domenica 19 agosto 2012

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE AL XXXIII MEETING PER L’AMICIZIA FRA I POPOLI


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE AL XXXIII MEETING PER L’AMICIZIA FRA I POPOLI (RIMINI, 19-25 AGOSTO 2012), 19.08.2012

In occasione della 33.ma edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli, che si è aperta questa mattina a Rimini sul tema: La natura dell'uomo è rapporto con l'infinito, il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato al Vescovo di Rimini il Messaggio che riporto di seguito:

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Al Venerato Fratello
Monsignor FRANCESCO LAMBIASI
Vescovo di Rimini

Desidero rivolgere il mio cordiale saluto a Lei, agli organizzatori e a tutti i partecipanti al Meeting per l’Amicizia fra i Popoli, giunto ormai alla XXXIII edizione. 
Il tema scelto quest’anno - «La natura dell’uomo è rapporto con l’infinito» - risulta particolarmente significativo in vista dell’ormai imminente inizio dell’«Anno della fede», che ho voluto indire in occasione del Cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II.
Parlare dell’uomo e del suo anelito all’infinito significa innanzitutto riconoscere il suo rapporto costitutivo con il Creatore. 
L’uomo è una creatura di Dio. Oggi questa parola – creatura – sembra quasi passata di moda: si preferisce pensare all’uomo come ad un essere compiuto in se stesso e artefice assoluto del proprio destino. La considerazione dell’uomo come creatura appare «scomoda» poiché implica un riferimento essenziale a qualcosa d’altro o meglio, a Qualcun altro – non gestibile dall’uomo – che entra a definire in modo essenziale la sua identità; un’identità relazionale, il cui primo dato è la dipendenza originaria e ontologica da Colui che ci ha voluti e ci ha creati. 
Eppure questa dipendenza, da cui l’uomo moderno e contemporaneo tenta di affrancarsi, non solo non nasconde o diminuisce, ma rivela in modo luminoso la grandezza e la dignità suprema dell’uomo, chiamato alla vita per entrare in rapporto con la Vita stessa, con Dio. 
Dire che «la natura dell’uomo è rapporto con l’infinito» significa allora dire che ogni persona è stata creata perché possa entrare in dialogo con Dio, con l’Infinito. All’inizio della storia del mondo, Adamo ed Eva sono frutto di un atto di amore di Dio, fatti a sua immagine e somiglianza, e la loro vita e il loro rapporto con il Creatore coincidevano: «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò» (Gen, 1,27). 
E il peccato originale ha la sua radice ultima proprio nel sottrarsi dei nostri progenitori a questo rapporto costitutivo, nel voler mettersi al posto di Dio, nel credere di poter fare senza di Lui. Anche dopo il peccato, però, rimane nell’uomo il desiderio struggente di questo dialogo, quasi una firma impressa col fuoco nella sua anima e nella sua carne dal Creatore stesso. Il Salmo 63 [62] ci aiuta a entrare nel cuore di questo discorso: «O Dio, tu sei il mio Dio, dall’aurora io ti cerco, ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne, in terra arida, assetata, senz’acqua» (v. 2). Non solo la mia anima, ma ogni fibra della mia carne è fatta per trovare la sua pace, la sua realizzazione in Dio. E questa tensione è incancellabile nel cuore dell’uomo: anche quando si rifiuta o si nega Dio, non scompare la sete di infinito che abita l’uomo. Inizia invece una ricerca affannosa e sterile, di «falsi infiniti» che possano soddisfare almeno per un momento. La sete dell’anima e l’anelito della carne di cui parla il Salmista non si possono eliminare, così l’uomo, senza saperlo, si protende alla ricerca dell’Infinito, ma in direzioni sbagliate: nella droga, in una sessualità vissuta in modo disordinato, nelle tecnologie totalizzanti, nel successo ad ogni costo, persino in forme ingannatrici di religiosità. Anche le cose buone, che Dio ha creato come strade che conducono a Lui, non di rado corrono il rischio di essere assolutizzate e divenire così idoli che si sostituiscono al Creatore.
Riconoscere di essere fatti per l’infinito significa percorrere un cammino di purificazione da quelli che abbiamo chiamato «falsi infiniti», un cammino di conversione del cuore e della mente. Occorre sradicare tutte le false promesse di infinito che seducono l’uomo e lo rendono schiavo. Per ritrovare veramente se stesso e la propria identità, per vivere all’altezza del proprio essere, l’uomo deve tornare a riconoscersi creatura, dipendente da Dio. 
Al riconoscimento di questa dipendenza – che nel profondo è la gioiosa scoperta di essere figli di Dio – è legata la possibilità di una vita veramente libera e piena. È interessante notare come san Paolo, nella Lettera ai Romani, veda il contrario della schiavitù non tanto nella libertà, ma nella figliolanza, nell’aver ricevuto lo Spirito Santo che rende figli adottivi e che ci permette di gridare a Dio: «Abbà! Padre!» (cfr 8,15). L’Apostolo delle genti parla di una schiavitù «cattiva»: quella del peccato, della legge, delle passioni della carne. A questa, però, non contrappone l’autonomia, ma la «schiavitù di Cristo» (cfr 6,16-22), anzi egli stesso si definisce: «Paolo, servo di Cristo Gesù» (1,1). Il punto fondamentale, quindi, non è eliminare la dipendenza, che è costitutiva dell’uomo, ma indirizzarla verso Colui che solo può rendere veramente liberi.
A questo punto però sorge una domanda. Non è forse strutturalmente impossibile all’uomo vivere all’altezza della propria natura? E non è forse una condanna questo anelito verso l’infinito che egli avverte senza mai poterlo soddisfare totalmente? Questo interrogativo ci porta direttamente al cuore del cristianesimo. L’Infinito stesso, infatti, per farsi risposta che l’uomo possa sperimentare, ha assunto una forma finita. Dall’Incarnazione, dal momento in cui in Verbo si è fatto carne, è cancellata l’incolmabile distanza tra finito e infinito: il Dio eterno e infinito ha lasciato il suo Cielo ed è entrato nel tempo, si è immerso nella finitezza umana. 
Nulla allora è banale o insignificante nel cammino della vita e del mondo. L’uomo è fatto per un Dio infinito che è diventato carne, che ha assunto la nostra umanità per attirarla alle altezze del suo essere divino.
Scopriamo così la dimensione più vera dell’esistenza umana, quella a cui il Servo di Dio Luigi Giussani continuamente richiamava: la vita come vocazione. Ogni cosa, ogni rapporto, ogni gioia, come anche ogni difficoltà, trova la sua ragione ultima nell’essere occasione di rapporto con l’Infinito, voce di Dio che continuamente ci chiama e ci invita ad alzare lo sguardo, a scoprire nell’adesione a Lui la realizzazione piena della nostra umanità. 
«Ci hai fatti per te – scriveva Agostino – e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te» (Confessioni I, 1,1). Non dobbiamo avere paura di quello che Dio ci chiede attraverso le circostanze della vita, fosse anche la dedizione di tutto noi stessi in una forma particolare di seguire e imitare Cristo nel sacerdozio o nella vita religiosa. Il Signore, chiamando alcuni a vivere totalmente di Lui, richiama tutti a riconoscere l’essenza della propria natura di essere umani: fatti per l’infinito. E Dio ha a cuore la nostra felicità, la nostra piena realizzazione umana. Chiediamo, allora, di entrare e rimanere nello sguardo della fede che ha caratterizzato i Santi, per poter scoprire i semi di bene che il Signore sparge lungo il cammino della nostra vita e aderire con gioia alla nostra vocazione.
Nell’auspicare che questi brevi pensieri possano essere di aiuto per coloro che prendono parte al Meeting, assicuro la mia vicinanza nella preghiera ed auguro che la riflessione di questi giorni possa introdurre tutti nella certezza e nella gioia della fede. 
A Lei, Venerato Fratello, ai responsabili e agli organizzatori della manifestazione, come pure a tutti i presenti, ben volentieri imparto una particolare Benedizione Apostolica.

