sabato 25 agosto 2012

Tu sei la Vita Eterna

"Che cosa abbiamo creduto e che cosa abbiamo conosciuto? Che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, cioè che Tu sei la stessa Vita Eterna e nella carne e nel sangue ci dai ciò che Tu stesso sei."
(S. Agostino)


Celebriamo oggi 26 agosto la:
XXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIOAnno B 


Di seguito il testo della preghiera dell'angelus del papa, i testi della Liturgia, i commenti e una omelia di sant'Agostino sul Vangelo di oggi. Buona domenica!

(Testo dell'allocuzione del Papa - Angelus N° 38 del 2012) Cari fratelli e sorelle! Nelle scorse domeniche abbiamo meditato il discorso sul «pane della vita», che Gesù pronunciò nella sinagoga di Cafarnao dopo aver sfamato migliaia di persone con cinque pani e due pesci. Oggi, il Vangelo presenta la reazione dei discepoli a quel discorso, una reazione che fu Cristo stesso, consapevolmente, a provocare.

Anzitutto, l’evangelista Giovanni – che era presente insieme agli altri Apostoli – riferisce che «da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui» (Gv 6,66). Perché? Perché non credettero alle parole di Gesù che diceva: Io sono il pane vivo disceso dal cielo, chi mangia la mia carne e beve il mio sangue vivrà in eterno (cfr Gv 6,51.54). Veramente parole difficile di accettare e incomprensibili. Questa rivelazione rimaneva per loro incomprensibile, perché la intendevano in senso solo materiale, mentre in quelle parole era preannunciato il mistero pasquale di Gesù, in cui Egli avrebbe donato se stesso per la salvezza del mondo. La nuova presenza nella Sacra Eucaristia.
Vedendo che molti dei suoi discepoli se ne andavano, Gesù si rivolse agli Apostoli dicendo: «Volete andarvene anche voi?» (Gv 6,67). Come in altri casi, è Pietro a rispondere a nome dei Dodici: «Signore, da chi andremo? Anche noi possiamo chiederci: dfa chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6,68-69). Su questo passo abbiamo un bellissimo commento di Sant’Agostino, che dice: «Vedete come Pietro, per grazia di Dio, per ispirazione dello Spirito Santo, ha capito? Perché ha capito? Perché ha creduto. Tu hai parole di vita eterna. Tu ci dai la vita eterna offrendoci il tuo corpo e il tuo sangue. E noi abbiamo creduto e conosciuto. Non dice: abbiamo conosciuto e creduto, ma abbiamo creduto e conosciuto. Abbiamo creduto per poter conoscere; se, infatti, avessimo voluto conoscere prima di credere, non saremmo riusciti né a conoscere né a credere. Che cosa abbiamo creduto e che cosa abbiamo conosciuto? Che tu sei il Cristo Figlio di Dio, cioè che tu sei la stessa vita eterna, e nella carne e nel sangue ci dai ciò che tu stesso sei» (Commento al Vangelo di Giovanni, 27, 9). Così diceva Sant'Agostino nelle sue prediche.
Infine, Gesù sapeva che anche tra i dodici Apostoli c’era uno che non credeva: Giuda. Anche Giuda avrebbe potuto andarsene, come fecero molti discepoli; anzi, avrebbe dovuto andarsene, se fosse stato onesto. Invece rimase con Gesù. Rimase non per fede, non per amore, ma con il segreto proposito di vendicarsi del Maestro. Perché? Perché Giuda si sentiva tradito da Gesù, e decise che a sua volta lo avrebbe tradito. Giuda era uno zelota, e voleva un Messia vincente, che guidasse una rivolta contro i Romani. Ma Gesù aveva deluso queste attese. Il problema è che Giuda non se ne andò, e la sua colpa più grave fu la falsità, che è il marchio del diavolo. Per questo Gesù disse ai Dodici: «Uno di voi è un diavolo!» (Gv 6,70). Preghiamo la Vergine Maria, che ci aiuti a credere in Gesù, come san Pietro, e ad essere sempre sinceri con Lui e con tutti.

* * *


Speranza in un nuovo mondo migliore
Dalla Costituzione pastorale «Gaudium et spes» del Concilio ecumenico Vaticano II sulla Chiesa e il mondo contemporaneo  (Nn. 39)
Ignoriamo il tempo in cui avranno fine la terra e l'umanità, e non sappiamo il modo con cui sarà trasformato l'universo. Passa certamente l'aspetto di questo mondo, deformato dal peccato. Sappiamo, però, dalla rivelazione che Dio prepara una nuova abitazione e una terra nuova, in cui abita la giustizia, e la cui felicità sazierà sovrabbondantemente tutti i desideri di pace che salgono nel cuore degli uomini. Allora, vinta la morte, i figli di Dio saranno risuscitati in Cristo, e ciò che fu seminato nella debolezza e nella corruzione rivestirà l'incorruzione: e restando la carità con i suoi frutti, saranno liberate dalla schiavitù del male tutte quelle creature, che Dio ha fatto appunto per l'uomo.
Certo, siamo avvertiti che non giova nulla all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde se stesso. Tuttavia l'attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell'umanità nuova che già riesce a offrire una certa prefigurazione di quello che sarà il mondo nuovo. Pertanto, benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del regno di Cristo, tuttavia, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l'umana società, tale progresso è di grande importanza per il regno di Dio.
E infatti, i beni, quali la dignità dell'uomo, la fraternità e la libertà, e cioè tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, allorquando il Cristo rimetterà al Padre il regno eterno e universale: «che è regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace». Qui sulla terra il regno è già presente, in mistero; ma, con la venuta del Signore, giungerà a perfezione.
  
MESSALE
Antifona d'Ingresso  Sal 85,1-3
Tendi l'orecchio, Signore, rispondimi:
mio Dio, salva il tuo servo che confida in te:
abbi pietà di me, Signore;
tutto il giorno a te io levo il mio grido.

