciato a ogni uomo, perché Gesù è la verità dell'uomo, ha ricevuto dal Padre ogni potere in cielo e in terra (Mt 28,18), perché ha fatto la volontà del Padre fino alla morte e così ha aperto per ogni uomo la via verso la pienezza della vita. In modo molto suggestivo Giovanni presenta Gesù Risorto nell'atto di alitare lo Spirito sui discepoli. E' un'allusione al cap. 2 del Genesi, che presenta Dio nell'atto di formare l'uomo infondendogli lo spirito vitale. Gesù è l'uomo nuovo e vero, associato all'opera creatrice del Padre, fonte di vita nuova per ogni uomo. Egli ha condiviso la vicenda umana, l'ha vissuta dal di dentro, e l'ha aperta pienamente al disegno di Dio, Creatore e Padre. Ogni uomo deve sapere tutto questo, per potere unire la propria vita alla vita di Gesù, trovandovi la verità e la salvezza.
c) Di qui le caratteristiche della missione.
-La forza che la anima è lo Spirito Santo che da Gesù Risorto viene promesso e trasmesso ai discepoli, come principio della vita nuova, che deve essere annunciata e comunicata a ogni uomo.
-Il contenuto della missione è la sequela del Cristo, l'obbedienza al Vangelo, l'osservanza dei comandi di Gesù, l'adesione battesimale alla vita del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, il distacco dalla vita incredula, implorando e accogliendo la remissione dei peccati.
-La speranza che sostiene i missionari nelle fatiche e nelle difficoltà, è la certezza che Gesù è sempre con loro sino alla fine del mondo.
[12] Dal libro degli Atti e dalle Lettere di S. Paolo è possibile raccogliere una vastissima documentazione su come le primitive comunità apostoliche hanno inteso e attuato concretamente la missione ricevuta dal Signore. Mi limito a qualche cenno sulla coscienza, la vita, l'azione e la predicazione missionaria.
a) E' impressionante lo sforzo missionario dispiegato dalla prima generazione cristiana. Nell'arco di pochi decenni la predicazione evangelica raggiunse tutto il mondo allora conosciuto. Per spiegare questo fatto non possiamo chiamare in causa entusiasmi proselitistici o strategie espansionistiche. Alla base di tutto sta una precisa coscienza missionaria: le comunità cristiane si sentivano totalmente relative alla forza del Vangelo che, per la sua intrinseca portata, è destinato a ogni uomo.
Sono famose alcune espressioni di Paolo. "Io non mi vergogno del Vangelo, perché è potenza di Dio per salvare chiunque ha fede" (Rom 1,16). "Non posso vantarmi di annunciare la parola del Signore. Non posso farne a meno e guai a me se non annuncio Cristo" (1 Cor 9,16). "Non possiamo non dire quello che abbiamo visto e ascoltato" (At 4,20). "L'amore di Cristo ci spinge, perché siamo sicuri che uno morì per tutti, e quindi che tutti partecipano alla sua morte. Cristo è morto per tutti, perché quelli che vivono, non vivano più per se stessi, ma per lui che è morto ed è risuscitato per loro" (2 Cor 5, 14-15).
La forza interiore del Vangelo deriva da colui che nel Vangelo è annunciato, cioè Gesù Cristo, che è la salvezza di ogni uomo. Nei primi discorsi di S. Pietro, ricordati negli Atti degli Apostoli, ritorna continuamente l'affermazione che proprio quel Gesù, che è stato crocifisso, è costituito da Dio Signore e Salvatore. "Gesù Cristo, e nessun altro può darci la salvezza: infatti non esiste altro uomo al mondo al quale Dio abbia dato il potere di salvarci" (At 4,12).
Questa affermazione perentoria è illustrata da Paolo, sia quando mostra che né la legge ebraica né la religione pagana sono in grado di offrire la salvezza (cfr. Rom 1-3), sia quando svolge le sue sublimi meditazioni su Gesù Cristo, modello, principio, capo dell'umanità e centro della storia (cfr. i cosiddetti inni cristologici di Ef 1,3-14; Col 1, 15-20; Fil 2, 5-11), sia quando tratteggia la nuova coscienza morale derivante dalla fede in Cristo, il nuovo stile di vita pratica, i nuovi comportamenti nel campo familiare e sociale (cfr. le cosiddette parti morali delle Lettere paoline).
b) Dalla coscienza missionaria nasce la vita missionaria: il nuovo stile di vita personale e comunitaria, prodotto dalla piena appartenenza a Cristo, è la prima e fondamentale forma di testimonianza missionaria.
Una delle pagine in cui Paolo esprime più intensamente il desiderio di spendere la vita per l'annucio del Vangelo ai fratelli è quella in cui esprime più intensamente la sua relazione con Cristo: il desiderio di essere pienamente con Gesù suscita sia il desiderio di morire, per incontrare definitivamente il Signore, sia il desiderio di vivere per vedere crescere la vita di Gesù nei credenti (Fil 1, 21 -25) .
Negli Atti degli Apostoli la vita concreta dei credenti (cfr. i cosiddetti "sommari" di At 2, 42-47 e 4, 32-3i) è presentata come motivo di stupore e di ammirazione per la gente e come incitamento ad aggregarsi alla comunità.
Bisognerebbe poi meditare sul posto rilevante che viene concesso alla narrazione del martirio di Stefano. Quando un cristiano raggiunge la piena conformità a Cristo attraverso la passione e la morte, prende vigore la testimonianza missionaria: proprio il martirio di Stefano e la persecuzione scatenata contro la comunità di Gerusalemme segnano l'inizio della prima espansione missionaria (At 8,1-4); e anche Paolo, il futuro grande missionario, è significativamente coinvolto nel martirio di Stefano (At 7,58;8,1).
c) Le comunità apostoliche conoscono anche una esplicita azione missionaria. Essa comporta anzitutto un andare presso altri popoli: basti pensare ai viaggi di Paolo e degli altri apostoli. Ma è importante anche la diffusione capillare attraverso il contatto quotidiano con le persone: anche quando è immobilizzato in carcere, Paolo suscita l'interesse per Gesù e trova le occasioni per annunciare il Vangelo (Fil 1, 12-19). Soprattutto è importante che l'andare comporti un dedicarsi veramente agli altri, un entrare nella loro mentalità, un farsi tutto a tutti, come dice ancora Paolo, nel brano autobiografico di 1 Cor 9, 19-23.
d) Un cenno può essere fatto anche al cantenuto della predicazione missionaria. Essa è rigorosamente cristocentrica. La Chiesa apostolica non è tentata di parlare di se stessa e dei propri problemi: risolve i propri gravissimi problemi predicando Gesù Cristo, la sua vita tra la gente, la sua morte e la sua risurrezione. Talvolta questa centralità di Cristo è sostenuta con passione polemica di fronte alla opacità, al rifiuto, alle pretese autosalvifiche dei giudei e dei pagani (cfr. per esempio 1 Cor 1; Rom 1-3). Talvolta invece viene fatta emergere e viene luminosamente proclamata sullo sfondo delle attese umane, che vengono analizzate, purificate dalle deviazioni idolatriche, aperte a una più sincera disponibilità al disegno di Dio: pensiamo ai discorsi missionari di At 14, 14-17 e 17, 22-31, che tengono conto della inquieta ricerca di Dio, che muove il cuore di ogni uomo.
[13] I testi del Nuovo Testamento sulla missione ci mettono di fronte all'urgenza del compito missionario.
Se ci lasciamo semplicemente afferrare da questo clima di urgenza e lo confrontiamo con le risorse attuali delle nostre comunità, corriamo il rischio di incappare in quegli atteggiamenti paralizzanti, che i vangeli attribuiscono agli apostoli, quando Gesù diede loro l'incarico di dare da mangiare alle folle nel deserto.
Dai racconti evangelici raccogliamo un ventaglio di reazioni significative. C'è la constatazione della esiguità dei mezzi disponibili: "ci sono solo cinque pani e due pesci" (Mt 14,17; Mc 6,38; Lc 9,13). Il quarto vangelo sottolinea la sproporzione: "ma non è nulla per tanta gente!" (Gv 6,9). Emerge, poi, una possibilità operativa: "a meno che non andiamo noi a comprare cibo per tutta questa gente" (Lc 9,13). Ma la possibilità è avvolta da risentimento e scetticismo: "Ma come? Dovremmo andare a comprare pane per un valore di duecento monete d'argento dar da mangiare a tutti?" (Mc 6,37). Anzi, è giudicata del tutto impraticabile: "Duecento monete d'argento non basterebbero neppure per dare un pezzo di pane a tutti" (Gv 6,7). La conclusione è che sembra saggia la posizione di disimpegno assunta dai discepoli fin dall'inizio: "Il luogo è isolato e ormai è tardi. Lascia andare tutta questa gente, in modo che possa comprarsi qualcosa da mangiare nelle campagne e nei villaggi qui intorno" (Mc 6,36; Mt 14,15; Lc 9,12).
Anche noi, talvolta, proviamo le stesse reazioni, quando l'urgenza del compito missionario attraversa la nostra coscienza: sgomento per l'esiguità delle nostre risorse; progetti operativi in altalena tra illusione e scetticismo; rassegnazione a una situazione che appare bloccata.