Da Castel Gandolfo, 10 agosto 2012

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Riprendo di seguito il saluto rivolto oggi dal presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, Julián Carrón, ai partecipanti del Meeting di Rimini 2012.
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Cari amici,
che conforto mi ha invaso questa mattina, pensando a ciascuno di voi impegnati nella frenetica attività del Meeting, nel leggere il commovente messaggio autografo del Papa! Benedetto XVI ha compiuto ancora una volta un gesto pieno di tenerezza nei nostri confronti, indicandoci il punto fondamentale a cui guardare per non perdere la bussola in questa settimana piena di impegni: siamo «fatti per l’infinito». Avete in esso il calore e la luce per affrontarli.
Che gratitudine sconfinata potersi guardare ogni mattina con la consapevolezza che «la grandezza e la dignità suprema dell’uomo» consistono nel rapporto con l’infinito, che quella sete che investe «ogni fibra della mia carne» e che nessun peccato può eliminare trova risposta nella «gioiosa scoperta di essere figli di Dio»! Solo con questa autocoscienza possiamo vivere «la vita come vocazione».
E tutte le sfide che dovremo affrontare lungo le giornate (dal caldo del parcheggio o in cucina all’umile impegno delle pulizie fino a quelle più appariscenti sul palco) ci sono date proprio per incrementare questa autocoscienza.
«Nulla allora è banale o insignificante nel cammino della vita e del mondo», ci ha ricordato il Papa. Anzi, «ogni cosa, ogni rapporto, ogni gioia, come anche ogni difficoltà, trova la sua ragione ultima nell’essere occasione di rapporto con l’Infinito, voce di Dio che continuamente ci chiama e ci invita ad alzare lo sguardo, a scoprire nell’adesione a Lui la realizzazione piena della nostra umanità».
Mostriamoci amici gli uni agli altri, sostenendoci in questo cammino di purificazione da qualsiasi «falso infinito», per poter testimoniare a tutti quanti ci incontreranno durante questa settimana che cosa rende «la vita veramente libera e piena», che «il punto fondamentale, quindi, non è eliminare la dipendenza, che è costitutiva dell’uomo, ma indirizzarla verso Colui che solo può rendere veramente liberi».
Grato della testimonianza che mi date con il vostro sacrificio per gridare a tutti la speranza che portiamo nella nostra fragilità, vi auguro un felice Meeting.