domenica 30 settembre 2012

Dammi i tuoi peccati!



Oggi 30 SETTEMBRE abbiamo celebriamo la memoria di
SAN GIROLAMO 
Sacerdote e dottore della Chiesa
(340-420)


«Ama la Sacra Scrittura e la saggezza ti amerà; amala teneramente, ed essa ti custodirà; onorala e riceverai le sue carezze. Che essa sia per te come le tue collane e i tuoi orecchini».
San Girolamo Ep. 130,20



Nato a Stridone (probabilmente presso Aquileia), si procurò una eccellente istruzione a Roma, che completò lungo tutta la vita, anche in numerosi viaggi nei quali incontrò e strinse amicizia con alcuni fra i più famosi e colti Padri orientali. Battezzato a 25 anni, sacerdote a 38, Girolamo sembrava impastato di opposti: temperamento di fuoco intriso di lacrime, era suscettibile ma leale, austero e appassionato, sferzante e tenero, precipitoso e retto; viveva di digiuno, di lavoro, di preghiera, di veglie. Queste doti, l’enorme erudizione, le cinque lingue che padroneggiava, l’amore a Cristo e alla Chiesa, ne fecero uno scrittore di prim’ordine, il migliore dei Padri latini. Lottò tutta la vita a dominare se stesso; la sua virtù maschia e la sua pietà furono contagiose: trasse molte grandi anime a seguire Cristo da vicino.
Il primo periodo della sua vita fu una lunga serie di viaggi in Occidente e in Oriente, di esperienze di vita monastica, di penitenze, di studi, e si chiuse a Roma dove divenne segretario di papa Damaso, che lo incaricò di preparare una completa Bibbia in latino, rivedendo traduzioni anteriori, o facendone delle nuove. Il secondo periodo, dopo la morte del papa (385) e una più breve serie di viaggi in Oriente, lo vide a Betlemme, tutto dedito alla sacra Scrittura: a tradurre, a commentare.
Usava il tempo libero per dirigere un gruppo femminile che aveva iniziato all’ascesi a Roma e che l’aveva seguito in Terrasanta. Visse a Betlemme con lo spirito del Calvario, congiungendo tenerezza per Gesù bambino e per Maria con lo spasimo per il crocifisso. La vastissima produzione letteraria e la competenza biblica, lo pongono fra i maggiori dottori della Chiesa latina, patrono dei biblisti.

«E’ necessario che tutta la predicazione ecclesiastica come la stessa religione cristiana sia nutrita e regolata dalla Sacra Scrittura» (DV 21). Questo voto del Concilio sta diventando consolante realtà. Il nuovo abbondante Lezionario della Messa e della Liturgia delle ore è destinato a recare frutti abbondanti alla Chiesa. San Girolamo ci persuada che «ignorare le Scritture è ignorare Cristo» (cf DV 25).

Tracce di lettura
Ora ti domando, carissimo fratello, se non ti pare di abitare, già qui sulla terra, nel regno dei cieli, quando si vive fra i testi della Scrittura, li si medita, non si conosce o non si cerca di conoscere nessun'altra cosa.
Non vorrei che ti fosse di danno, nella sacra Scrittura, la semplicità e - vorrei dire - la banalità delle parole. Può essere che questa stesura dipenda da difetto d'interpretazione, oppure che sia stata fatta appositamente per renderne più facile la comprensione al pubblico, per far sì che in un'unica e medesima frase, tanto l'uomo di cultura quanto l'ignorante potessero coglierne il senso secondo la propria capacità.
Da parte mia non sono così superficiale e stupido da farmi passare per uno che tutte queste cose le conosce, o che vuol cogliere in terra i frutti di quelle radici che sono piantate in cielo. Confesso però che ne ho il desiderio e che ho pure voglia di impegnarmi con tutte le mie forze per intraprendere il cammino verso tale meta.
(Girolamo, Lettera 53,10)

L'ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo
Dal «Prologo al commento del Profeta Isaia» di san Girolamo, sacerdote
(Nn. 1. 2; CCL 73, 1-3)

Adempio al mio dovere, ubbidendo al comando di Cristo: «Scrutate le Scritture» (Gv 5, 39), e: «Cercate e troverete» (Mt 7, 7), per non sentirmi dire come ai Giudei: «Voi vi ingannate, non conoscendo né le Scritture, né la potenza di Dio» (Mt 22, 29). Se, infatti, al dire dell'apostolo Paolo, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio, colui che non conosce le Scritture, non conosce la potenza di Dio, né la sua sapienza.Ignorare le Scritture significa ignorare Cristo.
Perciò voglio imitare il padre di famiglia, che dal suo tesoro sa trarre cose nuove e vecchie, e così anche la Sposa, che nel Cantico dei Cantici dice: O mio diletto, ho serbato per te il nuovo e il vecchio (cfr. Ct 7, 14 volg.). Intendo perciò esporre il profeta Isaia in modo da presentarlo non solo come profeta, ma anche come evangelista e apostolo. Egli infatti ha detto anche di sé quello che dice degli altri evangelisti: «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi, che annunzia la pace» (Is 52, 7). E Dio rivolge a lui, come a un apostolo, la domanda: Chi manderò, e chi andrà da questo popolo? Ed egli risponde: Eccomi, manda me (cfr. Is 6, 8).
Ma nessuno creda che io voglia esaurire in poche parole l'argomento di questo libro della Scrittura che contiene tutti i misteri del Signore. Effettivamente nel libro di Isaia troviamo che il Signore viene predetto come l'Emmanuele nato dalla Vergine, come autore di miracoli e di segni grandiosi, come morto e sepolto, risorto dagli inferi e salvatore di tutte le genti. Che dirò della sua dottrina sulla fisica, sull'etica e sulla logica? Tutto ciò che riguarda le Sacre Scritture, tutto ciò che la lingua può esprimere e l'intelligenza dei mortali può comprendere, si trova racchiuso in questo volume. Della profondità di tali ministeri dà testimonianza lo stesso autore quando scrive: «Per voi ogni visione sarà come le parole di un libro sigillato: si dà a uno che sappia leggere, dicendogli: Leggio. Ma quegli risponde: Non posso, perché è sigillato. Oppure si dà il libro a chi non sa leggere, dicendogli: Leggio, ma quegli risponde: Non so leggere» (Is 29, 11-12).
(Si tratta dunque di misteri che, come tali, restano chiusi e incomprensibili ai profani, ma aperti e chiari ai profeti. Se perciò dai il libro di Isaia ai pagani, ignari dei libri ispirati, ti diranno: Non so leggerlo, perché non ho imparato a leggere i testi delle Scritture. I profeti però sapevano quello che dicevano e lo comprendevano). Leggiamo infatti in san Paolo: «Le ispirazioni dei profeti devono essere sottomesse ai profeti» (1 Cor 14, 32), perché sia in loro facoltà di tacere o di parlare secondo l'occorrenza.
I profeti, dunque, comprendevano quello che dicevano, per questo tutte le loro parole sono piene di sapienza e di ragionevolezza. Alle loro orecchie non arrivavano soltanto le vibrazioni della voce, ma la stessa parola di Dio che parlava nel loro animo. Lo afferma qualcuno di loro con espressioni come queste: L'angelo parlava in me (cfr. Zc 1, 9), e: (lo Spirito) «grida nei nostri cuori: Abbà, Padre» (Gal 4, 6), e ancora: «Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore» (Sal 84, 9).

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Quando i pittori di arte sacra del XV e XVI secolo hanno vo­luto raffigurare la fede militante, hanno spesso fatto ricorso a un evento insolito della vita di san Girolamo. Molti musei e an­che alcune chiese ne hanno conservato il ricordo. Ben prima di diventare un sapiente e stimato esegeta, bril­lante consigliere di nobildonne dell'alta società romana, Girola­mo aveva tentato per un periodo di vivere da eremita in una grotta del deserto di Giuda. Con la presunzione tipica dell'età, il giovane Girolamo si era dedicato con ardore alle molteplici forme di ascesi allora in uso tra i monaci. Ma i risultati si face­vano attendere: il tempo gli avrebbe fatto presto capire che la sua vera vocazione era altrove nella chiesa e che il suo soggior­no tra i monaci della Palestina ne costituiva solo il preludio. Tuttavia Girolamo doveva ancora imparare molte cose e in­tanto, da giovane novizio, si trovava immerso nella disperazio­ne: nonostante tutti i suoi sforzi generosi, non riceveva alcuna risposta dal cielo. Andava alla deriva, senza timone, in mezzo a tempeste interiori, al punto che le vecchie tentazioni, già così familiari, non tardarono a rialzare la cresta. Girolamo era sco­raggiato: cosa aveva fatto di male? Dov'era la causa di questo cortocircuito tra Dio e lui? Come ristabilire il contatto con la grazia? Mentre Girolamo si arrovellava il cervello, notò all'improv­viso un crocifisso che era comparso tra i rami secchi di un albe­ro. Girolamo si gettò a terra e si percosse il petto con gesto so­lenne e vigoroso. E’ in questa posizione umile e supplicante che lo raffigura la maggior parte dei pittori. Subito Gesù rompe il silenzio e si rivolge a Girolamo dall'al­to della croce: "Girolamo - gli dice - cos'hai da darmi? Cosa ri­ceverò da te?". La semplice voce di Gesù basta già a ridare coraggio a Giro­lamo che si mette subito a pensare a qualche regalo da poter of­frire all'amico crocifisso. "La solitudine nella quale mi dibatto, Signore", gli risponde. "Ottimo, Girolamo - replica Gesù - ti ringrazio. Hai fatto dav­vero del tuo meglio. Ma non hai qualcosa di più da offrirmi?". Girolamo non esita un attimo. Certo che aveva un sacco di cose da offrire a Gesù: "Naturalmente, Signore: i miei digiuni, la fame, la sete. Mangio solo al tramonto del sole!". Di nuovo Gesù risponde: "Ottimo, Girolamo, ti ringrazio. Lo so, hai fatto del tuo meglio. Ma hai ancora qualcos'altro da darmi?". Girolamo ripensa a cosa potrebbe ancora offrire a Gesù. Ec­co allora che ricorda le veglie, la lunga recita dei salmi, lo studio assiduo, giorno e notte, della Bibbia, il celibato nel quale si im­pegnava con più o meno successo, la mancanza di comodità, la povertà, gli ospiti più imprevisti che si sforzava di accogliere senza brontolate e con una faccia non troppo burbera, infine il caldo di giorno e il freddo di notte. Ad ogni offerta, Gesù si complimenta e lo ringrazia. Lo sape­va da tempo: Girolamo ci tiene così tanto a fare del suo meglio! Ma ad ogni offerta, Gesù, con un sorriso astuto sulle labbra, lo incalza ancora e gli chiede: "Girolamo, hai qualcos'altro da darmi?". Alla fine, dopo che Girolamo ha enumerato tutte le opere buo­ne che ricorda e siccome Gesù gli pone per l'ennesima volta la stessa domanda, un po' scoraggiato e non sapendo più a che santo votarsi, finisce per balbettare: "Signore, ti ho già dato tutto, non mi resta davvero più niente!". Allora un grande silenzio piomba nella grotta e fino alle estre­mità del deserto di Giuda e Gesù replica un'ultima volta: "Si, Girolamo, hai dimenticato una cosa: dammi i tuoi pecca­ti, perchè possa perdonarteli!".