Come superare questi atteggiamenti?
Nel racconto della moltiplicazione dei pani il vangelo di Giovanni inserisce una annotazione stimolante. Dopo aver riferito la domanda di Gesù a Filippo: "Dove potremo comprare il pane necessario per sfamare tanta gente? ", Giovanni annota: "Gesù sapeva benissimo quello che avrebbe fatto, ma diceva così per mettere alla prova Filippo" (Gv 6,6). La situazione di urgenza in cui Gesù mette i discepoli è una "prova": pone i discepoli di fronte alla loro povertà e li dispone ad accogliere la rivelazione di Gesù come Messia che ha pietà del suo popolo, celebra col suo popolo il convito della gioia messianica, procura miracolosamente il cibo al popolo nel deserto.
Anche per noi il disagio, in cui ci colloca l'urgenza della missione, deve diventare una prova che ci fa prendere coscienza delle nostre povertà umane e ci apre alle possibilità del Vangelo. In effetti i testi neotestamentari sulla missione non ci presentano solo la sua urgenza, ma anche il suo significato profondo di obbedienza alla forza che si sprigiona dal di dentro del Vangelo. Proprio la crisi in cui ci mette l'urgenza della missione può condurci a riscoprirne il significato profondo. La situazione di disagio può condurre alla decisione di obbedienza, alla decisione di chiudere gli occhi e buttarsi.
[14] Per esemplificare quanto ora si è detto, dobbiamo ritornare agli aspetti problematici della vita ecclesiale e della vita sociale, a cui ho fatto cenno nell'introduzione. Dobbiamo sforzarci di collocare questi problemi, incertezze, difficoltà, compresi anche i nostri limiti colpevoli, nell'orizzonte della missione, così come ci è stata presentata dalla Bibbia.
La missione è l'irradiamento incontenibile dell'energia, della autorevolezza, della pienezza vitale promananti dal Vangelo, come lieto annuncio di Gesù, Figlio di Dio venuto a salvarci, morto e risuscitato per noi, principio, norma e giudice della storia umana.
a) L'autorevolezza di Gesù, Ia sua potenza salvifica, la sua autenticità umana presentano aspetti diversi tra loro strettamente connessi.
-C'è una autorevolezza fondamentale che è alla base di tutto e consiste nel fatto che la vicenda umana di Gesù, essendo la storia del Figlio stesso di Dio, è parola di Dio per ogni uomo, rivela il disegno di Dio, è veritài, vita, speranza per l'umanità.
-Questa autorevolezza viene espressa ed esercitata nell'autorevolezza personale con cui Gesù agisce nella storia, prende delle decisioni, chiama a sé le persone umane, istituisce degli strumenti concreti per far giungere a ogni uomo il suo messaggio e la sua forza di vita.
- Così si arriva alla autorevolezza storico-culturale, con cui Gesù raggiunge effettivamente gli uomini nella loro concretezza storica, nelle circostanze diversissime in cui ognuno vive, nelle mutevoli condizioni culturali che accompagnano l'evoluzione degli uomini, dei popoli e dell'umanità intera.
b) A questi aspetti dell'autorevolezza di Gesù corrispondono altrettante caratteristiche della missione.
-C'è la missione esistenziale: ogni uomo è chiamato a offrire la propria esistenza a Cristo, a lasciarsi plasmare dal suo Spirito, a diventare discepolo di Gesù. La vita dei credenti, che, attraverso la quotidiana ricerca della santità, si conforma sempre più alla vita di Cristo, diventa una testimonianza missionaria. Qui l'elemento decisivo è l'entusiasmo con cui il credente, avendo fatto la scoperta di Cristo, sente il bisogno di comunicare a tutti la gioia dell'incontro con Cristo, come principio di verità e di speranza.
-Il credente, però, si assume questa missione in obbedienza a Cristo, sapendosi mandato da lui, aderendo alle forme e agli strumenti che gli permettono di collegarsi con la volontà storica di Gesù: è la missione istituzionale, che chiama in causa la vita della Chiesa nella sua concreta visibilità. Qui l'elemento decisivo è la vigilanza critica e creativa con cui i cristiani aprono allo Spirito di Cristo i riti, le istituzioni, le iniziative e le tradizioni della vita ecclesiale, così che non diventino fine a se stessi, ma siano un segno vivo della volontà di Gesù, un indice puntato verso di lui, una città posta sulla montagna, visibile e aperta a tutti.
-La Chiesa manifesta veramente Gesù Cristo quando mostra che in lui ogni uomo è capito, amato, perdonato, salvato. La Chiesa quindi dove andare a ogni uomo così com'è, per fargli vedere come deve essere; deve abbracciare l'uomo con tutto il suo corredo di qualità, di speranze, di peccati, di problemi, per indicargli il cammino, anzi per camminare insieme con lui verso Gesù Cristo: è la missione culturale, che vede come elemento decisivo il discernimento spirituale, cioè una consuetudine così profonda con lo spirito del Vangelo e della tradizione cristiana e, insieme, un'esperienza così viva, reale, interiore, meditata delle diverse situazioni umane, da riuscire a dire: qui siamo di fronte a un fatto umano aperto allo Spirito Santo; qui invece ci imbattiamo in un modo di pensare e di agire che è incompatibile con il Vangelo; in questo momento, per questo uomo, per questa comunità umana, il Signore ci chiede questo preciso pronunciamento e questo concreto atteggiamento; qui c'è una slealtà da smascherare; qui invece una intenzione sincera da apprezzare e perfezionare; questo problema, questa sofferenza, questo peccato implorano una presenza evangelica concretata in questo gesto; ecc.
c) Dinanzi a questi aspetti della missione possiamo fare alcuni rilievi.
- Anzitutto ne cogliamo gli aspetti diversi, scoprendo delle interdipendenze tra la dedizione esistenziale alla missione, la sua configurazione ecclesiale, la sua attuazione nella storia degli uomini.
- Inoltre scorgiamo un elemento comune, che si attua nei vari aspetti, cioè il superamento di una visione dell'esistenza, delle istituzioni, dei fenomeni culturali come fondati in se stessi. La prospettiva missionaria attraversa queste realtà, le illumina dal di dentro e ne dischiude il senso autentico, che è quello di disporsi all'obbedienza a Dio e alla dedizione al Vangelo.
- Infine intuiamo, nella luce delle precedenti riflessioni, che cosa significa interpretare le difficoltà che la missione incontra nella vita ecclesiale e nella vita sociale come una "prova": se vengono colte nella loro vera portata provocatoria, esse non conducono necessariamente a una nuova azione umana, che corregge una precedente azione lacunosa, ma chiamano piuttosto l'opera dell'uomo a rigenerarsi nell'accoglimento della iniziativa prioritaria di Dio.
Quando Gesù "mise alla prova" Filippo e gli altri apostoli, perché sfamassero le folle nel deserto, non voleva che essi progettassero una iniziativa umana atta allo scopo, ma che prendessero coscienza della loro incolmabile sproporzione e si rendessero disponibili per l'opera miracolosa che egli stesso avrebbe compiuto.
[15] Dovremmo ora riesaminare in questa prospettiva le difficoltà della vita ecclesiale e della vita sociale già accennate, completandone l'elenco che voleva essere solo esemplificativo. Lasciando i dettagli di questo compito alla meditazione dei singoli credenti e alla discussione delle comunità, che dovranno scendere al concreto in rapporto alle diverse situazioni personali e locali, vorrei qui tracciare un cammino ideale, che permetta di accettare e di superare la "prova", costituita da queste difficoltà, mediante il passaggio dall'opera degli uomíni all'azione di Dio. Tale cammino comprende tre tappe.
a) La prima tappa ci avvicina alla scoperta dell'azione di Dio, facendoci toccare con mano la povertà dei nostri interventi. E' la tappa dell'umaltà. Le tensioni tra Esaù e Giacobbe, cioè tra i vari aspetti dell'azione pastorale, così come le difficoltà di presenza nella società attuale, per quanto ci facciano soffrire, non devono essere attenuate o accantonate. Proprio la sofferenza, vissuta con lucidità e semplicità, ci educa a capire che il compito missionario, affidatoci da Gesù, ci supera da ogni parte. Nessuno ha in mano soluzioni definitive. Tutti abbiamo bisogno dell'apporto complementare degli altri. Possiamo imparare da ogni fratello di fede e da ogni uomo di buona volontà.
b) Purtroppo dinanzi a situazioni complesse la nostra volontà, non trovando la strada dell'azione libera e gioiosa, può imboccare la strada del risentimento, dello scoraggiamento o dell'arroganza: insomma la strada del peccato.
Nei confronti dei fratelli di fede compiamo giudizi temerari, atti di squalifica, gesti di diffidenza. Nei confronti di chi non condivide la nostra fede alziamo le spalle dicendo: che ci posso fare? Nei confronti di tanti uomini che hanno immensi bisogni materiali e spirituali, facciamo fatica ad avvicinarci con attenzione e con amore, a dare tutto l'aiuto che ci è possibile. Sono queste le "prove" più penose, perché fanno uscire alla luce la tremenda realtà della nostra durezza di cuore. Ma queste prove possono anche divenire occasione per avvicinarci alla forza del Vangelo, se ci sollecitano a chiedere e a concedere il perdono. Nella gioia di essere perdonati e di perdonare comincia a rendersi presente la novità del Vangelo, che è lieto annuncio della misericordia del Padre per noi peccatori.