 
Colletta

O Dio, che unisci in un solo volere le menti dei fedeli, concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi e desiderare ciò che prometti, perché fra le vicende del mondo là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia. Per il nostro Signore...

 Oppure:
O Dio nostra salvezza, che in Cristo tua parola eterna ci dai la rivelazione piena del tuo amore, guida con la luce del tuo Spirito questa santa assemblea del tuo popolo, perché nessuna parola umana ci allontani da te unica fonte di verità e di vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo...

LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura 
  Gs 24, 1-2.15-17.18b

Serviremo il Signore, perché egli è il nostro Dio.

Dal libro di Giosuè
In quei giorni, Giosuè radunò tutte le tribù d'Israele a Sichem e convocò gli anziani d'Israele, i capi, i giudici e gli scribi, ed essi si presentarono davanti a Dio. Giosuè disse a tutto il popolo: «Se sembra male ai vostri occhi servire il Signore, sceglietevi oggi chi servire: se gli dèi che i vostri padri hanno servito oltre il Fiume oppure gli dèi degli Amorrèi, nel cui territorio abitate. Quanto a me e alla mia casa, serviremo il Signore».
Il popolo rispose: «Lontano da noi abbandonare il Signore per servire altri dèi! Poiché è il Signore, nostro Dio, che ha fatto salire noi e i padri nostri dalla terra d'Egitto, dalla condizione servile; egli ha compiuto quei grandi segni dinanzi ai nostri occhi e ci ha custodito per tutto il cammino che abbiamo percorso e in mezzo a tutti i popoli fra i quali siamo passati.
Perciò anche noi serviremo il Signore, perché egli è il nostro Dio». 


Salmo Responsoriale
    Dal Salmo 33

Gustate e vedete com'è buono il Signore.

 
Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.

Gli occhi del Signore sui giusti,
i suoi orecchi al loro grido di aiuto.
Il volto del Signore contro i malfattori,
per eliminarne dalla terra il ricordo.

Gridano e il Signore li ascolta,
li libera da tutte le loro angosce.
Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato,
egli salva gli spiriti affranti.

Molti sono i mali del giusto,
ma da tutti lo libera il Signore.
Custodisce tutte le sue ossa:
neppure uno sarà spezzato.

Il male fa morire il malvagio
e chi odia il giusto sarà condannato.
Il Signore riscatta la vita dei suoi servi;
non sarà condannato chi in lui si rifugia.
 
Seconda Lettura
   Ef 5, 21-32

Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa.

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini
Fratelli, nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri: le mogli lo siano ai loro mariti, come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, così come Cristo è capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo. E come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli lo siano ai loro mariti in tutto.
E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell'acqua mediante la parola, e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo: chi ama la propria moglie, ama se stesso.
Nessuno infatti ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo.
Per questo l'uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne.
Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!
 
Canto al Vangelo
   Gv 6,63.68 
Alleluia, alleluia. 

Le tue parole, Signore,sono spirito e vita;
tu hai parole di vita eterna.
Alleluia.

  Vangelo   Gv 6, 60-69Da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna.

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dov'era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre».
Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio». Parola del Signore.