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Di seguito il testo delle catechesi che il Santo Padre ha dedicato alla figura di questo grande Padre della Chiesa.

BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 7 novembre 2007
San Girolamo
I: Vita e scritti
Cari fratelli e sorelle,
fermeremo oggi la nostra attenzione su san Girolamo, un Padre della Chiesa che ha posto al centro della sua vita la Bibbia: l’ha tradotta nella lingua latina, l’ha commentata nelle sue opere e soprattutto si è impegnato a viverla concretamente nella sua lunga esistenza terrena, nonostante il ben noto carattere difficile e focoso ricevuto dalla natura.
Girolamo nacque a Stridone verso il 347 da una famiglia cristiana, che gli assicurò un’accurata formazione, inviandolo anche a Roma a perfezionare i suoi studi. Da giovane sentì l’attrattiva della vita mondana (cfr Ep. 22,7), ma prevalse in lui il desiderio e l’interesse per la religione cristiana. Ricevuto il Battesimo verso il 366, si orientò alla vita ascetica e, recatosi ad Aquileia, si inserì in un gruppo di ferventi cristiani, da lui definito quasi «un coro di beati» (Cronaca dell’anno 374), riunito attorno al Vescovo Valeriano. Partì poi per l’Oriente e visse da eremita nel deserto di Calcide, a sud di Aleppo (cfr Ep. 14,10), dedicandosi seriamente agli studi. Perfezionò la sua conoscenza del greco, iniziò lo studio dell’ebraico (cfr Ep. 125,12), trascrisse codici e opere patristiche (cfrEp. 5,2). La meditazione, la solitudine, il contatto con la Parola di Dio fecero maturare la sua sensibilità cristiana. Sentì più pungente il peso dei trascorsi giovanili (cfr Ep. 22,7) e avvertì vivamente il contrasto tra mentalità pagana e vita cristiana: un contrasto reso celebre dalla drammatica e vivace «visione», della quale egli ci ha lasciato il racconto. In essa gli sembrò di essere flagellato al cospetto di Dio, perché «ciceroniano e non cristiano» (cfr Ep. 22,30).
Nel 382 si trasferì a Roma: qui il Papa Damaso, conoscendo la sua fama di asceta e la sua competenza di studioso, lo assunse come segretario e consigliere; lo incoraggiò a intraprendere una nuova traduzione latina dei testi biblici per motivi pastorali e culturali. Alcune persone dell’aristocrazia romana, soprattutto nobildonne come Paola, Marcella, Asella, Lea ed altre, desiderose di impegnarsi sulla via della perfezione cristiana e di approfondire la conoscenza della Parola di Dio, lo scelsero come loro guida spirituale e maestro nell’approccio metodico ai testi sacri. Queste nobili donne impararono anche il greco e l’ebraico.
Dopo la morte di Papa Damaso, Girolamo lasciò Roma nel 385 e intraprese un pellegrinaggio, dapprima in Terra Santa, silenziosa testimone della vita terrena di Cristo, poi in Egitto, terra di elezione di molti monaci (cfr Contro Rufino 3,22;Ep. 108,6-14). Nel 386 si fermò a Betlemme, dove, per la generosità della nobildonna Paola, furono costruiti un monastero maschile, uno femminile e un ospizio per i pellegrini che si recavano in Terra Santa, «pensando che Maria e Giuseppe non avevano trovato dove sostare» (Ep. 108,14). A Betlemme restò fino alla morte, continuando a svolgere un’intensa attività: commentò la Parola di Dio; difese la fede, opponendosi vigorosamente a varie eresie; esortò i monaci alla perfezione; insegnò la cultura classica e cristiana a giovani allievi; accolse con animo pastorale i pellegrini che visitavano la Terra Santa. Si spense nella sua cella, vicino alla grotta della Natività, il 30 settembre 419/420.
La preparazione letteraria e la vasta erudizione consentirono a Girolamo la revisione e la traduzione di molti testi biblici: un prezioso lavoro per la Chiesa latina e per la cultura occidentale. Sulla base dei testi originali in ebraico e in greco e grazie al confronto con precedenti versioni, egli attuò la revisione dei quattro Vangeli in lingua latina, poi del Salterio e di gran parte dell’Antico Testamento. Tenendo conto dell’originale ebraico e greco, dei Settanta, la classica versione greca dell’Antico Testamento risalente al tempo precristiano, e delle precedenti versioni latine, Girolamo, affiancato poi da altri collaboratori, poté offrire una traduzione migliore: essa costituisce la cosiddetta Vulgata, il testo «ufficiale» della Chiesa latina, che è stato riconosciuto come tale dal Concilio di Trento e che, dopo la recente revisione, rimane il testo «ufficiale» della Chiesa di lingua latina. E’ interessante rilevare i criteri a cui il grande biblista si attenne nella sua opera di traduttore. Li rivela egli stesso, quando afferma di rispettare perfino l’ordine delle parole delle Sacre Scritture, perché in esse, dice, «anche l’ordine delle parole è un mistero» (Ep. 57,5), cioè una rivelazioneRibadisce inoltre la necessità di ricorrere ai testi originali: «Qualora sorgesse una discussione tra i Latini sul Nuovo Testamento, per le lezioni discordanti dei manoscritti, ricorriamo all’originale, cioè al testo greco, in cui è stato scritto il Nuovo Patto. Allo stesso modo per l’Antico Testamento, se vi sono divergenze tra i testi greci e latini, ci appelliamo al testo originale, l’ebraico; così tutto quello che scaturisce dalla sorgente, lo possiamo ritrovare nei ruscelli» (Ep.106,2). Girolamo, inoltre, commentò anche parecchi testi biblici. Per lui i commentari devono offrire molteplici opinioni, «in modo che il lettore avveduto, dopo aver letto le diverse spiegazioni e dopo aver conosciuto molteplici pareri – da accettare o da respingere –, giudichi quale sia il più attendibile e, come un esperto cambiavalute, rifiuti la moneta falsa» (Contro Rufino 1,16).
Confutò con energia e vivacità gli eretici che contestavano la tradizione e la fede della Chiesa. Dimostrò anche l’importanza e la validità della letteratura cristiana, divenuta una vera cultura ormai degna di essere messa a confronto con quella classica: lo fece componendo il De viris illustribus(Gli uomini illustri),un’opera in cui Girolamo presenta le biografie di oltre un centinaio di autori cristiani. Scrisse pure biografie di monaci, illustrando accanto ad altri itinerari spirituali anche l’ideale monastico; inoltre tradusse varie opere di autori greci. Infine nell’importante Epistolario, un capolavoro della letteratura latina, Girolamo emerge con le sue caratteristiche di uomo colto, di asceta e di guida delle anime.
Che cosa possiamo imparare noi da san Girolamo? Mi sembra soprattutto questo: amare la Parola di Dio nella Sacra Scrittura. Dice san Girolamo: «Ignorare le Scritture è ignorare Cristo» (Commento ad Isaia, prol.). Perciò è importante che ogni cristiano viva in contatto e in dialogo personale con la Parola di Dio, donataci nella Sacra Scrittura. Questo nostro dialogo con essa deve sempre avere due dimensioni: da una parte, dev’essere un dialogo realmente personale, perché Dio parla con ognuno di noi tramite la Sacra Scrittura e ha un messaggio per ciascuno. Dobbiamo leggere la Sacra Scrittura non come parola del passato, ma come Parola di Dio, che si rivolge anche a noi, e cercare di capire che cosa il Signore voglia dire a noi. Ma per non cadere nell’individualismo dobbiamo tener presente che la Parola di Dio ci è data proprio per costruire comunione, per unirci nella verità nel nostro cammino verso Dio. Quindi essa, pur essendo sempre una Parola personale, è anche una Parola che costruisce comunità, che costruisce la Chiesa. Perciò dobbiamo leggerla in comunione con la Chiesa viva. Il luogo privilegiato della lettura e dell’ascolto della Parola di Dio è la Liturgia, nella quale, celebrando la Parola e rendendo presente nel Sacramento il Corpo di Cristo, attualizziamo la Parola nella nostra vita e la rendiamo presente tra noi. Non dobbiamo mai dimenticare che la Parola di Dio trascende i tempi. Le opinioni umane vengono e vanno. Quanto è oggi modernissimo, domani sarà vecchissimo. La Parola di Dio, invece, è Parola di vita eterna, porta in sé l’eternità, ciò che vale per sempre. Portando in noi la Parola di Dio, portiamo dunque in noi l’eterno, la vita eterna.
E così concludo con una parola di san Girolamo a san Paolino di Nola. In essa il grande Esegeta esprime proprio questa realtà, che cioè nella Parola di Dio riceviamo l’eternità, la vita eterna. Dice san Girolamo: «Cerchiamo di imparare sulla terra quelle verità, la cui consistenza persisterà anche nel cielo» (Ep.53,10).