Il Sinodo dei Vescovi, che sarà dedicato al tema della riconciliazione, ci aiuterà a coltivare atteggiamenti di perdono dentro la comunità e verso tutti gli uomini.
L'Anno Santo della Redenzione, poi, ci fa "aprire le porte a Cristo Redentore", anzitutto accogliendo la forza liberatrice del suo perdono.
c) Quando il perdono ha sciolto la nostra durezza di cuore e ci ha aperti alla gioia evangelica, cominciamo a vedere le cose con occhi nuovi. I cinque pani e i due pesci, una volta che i discepoli ebbero abbandonato l'impossibile progetto di risolvere con mezzi propri il problema della fame della gente, cessarono di essere la prova della loro impotente povertà e cominciarono ad apparire come l'umile offerta umana nella quale si sarebbe rivelata la prodigiosa ricchezza di Dio.
Così anche le tensioni della comunità, i faticosi tentativi missionari nostri e dei nostri fratelli, le iniziative magari lacunose e bisognose di verifica cominciano ad apparire ai nostri occhi, purificati dall'umiltà e dal perdono, il segno iniziale, il germe di una presenza di Dio che è sempre all'opera. Il cammino che ci avvicina a Dio diventa preghiera. Celebriamo, adoriamo, ringraziamo Dio per la sua multiforme presenza in mezzo a noi e lo invochiamo perché i nostri poveri pani e pesci, le incertezze, le povertà, i limiti delle nostre persone e delle nostre comunità non siano un ostacolo alla sua presenza, ma si lascino attraversare e trasformare da essa. Cominciamo a dimorare nel mistero di Dio, nel mondo spirituale di Gesù, nella ricchezza inesauribile del Vangelo.
[16] Iniziamo la nostra dimora di approfondimento e di attualizzazione della parola di Dio sulla missione contemplando una pagina del quarto vangelo ricca di simbolismo.
Nei vv. 37-51 del primo capitolo, Giovanni descrive il primo radunarsi dei discepoli attorno a Gesù. E' tutto un rilanciare la notizia, un passarsi la voce, un invitare gli altri ad unirsi. Ma questa, che potremmo chiamare la prima comunicazione missionaria del Vangelo, della "Buona Notizia", è preceduta da una pausa contemplativa. Due discepoli del Battista seguono Gesù. Invitati da lui, vanno e vedono dove egli abita, dimorano con lui per alcune ore (Gv 1, 37-39). In Giovanni il verbo "dimorare" vuol dire non solo stare in un luogo, ma entrare nel mondo spirituale di una persona, affiatarsi con i suoi pensieri, assimilare i suoi desideri, condividere la sua missione in mezzo agli altri uomini.
Anche Marco, nel descrivere la chiamata dei Dodici, accenna al momento dello "stare con Gesù": "Poi Gesù salì sopra un monte, chiamò vicino a sé alcuni che aveva scelti ed essi andarono da lui. Ne costituì dodici, perché restassero con lui e venissero mandati in missione per predicare e per avere il potere di scacciare i demoni" (Mc 3, 13-14). Troviamo i grandi temi della missione: la elezione, la chiamata, l'invio, il potere prodigioso che si sprigiona dalla predicazione evangelica. Ma tutto questo comporta un "restare insieme con lui".
L'apostolato non è una iniziativa che i discepoli elaborano in aggiunta al loro rapporto di discepolato con Gesù, ma è semplicemente l'approfondimento e lo sviluppo della sequela. Anche noi dobbiamo fondare il rinnovamento apostolico, missionario, cattolico della nostra azione pastorale in un approfondimento della sequela.
Dobbiamo ritornare alle pagine bibliche sulla missione per dimorare in esse, per far penetrare la loro energia interiore nelle situazioni di difficoltà, nelle "prove" dette sopra. La forza del Vangelo può essere colta e assimilata da ciascuno di noi e dalle nostre comunità attraverso la scoperta di alcuni valori e procedimenti spirituali che essa ha suscitato nella storia della comunità cristiana.
In questa bozza di lettera pastorale propongo agli operatori alcuni esempi di questi valori da approfondire e da completare. Li raccolgo attorno ai tre aspetti della missione precedentemente delineati:
- aspetto esistenziale,
- aspetto istituzionale,
- aspetto culturale.
[17] La missione è anzitutto un fatto dell'esistenza. L'esistenza cristiana, plaslpata dallo Spirito di Gesù, proclama, dimostra, fa vedere che Gesù è il Signore, è la verità, la salvezza, la speranza dell'uomo. Le difficoltà che incontriamo sul piano ecclesiale e su quello culturale, in fondo dipendono da una insufficiente assimilazione esistenziale della forza del Vangelo. D'altro lato, se la nostra esistenza diventa veramente evangelica, riesce a sciogliere i nodi problematici della missione istituzionale e culturale.
Qui ciascuno è chiamato in causa con le proprie personalissime responsabilità dinanzi alla vocazione cristiana. Raccolgo, però, dalla tradizione due sollecitazioni che riguardano alcuni aspetti generali della vita attuale dal punto di vista della piena dedizione della nostra esistenza al Vangelo.
a) La prima sollecitazione è un forte richiamo alla vita secondo lo Spirito. Nelle nostre comunità cerchiamo di curare l'annuncio delle verità cristiane, rinnoviamo le celebrazioni sacramentali, educhiamo a un impegno operativo, ma forse stiamo trascurando quella che si chiamava un tempo la formazione, l'ascetica, la vita interiore. Finiamo così per pensare che la vita cristiana stia davanti a noi come un complesso di fatti, di verità, di gesti, che sta a noi assimilare con le nostre forze. La fede invece ci dice che non solo Gesù è il dono del Padre; dono del Padre è anche lo Spirito Santo, senza la cui presenza e guida interiore ci è impossibile assimilare personalmente quello che Gesù è per ciascuno di noi. Occorre riscoprire e aggiornare la grande tradizione spirituale cristiana. Gli esempi e gli scritti dei santi, specialmente le loro autobiografie, la direzione e il colloquio spiritúale, la comunicazione della fede in famiglia, nel gruppo, nella comunità, la meditazione quotidiana e gli Esercizi Spirituali, sono alcuni mezzi che occorre riprendere in mano vigorosamente per disporre il cuore a ricevere la grazia dello Spirito.
b) La coltivazione della vita spirituale ci rende attenti anche agli ostacoli peccaminosi che noi opponiamo alla guida dello Spirito Santo. Di qui l'atteggiamento penitenziale, che trova suggello e alimento nella celebrazione del sacramento della penitenza. La crisi, che questo sacramento sta attraversando nella coscienza e nella prassi delle nostre comunità, deve preoccuparci. Si dice che questo sacramento è in crisi perché in crisi è la coscienza dei valori morali e conseguentemente la coscienza dei peccati che negano i valori morali. Forse va colta anche una prospettiva complementare: stiamo attraversando una pericolosa crisi della coscienza morale, perché è in crisi la celebrazione del sacramento della penitenza. Infatti la percezione dei nostri peccati è connessa con la percezione del bene che viene violato dal peccato. La percezione del bene, a sua volta, si ha soltanto in quell'atteggiamento spirituale ricco e complesso, con cui noi, a partire dall'esperienza dei beni parziali, provvisori, penultimi, ci apriamo al riconoscimento e all'accoglimento del Bene ultimo e definitivo, che è il mistero di Dio. Il Bene, quindi, più che descritto e precisato, può essere cercato, invocato, celebrato, accolto. In particolare il cristiano cerca, celebra, accoglie la rivelazione definitiva del Bene in Gesù, nella sua vita e nella sua Pasqua. Anche la scoperta, il riconoscimento, il superamento del peccato, pur radicandosi in atteggiamenti che nascono dal di dentro del cuore, ultimamente avvengono alla presenza di Gesù, si suggellano nella celebrazione dell'amore misericordioso del Padre.
Ecco perché la tradizione spirituale cristiana invita ad esprimere in varie forme celebrative gli atteggiamenti penitenziali, e in particolare quella forma celebrativa che è stata donata da Gesù alla Chiesa, cioè il sacramento della penitenza.
Ed ecco perché la tradizione considera la celebrazione di questo sacramento non solo come un evento eccezionale per colpe gravissime, che hanno causato una rottura irreparabile dell'Alleanza, ma anche come un gesto da ripetere frequentemente per prendere coscienza della nostra quotidiana miseria davanti a Dio, per intuire la distanza tra la nostra vita e gli ideali evangelici, per sperimentare la forza rinnovatrice della Pasqua per diradare
quella nebbia interiore che non ci permette di scoprire ed eseguire i compiti che il Vangelo ci affida.
Gesù Risorto, apparendo ai discepoli la sera stessa del giorno di Pasqua, congiunge strettamente la missione della Chiesa con la remissione dei peccati: Come il Padre ha mandato me, così io mando voi […] a chi perdonerete i peccati, saranno perdonati; a chi non li perdonerete, non saranno perdonati (Gv 20, 21.23).