* * *

COMMENTI

XXI Domenica del Tempo Ordinario
Gs 24,1-2.15-17.18; Ef. 5,21 – 32; Gv. 6,60-69
Con questa domenica si conclude il “discorso del pane di Vita” inaugurato da Gesù con il segno della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Alle alterne reazioni della folla, dei farisei e dei discepoli Gesù ha risposto con una progressiva profondità, conducendo i suoi interlocutori a riconoscere non semplicemente il “segno”, ma tutto il significato profondo di quel miracolo: è Dio che dà il vero Pane di vita, per la vita eterna, e questo Pane è Cristo stesso, “Carne” offerta per la salvezza del mondo.
Le ultime battute di tutto il capitolo 6 del Vangelo di Giovanni vedono coinvolti i discepoli di Gesù: nella sinagoga di Cafarnao anche loro iniziano a mormorare, vacillare e indietreggiare perché “il linguaggio è troppo duro….”. Anziché aprirsi alla grazia e intuire il “segno”, si sono chiusi da soli la via di quella vera “intelligenza”, dono dello Spirito, che nasce dalla fede e dall’umiltà.
La risposta di Gesù non può essere che quell’invito a credere, fidarsi, perché a Dio tutto è possibile. Non è spiegato come avvenga che il pane sia carne e il vino sangue, ma Lui dice che è così. Nel mirabile mistero dell’Eucarestia si tratta proprio di dire con fede che l’amore di Dio giunge fino a quel punto, fino all’impossibile per gli occhi dell’uomo. Perciò anche noi possiamo dire con Israele: “Egli ha compiuto questi grandi segni dinanzi ai nostri occhi e ci ha custoditi per tutto il cammino” (I Lettura).
Anche per Pietro le parole di Gesù risuonano oscure e dure, non ha capito più degli altri, ma ha compreso che deve credere, e può fidarsi di Gesù, il “solo” che ha “parole di vita eterna”, di vita vera.
La resistenza della folla e nello stesso tempo le parole di Pietro presentano i due possibili modi di rispondere alla “pretesa” di Gesù. Quando ci allontaniamo da Lui è perché non c’è in noi l’umiltà propria della vera fede che ci fa accogliere con fiducia anche quello che non comprendiamo e che urta contro la nostra ragione o contro i nostri desideri.
Le parole di Pietro sono sintetizzate dall’atteggiamento di chi, davanti al mistero Eucaristico, si pone in adorazione umile e silenziosa con nel cuore non il dubbio, ma il desiderio di chi desidera la comunione piena  con Lui.
L’Amen, che la tradizione liturgica ci fa pronunciare al momento della Comunione acquista così un significato profondo, perché ripete la stessa professione di fede di Pietro: “Non senza ragione dici Amen riconoscendo che prendi il corpo di Cristo; quando ti presenti per riceverlo il Vescovo ti dice: il corpo di Cristo! E tu rispondi: Amen! Cioè: è vero. Il tuo animo custodisca ciò che la tua parola riconosce.” (S. Ambrogio)
La Madonna che ha detto il suo fiat, ci ottenga l’umiltà di cuore per riconoscere il desiderio e la grandezza del Dono divino datoci nell’Eucarestia.
* * *
Padre Raniero Cantalamessa ofmcapp.
“Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo. Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto. E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso”.
Questa volta vorrei concentrare l’attenzione sulla seconda lettura del giorno tratta dalla Lettera agli Efesini perché contiene un tema di grande interesse per la famiglia. Leggendo con occhi moderni le parole di Paolo, una difficoltà balza subito agli occhi. Paolo raccomanda al marito di “amare” la propria moglie (e questo ci sta bene), ma poi raccomanda alla moglie di essere “sottomessa” al marito e questo, in una società fortemente (e giustamente) consapevole della parità dei sessi, sembra inaccettabile.
Infatti è vero. Su questo punto san Paolo è in parte condizionato dalla mentalità del suo tempo. Tuttavia la soluzione non sta nell’eliminare dai rapporti tra marito e moglie la parola “sottomissione”, ma semmai nel renderla reciproca, come reciproco deve essere anche l’amore. In altre parole, non solo il marito deve amare la moglie, ma anche la moglie il marito; non solo la moglie deve essere sottomessa al marito, ma anche il marito alla moglie. Amore reciproco e sottomissione reciproca.
Sottomettersi significa, in questo caso, tener conto della volontà del coniuge, del suo parere e della sua sensibilità; dialogare, non decidere da solo; saper a volte rinunciare al proprio punto di vista. Insomma, ricordarsi che si è diventati “coniugi”, cioè, alla lettera, persone che sono sotto “lo stesso giogo” liberamente accolto.
L’Apostolo da agli sposi cristiani come modello il rapporto d’amore che c’è tra Cristo e la Chiesa, ma spiega subito in che cosa è consistito tale amore: “Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei”. Il vero amore si manifesta nella “dedizione” all’altro.
Vi sono due modi di manifestare il proprio amore alla persona amata. Il primo è di farle regali, riempirla di doni; il secondo, molto più esigente, consiste nel soffrire per lei. Dio ci ha amato nel primo modo quando ci ha creati e ci ha riempito di doni: il cielo, la terra, i fiori, il nostro stesso corpo, tutto è dono suo… Ma poi nella pienezza dei tempi, in Cristo, è venuto tra noi e ha sofferto per noi, fino a morire in croce.
Avviene così anche nell’amore umano. All’inizio, da fidanzati, si esprime l’amore facendosi dei regali. Ma viene il tempo per tutti in cui non basta più fare regali; bisogna essere capaci di soffrire con e per la persona amata. Amarla nonostante i limiti che si vengono scoprendo, i momenti di povertà, le stesse malattie. Questo è vero amore che somiglia a quello di Cristo.
In genere si chiama il primo tipo di amore “amore di ricerca” (con un termine greco eros), il secondo tipo “amore di donazione” (con un termine greco agape). Il segno che in una coppia si sta passando dalla ricerca alla donazione, dall’eros all’agape, è questo: al posto di chiedersi: “Cosa c’è che mio marito, (rispettivamente, mia moglie) potrebbe fare di più per me che ancora non fa?”, uno comincia a chiedersi: “Cosa c’è che potrei fare di più per mio marito (o mia moglie) che ancora non faccio?”
* * *
Luciano Manicardi
La scelta netta ed esigente che il servire Dio e il seguire Cristo richiede; l’appartenenza al Signore da parte dei credenti così come Cristo, “il Santo di Dio” (Gv 6,69), appartiene a Dio; la difficile perseveranza esigita dalla vita di fede; il senso del promettere: questi alcuni temi che traversano in unità la prima lettura e il vangelo.
Nel contesto del rinnovamento dell’alleanza, Giosué mette i figli d’Israele di fronte alle difficoltà che il servire Dio comporta: Giosué sembra scoraggiare, invece di attirare. L’eventuale scelta di servire il Signore avrà ripercussioni sul futuro, dunque occorre pensarci bene, misurare le forze, conoscere le esigenze e le difficoltà che essa comporta. Nessuna strategia di edulcorazione per attirare qualche adepto: anzi, annunciare le esigenze e le durezze della vita di fede! La chiarezza è liberante, oltreché onesta.
Inoltre la messa in guardia sollecita la libertà e la responsabilità del popolo. A quel punto la volontà di servire Dio si manifesta in una promessa: il popolo promette di servire Dio. Promettere è sempre promettersi, impegnare il proprio futuro in una storia di fedeltà e perseveranza. Promettere fedeltà al Signore significa obbedire, e obbedire è sempre fare della propria libertà un’offerta.
Nel vangelo il discorso in cui Gesù si rivela pane di vita disceso dal cielo che deve essere mangiato perché i credenti abbiano in se stessi la vita, provoca una reazione di paura e di abbandono da parte di molti che seguivano Gesù e che, da quel momento, non andarono più con lui. È cammin facendo che si scoprono le asperità e le difficoltà della sequela, della vocazione. La parola accolta un tempo, e che sembrava dischiudere un futuro di bellezza, di senso e di gioia, diviene una parola sconcertante, incomprensibile, dura (“questa parola è dura”: Gv 6,60). Si fa allora strada la tentazione della de-vocazione, dell’abbandono, del voltarsi indietro. Siamo di fronte all’enigma dell’abbandono, della rottura di una fedeltà, alla smentita di una promessa. E l’unica lezione da trarre non è certo il giudicare, ma il sapere che nessuno è garantito. Si può perdere la fede. La logica della scelta fatta un tempo è che, per mantenersi fedeli a essa, occorre ogni giorno rinnovare il proprio sì, la propria adesione e il proprio ringraziamento per la vita accolta e poi scelta. Vi è qui una sfida posta ai cristiani: la credibilità della loro confessione di fede risiede anche nella loro capacità di declinare oggi realtà come perseveranza, fedeltà, definitività di una scelta.