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BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 14 novembre 2007
San Girolamo
II: La dottrina
Cari fratelli e sorelle,
continuiamo oggi la presentazione della figura di san Girolamo. Come abbiamo detto mercoledì scorso, egli dedicò la sua vita allo studio della Bibbia, tanto che fu riconosciuto da un mio Predecessore, il Papa Benedetto XV, come «dottore eminente nell’interpretazione delle Sacre Scritture». Girolamo sottolineava la gioia e l’importanza di familiarizzarsi con i testi biblici: «Non ti sembra di abitare – già qui, sulla terra – nel regno dei cieli, quando si vive fra questi testi, quando li si medita, quando non si conosce e non si cerca nient’altro?» (Ep. 53,10). In realtà, dialogare con Dio, con la sua Parola, è in un certo senso presenza del cielo, cioè presenza di Dio. Accostare i testi biblici, soprattutto il Nuovo Testamento, è essenziale per il credente, perché «ignorare la Scrittura è ignorare Cristo» (Commento ad Isaia, prol.). E’ sua questa celebre frase, citata anche dal Concilio Vaticano II nella Costituzione Dei Verbum (n. 25).
Veramente «innamorato» della Parola di Dio, egli si domandava: «Come si potrebbe vivere senza la scienza delle Scritture, attraverso le quali si impara a conoscere Cristo stesso, che è la vita dei credenti?» (Ep. 30,7). La Bibbia, strumento «con cui ogni giorno Dio parla ai fedeli» (Ep. 133,13), diventa così stimolo e sorgente della vita cristiana per tutte le situazioni e per ogni persona. Leggere la Scrittura è conversare con Dio: «Se preghi – egli scrive a una nobile giovinetta di Roma –, tu parli con lo Sposo; se leggi, è Lui che ti parla» (Ep. 22,25). Lo studio e la meditazione della Scrittura rendono l’uomo saggio e sereno (cfr Commento alla Lettera agli Efesini, prol.). Certo, per penetrare sempre più profondamente la Parola di Dio è necessaria un’applicazione costante e progressiva. Così Girolamo raccomandava al sacerdote Nepoziano: «Leggi con molta frequenza le divine Scritture; anzi, che il Libro Santo non sia mai deposto dalle tue mani. Impara qui quello che tu devi insegnare» (Ep. 52,7). Alla matrona romana Leta dava questi consigli per l’educazione cristiana della figlia: «Assicurati che essa studi ogni giorno qualche passo della Scrittura ... Alla preghiera faccia seguire la lettura, e alla lettura la preghiera ... Che invece dei gioielli e dei vestiti di seta, essa ami i Libri divini» (Ep. 107,9.12). Con la meditazione e la scienza delle Scritture si «mantiene l’equilibrio dell’anima»(Commento alla Lettera agli Efesini, prol.). Solo un profondo spirito di preghiera e l’aiuto dello Spirito Santo possono introdurci alla comprensione della Bibbia: «Nell’interpretazione della Sacra Scrittura noi abbiamo sempre bisogno del soccorso dello Spirito Santo» (Commento a Michea 1,1,10,15).
Un appassionato amore per le Scritture pervase dunque tutta la vita di Girolamo, un amore che egli cercò sempre di destare anche nei fedeli. Raccomandava ad una sua figlia spirituale: «Ama la Sacra Scrittura e la saggezza ti amerà; amala teneramente, ed essa ti custodirà; onorala e riceverai le sue carezze. Che essa sia per te come le tue collane e i tuoi orecchini» (Ep. 130,20). E ancora: «Ama la scienza della Scrittura, e non amerai i vizi della carne» (Ep. 125,11).
Per Girolamo un fondamentale criterio di metodo nell’interpretazione delle Scritture era la sintonia con il Magistero della Chiesa. Non possiamo mai da soli leggere la Scrittura. Troviamo troppe porte chiuse e scivoliamo facilmente nell’errore. La Bibbia è stata scritta dal Popolo di Dio e per il Popolo di Dio, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo. Solo in questa comunione col Popolo di Dio possiamo realmente entrare con il «noi» nel nucleo della verità che Dio stesso ci vuol dire. Per il grande esegeta un’autentica interpretazione della Bibbia doveva essere sempre in armonica concordanza con la fede della Chiesa cattolica. Non si tratta di un’esigenza imposta a questo Libro dall’esterno; il Libro è proprio la voce del Popolo di Dio pellegrinante, e solo nella fede di questo Popolo siamo, per così dire, nella tonalità giusta per capire la Sacra Scrittura. Perciò Girolamo ammoniva un sacerdote: «Rimani fermamente attaccato alla dottrina tradizionale che ti è stata insegnata, affinché tu possa esortare secondo la sana dottrina e confutare coloro che la contraddicono» (Ep. 52,7). In particolare, dato che Gesù Cristo ha fondato la sua Chiesa su Pietro, ogni cristiano – egli concludeva – deve essere in comunione «con la Cattedra di san Pietro. Io so che su questa pietra è edificata la Chiesa» (Ep. 15,2). Conseguentemente, senza mezzi termini, dichiarava: «Io sono con chiunque sia unito alla Cattedra di san Pietro» (Ep. 16).
Girolamo ovviamente non trascura l’aspetto etico. Spesso, anzi, egli richiama il dovere di accordare la vita con la Parola divina: solo vivendola troviamo anche la capacità di capirla. Tale coerenza è indispensabile per ogni cristiano e particolarmente per il predicatore, affinché le sue azioni, quando fossero discordanti rispetto ai discorsi, non lo mettano in imbarazzo. Così esorta il sacerdote Nepoziano: «Le tue azioni non smentiscano le tue parole, perché non succeda che, quando tu predichi in chiesa, qualcuno nel suo intimo commenti: “Perché dunque proprio tu non agisci così?”. Carino davvero quel maestro che, a pancia piena, disquisisce sul digiuno; anche un ladro può biasimare l’avarizia; ma nel sacerdote di Cristo la mente e la parola si devono accordare» (Ep.52,7). In un’altra lettera Girolamo ribadisce: «Anche se possiede una dottrina splendida, resta svergognata quella persona che si sente condannare dalla propria coscienza» (Ep. 127,4). Sempre in tema di coerenza, egli osserva: il Vangelo deve tradursi in atteggiamenti di vera carità, perché in ogni essere umano è presente la Persona stessa di Cristo. Rivolgendosi, ad esempio, al presbitero Paolino (che divenne poi Vescovo di Nola e Santo), Girolamo così lo consiglia: «Il vero tempio di Cristo è l’anima del fedele: ornalo, questo santuario, abbelliscilo, deponi in esso le tue offerte e ricevi Cristo. A che scopo rivestire le pareti di pietre preziose, se Cristo muore di fame nella persona di un povero?» (Ep. 58,7). Girolamo concretizza: bisogna «vestire Cristo nei poveri, visitarlo nei sofferenti, nutrirlo negli affamati, alloggiarlo nei senza tetto» (Ep. 130,14). L’amore per Cristo, alimentato con lo studio e la meditazione, ci fa superare ogni difficoltà: «Amiamo anche noi Gesù Cristo, ricerchiamo sempre l’unione con Lui: allora ci sembrerà facile anche ciò che è difficile» (Ep. 22,40).
Girolamo, definito da Prospero di Aquitania «modello di condotta e maestro del genere umano» (Poesia sugli ingrati 57), ci ha lasciato anche un insegnamento ricco e vario sull’ascetismo cristiano. Egli ricorda che un coraggioso impegno verso la perfezione richiede una costante vigilanza, frequenti mortificazioni, anche se con moderazione e prudenza, un assiduo lavoro intellettuale o manuale per evitare l’ozio (cfr Epp. 125,11 e 130,15) e soprattutto l’obbedienza a Dio: «Nulla ... piace tanto a Dio quanto l’obbedienza..., che è la più eccelsa e l’unica virtù» (Omelia sull’obbedienza). Nel cammino ascetico può rientrare anche la pratica dei pellegrinaggi. In particolare, Girolamo diede impulso a quelli in Terra Santa, dove i pellegrini venivano accolti e ospitati negli edifici sorti accanto al monastero di Betlemme, grazie alla generosità della nobildonna Paola, figlia spirituale di Girolamo (cfr Ep. 108,14).
Non può essere taciuto, infine, l’apporto dato da Girolamo in materia di pedagogia cristiana (cfrEpp. 107 e 128). Egli si propone di formare «un’anima che deve diventare il tempio del Signore» (Ep. 107,4), una «preziosissima gemma» agli occhi di Dio (Ep. 107,13). Con profondo intuito egli consiglia di preservarla dal male e dalle occasioni peccaminose, di escludere amicizie equivoche o dissipanti (cfr Ep. 107,4 e 8-9; cfr anche Ep. 128,3-4). Soprattutto esorta i genitori perché creino un ambiente di serenità e di gioia intorno ai figli, li stimolino allo studio e al lavoro, anche con la lode e l’emulazione (cfr Epp. 107,4 e 128,1), li incoraggino a superare le difficoltà, favoriscano in loro le buone abitudini e li preservino dal prenderne di cattive, perché – e qui cita una frase di Publilio Siro sentita a scuola – «a stento riuscirai a correggerti di quelle cose a cui ti vai tranquillamente abituando» (Ep. 107,8). I genitori sono i principali educatori dei figli, i primi maestri di vita. Con molta chiarezza Girolamo, rivolgendosi alla madre di una ragazza ed accennando poi al padre, ammonisce, quasi esprimendo un’esigenza fondamentale di ogni creatura umana che si affaccia all’esistenza: «Essa trovi in te la sua maestra, e a te guardi con meraviglia la sua inesperta fanciullezza. Né in te, né in suo padre veda mai atteggiamenti che la portino al peccato, qualora siano imitati. Ricordatevi che... potete educarla più con l’esempio che con la parola» (Ep. 107,9). Tra le principali intuizioni di Girolamo come pedagogo si devono sottolineare l’importanza attribuita a una sana e integrale educazione fin dalla prima infanzia, la peculiare responsabilità riconosciuta ai genitori, l’urgenza di una seria formazione morale e religiosa, l’esigenza dello studio per una più completa formazione umana. Inoltre un aspetto abbastanza disatteso nei tempi antichi, ma ritenuto vitale dal nostro autore, è la promozione della donna, a cui riconosce il diritto ad una formazione completa: umana, scolastica, religiosa, professionale. E vediamo proprio oggi come l’educazione della personalità nella sua integralità, l’educazione alla responsabilità davanti a Dio e davanti all’uomo, sia la vera condizione di ogni progresso, di ogni pace, di ogni riconciliazione e di ogni esclusione della violenza. Educazione davanti a Dio e davanti all’uomo: è la Sacra Scrittura che ci offre la guida dell’educazione, e così del vero umanesimo.
Non possiamo concludere queste rapide annotazioni sul grande Padre della Chiesa senza far cenno all’efficace contributo da lui recato alla salvaguardia degli elementi positivi e validi delle antiche culture ebraica, greca e romana nella nascente civiltà cristiana. Girolamo ha riconosciuto ed assimilato i valori artistici, la ricchezza di pensiero e l’armonia delle immagini presenti nei classici, che educano il cuore e la fantasia a nobili sentimenti. Soprattutto, egli ha posto al centro della sua vita e della sua attività la Parola di Dio, che indica all’uomo i sentieri della vita, e gli rivela i segreti della santità. Di tutto questo non possiamo che essergli profondamente grati, proprio nel nostro oggi.
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Approfondimenti