La confessione frequente, come invito che ci viene dalla tradizione cristiana, può aiutarci a vivere la missione in modo più coerente.
Prepariamoci ad accogliere con riconoscenza e con impegno le indicazioni che ci verranno anche dal prossimo Sinodo dei Vescovi su questo argomento.
[18] Per quanto riguarda l'aspetto istituzionale della missione, l'intento di ricondurre l'azione della Chiesa sotto il primato della forza comunicativa del Vangelo, ci invita a riflettere sui rapporti tra apostolicit… e cattolicit….
Normalmente noi partiamo dalle comunit… gi… costituite e vediamo la missione come qualcosa che promana da esse e le rende "cattoliche", cioè aperte a tutti, ai lontani, ai popoli non cristiani.
Questo mettere la missione dopo la costituzione della comunità non dice come stanno realmente le cose ed è forse la ragione profonda delle difficoltà che oggi incontriamo nel trovare l'armonia tra l'azione missionaria e la pastorale ordinaria, tra l'apertura al nuovo e la conservazione dell'esistente, tra l'istituzione parrocchiale e i movimenti, gruppi, associazioni.
La tradizione ci insegna che nella realtà storica la missione ha preceduto la comunità e l'ha costituita. L'apostolicità fonda la cattolicità. Prima c'è l'azione missionaria dell'apostolo, che va di luogo in luogo ad annunciare la risurrezione, a predicare il Vangelo, a radunare i credenti attorno alla memoria eucaristica della Pasqua. La costituzione delle comunità e la loro articolazione anche di tipo territoriale e amministrativo nascono in seguito per dare una concreta forma comunitaria all'azione missionaria e per irradiare in modo più organico e capillare la forza della missione apostolica. La carica missionaria che si irradia dalla comunità manifesta dunque la ricchezza apostolica da cui la comunità è costituita.
Se guardiamo, per esempio, ai due vescovi da cui prende nome la nostra tradizione pastorale, cioè S. Ambrogio e S. Carlo, notiamo che la forte incidenza che hanno avuto nel rinnovamento anche istituzionale della Chiesa milanese, è legata a una infaticabile azione di rifondazione apostolica, di presenza capillare e personale, di intensa predicazione evangelica, di visita missionaria alle persone e alle comunità.
Queste intuizioni vanno approfondite a livello storico e teologico. L'anno carolino ci offrirà occasioni e strumenti di studio e di applicazione pastorale.
Possiamo accennare intanto a qualche conseguenza che riguarda la vivificazione missionaria delle nostre iniziative pastorali.
a) Nella luce del rapporto tra apostolicità e cattolicità possiamo precisare il rapporto tra pastorale ordinaria e pastorale missionaria. La cattolicità, che apre l'azione pastorale ai lontani e ai non cristiani, dà la misura della carica apostolica di una comunità. Infatti la testimonianza apostolica riguarda Gesù morto e risorto, costituito Signore e Salvatore di tutti gli uomini. La cattolicità esprime l'apostolicità. Ma questo significa che l'azione missionaria fa riferimento a una pastorale ordinaria, che si lascia continuamente verificare e rigenerare dal contatto con le sorgenti apostoliche e missionarie da cui la comunità ha avuto origine.
b) Un esempio di rigenerazione missionaria di una importante struttura della nostra pastorale ordinaria potrebbe riguardare i decanati. Forse li consideriamo troppo dal punto di vista amministrativo della divisione territoriale e della efficacia organizzativa. La loro tensione missionaria verso i lontani e verso i settori nevralgici della evangelizzazione, come ad esempio il mondo del lavoro, dell'assistenza, della scuola, ecc., rischia di essere considerata come un'aggiunta al lavoro pastorale parrocchiale.
Bisogna riscoprire e configurare concretamente un altro aspetto, per il quale i decanati sono l'edizione moderna delle antiche "pievi". Senza cadere nell'anacronismo e tenendo conto, quindi, delle attuali esigenze, occorre ricordare l'origine non amministrativo-organizzativa, ma missionaria della "pieve", come un centro di irradiamento missionario. In alcune zone della Diocesi questo fatto ha ancora una parlante evidenza architettonica. Cito, tra tante, due chiese che ho visitato di recente presso Luino: S. Martino di Campagnano e S. Vittore di Brezzo di Bedero. Chi le vede comprende che cosa abbia voluto significare una "Chiesa matrice" o madre di altre Chiese, un centro vivo di irradiazione missionaria per i territori circostanti .
Come riproporre oggi un simile centro evangelizzatore, non tanto come entità geografica, quanto come fatto di Chiesa, come comunione di ministeri e carismi diversi, capaci di interpretare le nuove esigenze missionarie nella luce di una viva tradizione di fede accolta e rinverdita nelle diverse comunità?
[19] Il primato del Vangelo, applicato all'aspetto culturale della missione, ci invita a riflettere sul rapporto che c'è tra due categorie, a cui si ricorre per descrivere la testimonianza della Chiesa davanti al mondo d'oggi: martirio e dialogo. Vi ho fatto ricorso anch'io in occasione della nomina cardinalizia, per indicare a quali modelli intendevo ispirare il nuovo servizio che, insieme con la Chiesa ambrosiana, mi accingevo a prestare alla Chiesa di Roma.
La meditazione delle parole evangeliche relative alla missione ci suggerisce di non considerare il martirio e il dialogo come due atteggiamenti paralleli; piuttosto di mostrare la loro origine comune nella forza irradiante e comunicativa della fede che si apre al dialogo e non si chiude di fronte al martirio.
Ci può venire in aiuto, ancora una volta, un dato della tradizione spirituale cristiana, cioè la coscienza che la Chiesa dei primi secoli ha espresso circa il fatto del martirio. Rileggendo con attenzione e commozione alcuni celebri "atti dei martiri", ho notato che il punto centrale della loro testimoniahza, cioè l'amore totale a Cristo fino alla morte, sprigiona da se stesso una serie di motivazioni e di ragioni, nella linea dell'ammonimento di Pietro "ad essere sempre pronti a rispondere a quelli che vi chiedono spiegazioni sulla speranza che avete in voi" (1 Pt 3, 15).
Nel dialogo, che intrecciano con i loro giudici, i martiri fanno capire di non poter vivere senza Cristo e di essere quindi pronti à morire per Cristo, perché sono convinti che in Cristo l'uomo trova la pienezza vera della vita.
Ecco allora che la fede in Cristo ha come sfondo e conseguenza la fede in Dio Padre, Creatore del cielo e della terra, origine e fine della storia umana. La vita eterna e la risurrezione gloriosa, che i martiri si attendono dopo la morte, diventano una luce che dà significato alla vita terrena.
I martiri si sforzano di far capire che l'obbedienza alla legge evangelica genera una vita morale che onora la dignità e la libertà dell'uomo. Dimostrano rispetto per le leggi della società civile, a meno che esse, rinnegando la loro funzione, pretendano di scavalcare la legge divina e di prendere il posto di Dio.
Proprio la convinzione, insita nel martirio, che Gesù è Signore e Salvatore dell'uomo, fa nascere il dialogo sui rapporti tra il Vangelo e la vicenda umana. Un martirio autenticamente cristiano, cioè pienamente consapevole di essere testimonianza di Cristo Signore e Salvatore, è fonte inesauribile di dialogo. Un dialogo autenticamente cristiano, cioè capace di condividere e di illustrare il rispetto, la passione, l'amore che Cristo ha per l'uomo, affonda nel martirio le proprie radici.
Questo significa che il binomio martirio-dialogo non allude a tecniche pastorali intransigenti o possibiliste, polemiche o ireniche. Neanche viene in primo piano un pur doveroso e prezioso sforzo di ascolto delle voci culturali, di lettura della situazione, di interpretazione dei fenomeni sociali.
La questione fondamentale è quella della vocazione cristiana, cioè della chiamata ad appartenere a Cristo, perché egli è la vita e la gioia dell'uomo. Questa vocazione comporta insieme il martirio e il dialogo, con una sottolineatura dell'uno o dell'altro aspetto a seconda delle circostanze concrete, cioè del tipo di reazione che si produce nell'ambiente umano in cui viene testimoniato il Vangelo.
La sottolineatura ha anche relazione con la benefica varietà delle vocazioni in cui si articola la comune vocazione cristiana; alcune vocazioni, sullo sfondo del "martirio", inteso come dono di testimonianza rigorosa "usque ad mortem", sviluppano soprattutto la responsabilità dialogale verso il mondo, la società, le istituzioni culturali; altre invece, sullo sfondo del "dialogo", inteso come amorosa comunicazione del bene divino per l'uomo d'oggi, insistono sul rigore della testimonianza mediante forme profeticamente audaci di rinuncia e di consacrazione a Cristo.
La missione della Chiesa nella società esige pertanto la completezza, la geniale ripresentazione, la collaborazione delle diverse vocazioni cristiane, come base dei programmi pastorali e delle iniziative culturali.
[20] "Quando, attraverso l'esperienza della famiglia umana in continuo aumento a ritmo accelerato, penetriamo nel mistero di Gesù Cristo, comprendiamo con maggiore chiarezza che, alla base di tutte queste vie lungo le quali, conforme alla saggezza del Pontefice Paolo VI, deve proseguire la Chiesa dei nostri tempi, c'è un'unica via: è la via sperimentata da secoli, ed è, insieme la via del futuro.