Il brano evangelico presenta un momento di crisi della comunità di Gesù. Le crisi nella vita personale come nella chiesa e nella comunità cristiana sono dolorose, ma salutari perché passano al setaccio, vagliano, chiedono un adattamento a situazioni nuove, dunque sono occasione di rinnovamento. Certo, nella crisi si fa strada la tentazione dell’azzeramento del proprio passato: “Ho sbagliato tutto”, “Mi ero illuso”, “Non ce la faccio più”, “Per me è impossibile”. Queste sono le parole che ci vengono da dire in quei momenti. E allora è importante ricordare la risposta di Pietro alla provocatoria domanda di Gesù: “Volete andarvene anche voi?” (Gv 6,67). Domanda importante perché rende i credenti coscienti di che significa scegliere (e restare fedeli a una scelta). Pietro risponde, a nome dei Dodici, affermando che essi appartengono a Gesù quale Signore delle loro vite (“Signore, da chi andremo?”); confessando che da lui essi hanno ricevuto e ricevono vita (“Tu hai parole di vita eterna”); ricordando l’atto di fede fatto un tempo e l’esperienza esistenziale che ha corroborato la loro fede (“Noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”).
Viene il momento per il credente in cui la fede chiede una rinascita, un affidamento radicale. Spesso sono i momenti di crisi che svolgono questa funzione di appello: allora si tratta di comprendere che “è lo Spirito che dà la vita e la carne non giova a nulla” (Gv 6,63) e di ricominciare, sempre più spogli, ad ascoltare la Parola e ad affidarsi allo Spirito del Signore.
* * *
Enzo Bianchi
La catechesi sul «pane vivo disceso dal cielo» (Gv 6,51) conseguente al segno della moltiplicazione dei pani operata da Gesù (cf. Gv 6,11-13) è giunta al termine; ora il vangelo descrive la reazione a questo discorso da parte dei discepoli, quelli che erano stati chiamati da Gesù, che lo avevano seguito ed erano stati istruiti da lui, l’ultimo e definito rivelatore di Dio (cf. Gv 1,18; 6,45).
La reazione dei discepoli è quella già registrata a proposito dei capi religiosi (cf. Gv 6,41-43); essa assume la forma di mormorazione e scandalo: «Questo linguaggio è duro – cioè incomprensibile, inaccettabile –; chi può intenderlo?». È accaduto tante volte lungo la storia di salvezza, è accaduto a Gesù e ai suoi discepoli, accade ancora oggi nelle nostre comunità cristiane: prima o poi si ascolta una parola del Signore che sembra esigere troppo, una parola inattesa che appare impossibile da realizzare; di fronte ad essa ciascuno di noi è colto da paura, fino a rigettarla il più lontano possibile dalla propria vita. In questa situazione non si ricorda più la vocazione ricevuta da Dio né la propria risposta a tale chiamata: è l’ora dellacrisi, ma purtroppo non si ha la forza di leggerla come un passaggio attraverso la prova in vista di una purificazione, di un’adesione più salda al Signore…
Ebbene, nel mezzo di questa crisi comunitaria Gesù non addolcisce le sue parole. È quanto ci testimoniano anche i vangeli sinottici, quando narrano la fermezza di Gesù di fronte a Pietro che contesta la necessità della passione (cf. Mc 8,31-33; Mt 16,21-23), ai discepoli che si oppongono all’annuncio del matrimonio fedele (cf. Mt 19,3-10), a chi rifiuta la condivisione delle ricchezze (cf. Mc 10,17-31 e par.). Lo stesso avviene anche qui: non si possono svuotare le esigenze radicali del Vangelo, sembra dire Gesù. Egli allora chiede ai discepoli: «Questo – cioè l’annuncio eucaristico fatto poco prima (cf. Gv 6,48-58) – vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima?». Sono parole con cui Gesù annuncia la propria passione e morte, il suo esodo umanamente ignominioso da questo mondo al Padre. Davvero eucaristia e passione-morte sono strettamente connesse, in quanto l’eucaristia racconta e sintetizza nell’«ora gloriosa» della morte di croce (cf. Gv 12,20-33; 17,1-5) tutta la vita del Figlio… In altre parole, è questo loscandalo della croce (cf. 1Cor 1,23): per non finire preda di esso occorre credere a Gesù, aderire saldamente a tutta la sua vita, senza scandalizzarsi di lui (cf. Mt 11,6).

Eppure Gesù sa che tra i suoi discepoli ve ne sono alcuni che non credono. Com’è possibile? Sì, è possibile che quanti si ritengono credenti in Dio siano in realtà increduli, come mostra la successiva controversia di Gesù con alcuni tra i giudei (cf. Gv 8,31-59); è possibile addirittura che tra quelli che sono stati coinvolti più da vicino con la vita di Gesù ve ne siano alcuni che non credono in lui, ma lo seguono per altri motivi non confessati o non confessabili… È a questa amara esperienza che Gesù fa riferimento quando afferma: «Lo schiavo non resta per sempre nella casa; solo il figlio vi resta sempre» (Gv 8,35). Chi resta nella comunità di Gesù come uno schiavo, prima o poi se ne andrà, abbandonando il Signore e i fratelli; per perseverare nella sequela di Gesù non basta un ideale né sono sufficienti delle nobili motivazioni: occorre un fede salda!
«Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui», annota con duro realismo Giovanni, lasciando intendere una grave crisi comunitaria. È a questo punto che Gesù si rivolge ai Dodici, a quelli che gli erano più intimi, con parole provocatorie e, insieme, liberanti : «Forse anche voi volete andarvene?». E Pietro risponde, a nome dei Dodici: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio». Ma il lungo capitolo sesto del quarto vangelo si conclude con alcune parole che costituiscono un severo monito per ogni cristiano,che mai può ritenersi garantito nella propria sequela del Signore: «“Non ho forse scelto io voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo!”. Egli parlava di Giuda, figlio di Simone Iscariota: questi infatti stava per tradirlo, uno dei Dodici» (Gv 6,70-71).
* * *

COMMENTI DALLA TRADIZIONE PATRISTICA

Agostino di Ippona
Dai "Trattati sul Vangelo di Giovanni"

OMELIA 27


Cristo dimora in noi, e noi in lui.