Dal "Commento all'Ecclesiaste" di san Girolamo, sacerdote
(PL 23,1057-1059)
Cercate le cose di lassù




"Ogni uomo, a cui Dio concede ricchezze e beni, ha anche facoltà di goderli e prendersene la sua parte, e di godere delle sue fatiche: anche questo è dono di Dio. Egli non penserà infatti molto ai giorni della sua vita, poiché Dio lo tiene occupato con la gioia del suo cuore" (Qo 5,18-19). A paragone di colui che si nutre delle sue sostanze nel turbinio delle sue preoccupazioni e dei suoi affanni e, con grave peso e tedio della vita, accumula cose destinate poi a perire, il sapiente afferma che è migliore colui che gode di quanto gli sta davanti. In questo secondo caso, infatti, per quanto piccola, una certa soddisfazione c'è e precisamente nell'uso dei beni. Nel primo caso c'è solo un cumulo di fastidi. Il sapiente dimostra anche perché deve ritenersi un dono di Dio poter godere delle ricchezze affermando: "non penserà molto ai giorni della sua vita".
Certamente il Signore concede gioia al suo cuore: non sarà nella tristezza, non sarà tormentato dall'ansia, assorbito com'è dalla letizia e dal piacere presente. Ma è meglio, secondo l'Apostolo, scorgere il bene da godere non tanto nel cibo e nella bevanda materiale, ma nel nutrimento dello spirito concesso da Dio. C'è un bene nelle fatiche proprio perché solo attraverso fatiche e sforzi possiamo arrivare alla contemplazione dei veri beni. Ed è proprio ciò che dobbiamo fare: rallegrarci nelle nostre occupazioni ed attività. Quantunque però questo sia un bene, tuttavia "fino a che Cristo nostra vita non si sarà manifestato" (cfr. Col 3,4) non è ancora il bene completo.

Deve ritenersi veramente saggio colui che, istruito nelle divine Scritture, ha tutta la sua fatica sulle sue labbra e la sua brama non è mai sazia (cfr. Qo 6,7), dal momento che sempre desidera di imparare. In questo il savio si trova in condizione migliore dello stolto (cfr. Qo 6,8), perché, sentendosi povero (quel povero che è proclamato beato dal vangelo), si affretta ad abbracciare ciò che riguarda la vera vita, cammina sulla strada stretta e angusta che conduce alla vita ed è povero di opere malvage, e sa dove risiede Cristo, che è la vita.



Dall'"Omelia ai Neofiti sul salmo 41" di san Girolamo, sacerdote e dottore della Chiesa
(CCL 78,542-544)
Andrò nel luogo del mirabile tabernacolo




"Come la cerva anela ai corsi d'acqua, così l'anima mia anela a te, o Dio" (Sal 41,2). Dunque come quei cervi anelano ai corsi d'acqua, così anche i nostri cervi che, allontanandosi dall'Egitto e dal mondo, hanno ucciso il faraone nelle loro acque ed hanno sommerso il suo esercito nel battesimo, dopo l'uccisione del diavolo, anelano alle fonti della Chiesa, cioè al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo.
Che il Padre sia sorgente, è scritto nel profeta Geremia: "Hanno abbandonato me, sorgente di acqua viva, per scavarsi cisterne: screpolate che non tengono l'acqua" (Ger 2,13). Del Figlio poi leggiamo in un passo: "Hanno abbandonato la fonte della Sapienza" (Bar 3,12). Infine dello Spirito Santo si dice: "Chi beve dell'acqua, che io gli darò … (questa) diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna" (Gv 4,14). L'evangelista spiega il passo dicendo che questa parola del Signore si riferisce allo Spirito Santo. I testi citati provano chiarissimamente che il mistero della Trinità è la triplice fonte della Chiesa.

A questa fonte anela l'anima del credente, questa fonte brama l'anima del battezzato, dicendo: L'anima mia ha sete di Dio, fonte viva (cfr. Sal 41,3). Non ha desiderato infatti freddamente di vedere Dio, ma l'ha desiderato con tutta la brama, ne ha avuto una sete ardentissima. Prima di ricevere il battesimo parlavano tra loro e dicevano: "Quando verrò e vedrò il volto di Dio?" (Sal 41,3). Ecco, si è compiuto quello che domandavano; sono venuti e stanno in piedi dinanzi al volto di Dio e si son presentati davanti all'altare e al mistero del Salvatore.

Ammessi a ricevere il Corpo di Cristo e rinati nella sorgente della vita, parlano fiduciosamente e dicono: Mi avanzerò nel luogo del tabernacolo mirabile, fino alla casa di Dio (cfr. Sal 41,5 volg.). La casa di Dio è la Chiesa, questo è il tabernacolo mirabile, perché in esso si trova "la voce della letizia e della lode e il canto di quanti siedono al convito".
Voi che vi siete rivestiti di Cristo e, seguendola nostra guida, mediante la parola di Dio siete stati tratti come pesciolini all'amo fuori dei gorghi di questo mondo, dite dunque: In noi e mutata la natura delle cose. Infatti i pesci, che sono estratti dal mare, muoiono. Gli apostoli invece ci hanno estratti dal mare di questo mondo e ci hanno pescati perché da morti fossimo vivificati. Finché eravamo nel mondo i nostri occhi guardavano verso il profondo dell'abisso e la nostra vita era immersa nel fango, ma, dopo che siamo stati strappati ai flutti, abbiamo cominciato a vedere il sole abbiamo cominciato a contemplare la vera luce ed emozionati da una gioia straordinaria, diciamo all'anima nostra: "Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio" (Sal 41,6). 

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Dal "Commento al Vangelo di Marco" (13, 32-33) 

II passo del Vangelo di cui ci occupiamo oggi, necessita di un'ampia spiegazione. Prima di accostarci ai sacramenti, dobbiamo togliere ogni dubbio: non ne resti alcuno nell'anima di coloro che si preparano a ricevere i sacramenti. Infatti coloro che stanno per ricevere il battesimo, debbono credere nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo.