Cristo Signore ha indicato questa via, soprattutto quando - come insegna il Concilio - "con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo" (cfr. Gaudium et spes, n. 22). La Chiesa rawisa, dunque, il suo compito fondamentale nel far sl che una tale unione possa continuamente attuarsi e rinnovarsi. La Chiesa desidera servire quest'unico fine: che ogni uomo possa ritrovare Cristo, perché Cristo possa con ciascuno, percorrere la strada della vita, con la potenza di quella verità sull'uomo e sul mondo, contenuta nel mistero dell'Incarnazione e della Redenzione, con la potenza di quell'amore che da essa irradia. ( . . . )L'uomo ( . . . ) è la prima strada che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione: egli è la prima e fondamentale via della Chiesa, via tracciata da Cristo stesso, via che immutabilmente passa attraverso il mistero dell'Incarnazione e della Redenzione"
Queste parole, oramai divenute famose, dell'enciclica di Giovanni Paolo II, Redemptor Homínis (nn 13-14), possono ben sintetizzare il cammino fin qui percorso. La missione della Chiesa è finalizzata a mettere in evidenza e a porre in atto il legame intrinseco e costitutivo che c'è tra il mistero di Gesù e il destino di ogni uomo. La Chiesa è a servizio di Cristo e di tutti gli uomini "predestinati dal Padre ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, cosi che egli sia il primogenito tra molti fratelli" (Rom 8,29). La Chiesa non produce il rapporto tra Cristo e gli uomini, ma da tale rapporto è essa stessa prodotta. Essa lo accoglie, lo celebra, lo annuncia, lo vive esemplarmente con la forza dello Spirito Santo e così attrae in esso la libertà di ogni uomo.
Il momento più alto e originario in cui questo rapporto è celebrato, è l'Eucaristia. Essa illustra e attua la presenza di ogni uomo nella Pasqua di Cristo. Permette ad ogni uomo di trovare il proprio posto nel mistero di Cristo, di unire la propria libertà alla libertà di Cristo, modello e fondamento di ogni autentica libertà.
L'Eucaristia è la Pasqua di Cristo che diventa, a modo di sacramento, memoriale, celebrazione, la Pasqua di tutta la Chiesa e di tutta l'umanità.
Dall'Eucaristia, quindi, viene totalmente determinata la missione della Chiesa. Nell'Eucaristia la Chiesa prende coscienza e forza per la missione. Dall'Eucaristia riceve le leggi della missione. All'Eucaristia conduce gli uomini raggiunti dalla missione.
Dobbiamo dunque approfondire il rapporto tra Eucaristia e missione.
[21] Nell'Eucaristia ci viene incontro la Pasqua di Cristo nel contesto di significative prestazioni umane. Il pane e il vino, frutto del lavoro dell'uomo; l'atto gioioso del mangiare insieme, espressione della socialità umana; la ricerca di Dio attraverso gesti rituali, segno della religiosità: tutto questo patrimonio di valori umani viene assunto da Cristo e trasformato in segno vivo, reale, efficace della propria presenza, del proprio sacrilScio pasquale.
Nell'Eucaristia si attua, dunque, esemplarmente quella unione di Cristo con ogni uomo, di cui parla il papa nei già citati n. 13-14 dell'enciclica Redemptor Hominís. L'uomo che Cristo ha unito a sé, facendolo via della Chiesa, è l'uomo reale, concreto, storico, libero. L'unione dell'uomo con Cristo è l'evento di una libertà, che diventa sempre più libera mediante un progressivo radicarsi nella libertà di Cristo. Nella sua stessa struttura celebrativa, come abbiamo visto nella lettera pastorale "Attirerò tutti a me", l'Eucaristia dice e attua tutto questo.
Nella missione della Chiesa viene portato a compimento questo rapporto dell'Eucaristia con la libertà di ogni uomo.
Poiché la missione è rivolta alla libertà, non si può parlare di schemi o di piani prefabbricati. Bisognerà piuttosto parlare di stile, di atteggiamento, di cammino indicativo.
Occorre certamente fare anche dei programmi pastoralí concreti per i diversi settori di esercizio della libertà. In questo senso ho ricevuto molti suggerimenti dai Consigli Episcopale, Pastorale, Presbiterale e da diverse persone, comunità, associazioni, movimenti e gruppi, che mi hanno aiutato a preparare questa lettera. Sono grato di questa ricchezza, a cui attingerò nel corso di quest'anno pastorale.
Per ora, però, mi pare più utile insistere sullo "stile" che una comunità cristiana deve assumere per essere missionaria, cioè per svolgere una missione a servizio della libertà di Cristo che l'Eucaristia dona alla libertà di ogni uomo.
In concreto lo stile missionario ha due punti di riferimento.
-Anzitutto c'è l'attenzione alla libertà degli uomini, chiamati alla libertà cristiana.
-Ma l'attenzione alla libertà umana e la chiamata alla libertà cristiana saranno vivaci ed efficaci, se la comunità sarà ricca di esempi, di condizioni, di atteggiamenti concreti di libertà modellata dalla fede in Cristo.
Propongo qualche suggerimento per entrambi gli aspetti
[22] La libertà di Cristo non elimina, anzi suscita, purifica dal peccato, promuove la libertà umana. Pertanto annunciare e portare agli uomini la libertà cristiana significa donare loro una novità di cui hanno immensamente bisogno, perché senza di essa la loro libertà rimarrebbe senza fondamento, senza destinazione definitiva, senza perdono per gli egoismi e i tradimenti; ma vuol dire anche aspettarsi che la libertà cristiana, nell'impatto con le diverse situazioni della libertà umana, riveli meglio se stessa, si arricchisca di nuove esperienze, attui le sue inesauribili potenzialità.
In questa luce suggerisco una particolare attenzione ad alcuni nostri fratelli di umanità.
a) Anzitutto sottolineo l'importanza della missione "ad gentes". Essa ci è proposta dal comando esplicito di Gesù, dalla intrinseca tendenza della fede a comunicarsi a tutti gli uomini, dagli immensi bisogni materiali e spirituali dei popoli non ancora illuminati dalla speranza evangelica.
La missione, però, deve valorizzare le caratteristiche dei singoli popoli, le diverse civiltà, il patrimonio spirituale di ogni gruppo umano. Le antiche Chiese potranno cosi rallegrarsi e beneficiare delle nuove forme di vita cristiana che le giovani Chiese missionarie varmo elaborando mediante l'incontro creativo dei perenni valori evangelici con le diverse culture umane.
L'attività missionaria diventerà una vera cooperazione tra le Chiese, dove tutti potranno dare e ricevere, come insegna il recente documento della Commissione Episcopale della C.E.I. per la cooperazione tra le Chiese: "L'impegno missionario della Chiesa italiana", che invito a meditare attentamente.
La cooperazione viene favorita dagli scambi intensi e frequenti che sono resi possibili dalle varie forme di volontariato, coordinate dagli organismi di cooperazione internazionale.
Mentre incoraggio tutte queste iniziative, ricordo l'importanza dei missionari e delle missionarie a vita. Essi sono il fulcro indispensabile di tutta l'attività missionaria. Bisogna pregare perché aumentino queste vocazioni. La ricca esperienza degli istituti missionari deve essere accolta come un dono prezioso, che vivifica il tessuto della pastorale diocesana, cosi come va apprezzato e impiegato meglio l'apporto dei missionari a vita sia nei loro rientri temporanei, sia nel ritorno definitivo in patria.
In particolare ricordo il valore emblematico che ha per noi la missione diocesana in Africa. Essa deve diventare sempre più un simbolo profetico, una occasione di scambio di esperienze pastorali diverse, un luogo di rigenerazione missionaria di tutta la diocesi.
A1 Centro Missionario Diocesano va il mio grato apprezzamento insieme con l'invito a diffondere capillarmente, attraverso le commissioni missionarie parrocchiali, le ricchezze del rinnovamento missionario che sta avvenendo in tutta la Chiesa.
b) La missione fuori patria offre stimoli ed esempi per la missione in patria. Si apre davanti al nostro sguardo anzitutto íl fenomeno degli indifferenti e dei lontani. Come già osservavo nella lettera pastorale "In principio la Parola", parte V, n. 2, dobbiamo vedere in questi fratelli non solo l'aspetto negativo del rifiuto--non sappiamo se e quanto colpevole--di una vita cri5tiana più esplicita e coerente, ma anche gli aspetti positivi: una certa nostalgia di Cristo, una ricerca sincera di valori umani visti erroneamente incompatibili con la fede, il desiderio di una Chiesa più pura e più evangelica, ecc.