Ciò che il Signore si ripromette, dandoci a mangiare la sua carne e a bere il suo sangue, è che noi dimoriamo in lui, e lui in noi. Dimoriamo in lui come sue membra, dimora in noi come suo tempio. E' l'unità che ci compagina come membra; ma chi crea l'unità è la carità.

1. Abbiamo ascoltato dal Vangelo le parole del Signore, che fanno seguito al discorso precedente. Ora, su questo tema del corpo del Signore, che egli diceva di voler offrire come cibo per la vita eterna, ci sembra doveroso da parte nostra, e oggi quanto mai opportuno, esporre alle vostre orecchie e alle vostre menti qualche riflessione. Ci ha spiegato come farà a distribuire questo suo dono, in che modo cioè ci darà la sua carne da mangiare, dicendo: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me, e io in lui (Gv 6, 57)La prova che si è veramente mangiato e bevuto il suo corpo e il suo sangue, è questa: che lui rimane in noi e noi in lui, che egli abita in noi e noi in lui, che noi siamo uniti a lui senza timore di essere abbandonati. Con linguaggio denso di mistero ci ha insegnato e ci ha esortati ad essere nel suo corpo, uniti alle sue membra sotto il medesimo capo, a nutrirci della sua carne senza mai separarci dalla sua comunione. Se non che molti dei presenti non compresero e si scandalizzarono: ascoltando tali parole non riuscivano ad avere se non pensieri secondo la carne, ciò che essi stessi erano. Ora, l'Apostolo con tutta verità dice che pensare secondo la carne conduce alla morte (Rm 8, 6). Il Signore ci dà la sua carne da mangiare; ma intendere questo secondo la carne è morte, mentre il Signore ci dice che nella sua carne si trova la vita eterna. Non dobbiamo quindi intendere secondo la carne neppure la carne, come si deduce dalle parole che seguono.
[Il segreto di Dio impegna la nostra attenzione.]
2. Molti, non dei suoi nemici, ma dei suoi discepoli, dopo averlo ascoltato, dissero: Questo linguaggio è duro; chi lo può intendere? (Gv 6, 61). Se questo linguaggio apparve duro ai discepoli, immaginate ai nemici. Era necessario tuttavia che così fosse espresso ciò che non era comprensibile a tutti. Anziché provocare avversione, i segreti di Dio devono impegnare la nostra attenzione. Quelli, invece, defezionarono non appena sentirono il Signore parlare così: non pensarono che annunciava qualcosa di arcano e che sotto il velo di queste parole nascondeva un grande dono. Le intesero arbitrariamente, in senso puramente umano, e pensarono che Gesù potesse e volesse distribuire ai credenti in lui la carne di cui il Verbo era rivestito, facendola a pezzi. Questo linguaggio è duro - essi dicono - e chi lo può intendere?
3. Ma Gesù, conoscendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano di questo ... Essi avevano parlato tra loro in modo da non farsi sentire da lui; ma egli, che li conosceva nell'intimo, ascoltandoli dentro di sé, rispose e disse: Ciò vi scandalizza? Cioè, vi scandalizza il fatto che io abbia detto che vi do da mangiare la mia carne e da bere il mio sangue? E' questo che vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell'uomo ascendere dov'era prima? (Gv 6, 62-63). Che significano queste parole? Risolvono la loro difficoltà? Sciolgono il dubbio che li ha scandalizzati? Queste parole certamente avrebbero chiarito, se essi le avessero comprese. Credevano che egli volesse dare loro in cibo il suo corpo; egli dice che salirà in cielo, e vi salirà tutto intero: Quando vedrete il Figlio dell'uomo ascendere dov'era prima, allora crederete che egli non distribuisce il suo corpo nel modo che voi credete: almeno allora capirete che la sua grazia non si consuma con dei morsi.
4. E aggiunge: E' lo spirito che vivifica, la carne non giova nulla (Gv 6, 64)Prima di spiegare, con l'aiuto del Signore, queste parole, non dobbiamo trascurare ciò che ha detto prima: Se vedeste il Figlio dell'uomo ascendere dov'era prima. Cristo è il Figlio dell'uomo, nato dalla vergine Maria. Ha cominciato dunque ad essere figlio dell'uomo qui in terra, dove ha assunto la carne, che appunto proviene dalla terra. Perciò il profeta aveva detto: la verità è sorta dalla terra (Sal 84, 12). Cosa vuol dire dunque: Se vedeste il Figlio dell'uomo ascendere dov'era prima? Nessun problema se avesse detto: Se vedrete il Figlio di Dio ascendere dov'era prima. Egli invece ha parlato del Figlio dell'uomo che ascende dov'era prima. Come poteva il Figlio dell'uomo essere in cielo, dal momento che cominciò ad esistere qui in terra? Ha detto dov'era prima, come se, mentre diceva queste cose, non fosse in cielo. In un altro passo dice: Nessuno ascende in cielo, se non chi dal cielo discese, il Figlio dell'uomo che è in cielo (Gv 3, 13). Non dice che "era"; dice: il Figlio dell'uomo che è in cielo. Parlava stando in terra, e affermava di essere in cielo. E non disse: Nessuno ascende in cielo, se non chi dal cielo discese, il Figlio di Dio che è in cielo. Che cosa si propone, con queste parole, se non farci intendere ciò che già nel precedente discorso noi abbiamo cercato d'inculcare alla vostra Carità, e cioè che Cristo, Dio e uomo, è una sola persona, non due, sicché non accada che per noi le persone della Trinità siano quattro invece di tre? Cristo è uno solo: il Verbo, l'anima e la carne sono un solo Cristo; il Figlio di Dio e il Figlio dell'uomo sono un solo Cristo. E' Figlio di Dio da sempre, Figlio dell'uomo nel tempo, e tuttavia un solo Cristo nell'unità della persona. Era in cielo quando parlava in terra. Era Figlio dell'uomo in cielo così come era Figlio di Dio in terra: Figlio di Dio in terra nella carne assunta, Figlio dell'uomo in cielo nell'unità della persona.