Ma qui, ora, il Figlio dice: Circa poi quel giorno e. quell'ora, nessuno sa nulla, neanche gli angeli in cielo, ne il Figlio, fuorché il Padre. Ebbene, se noi riceviamo il battesimo ugualmente dal Padre dal Figlio e dallo Spirito Santo, se unico è il nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo, cioè Dio, e questa è la nostra fede, e se uno solo è Dio, in qual modo possono esservi nell'unica divinità diversi gradi di conoscenza? Cos'è più grande essere Dio, o conoscere tutto? Se il Figlio è Dio, in qual modo può ignorare qualche cosa? Sta scritto del Signore e Salvatore: " Tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui, e niente è stato fatto senza di lui ". Se tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui, anche il giorno del giudizio che dovrà venire è stato fatto per mezzo di lui. Forse egli può ignorare quanto ha fatto?

Può l'artigiano non conoscere la sua opera? Leggiamo cosa dice l'Apostolo, di Cristo: " In lui sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza ". Considerate quanto dice l'Apostolo: In Cristo sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza. Non dice che alcuni di questi tesori sono in Cristo e altri non vi sono: ma dice che tutti i tesori della sapienza e della scienza sono nascosti in lui. Quindi tutto ciò che è in lui, non può non esser presente a lui, anche se a noi è celato. Orbene, se in Cristo sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza, dobbiamo cercare perché sono nascosti. Ecco, se noi uomini conoscessimo il giorno del giudizio, se sapessimo, per esempio, che il giorno del giudizio verrà tra duemila anni, se fossimo certi che cosi sarà, oggi cesseremmo di prenderci cura della nostra anima. Diremmo: Perché debbo preoccuparmi, dato che il giorno del giudizio verrà tra duemila anni? Pertanto, ciò che il Figlio dice, affermando di ignorare il giorno del giudizio, giova alla nostra salvezza, perché appunto a noi giova non conoscere il giorno del giudizio finale.

Considerate ora quanto segue. State attenti, vegliate e pregate, perché non sapete quando sarà quel tempo, dice Gesù. Non dice " perché non sappiamo ", ma dice " perché non sapete ". Sembra che finora abbiamo fatto violenza alla Scrittura, e che non ne abbiamo spiegato il senso. Dopo la risurrezione, gli apostoli interrogano il Signore e Salvatore, dicendo: " Signore, quando sarà restaurato il regno d'Israele? ". O apostoli, — sembra dire il Signore, — avete sentito prima della risurrezione che io non conosco quel giorno e quell'ora: e mi chiedete di nuovo quello che non so? Ma gli apostoli non credono che il Salvatore non sappia. State attenti al mistero. Colui che prima della passione non sapeva, dopo la risurrezione sa. Che cosa risponde infatti agli apostoli che, dopo la risurrezione, lo interrogavano sulla fine del mondo, chiedendogli l'epoca in cui sarebbe stato restaurato il regno d'Israele? " Non sta a voi — risponde — conoscere i tempi che il Padre ha riserbato in suo potere ". Non dice " non so ", ma dice " non sta a voi conoscere ", perché non giova alla vostra salvezza conoscere il giorno del giudizio. Vegliate dunque, perché, non sapete quando venga il padrone della casa.

Potremmo dire molte altre cose a proposito di queste parole: ci limitiamo a questo perché il nostro scopo è di allontanare ogni dubbio, qualsiasi supposizione che colui nel quale voi vi preparate a credere ignori qualcosa.


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Dal "Commento al Salmo 91"

La ragione viene meno di fronte al mistero della Trinità


Perché le opere di Dio non possono venir comprese dal senso e dal pensiero umano, leggiamo in un passo della Scrittura: Tutte le tue opere sono conoscibili nella fede (Rm 11,33). Si accentua dunque la conoscenza delle opere per mezzo della fede. Ora, se già la nostra conoscenza delle opere riposa più sulla fede che sulla ragione, quanto più la conoscenza del creatore e del fondatore di tutte le cose! E se dunque è detto: «Tutte le tue opere sono conoscibili nella fede», ciò vale anche di me, che sto ora parlando a voi; altrimenti io non sarei parte delle sue opere. Anch`io, dunque, sono oggetto di fede, e non di conoscenza razionale. Io non so comprendere il motivo per cui i miei piedi si muovono e la mia voce risuona; io non so perché il pensiero intesse piani e la volontà comanda, e perché il corpo obbedisce alla volontà, e perché l`anima immortale è unita a un corpo mortale, e perché la mia anima si muove in tutte le direzioni e non può venir limitata da un mondo così grande, quantunque sia prigioniera nel corpo.



Perché noto tutte queste cose? Perché mi è stato comunicato che alcuni fratelli discutono talvolta e si chiedono come mai il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo siano insieme tre, e anche uno. Considerando il problema in questione, potete vedere quanto la discussione sia pericolosa. Un vaso di creta si mette a questionare sul suo creatore, mentre non giunge neppur a scandagliare la sua propria natura. Con curiosità cerca di sapere il mistero della Trinità, che neppure gli angeli del cielo possono perscrutare. Che dicono infatti gli angeli: Chi è il re della gloria? Il Signore degli eserciti, egli è il re della gloria (Sal 23,10). E similmente scrive Isaia: Chi è costui che ascende da Edom ammantato di vesti candide? (Is 63,1). Vediamo dunque che essi lodano la bellezza di Dio, ma che nulla dicono sulla sua essenza. Perciò restiamo anche noi semplici e modesti. Quando vuoi scrutare la natura divina, quando desideri sapere ciò che Dio sia, allora nota che tu nulla ne sai. Ma di ciò non devi conturbarti, perché gli stessi angeli nulla ne sanno, e nessun`altra creatura ne sa. Ma mi aspetto l`obiezione: «Perché dunque io credo, se non comprendo?». Cioè: perché io sono cristiano, e non so come sia diventato cristiano? Risponderò in tutta semplicità, piuttosto di addurre le sacre Scritture. O cristiano, perché ritieni di sapere tanto poco? Se tu sai di non saper nulla, non devi forse ritenere di aver fatto tua una grande sapienza?



Il pagano vede una pietra e la ritiene Dio; il filosofo considera il firmamento e crede di percepire in esso il suo Dio. Altri scorgono il sole, che sembra loro Dio. Considera dunque quanto tu superi in saggezza questa gente, quando dici: «Una pietra non può essere Dio; il sole, che segue il suo corso per comando di un altro, non può essere Dio». Nella confessione della tua ignoranza si nasconde una grande saggezza. E i pagani sono insipienti proprio per il fatto che essi ritengono di sapere, perché la loro conoscenza è errore. Oltre a ciò, tu non tieni presente il tuo nome: tu vieni detto un credente, non un pensante. Quando qualcuno riceve il battesimo, gli si dice: «Egli è» oppure «Io sono diventato credente». Cioè io credo ciò che non comprendo. E proprio per questo sono saggio, perché sono conscio della mia ignoranza. Si obietterà che questa non è una spiegazione, ma un diversivo: «Lo sapevamo già, che sappiamo e che non sappiamo. Insegnaci a comprendere anche ciò che è nascosto alla nostra conoscenza!». Ma non è meglio riconoscere umilmente la propria ignoranza, che arrogarsi superbamente qualche conoscenza? Al giorno del giudizio non sarò dannato se dovrò dire: «Non ho penetrato l`essenza del mio Creatore». Ma se io sostengo un`affermazione temeraria, la presunzione avrà il suo castigo, mentre l`ignoranza otterrà misericordia.



Ma desidero anche citare la sacra Scrittura, per appoggiarmi non tanto sul mio pensiero, come piuttosto sull`autorità del nostro Signore e salvatore. Cosa disse egli, dunque, poco prima della sua ascensione, agli apostoli a cui parlava come maestro e signore? Nessuno può parlare della propria natura come egli, che è Dio stesso. Per noi è sufficiente sapere della Trinità quanto il Signore si è degnato di comunicarci. Cosa disse dunque agli apostoli? Andate e battezzate tutti i popoli nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo (Mt 28,19). Odo tre nomi, eppure si parla di uno solo. Il Signore non dice: «nei nomi», ma: «nel nome»; eppure il Signore pronuncia tre nomi. Come può poi riassumerli in uno con le parole: «nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo»? Il nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo è uno; ma è il nome che veramente spetta alla Trinità. Quando si dice: «Nel nome di Dio Padre, nel nome di Dio Figlio e nel nome di Dio Spirito Santo», Padre, Figlio e Spirito Santo sono l`unico nome della divinità. E se tu mi chiedi come mai tre possono venir chiamati con un solo nome, io non lo so e ammetto con schiettezza la mia ignoranza, perché Cristo non ci ha rivelato nulla su di ciò. Questo solo io so: che sono cristiano, perché riconosco un Dio nella Trinità.


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La simbologia dei talenti


(Girolamo, in IV, 22, 14-30) 

Sarà infatti come d`un uomo il quale, stando per fare un lungo viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, all`altro due, e a un altro uno solo: a ciascuno secondo la sua capacità" (Mt 25,14-15). Non v`è dubbio che quest`uomo, questo padrone di casa, è Cristo stesso, il quale, mentre s`appresta vittorioso ad ascendere al Padre dopo la Risurrezione, chiamati a sé gli apostoli, affida loro la dottrina evangelica, dando a uno piú e a un altro meno, non perché vuol essere con uno piú generoso e con l`altro piú parco, ma perché tiene conto delle forze di ciascuno (l`Apostolo dice qualcosa di simile quando afferma di aver nutrito col latte coloro che non erano ancora in grado di nutrirsi con cibi solidi) (cf. 1Cor 3,2). Infatti poi con uguale gioia ha accolto colui che di cinque talenti, trafficandoli, ne ha fatto dieci e colui che di due ne ha fatto quattro, considerando non l`entità del guadagno, ma la volontà di ben fare. Nei cinque, come nei due e nell`unico talento, scorgiamo le diverse grazie che a ciascuno vengono date. Oppure si può vedere, nel primo che ne riceve cinque, i cinque sensi, nel secondo che ne ha due, l`intelligenza e le opere, e nel terzo che ne ha uno solo, la ragione, che distingue gli uomini dalle bestie.

"Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti, se ne andò a negoziarli e ne guadagnò altri cinque" (Mt 25,16). Ricevuti cioè i cinque sensi terreni, li raddoppiò acquisendo per mezzo delle cose create la conoscenza delle cose celesti, la conoscenza del Creatore: risalendo dalle cose corporee a quelle spirituali, dalle visibili alle invisibili, dalle contingenti alle eterne.

"Come pure quello che aveva ricevuto due talenti ne guadagnò altri due (Mt 25,17). Anche costui, le verità che con le sue forze aveva appreso dalla Legge le raddoppiò nella conoscenza del Vangelo. O si può intendere che, attraverso la scienza e le opere della vita terrena, comprese le caratteristiche ideali della futura beatitudine.

"Ma colui che ne aveva ricevuto uno solo, andò a scavare una buca nella terra e vi nascose il denaro del suo padrone" (Mt 25,18). Il servo malvagio, dominato dalle opere terrene e dai piaceri del mondo, trascurò e macchiò i precetti di Dio. Un altro evangelista dice che questo servo tenne la sua moneta legata in una pezzuola (cf. Lc 19,20), cioè, vivendo nella mollezza e nelle delizie, rese inefficiente l`insegnamento del padrone di casa.

"Ora, dopo molto tempo, ritornò il padrone di quei servi e li chiamò a render conto. Venuto dunque colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque dicendo: «Signore, tu mi desti cinque talenti; ecco, io ne ho guadagnati altri cinque»" (Mt 25,19-20). Molto tempo c`è tra l`Ascensione del Salvatore e la sua seconda venuta. Ora, se gli apostoli stessi dovranno render conto e risorgeranno col timore del giudizio, che dobbiamo mai far noi?

"E il padrone gli disse «Bene, servo buono e fedele; sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto: entra nella gioia del tuo Signore». Si presentò poi l`altro che aveva ricevuto due talenti e disse: «Signore, tu mi desti due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due». Il suo padrone gli disse: «Bene, servo buono e fedele; sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto: entra nella gioia del tuo Signore» (Mt 25,21-23) . Ambedue i servi, e quello che di cinque talenti ne ha fatto dieci e quello che di due ne ha fatto quattro, ricevono identiche lodi dal padrone di casa. E dobbiamo rilevare che tutto quanto possediamo in questa vita, anche se può sembrare grande e abbondante, è sempre poco e piccolo a confronto dei beni futuri. «Entra - dice il padrone - nella gioia del tuo Signore»: cioè ricevi quel che occhio mai vide, né orecchio mai udí, né mai cuore d`uomo ha potuto gustare (cf.1Cor 2,9). Che cosa mai di piú grande può essere donato al servo fedele, se non di vivere insieme col proprio signore e contemplare la gioia di lui?

"Presentatosi infine quello che aveva ricevuto un solo talento, disse: «Signore, so che tu sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra; ecco, prendi quello che ti appartiene» (Mt 25,24-25). Quanto sta scritto nel salmo: A cercare scuse per i peccati (cf. Sal 141,4), si applica anche a questo servo, il quale alla pigrizia e negligenza, ha aggiunto anche la colpa della superbia. Egli che non avrebbe dovuto fare altro che confessare la sua infingardaggine e supplicare il padrone di casa, al contrario lo calunnia, e sostiene di aver agito con prudenza non avendo cercato alcun guadagno per timore di perdere il capitale.

"Il suo padrone gli rispose: «Servo malvagio e infingardo, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e che raccolgo dove non ho sparso; potevi dunque mettere il mio denaro in mano ai banchieri, e al ritorno io avrei ritirato il mio con l`interesse. Toglietegli perciò il talento e datelo a colui che ne ha dieci» (Mt 25,26-28). Quanto credeva di aver detto in sua difesa, si muta invece in condanna. E il servo è chiamato malvagio, perché ha calunniato il padrone; è detto pigro, perché non ha voluto raddoppiare il talento: perciò è condannato prima come superbo e poi come negligente. Se - dice in sostanza il Signore - sapevi che io son duro e crudele e che desidero le cose altrui, tanto che mieto dove non ho seminato, perché questo pensiero non ti ha istillato timore tanto da farti capire che io ti avrei richiesto puntualmente ciò che era mio, e da spingerti a dare ai banchieri il denaro e l`argento che ti avevo affidato? L`una e l`altra cosa significa infatti la parola greca arghyrion. Sta scritto: "La parola del Signore è parola pura, argento affinato nel fuoco, temprato nella terra, purificato sette volte" (Sal 12,7). Il denaro e l`argento sono la predicazione del Vangelo e la parola divina, che deve essere data ai banchieri e agli usurai, cioè o agli altri dottori (come fecero gli apostoli, ordinando in ogni provincia presbiteri e vescovi), oppure a tutti i credenti, che possono raddoppiarla e restituirla con l`interesse, in quanto compiono con le opere ciò che hanno appreso dalla parola.

A questo servo viene pertanto tolto il talento e viene dato a quello che ne ha fatto dieci affinché comprendiamo che - sebbene uguale sia la gioia dei Signore per la fatica di ciascuno dei due, cioè di quello che ha raddoppiato i cinque talenti e di quello che ne ha raddoppiato due - maggiore è il premio che si deve a colui che piú ha trafficato col denaro del padrone. Per questo l`Apostolo dice: "Onora i presbiteri, quelli che sono veramente presbiteri, e soprattutto coloro che s`affaticano nella parola di Dio (1Tm 5,17). E da quanto osa dire il servo malvagio: «Mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso», comprendiamo che il Signore accetta anche la vita onesta dei pagani e dei filosofi, e che in un modo accoglie coloro che hanno agito giustamente e in un altro coloro che hanno agito ingiustamente, e che infine, paragonandoli con quelli che hanno seguito la legge naturale, vengono condannati coloro che violano la legge scritta.

"Poiché a chi ha, sarà dato e sarà nell`abbondanza, ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che crede di avere" (Mt 25,29). Molti, pur essendo per natura sapienti e avendo un ingegno acuto, se però sono stati negligenti e con la pigrizia hanno corrotto la loro naturale ricchezza, a confronto di chi invece è un poco piú tardo, ma con il lavoro e l`industria ha compensato i minori doni che ha ricevuto, perderanno i loro beni di natura e vedranno che il premio loro promesso sarà dato agli altri. Possiamo capire queste parole anche cosí: chi ha fede ed è animato da buona volontà nel Signore, riceverà dal giusto Giudice, anche se per la sua fragilità umana avrà accumulato minor numero di opere buone. Chi invece non avrà avuto fede, perderà anche le altre virtù che credeva di possedere per natura. Efficacemente dice che a costui «sarà tolto anche quello che crede di avere». Infatti, anche tutto ciò che non appartiene alla fede in Cristo, non deve essere attribuito a chi male ne ha usato, ma a colui che ha dato anche al cattivo servo i beni naturali.

"E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre, dove sarà pianto e stridor di denti" (Mt 25,30). Il Signore è la luce; chi è gettato fuori, lontano da lui, manca della vera luce.

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Quanto avete fatto ad uno dei più piccoli... 
(Girolamo, In Mt. IV, 22, 40)

Avevamo una libera intelligenza per capire che in ogni povero era Cristo affamato che veniva nutrito, o dissetato quando ardeva dalla sete, o ricoverato quand`era forestiero, o vestito allorche era nudo, o visitato mentre era malato, o consolato con la nostra parola quand`era in carcere. Ma le parole che seguono: "Quanto avete fatto a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l`avete fatto a me" (Mt 25,40), non mi sembra siano rivolte genericamente a tutti i poveri, ma a coloro che sono poveri in spirito, a coloro ai quali, indicandoli con la mano, ha detto: "Ecco, mia madre e i miei fratelli sono coloro che fanno la volontà del Padre mio" (Mc 3,34-35; Lc 8,21).


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La sapienza del Creatore si rispecchia nel creato

Quello che Dio ha creato è in sé compiuto, per la sua sapienza e la sua intelligenza. E` falsa l`opinione di alcuni filosofi, che tutto sia cominciato per caso, senza provvidenza alcuna: tutto ciò che è casuale non manifesta né ordine, né piano. Ciò invece che si richiama necessariamente all`arte costruttrice rivelantesi in tutte le cose, dà chiara testimonianza, se ben lo si considera, della sapienza di quell`artefice che agiva non solo quando produceva il mondo, ma anche quando nel suo intimo ne preparava il piano. Per questo da tutto il creato risplende a noi la sapienza di Dio. Nulla di ciò che è stato creato, è stato fatto senza motivo e senza fine utile; il fine utile, poi, ha in se stesso la sua bellezza, e la bellezza viene esaltata dal fine utile. L`unica materia degli elementi assume diverse forme, per illustrare in mille modi la preveggenza divina.