Questo significa che, mentre dobbiamo moltiplicare e perfezionare le occasioni di evangelizzazione, dobbiamo anche, però, coltivare uno stile di accoglienza e di dialogo. La comunità cristiana deve farsi carico di tutti, anche di quelli che dicono di no alla pratica esplicita della fede. Vanno create occasioni comunitarie aperte a tutti, in cui si affrontano i problemi fondamentali della vita umana e le questioni concrete della convivenza in un determinato ambiente. Va fatta evidentemente la proposta rigorosa della vita cristiana in tutta la sua completezza, ma accettando che ciascuno verifichi gradualmente a quale livello è in grado di arrivare e apprezzando ogni tentativo onesto di confrontarsi con la fede, anche se non produce i risultati sperati. In questo contesto raccomando una attenzione particolare ai divorziati risposati e a tutti coloro la cui condizione, per diversi motivi, non rende possibile un passo definitivo di piena comunione ecclesiale e che, tuttavia, sono anch'essi chiamati a camminare, con alacrità e speranza, dietro a Gesù che sale a Gerusalemme.
Diveniamo consci della nostra grande responsabilità: le comunità cristiane possono diventare anche un luogo di sereno confronto umano e civile e devono educare meglio i cristiani ad assumersi le responsabilità verso tutte le situazioni difficili, secondo le stimolanti indicazioni contenute nel documento del Consiglio Permanente della C.E.I.: "La Chiesa italiana e le prospettive del Paese" ( 1981).
c) Un ambito umano particolarmente ricco di stimoli per la missione della Chiesa è quello di chi non ha voce per farsi valere ai vari livelli della vita associata. La situazione disperata di questi fratelli (emarginati, drogati, disadattati, stranieri senza regolare condizione sociale, ecc. ) congiunge paradossalmente una drammatica lontananza da Cristo, almeno in molti casi, e una stimolante somiglianza con lui.
In particolare in molti cittadini esteri, residenti tra noi in condizioni precarie di vita e di lavoro, si verifica il mancato soddisfacimento delle elementari necessità umane. I1 loro grido si unisce al grido religioso che ci viene dalle missioni lontane.
Colmare la lontananza da Cristo e interpretare la dolorosa somiglianza con lui diventano compiti urgenti della comunità cristiana.
E' come una sfida che il Vangelo lancia ai credenti, per rivelare la suprema potenza della Pasqua di Cristo nell'estrema impotenza di queste situazioni umane.
[23] L'attenzione ai diversi ambiti umani della libertà sarà veramente missionaria, se nascerà da una comunità cristiana che vive forme esemplari di libertà, cioè modi di esistenza che, da una radicale adesione alla libertà di Cristo, derivano pienezza di sensibilità umana, capacità di comprensione e di condivisione, intuito profetico di ciò che di nuovo va maturando nel cuore della storia, discernimento sicuro di ciò che favorisce e di ciò che impedisce il bene dell'uomo.
La libertà cristiana è un dono dello Spirito, che va implorato ogni giorno con umile preghiera.
Ci sono, però, delle condizioni che favoriscono l'accoglimento di questo dono. Ne indico alcune, che mi sembrano particolarmente importanti per lo stile missionario della nostra Chiesa.
a) Vanno apprezzate e coltivate tutte le vocazioni cristiane. In esse l'unico mistero di Cristo rivela la propria inesauribile ricchezza, la capacità di essere imitato in forme sempre nuove. Lo stile missionario di una Chiesa è insieme lo stimolo e il frutto della sua vivacità vocazionale.
Ecco alcuni richiami particolari.
-E' indispensabile la maturazione di robuste vocazioni laicali. Occorre sperimentare itinerari sempre più completi ed efficaci di educazione alle diverse forme della santità laicale. Senza un laicato adulto non c'è Chiesa missionaria. I laici hanno uno speciale inserimento nel mistero e nel ministero messianico di Gesù e vivono specifiche forme di partecipazione alla vita liturgica, catechistica, caritativa della comunità cristiana.
Di qui sappiano ricavare la luce e la forza per una originale presenza nella società civile e politica, per un serio impegno professionale, per un discernimento operoso delle forme di pensiero, di costume e di intervento che promuovono oppure offendono la vita, la dignità, la libertà delle persone umane.
-Uno speciale impegno missionario è richiesto alle famiglie cristiane. Esse hanno scoperto e vissuto con gioia negli scorsi decenni l'inserimento della famiglia nel sacramento dell'Eucaristia e nel mistero della Chiesa. Ora devono approfondire la partecipazione alla sua missione in consonanza con le caratteristiche proprie della vocazione matrimoniale e familiare, che sono quelle di custodire e promuovere un bene così essenziale e oggi così in crisi come è la realtà familiare nella sua globalità; di essere ambiti fondamentali di educazione cristiana; di assumere il ruolo di gangli vitali per l'evangelizzazione capillare; di intervenire genialmente in quei casi di solitudine, di abbandono, di disadattamento, così tipici della società attuale, per i quali solo una presenza familiare può essere efficace. Si tenga presente in particolare quanto è detto nella parte III di Comunione e comunità (CEI, 1982) con riferimento alla "chiesa domestica".
-Gli impegni urgenti e difficili dei cristiani nel mondo d'oggi invocano la testimonianza luminosa dei valori del Regno. Intervengono qui le vocazioni di speciale consacrazione, sia nella classica forma religiosa, sia nella forma più recente degli istituti secolari e in forme affini. Nella riscoperta del loro carisma originario esse troveranno l'ispirazione per svolgere nella Chiesa d'oggi la missione indispensabile di proclamare profeticamente la forza del Vangelo nei suoi valori essenziali; di offrire ai fratelli di fede modi e luoghi di ricarica spirituale e di preghiera; di immettere energie generose e preparate nei settori della pastorale diocesana, specialmente in quelli più difficili e trascurati; di sostenere l'impegno cristianamente ispirato per l'edificazione della società.
-Per favorire il servizio della carità, l'evangelizzazione missionaria capillare, l'articolazione fraterna a misura d'uomo delle grosse comunità, sono da valorizzare le vocazioni al diaconato permanente. Il Consiglio Presbiterale ha recentemente studiato l'argomento, ha delineato la figura teologica, pastorale, spirituale del diacono permanente e ha avanzato alcune proposte operative che potranno certamente sensibilizzare la comunità diocesana su questo ministero cosl importante per l'azione missionaria della Chiesa.
-Nel contesto delle vocazioni cristiane che si rinnovano, anche la figura del presbitero verrà chiarita e rinnovata. Essa sarà a servizio dell'unità e della collaborazione tra le varie vocazioni. Demandando giustamente ad altri fratelli alcuni impegni e servizi, i preti potranno dedicarsi con libertà maggiore ai compiti dell'evangelizzazione. Collaborando col ministero pastorale del vescovo troveranno nuove forme di servizio presbiterale in corrispondenza con le necessità pastorali ancora scoperte e inesplorate. Condividendo la responsabilità del vescovo, membro del collegio episcopale, verso tutte le Chiese, si renderanno disponibili a svolgere il ministero anche in altre Chiese alle quali il vescovo li invia. Questo rinnovamento missionario della figura del prete metterà in più chiara luce presso i ragazzi e i giovani la vocazione al presbiterato e aiuterà a superare la crisi vocazionale, che si registra in questo ambito di primario valore per la vita ecclesiale.
b) Il rinnovamento vocazionale favorisce il rinnovamento istituzionale. La parrocchia è l'istituzione fondamentale della pastorale diocesana. Essa costituisce un ambito particolarmente significativo per far incontrare la libertà umana, nell'arco delle sue espressioni primarie ed essenziali, con le fondamentali espressioni sacramentali, educative, ministeriali del mistero di Cristo e della Chiesa ( cfr. il documento della C.E.I. "Comunione e comunità", nn. 42-46, e la lettera pastorale "Attirerò tutti a me", n. 96). Se la parrocchia vede realmente la propria struttura amministrativa a servizio della missione, awerte la necessità di aprirsi e integrarsi in varie direzioni: verso i decanati e le zone pastorali; verso le comunità più piccole che nascono al suo interno; verso associazioni, movimenti, gruppi di più esplicito impegno missionario.
Dal punto di vista teorico non è difficile delineare la complementarità e la collaborazione di queste realtà ecclesiali a servizio della "apostolicità" e della "cattolicità" della Chiesa diocesana. Il problema è soprattutto pratico. Occorre imparare a camminare insieme con umiltà, rispetto e pazienza su strade che sono ancora troppo nuove e inesplorate.
c) Il rinnovamento vocazionale e istituzionale sarà favorito dal coraggio con cui i singoli e le comunità assumeranno gli atteggiamenti missionari che esprimono l'autentica libertà cristiana. E' necessario adattare all'oggi lo stile che Gesù propone ai suoi discepoli inviati in missione:
-lo stile di essenzialità ci chiede di saper scoprire e presentare chiaramente le priorità, le precedenze, le gerarchie di valore nella complessa e non sempre ordinata attività pastorale che noi svolgiamo;
-lo stile di povertà impone la sobrietà nel dotarci di mezzi e strutture pastorali, l'esempio rigoroso di povertà personale, l'amministrazione dei beni comunitari veramente finalizzata alla carità, lo scambio anche di beni economici tra persone e comunità in vista di una giusta perequazione dei beni personali e comunitari;
-lo stile di gratuità esige che il ministero sia un dono vero e totale, distinguendo le prestazioni ministeriali dalle fonti economiche, che la comunità saprà trovare per il giusto sostentamento dei ministri;
-lo stile di fraternità invita a creare un clima di serenità, di cordialità, di immediatezza nei rapporti interpersonali, così da mettere ogni persona a proprio agio e da favorire la comunicazione della fede, lo scambio di esperienze, l'edificazione e la correzione fraterna.