5. Che significano le parole che seguono: Elo Spirito che vivifica, la carne non giova nulla? Egli ci consente di rivolgerci a lui, non per contraddirlo ma nel desiderio di apprendere: O Signore, maestro buono, come è possibile che la carne non giovi nulla, quando tu hai dichiarato: Chi non mangia la mia carne e non beve il mio sangue, non avrà in sé la vita (Gv 6, 54)? Forse che la vita non serve a nulla? E perché allora siamo ciò che siamo, se non per avere la vita eterna, che tu prometti di darci mediante la tua carne? In che senso allora la carne non giova nulla? Non giova nulla la carne nel senso in cui costoro la intesero: essi la intesero nel senso della carne morta fatta a pezzi, come si vende al macello, non nel senso della carne vivificata dallo Spirito. E' detto che la carne non giova nulla, come è detto che la scienza gonfia. Dobbiamo allora odiare la scienza? Niente affatto! In che senso la scienza gonfia? Quando è sola, senza la carità. Infatti l'Apostolo aggiunge: mentre la carità edifica (1 Cor 8, 1)Alla scienza unisci la carità, e la scienza ti sarà utile, non da sé sola, ma a motivo della carità. Così anche in questo caso: la carne non giova nulla, cioè la carne da sola; se però, alla carne si unisce lo spirito, allo stesso modo che alla scienza si unisce la carità, allora gioverà moltissimo. Se, infatti, la carne non giovasse nulla, il Verbo non si sarebbe fatto carne, per abitare fra noi. Se tanto ci ha giovato il Cristo mediante la carne, come si può dire che la carne non giova nulla? Ma è lo Spirito che mediante la carne ha operato la nostra salvezza. La carne fu come il vaso: considera ciò che portava, non ciò che era. Sono stati mandati gli Apostoli: forse che la loro carne non ci ha giovato? E se ci ha giovato la carne degli Apostoli, poteva non giovarci la carne del Signore? Come è giunto a noi il suono della loro parola, se non mediante la voce della carne? E come ha potuto essere composta la Scrittura? Tutto ciò è opera della carne, guidata però, come suo strumento, dallo spirito. Elo Spirito - dunque - che vivifica, la carne non giova nulla, ma nel senso che quelli la intesero, non nel senso in cui io do da mangiare la mia carne.
[Amare l'unità.]
6. Perciò dice: Le parole che vi ho detto sono spirito e sono vita (Gv 6, 64). Abbiamo già detto, o fratelli, che cosa ci raccomanda il Signore nel darci a mangiare la sua carne e a bere il suo sangue: che noi dimoriamo in lui e lui in noi. Ora, noi dimoriamo in lui, se siamo le sue membra; egli dimora in noi, se siamo il suo tempio. E' l'unità che ci compagina facendoci diventare membra di Cristo Ma che cos'è che crea questa unità se non la carità? E la carità di Dio donde nasce? Domandalo all'Apostolo. La carità di Dio- egli risponde - è stata riversata nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato (Rm 5, 5). E' lo Spirito - dunque - che vivifica: lo Spirito, infatti, fa vivere le membra. Ma lo Spirito non fa vivere se non le membra che trova nel corpo che esso anima. Lo spirito che è in te, o uomo, lo spirito che ti fa essere uomo, fa vivere forse un membro che trova separato dal tuo corpo? Dico il tuo spirito per dire la tua anima: la tua anima fa vivere soltanto le membra che compongono il tuo corpo; se un membro viene amputato, non è più vivificato dalla tua anima, perché non appartiene più all'unità del tuo corpo. Queste considerazioni devono ispirarci amore per l'unità e orrore per la separazione. Niente deve temere un cristiano, quanto l'essere separato dal corpo di Cristo. Chi infatti si separa dal corpo di Cristo, non è più suo membro; se non è suo membro, non può essere animato dal suo Spirito. Che se qualcuno - dice l'Apostolo - non possiede lo Spirito di Cristo, non gli appartiene (Rm 8, 9). E' lo Spirito - dunque - che vivifica, la carne non giova nulla. Le parole che io vi ho dette sono spirito e vita. Che significa sono spirito e vita? Significa che devono essere intese in senso spirituale. Tu le hai intese in senso spirituale? Allora sono spirito e vita. Le hai intese in senso materiale? Esse sono sempre spirito e vita, ma non lo sono per te.
[La fede ci unisce a Dio, l'intelligenza ci fa vivere di lui.]
7. Ma vi sono tra voi alcuni che non credono (Gv 6, 65). Non dice: Vi sono tra voi alcuni che non capiscono; ma, spiegando il motivo per cui non capiscono, dice: Vi sono tra voi alcuni che non credono; ecco perché non capiscono: perché non credono. Il profeta disse: Se non crederete, non capirete (Is 7, 9 sec LXX). Per mezzo della fede ci uniamo a lui, per mezzo dell'intelligenza veniamo vivificati. Prima uniamoci a lui per mezzo della fede, per essere poi vivificati per mezzo dell'intelligenza. Chi non si unisce al Signore, gli oppone resistenza e chi gli oppone resistenza non crede. E come può essere vivificato colui che resiste al Signore? Egli volta le spalle al raggio della luce che dovrebbe illuminarlo: non distoglie lo sguardo, ma chiude la sua mente. Vi sono - dunque - alcuni che non credono. Credano e si aprano; si aprano e saranno illuminati. Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che credevano, e chi lo avrebbe tradito (Gv 6, 65)Era presente anche Giuda. Alcuni si scandalizzarono; Giuda rimase, non col desiderio d'intendere le parole del Signore ma col proposito di tendergli insidie. E siccome era rimasto, il Signore fece un'allusione a lui. Non fece il suo nome, ma neppure tacque, affinché tutti fossero presi da timore, sebbene uno solo di essi sarebbe andato perduto. Dopo aver parlato così e aver fatto la distinzione tra i credenti e i non credenti, spiegò anche il motivo per cui uno non crede: Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio (Gv 6, 66). Credere, dunque, è un dono; credere non è una cosa da poco. Se credere è una grande cosa, rallegrati se sei credente, ma non insuperbirti: che cosa hai infatti, che tu non abbia ricevuto? (1 Cor 4, 7).