Anche il salmista aveva davanti agli occhi questa verità quando iniziando la lode a Dio, diceva: Magnifiche sono le tue opere, e io le conosco molto (Sal 138,14), e il profeta con lui concorda dicendo: Io ho considerato le tue opere e mi sono spaventato (Ab 3,2: LXX). Anche la frase della Scrittura: Ecco: tutto era molto buono (Gen 1,31) ci spinge ad ammettere che il creato non deve la sua origine al caso, perché tutto è stato fatto secondo il sapiente piano di Dio; per questo si rivelano ovunque magnificenza, bellezza e stupenda armonia, nonostante la diversità di tutte le creature. Un santo profeta dice: I cieli narrano la gloria di Dio (Sal 18,2): non certo che i cieli muovano bocca, lingua e trachea per parlare, ma con la loro armonia e con il loro eterno servizio annunciano la volontà del Creatore. Riflettendo, infatti, dalla grandezza e dalla bellezza delle cose create noi possiamo riconoscerne l`autore: il Dio invisibile si manifesta, fin dalla creazione del mondo, nelle cose create.

Noi dunque non possiamo sapere ciò che Dio è; ma che egli esiste, noi lo sappiamo - non per le nostre forze ma per la sua misericordia - considerando nelle sue opere la sapienza del creatore. Di fronte a una nave o a un edificio, non pensiamo noi forse al costruttore o all`architetto, dato che dalle opere noi deduciamo la corrispondente perizia costruttrice? Davanti a tutte le cose realizzabili solo ad opera della ragione, noi ci appelliamo a una mente, anche se non la vediamo. Così Dio è conosciuto nel suo creato e, in un certo senso, esce dalla sua invisibilità. Né i cieli, infatti, né i serafini o tutte le altre creature possono coprire Dio o renderlo invisibile. Egli è in tutte le cose e in tutti i luoghi; è al di sopra di tutte le cose e compenetra tutto il mondo visibile e invisibile; egli regge e contiene tutto; egli non passa da luogo in luogo, ma comprende tutto nello stesso modo con la sua mente. In questa vi è la spiegazione perché la massa della terra, rassodata dalla sua volontà, si scuota di nuovo al suo cenno, tanto da riempire d`angoscia i cuori mortali, bisognosi di correzione. In essa vi è la spiegazione perché il mare si dilati quando le acque rompono i loro vincoli, e poi i flutti si infrangano nella risacca e si fermino, quando giungono ai confini da lui stabiliti. E anche perché l`anno si divida in quattro stagioni, perché nel susseguirsi di questi periodi, in seguito ai mutamenti climatici, i semi crescano, i germogli si nutrano giungendo a maturità sotto il raggio del sole. Dio illumina con la sua luce anche le creature intelligenti e invisibili, perché esse restino sempre nel suo amore e non inclinino mai verso i beni terreni.

Girolamo, Commento a Isaia, 6,1-7

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Il diavolo è bugiardo




Il demonio non dice mai la verità: egli è bugiardo, come suo padre. Dice il Signore ai giudei: Vostro padre è bugiardo, fin dall`inizio è bugiardo, ed è il padre suo (Gv 8,44). Egli dice che il padre è bugiardo, non dice mai la verità, così come suo padre, che è il padre dei giudei. Cioè, il diavolo sin dall`inizio è bugiardo. E chi è il padre del diavolo? State attenti a quanto dice il Signore. «Vostro padre - egli dice - è bugiardo, sin dall`inizio parla secondo menzogna, come suo padre». In parole più chiare, egli dice: Il diavolo è bugiardo, parla secondo menzogna, ed è il padre della stessa menzogna [cf. Girolamo, In Isaia, 14,22]. Cioè, non è che il diavolo abbia un altro padre: ma egli stesso è il padre della menzogna. Per questo il Signore dice che è bugiardo, e che dal principio del mondo non dice mai la verità; sì, parla secondo menzogna, ed è il padre di lei, il padre della stessa menzogna.

Girolamo, Commento al Vangelo di san Marco, 2

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La mangiatoia di Betlemme



Oh, mi fosse possibile vedere quella mangiatoia in cui un giorno giacque il Signore! Ora noi cristiani, per onorarlo, abbiamo tolto la mangiatoia di creta sostituendola con una d`argento. Ma per me quella che è stata tolta è più preziosa. Al mondo pagano si addice l`oro e l`argento; la fede cristiana preferisce quella mangiatoia di creta.

Colui che in essa è nato, disdegna l`oro e l`argento. Io non disprezzo coloro che, per onorarlo, hanno collocato qui la mangiatoia d`argento, come non disprezzo coloro che hanno approntato vasi d`oro per il tempio. Ma io ammiro il Signore che, quantunque creatore del mondo, non nacque tra l`oro e l`argento, ma sulla creta.

Girolamo, Predica sul Natale del Signore

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La croce nell`anima




Quando parlo della croce, non penso al legno, ma al dolore. In effetti questa croce si trova nella Britannia, in India e su tutta la terra. Cosa dice il Vangelo? Se non portate la mia croce e non mi seguite ogni giorno... (Lc 14,27). Notate cosa dice! Se un animo non è affezionato alla croce, come io alla mia per amor vostro, non può essere mio discepolo. Felice colui che porta nel suo intimo la croce, la risurrezione, il luogo della nascita e dell`ascensione di Cristo! Felice chi ha Betlemme nel suo cuore, nel cui cuore, cioè, Cristo nasce ogni giorno! Che significa del resto «Betlemme»? Casa del pane. Siamo anche noi una casa del pane, di quel pane che è disceso dal cielo.



Ogni giorno Cristo viene per noi affisso alla croce. Noi siamo crocifissi al mondo e Cristo è crocifisso in noi. Felice colui nel cui cuore Cristo risuscita ogni giorno, quando egli fa penitenza per i suoi peccati anche i più lievi. Felice chi ascende ogni giorno dal monte degli ulivi al regno dei cieli, ove crescono gli ulivi rigogliosi del Signore, ove si eleva la luce di Cristo, ove si trovano gli oliveti del Signore. Sono come un olivo fecondo nella casa di Dio (Sal 51,10). Accendiamo anche la nostra lampada con l`olio di quell`olivo e subito entreremo con Cristo nel regno dei cieli.

Girolamo, Commento al Salmo 95

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La fede non tiene conto delle persone e non guarda la condizione degli uomini




Non cercare, col pretesto della tua nobiltà di nascita, di anteporti a qualcuno, e non considerare inferiore a te le donne meno nobili o quelle che sono nate in località meno celebri. La nostra religione non tiene conto delle persone e non guarda qual è la condizione degli uomini, ma il loro animo; uno lo classifica o schiavo o nobile, in base ai suoi costumi. In Dio esiste un unico concetto di libertà: il non essere schiavi dei peccati; e, sempre secondo lui, la nobiltà più alta è costituita dall`eccellenza delle virtù. Davanti a Dio c`è forse un uomo più nobile di Pietro? E tra le donne chi è più ragguardevole della beata Maria, che pure ci viene presentata come sposa d`un artigiano? Eppure a quel povero pescatore Cristo affidò le chiavi del regno dei cieli, e quella sposa di un artigiano meritò di essere la madre di colui che diede in mano a Pietro quelle stesse chiavi. In verità Dio ha scelto le cose più comuni e meno apprezzabili di questo mondo, per portare all`umiltà i potenti e i nobili. D`altra parte, è perfettamente inutile che uno si faccia un vanto della nobiltà della propria famiglia, dal momento che tutti quelli che sono stati redenti dal medesimo sangue di Cristo hanno, davanti a Dio, pari onore e identico prezzo. E non conta la condizione in cui si è nati, quando tutti rinasciamo uguali in Cristo. Ora, se anche possiamo dimenticare che discendiamo tutti per generazione da un unico uomo, dobbiamo per lo meno ricordarci sempre che chi ci rigenera tutti è Uno solo.

Girolamo, Le Lettere, IV, 21 (a Celanzia)

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Il pentimento è profumo per il Salvatore




Il nostro pentimento è profumo per il Salvatore. Osserva quanto è grande la misericordia del Signore. I nostri peccati mandano un cattivo odore, sono putredine: tuttavia, se ci pentiamo dei nostri peccati, se piangiamo, i nostri puzzolenti peccati diventano il profumo del Signore. Preghiamo dunque il Signore affinché ci prenda per la mano.

E subito - continua Marco - la febbre la lasciò (Mc 1,31). Non appena la prende per la mano, la febbre se ne va. State attenti al seguito. Dunque, subito la febbre la lasciò. Abbi speranza, peccatore, qualora tu sia sorto dal tuo letto. Anche il santo Davide si era corrotto, giaceva in letto con Betsabea, moglie di Uria il Ceteo, e ardeva nella febbre dell`adulterio. Ma il Signore lo guarì dopo che egli ebbe detto: Abbi pietà di me, Dio, nella tua grande misericordia (Sal 50,3), e ancora: Ho peccato contro te solo, e ho fatto il male al tuo cospetto (Sal 50,6); Liberami dal sangue, Dio, mio Dio (Sal 50,16). Egli infatti aveva versato il sangue di Uria, perché aveva ordinato di farlo morire. Liberami dal sangue, Dio, mio Dio, rinnova nelle mie viscere lo spirito retto (Sal 50,12). Osserva cosa disse Davide: «rinnova». Cioè: poiché ho commesso una volta adulterio, e sono colpevole di omicidio, lo Spirito Santo è invecchiato in me. Che dice ancora Davide? Mi laverai e io sarò più bianco della neve Sal 50,9). Poiché mi hai lavato con le mie lacrime, le mie lacrime e la mia penitenza hanno agito per me come il battesimo. Potete constatare da qui quanto sia efficace la penitenza. Egli si pentì e pianse: perciò fu purificato. Che cosa dice subito dopo? Insegnerò agli iniqui la tua via, e gli empi si convertiranno a te Sal 50,15). Il penitente è diventato maestro.