Ho toccato molti punti in modo sommario e allusivo. Ogni persona e ogni comunità faranno un proprio programma per tradurre in azione quello che qui viene offerto solo come indicazione di uno stile.
Per tutti propongo ora un'azione che riguarda la catechesi, come momento molto significativo della missione.
[24] Per giustificare la scelta della catechesi come campo privilegiato dell'azione missionaria, vi propongo la meditazione sugli incontri di Gesù con alcune persone. La missione della Chiesa è finalizzata all'incontro di Gesù con tutti gli uomini.
Può essere utile, allora, contemplare alcuni incontri di Gesù narrati nel Nuovo Testamento.
a) E' paradigmatico l'incontro di Gesù con Zaccheo. L'episodio raccontato nel cap. 19 del vangelo di Luca inizia e finisce col verbo "cercare": nel v. 3 Zaccheo "cerca" di vedere Gesù; nel v. 10 Gesù si rivela come il Figlio dell'uomo venuto a "cercare" e a salvare ciò che è perduto. L'incontro quindi avviene in forza dell'amore di Gesù che cerca Zaccheo, superando tutti gli ostacoli che si frappongono. Però viene valorizzata, purificata, rigenerata anche la ricerca di Zaccheo, che, da generica curiosità iniziale, si trasforma in gioiosa accoglienza di Gesù e in generosa conversione.
b) Qualcosa di analogo avviene nell'incontro con la Samaritana (Gv 4). Anche qui l'iniziativa dell'incontro è presa da Gesù e lo svolgimento dell'incontro è tutto ritmato dagli interventi di Gesù. Però anche qui la misericordia salvifica di Gesù incrocia una ricerca umana, un desiderio indistinto e, in parte, distorto che viene via via purificato e allargata.
La donna dapprima cerca dell'acqua e Gesù la invita a oltrepassare l'acqua prefigurata nel desiderio iniziale. Poi ella intuisce che Gesù reca il dono misterioso della profezia, perché conosce la sua vita passata, e allora cerca di inquadrarlo negli schemi dei personaggi biblici già noti, come Giacobbe, "i nostri padri": Gesù la invita ad abbandonare questi schemi, aprendo il suo desiderio di salvezza e di verità verso le misteriose promesse messianiche. La donna allora cerca di ricondurre Gesù all'attesa convenzionale del Messia che deve venire; e ancora una volta Gesù dilata l'attesa oltre le convenzioni, aprendola all'evento imprevedibile dell'"ora" salvifica, del presente messianico già racchiuso e operante nella sua persona.
c) Potremmo ricordare molti altri incontri che fanno riferimento a un desiderio umano: desiderio di salute nei malati, desiderio di perdono nei peccatori, desiderio di conoscenza nei dotti, magari incerti e paurosi come Nicodemo, il visitatore notturno. Scelgo, invece, un ultimo incontro che sembra discostarsi dai precedenti, non solo perché avviene dopo la risurrezione e la glorificazione di Gesù presso il Padre, ma anche perché sembra privo di ricerca, di desiderio umano. E' l'incontro del Risorto con Paolo sulla via Damasco. Qui sembra che Paolo non solo non abbia desideri in qualche modo orientati al Vangelo, ma addirittura sia mosso da aperta e violenta ostilità. Eppure anche questo incontro comporta un desiderio compiuto e superato. In fondo l'avversione di Paolo per i cristiani derivava dal desiderio di osservare la Legge che, per un fariseo come lui, non comportava soltanto la giustizia come risurrezione morale dal peccato, ma dischiudeva anche l'accesso alla risurrezione corporea nel mondo rinnovato. Gesù, presentandosi come il Signore Risorto, come il principio del mondo nuovo, interpreta, purifica, orienta il desiderio di Paolo; gli fa vedere che la vita non viene dall'osservanza della Legge, ma dalla fede nel Cristo,ripudiato dagli uomini e glorificato da Dio.
Gli incontri di Cristo contengono, dunque, una specie di pedagogia: attraverso un procedimento progressivo e dimostrativo fanno vedere che nell'iniziativa gratuita di Gesù viene incrociato, purificato, condotto alla sua piena verità il desiderio di vita e di gioia che muove la libertà umana.
Qualcosa di simile avviene nell'attività catechetica. La catechesi è un servizio reso alla verità della fede. Attraverso procedimenti dimostrativi e riflessivi essa cerca di far vedere come nella verità di Gesù, così come è proposta dalla fede della Chiesa, viene integrata la ricerca della verità, che ogni uomo, più o meno esplicitamente, compie a partire dalla propria condizione psicologica e culturale.
Se è vero che la missione è finalizzata all'incontro di Cristo con ogni uomo, vuol dire che la catechesi, cos1 come è stata descritta, ha un posto di rilievo nell'azione missionaria.
Prima di tracciare un programma operativo, consideriamo la situazione della catechesi nella nostra Chiesa, con particolare attenzione al mondo degli adulti.
[25] Senza soffermarmi sulla vasta letteratura teologico-pastorale e sui recenti documenti del magistero ecclesiastico sia universale, sia italiano, sia diocesano, indico alcuni fatti a tutti noti e poi cetco di darne una intetpteta%ione.
a) Nella nostra diocesi la catechesi per gli adulti è quasi totalmente trascurata. Tramontata quasi dappertutto la formula della dottrina della domenica pomeriggio, non si sono trovate formule altrettanto diffuse e convalidate. Qualche esperienza significativa è proposta da associazioni, movimenti e gruppi. Ma siamo al livello di iniziative pionieristiche e in parte elitarie. D'altra parte non sembrano mancare catechisti e catechismi.
b) Il notevole numero dei catechisti, però, se rappresenta un fenomeno consolante, desta anche qualche preoccupazione. Molto spesso c'è buona volontà, ma poca preparazione. E' molto frequente il caso di catechisti poco più che adolescenti. Pur accogliendo con gioia e apprezzando questo patrimonio di forze generosamente disponibili, dobbiamo constatare che talora è già discutibile la qualità della catechesi offerta ai ragazzi; tanto più quella per gli adulti.
c) Quanto ai catechismi, basterà accennare al notevole sforzo fatto dalla Chiesa italiana per produrre catechismi pregevoli per le varie età. A parte, tuttavia, il fatto che non sembrano molto usati quelli per i giovani e per gli adulti, merita un rilievo l'ordine della loro apparizione: prima quello dei fanciulli, poi quello dei giovani, poi quello degli adulti. Questo significa che fu più facile approntare strumenti per la catechesi infantile, mentre i catechismi destinati agli adulti hanno incontrato gravi difficoltà e ritardi.
L'interruzione praticamente universale della catechesi dopo l'età della iniziazione cristiana è un fatto molto doloroso, la cui ragione forse si trova in una funzione rattrappita, che viene assegnata alla catechesi. Questa, come si è detto, mostra il legame che c'è tra la verità della fede e la ricerca di verità, che anima la libertà di ogni uomo. Ciò significa che la catechesi suppone che sia avvenuto un incontro tra Gesù e la libertà dell'uomo. La novità del Vangelo splende davanti alla libertà e ne raccoglie l'assenso responsabile e operoso. A questo punto interviene la catechesi per dare precisione, chiarezza riflessa, organicità, attualità, forza operativa al rapporto che si è instaurato tra la verità del Vangelo e la ricerca di verità da parte della libertà.
Se manca l'evento iniziale dell'annuncio del Vangelo, della provocazione e dell'assenso della libertà, la catechesi rimane senza punto di aggancio. Diventa riflessione e trasmissione organica di un dato di cui non si è colta la carica originaria. Si trasforma allora in ammaestramento, indottrinamento, trasmissione di abitudini e di comportamenti cristiani senza riferimento vitale al fatto che li fonda e li giustifica come comportamenti cristiani. Ecco perché la catechesi tende ad essere un fenomeno infantile, che non regge all'urto dell'età giovanile e adulta, quando la libertà non si accontenta di accogliere un insegnamento tradizionale, ma vuole prendere posizione dinanzi al fatto originario, incandescente, personale che produce, sostiene e rigenera la tradizione.
Fino a qualche tempo fa il forte senso di fede degli adulti, confermato da una società ricca di stimolanti valori cristiani, facilitava l'incontro della libertà giovanile con i valori originari della fede, che venivano visti come rilevanti per l'edificazione della libertà. Invece, nel nostro tempo, la crisi di rilevanza personale e sociale della fede e la nebulosità della figura del cristiano adulto non creano le condizioni adatte per l'annuncio della fede come evento di libertà.
Si crea, così, un circolo vizioso. L'assenza di catechesi nell'età adulta e il suo confinamento nell'età infantile tendono a rendere la catechesi più vicina a un semplice indottrinamento. A sua volta questo fatto confina sempre più la catechesi nell'infanzia e la rende improponibile per l'età adulta.
[26] Per superare questa situazione occorre chiamare in causa dei cristiani adulti che abbiano il coraggio di rivolgersi agli altri adulti per fare una catechesi capace di ricostruire anche il suo punto di aggancio, cioè la testimonianza missionaria che interpella e plasma la libertà. Il catechista per gli adulti deve essere anche e soprattutto un testimone della Risurrezione.