8. Da allora molti dei suoi discepoli si ritrassero indietro, e non andavano più con lui (Gv 6, 67). Si ritrassero indietro, ma dietro a Satana, non dietro a Cristo. Una volta, infatti, Cristo Signore chiamò Pietro Satana, più che altro perché voleva precedere il suo Signore, e consigliare a non morire colui che era venuto per morire affinché noi fossimo liberati dalla morte eterna; e gli disse: Indietro, Satana! tu non hai il senso delle cose di Dio, ma di quelle degli uomini (Mt 16, 23). Non lo respinse, mandandolo dietro a Satana; ma, dopo averlo chiamato "Satana", lo fece venire dietro di sé affinché, camminando dietro al Signore, Pietro cessasse di essere Satana. Quelli invece si tirarono indietro nel senso che dice l'Apostolo di certe donne: Alcune si sono fuorviate dietro a Satana (1 Tim 5, 15)Non lo seguirono più. Essendosi staccati dal corpo, perdettero la vita, perché probabilmente non avevano mai fatto parte del corpo. Dobbiamo metterli nel numero di coloro che non credevano, sebbene si chiamassero discepoli. Quelli che si ritirarono non erano pochi, ma molti. Ciò avvenne forse a nostra consolazione: può accadere, infatti, che uno dica la verità e non sia capito, e che, anzi, quelli che lo ascoltano se ne vadano scandalizzati. Quest'uomo potrebbe pentirsi d'aver detto la verità: Non avrei dovuto parlare così, non avrei dovuto dire queste cose. Al Signore accadde questo: parlò e perdette molti discepoli, e rimase con pochi. Ma egli non si turbò perché fin da principio sapeva chi avrebbe creduto e chi no. Se a noi capita qualcosa di simile, rimaniamo turbati. Troviamo consolazione nel Signore, senza tuttavia dispensarci dalla prudenza nel parlare.
[Pietro è l'unità rispetto all'universalità.]
9. Il Signore si rivolge a quei pochi che erano rimasti: Disse allora Gesù ai dodici - cioè a quei dodici che erano rimasti -: Volete andarvene anche voi? Non se ne andò nessuno, neppure Giuda. Il motivo per cui Giuda rimase, era già chiaro al Signore, e più tardi lo fu anche per noi. Pietro rispose per tutti, uno per molti, l'unità per l'universalità: Gli rispose Simon Pietro: Signore, a chi andremo? Se ci scacci da te, dacci un altro simile a te. A chi andremo? Se ci allontaniamo da te, a chi andremo? Tu hai parole di vita eterna.Vedete come Pietro, per grazia di Dio, per ispirazione dello Spirito Santo, ha capito? Perché ha capito? Perché ha creduto. Tu hai parole di vita eterna. Tu ci dai la vita eterna offrendoci il tuo corpo e il tuo sangue. E noi abbiamo creduto e conosciuto. Non dice: abbiamo conosciuto e creduto, ma abbiamo creduto e conosciuto. Abbiamo creduto per poter conoscere; se, infatti, avessimo voluto conoscere prima di credere, non saremmo riusciti né a conoscere né a credere. Che cosa abbiamo creduto e che cosa abbiamo conosciuto? Che tu sei il Cristo Figlio di Dio (Gv 6, 68-70)cioè che tu sei la stessa vita eterna, e nella carne e nel sangue ci dai ciò che tu stesso sei.
10. Disse allora il Signore Gesù: Non vi ho forse scelto io, voi Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo! (Gv 6, 71). Forse ci saremmo aspettati che dicesse: Ho scelto voi undici. Si può forse scegliere anche un diavolo? E tra gli eletti ci può essere un diavolo? Di solito si dice eletto in senso positivo: forse anche Giuda è stato eletto per essere utilizzato, senza che lo volesse e lo sapesse, per uno scopo buono? Questo è secondo lo stile di Dio, il quale agisce in maniera contraria ai malvagi: là dove infatti i malvagi utilizzano male i doni di Dio, Dio, al contrario, utilizza a fine di bene le cattive azioni dei malvagi. Quale armonia, il fatto che le membra siano disposte nel modo voluto dall'artefice divino! Tuttavia quale cattivo uso fa degli occhi l'insolente! Come usa male la lingua il bugiardo! Il falso testimone con la sua lingua non sopprime forse la sua anima, prima di attentare a quella degli altri? Si può usare male la lingua, ma non per questo la lingua è un male: la lingua è opera di Dio, è il malvagio che usa male l'opera di Dio che è buona. Che uso fanno dei piedi coloro che corrono a compiere delitti? Che uso fanno delle mani gli omicidi? Tutti gli empi fanno un cattivo uso delle creature buone con cui Dio si circonda. Si servono dell'oro per corrompere la giustizia e opprimere gli innocenti. I malvagi usano in modo perverso di questa luce; infatti essi, vivendo male, profanano la stessa luce per la quale possono vedere, mettendola al servizio delle loro scelleratezze. Il malvagio che va a compiere un delitto cerca la luce per non cadere, lui che di dentro è già inciampato e caduto: ciò che teme per il corpo è già accaduto nel cuore. Il malvagio dunque, per non dilungarci troppo nei particolari, può abusare di tutti i doni di Dio, mentre