Perché ciò sia concretamente vissuto, occorre tener presente il clima in cui la catechesi va posta.
a) E' importante creare le condizioni pastorali generali della catechesi in una comunità adulta. Esse sono, in particolare, le caratteristiche missionarie come: lo stile evangelico, l'apertura ai lontani, la sensibilità per i più poveri, di cui si è detto nelle pagine precedenti. Tra queste condizioni ha un posto di rilievo anche una teologia seria e aggiornata, capace di offrirsi agli stessi laici, intenta a delineare un rapporto coerente ed esprimibile con chiarezza tra la verità della fede e le condizioni del sapere umano proprie della nostra epoca.
b) Inoltre occorre suscitare ed accogliere le esperienze catechistiche nuove, confrontarle fra di loro, verificare la loro autentica impronta cristiana, non fermandosi soltanto a qualche frutto effimero, dovuto alla novità e all'entusiasmo.
c) Ancora: bisogna perfezionare gli strumenti: scuole e testi di formazione e di aggiornamento dei catechisti secondo i diversi livelli; guide catechistiche; catechismi; ecc.
Tutto questo, però, è in funzione di un itinerario spirituale personale, che il catechista deve compiere per far accadere in se stesso l'evento della libertà che accoglie la fede, in un modo così nitido e consapevole, da saperlo testimoniare e comunicare agli altri.
Per questa via, del resto, si raggiunge un importante principio generale della vita spirituale cristiana.
Il credente sa che la sua fede è legata anche alle concrete condizioni ecclesiali e culturali in cui egli vive. Sa anche, però, che essa, nella sua essenza profonda, comporta un accesso immediato e diretto alla forza stessa di Dio. Lo Spirito Santo, che abita nel credente e ne plasma i dinamismi spirituali, comunica la appassionata, invincibile energia dell'amore, che il Padre ha verso ogni uomo. Pertanto dinanzi alle situazioni complicate, ai casi difficili, ai problemi nuovi il credente deve sapere vivere con serenità gli atteggiamenti della pazienza, dell'attesa, della sperimentazione provvisoria, del tentativo incerto. Però non arriva mai alla paralisi, perché lo Spirito Santo, anche in mezzo alle condizioni umanamente più sfavorevoli, sa sempre suggerire un passo da fare, una decisione da prendere, un perdono da concedere, una speranza da riaccendere.
Riferendoci, ora, al problema della catechesi, lo possiamo affrontare dal punto di vista degli strumenti pastorali oggettivi, che richiedono tempo, analisi, ricerche, sperimentazioni, confronti, ecc. Tutti questi procedimenti, però, che pure sono necessari, saranno facilitati, se verranno inseriti nella prospettiva soggettiva della "spiritualità", cioè se verranno confrontati con gli atteggiamenti che lo Spirito Santo suscita nel catechista, perché svolga con impegno la sua missione, anche se gli strumenti oggettivi sono ancora lacunosi.
[27] Cerco di tratteggiare alcuni aspetti della spiritualità del catechista per gli adulti, avendo come punti di riferimento gli incontri di Gesù descritti sopra.
a) L'incontro con Zaccheo presenta l'efficacia della iniziativa di Gesù, che riesce a incontrare Zaccheo superando tanti ostacoli, come la sua condizione di peccatore o l'ostilità della folla che si scandalizza e mormora. Il superamento degli ostacoli avviene attraverso il dispiegamento di atteggiamenti personali: Gesù guarda Zaccheo, gli parla, gli chiede ospitalità, mangia con lui, condivide l'atmosfera della casa; e Zaccheo scende dall'albero con sollecitudine, accoglie Gesù con gioia, sta ritto davanti al Signore, pronto a iniziare una vita nuova.
Anche il catechista deve aver fiducia nella capacità che ha la parola di Dio di vincere gli ostacoli, che possono essere le lacune personali dell'ascoltatore, le deformazioni psicologiche, la pigrizia nel cercare la verità; oppure i disturbi provenienti dalla folla, cioè i pregiudizi, la mentalità corrente, le abitudini di un certo ambiente. La vittoria sugli ostacoli avviene attraverso i contatti personali, l'amicizia, la visita in casa, la condivisione dei problemi, l'ascolto delle difficoltà spirituali, l'aiuto a superare i pregiudizi e le deformazioni mentali, I'abitudine a ragionare e a dialogare sulle cose, evitando le prese di posizione preconcette. E' importante ricordare a questo punto che la tradizionale "visita alle famiglie del tempo di Avvento e del tempo pasquale non solo non va tralasciata in nessun caso dai presbiteri, ma può divenire principio di nuovi agganci di catechesi con gli adulti.
b) L'incontro con la Samaritana mette in luce l'attitudine della verità cristiana a partire dalla concreta situazione spirituale dell'uomo, senza scavalcarla e insieme senza lasciar sene catturare e condizionare, bensì aprendola continuamente verso la radicale novità del disegno del Padre. La verità del Vangelo, proprio perché è la verità piena e totale, riesce a cogliere la tensione al vero, presente anche nelle situazioni ambigue, la purifica e la orienta verso un esito autentico. Applicando questo principio agli atteggiamenti spirituali del catechista, indico alcune capacità che lo Spirito Santo gli comunica:
-la capacità di leggere le diverse circostanze della vita come una provocazione a riflettere, a interrogarsi, a cercare un senso profondo, ad aprirsi al Vangelo;
-la capacità di far emergere la forza sintetica, organica, unificante del Vangelo, fondata sulla centralità di Gesù nella storia umana, attraverso un confronto con gli altri principi di unifìcazione sintentica della vita umana, che l'adulto trova o nella propria esperienza spirituale o nel contesto culturale;
-la capacità di assimilare a tal punto la forza del linguaggio biblico, liturgico, dogmatico-tradizionale, da saperla esprimere, senza svilirla e banalizzarla, anche col ricorso creativo e innovatore al linguaggio comunemente usato nelle relazioni personali.
c) L'incontro di Gesù con Paolo sulla via di Damasco illustra la forza vocazionale della parola di Dio, cioè la capacità di assumere la storia di un uomo, fremente di desideri e di progetti, per farla entrare nel disegno di Dio, assegnandole il compito missionario di aiutare anche altri uomini a conoscere e accogliere il progetto di Dio. Il catechista deve trovare nella meditazione della parola di Dio il criterio per progettare la propria vita e per dare un senso alla famiglia, alla professione, all'impegno sociale, con una chiarezza così persuasiva, da aiutare anche gli altri fratelli di fede a trovare nella riflessione personale e comunitaria sulla parola di Dio il punto di riferimento per la scoperta e la verifica dei propri impegni e delle proprie responsabilità nei diversi campi dell'esistenza.
[28] Per dare concretezza a questi pochi cenni sulla catechesi per gli adulti, propongo un cammino da percorrere insieme nel prossimo anno pastorale.
a) L'inizio del cammino può essere la Veglia Missionaria che ha luogo in ottobre e può dare una forte impronta missionaria a tutto il programma pastorale.
b) La meta potrà essere un Convegno Diocesano, da celebrare nell'autunno del 1984, sul tema "Catechisti testimoni". Gli argomenti da sviluppare saranno quelli accennati nelle pagine precedenti:
-le condizioni pastorali generali per la catechesi degli adulti;
-il confronto delle esperienze;
-gli strumenti della catechesi;
-la figura spirituale del catechista per gli adulti.
c) Il cammino intermedio dovrebbe coinvolgere parrocchie, decanati, zone, così come è avvenuto per il Congresso Eucaristico che è arrivato alle giornate conclusive attraverso una importante fase preparatoria svoltasi nelle parrocchie , nei decanati e nelle zone. I temi del cammino potrebbero essere due:
-uno generale, riguardante l'impegno missionario della Chiesa: potrebbe essere svolto nelle scuole di preghiera aperte a tutti, ma specialmente ai giovani;
-uno particolare, riguardante la catechesi per gli adulti; potrebbe suscitare riflessioni, confronti, dibattiti, corsi regolari, i cui elaborati sfocerebbero, poi, nel Convegno finale.
d) Due tempi forti potrebbero vivificare questo cammino:
-per la festa di S. Carlo verrebbe preparata la lettera pastorale nella forma divulgativa da recare nelle case per la benedizione natalizia e da meditare nel tempo dell'Avvento;
-durante la Quaresima si potrebbe meditare il messaggio del Sinodo dei Vescovi su "La riconciliazione e la penitenza nella missione della Chiesa", trovando le applicazioni concrete alla missione che il Signore affida alla Chiesa ambrosiana.
Queste proposte e questi temi saranno ripresi all'inizio dell'anno pastorale, con la speranza che per quel tempo mi siano già giunte le prime risonanze scritte che mi aiuteranno a precisare e completare ulteriormente il cammino, che fin da ora affido a S. Carlo, nostro patrono, perché lo consegni a Maria con quelle effusioni di sentimento e di lacrime che caratterizzavano le sue notti di preghiera nei santuari mariani della diocesi.
Maria, accogli la nostra povertà e donaci il tuo Figlio!
A tutti auguro un'estate serena e ricca di doni nel corpo e nello spirito.