chi è buono, volge al bene anche le cattive azioni dei malvagi. E chi è più buono di Dio? A proposito una volta il Signore ha detto: Solo Dio è buono (Mc 10, 18)Nessuno meglio di lui, quindi, sa utilizzare anche i nostri mali. E chi è peggiore di Giuda? Tra tutti i seguaci del Maestro, tra i dodici Apostoli, a lui era stata affidata la borsa e l'incarico di provvedere ai poveri: ingrato per tanto privilegio e per tanto onore, accettò il denaro e perdette la giustizia, tradì la vita, egli che era già morto; perseguitò, da nemico, colui che aveva seguito come discepolo. Certo tutto questo è opera malvagia di Giuda; ma il Signore seppe utilizzare anche la sua malvagità. Sopportò il tradimento per redimerci. Ecco come il delitto di Giuda fu convertito in un bene. Quanti martiri Satana perseguitò! Se Satana avesse smesso di perseguitare, oggi non celebreremmo il glorioso martirio di san Lorenzo. Se dunque Dio sa utilizzare anche le azioni del diavolo, il male che un malvagio compie abusando dei doni di Dio, nuoce a lui, ma non pregiudica la bontà di Dio. Dio lo utilizza: che se, da quel sapiente artefice che è, non sapesse utilizzarlo, non lo permetterebbe. Dunqueuno di voi è un diavolo, dice il Signore, pur essendo stato io a scegliere voi dodici. Si può anche scorgere nelle parole ho scelto voi dodici un riferimento al sacro significato di quel numero. Il numero dodici non fu disonorato dal fatto che uno si perdette, perché al posto di quello che si perdette, subentrò un altro (cf. At 1, 26). Il dodici, questo numero sacro, è rimasto intatto, perché in tutto il mondo, cioè ai quattro punti cardinali, gli Apostoli avrebbero annunziato la Trinità. Tre per quattro fanno dodici. Giuda si è perduto senza profanare il numero dodici: egli ha abbandonato il Maestro, ma Dio lo ha sostituito.
[Partecipazione spirituale.]
11. Questo è quanto il Signore ci ha detto del suo corpo e del suo sangue. Ci ha promesso la vita eterna attraverso la partecipazione a questo dono. Perciò ha voluto farci intendere che davvero mangiano la sua carne e bevono il suo sangue coloro che rimangono in lui e nei quali egli rimane. Questo non capirono coloro che non credettero in lui e che, intendendo in senso carnale le cose spirituali, si scandalizzarono. E mentre questi si scandalizzavano e si perdevano, il Signore incoraggiò i discepoli che erano rimasti con lui, ai quali, come per provarli, domandò: Volete andarvene anche voi? (Gv 6, 68). Egli fece questa domanda affinché noi potessimo conoscere, attraverso la risposta, la loro fedeltà. Egli infatti sapeva benissimo che sarebbero rimasti. Tutto ciò dunque, o dilettissimi, ci serva di lezione, affinché non abbiamo a mangiare la carne e a bere il sangue di Cristo solo sacramentalmente, come fanno anche tanti cattivi cristiani; ma affinché lo mangiamo e lo beviamo in modo da giungere alla partecipazione del suo Spirito e da rimanere nel corpo senza scandalizzarci se molti di coloro che con noi mangiano e bevono la carne e il sangue, ma solo esteriormente, saranno alla fine condannati ai tormenti eterni. Al presente il corpo di Cristo non è ancora purificato, come il grano sull'aia; ma il Signore sa chi sono i suoi (cf. 2 Tim 2, 19). Quando batti il grano, tu sai che la massa dei chicchi sta nascosta e che la battitura non distrugge ciò che il ventilabro deve purificare; così siamo sicuri, o fratelli, che quanti siamo nel corpo del Signore, e rimaniamo in lui in modo che anch'egli rimanga in noi, dovremo, in questo mondo e sino alla fine, vivere in mezzo agli iniqui. E non parlo degli iniqui che bestemmiano Cristo; poiché ormai non sono molti quelli che lo bestemmiano con la lingua, ma sono molti quelli che lo bestemmiano con la vita. E' necessario dunque che viviamo in mezzo a loro sino alla fine.
12. Ma cosa voleva significare la frase: egli dimora in me e io in lui (Gv 6, 56; 15, 5)se non ciò di cui hanno tenuto conto i martiri: Chi avrà perseverato sino alla fine, questo sarà salvo (Mt 24, 13)In che modo san Lorenzo, di cui oggi celebriamo la festa, rimase in lui? Vi rimase fino alla prova, fino all'interrogatorio del tiranno, fino alla crudelissima minaccia, vi rimase fino al martirio; di più, fino al terribile rogo. Infatti non fu ucciso subito, ma fu torturato col fuoco; gli fu concesso di vivere più a lungo; o meglio, non gli fu concesso di vivere più a lungo, ma fu condannato a morire più lentamente. Ora, in quella lenta morte, in quei tormenti, siccome aveva mangiato e bevuto al banchetto eucaristico, saziato di quel cibo e inebriato di quel calice, non sentì i tormenti. Era presente in lui chi ha detto: E' lo Spirito che vivifica (Gv 6, 64). La carne ardeva, ma lo Spirito vivificava l'anima. Non venne meno, e così fece il suo ingresso nel Regno. Il santo martire Sisto, di cui abbiamo celebrato la festa cinque giorni fa, gli aveva detto: "Non affliggerti, figlio". Sisto era vescovo e Lorenzo diacono. "Non affliggerti, mi seguirai fra tre giorni". Tre giorni sono il tempo che intercorre tra il martirio di san Sisto e il martirio di san Lorenzo, che oggi celebriamo. Tre giorni separano i due martiri. O consolazione! Non gli disse Sisto: non affliggerti, figlio, finirà la persecuzione e tu sarai salvo. Gli disse: non affliggerti; tu mi seguirai dove io ti precedo; e mi seguirai senza dover attendere: ancora tre giorni e sarai con me. Lorenzo accolse la profezia, vinse il diavolo e pervenne al trionfo.