Perché ho detto tutto questo? Perché qui sta scritto: E subito la febbre la lasciò ed ella si mise a servirli (Mc 1,31). Non si accontenta di essere stata liberata dalla febbre, ma subito si mette al servizio di Cristo. «E si mise a servirli». Li serviva con i piedi, li serviva con le mani, correva di qua e di là, e venerava colui dal quale era stata guarita. Serviamo anche noi Gesù. Egli accoglie volentieri il nostro servizio, anche se abbiamo le mani sporche: infatti egli si degna di guardare ciò che si è degnato di guarire. Sia a lui gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Girolamo, Commento al Vangelo di san Marco, II, 1,31

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L`esempio dei peccatori che si convertono




Giacobbe, figlio di un padre straricco, se ne va in Mesopotamia solo e nudo, col suo bastone. Stanco del viaggio si sdraia a terra, e lui, che era stato educato tanto delicatamente da sua madre Rebecca, per guanciale si mette un sasso sotto il capo. E` Lì che vide una scala che arrivava dalla terra al cielo, con degli angeli che ne salivano e ne discendevano, e su, in alto, il Signore che vi stava appoggiato per dare una mano a chi era stanco: la sua sola vista stimolava chi saliva a non darsi tregua. Per questo quella località ha avuto il nome di Betel, vale a dire: casa di Dio; ogni giorno è un continuo salire e scendere, perché anche ai santi succede di far capitomboli se sono negligenti, mentre i peccatori possono ritornare al livello di prima se lavano col pianto le proprie colpe. Se te lo dico, questo, non è per farti prendere paura da quelli che scendono, ma perché quelli che salgono ti siano di stimolo.



Mai si deve prendere esempio dai cattivi; anche nelle contingenze umane l`incitamento alla virtù viene dalla parte migliore.

Girolamo, Le Lettere, IV, 118,7 (a Giuliano)

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L`umiltà, custode di tutte le virtù



Nessun`altra cosa devi ritenere che sia più pregevole e più amabile dell`umiltà, in quanto questa virtù è quella che ti preserva e che ti fa custode - per così dire - di tutte le altre virtù. Non c`è altro che ci rende così accetti agli uomini e a Dio del ritenerci all`ultimo posto per umiltà, anche se siamo in vista, grazie ai meriti della nostra vita. Tant`è vero che la Scrittura dice: Quanto più sei grande, tanto più ti devi umiliare, e allora troverai grazia davanti a Dio (Sir 3,18); e Dio fa dire al profeta: Su chi altro mi poserò, se non su chi è umile, in pace, e timoroso delle mie parole? (Is 66,2).



L`umiltà a cui devi tendere, però, non è quella che si mette in vista e che viene simulata dal portamento esteriore o dalle parole sussurrate a metà, ma quella che lascia trasparire un genuino sentimento interiore. Una cosa, infatti, è avere una virtù, e altra cosa lo scimmiottarla; una cosa è andare dietro a un`ombra di realtà, e altra cosa è seguire la verità. Quella superbia che si nasconde sotto certi accorgimenti di umiltà è molto più mostruosa. Non so perché, ma i vizi che si mascherano con apparenze virtuose sono molto più ripugnanti.

Girolamo, Le Lettere, IV, 148,20 (a Celanzia)

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Le reliquie dei martiri




Le reliquie dei martiri le onoriamo per adorare il Dio per il quale essi si sono fatti martiri! Onoriamo i servi affinché l`onore che diamo ai servi ridondi sul loro padrone, che ha detto: Chi accoglie voi accoglie me (Mt 10,40). Ma sarebbero dunque impure le reliquie di Pietro e di Paolo? Sarebbe dunque immondo il corpo di Mosè che secondo il testo ebraico autentico fu seppellito personalmente dal Signore?. Dunque, ogni volta che entriamo nelle basiliche degli apostoli, dei profeti e di tutti i martiri, ogni volta, dico, noi veneriamo - secondo loro - templi di idoli? dunque, i ceri accesi davanti alle loro tombe sarebbero emblemi idolatrici?...



Se le reliquie dei martiri non bisogna onorarle, come mai leggiamo: E` preziosa, agli occhi del Signore, la morte dei suoi santi (Sal 115,6)? Se le loro ossa contaminano chi le tocca, come mai Eliseo, da morto, ha risuscitato un morto (cf. 2Re 13,21); e il suo corpo, che secondo Vigilanzio giaceva immondo, ha dato la vita a un altro? Dunque, tutte le truppe dell`esercito di Israele e del popolo di Dio sarebbero state anch`esse immonde, dato che avevano portato nel deserto Giuseppe (cf. Es 13,19) e i corpi dei patriarchi, e avevano riportato nella terra santa delle ceneri immonde! E Giuseppe, che è stato la figura anticipata del nostro Signore e Salvatore, fu anche lui un criminale per aver portato con tutta quella solennità le ossa di Giacobbe a Ebron (cf. Gen 49,29-31; Gen 50,5-13), per aver messo suo padre, impuro, assieme al nonno e al bisnonno, essi pure immondi, dato che ha unito un morto a altri morti?



Lo ripeto ancora: le reliquie dei martiri sono dunque immonde? E quale punizione hanno allora meritato gli apostoli, che si sono messi in testa al corteo funebre del corpo impuro di Stefano, svoltosi con tutta quella grandiosità, e che hanno fatto per lui un gran pianto (cf. At 8,2) proprio perché la loro tristezza si cambiasse in gioia per noi?

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Deciso distacco dal mondo 


Ti metto in guardia, e te ne scongiuro con lacrime e gemiti: finché su questa terra siamo in corsa, non portiamoci addosso due tuniche (voglio dire: una doppia fede); non appesantiamoci i piedi con scarpe di cuoio (intendo dire: con opere morte); non ci curvi verso terra una bisaccia colma di ricchezze e non appoggiamoci a un bastone qual è quello della potenza temporale. Non crediamo di poter tenere contemporaneamente l`anima su Cristo e sul mondo. Le cose brevi e caduche, invece, posponiamole a quelle eterne!

E poiché ogni giorno - mi riferisco al corpo - sentiamo di morire un po`, non illudiamoci di essere eterni per il resto. Solo così potremo essere immortali.

Girolamo, Le Lettere, 23,4 (a Marcella)

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Ammonimento contro l`ozio



Attendi sempre a qualche lavoro manuale, affinché il diavolo ti trovi sempre occupato. Se gli apostoli, che avevano diritto di vivere del Vangelo, lavoravano con le loro mani per non essere di peso a nessuno, e anzi porgevano ristoro agli altri dai quali, in cambio dei beni spirituali, avevano diritto di cogliere i beni temporali, perché tu non dovresti procurarti col lavoro quanto è necessario al tuo sostentamento? Puoi intrecciare una cesta con i giunchi, intessere canestri di vimini flessibili, sarchiare la terra, tracciare solchi regolari nel tuo campicello, e dopo averci seminato i legumi e disposto con ordine le piante, portarci l`acqua per l`irrigazione.


Potrai così assistere allo spettacolo descritto da questi magnifici versi: «Ecco, dal ciglio di un sentiero scosceso fa sgorgare l`onda; questa cadendo fra sassi levigati sprigiona un roco mormorio e con i suoi zampilli irrora le zolle riarse» [Virgilio, Georgiche, I,108-110].

Innesta gli alberi sterili con gemme o polloni, e in poco tempo potrai cogliere i dolci frutti del tuo lavoro. Costruisci arnie per le api, alle quali ti rimandano i Proverbi (cf. Pr 6,8), e impara da questi piccoli insetti l`ordine e la disciplina regale che devono regnare in un monastero. Intessi anche reti per la pesca, trascrivi dei libri: così la mano ti procurerà il cibo e la lettura sazierà l`anima. Ogni ozioso è in balia delle passioni. I monasteri d`Egitto seguono questa norma: non accettano nessuno che si rifiuti di esercitare il lavoro manuale, necessario, più che per il cibo, per la salvezza dell`anima; altrimenti si perderebbero in pericolose fantasie e, come fece Gerusalemme la fornicatrice, si esporrebbero a ogni passante.

Girolamo, Le Lettere, IV, 125,11 (al monaco Rustico)

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Qualche momento di respiro riservato per l`anima


Per la tua casa devi spendere ogni energia, riservandoti però qualche momento di respiro per l`anima. Trovati un posticino adatto, alquanto discosto dal viavai familiare, dove tu possa raccoglierti come in un porto dopo tutto il trambusto tempestoso degli affari domestici, e dove possa comporre in intima tranquillità le mareggiate dei pensieri che ti agitavano nella vita esteriore. Lì devi applicarti alla Scrittura divina, prendere e riprendere a pregare a vari intervalli, pensare alle realtà future con costanza e intensità. Quanto, di tutto questo? Quel tanto che tutte le occupazioni del tempo che ti resta possano trovar adeguato compenso in questo riposo dell`anima. E non te lo dico, questo, per rubarti ai tuoi di famiglia, anzi, è appunto perché tu possa pensare a riflettere in quei momenti a come dovresti comportarti verso i tuoi.



La tua servitù governala e curala con questa accortezza: cerca di farti vedere madre più che padrona dei tuoi; da essi devi esigere amoroso rispetto più con la dolcezza che con un atteggiamento rigido. E` sempre più sincero e più gradito l`ossequio che otteniamo grazie all`amore, di quello che otteniamo con la paura.

Girolamo, Le Lettere, IV, 148,24-25 (a Celanzia) 

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Su ogni luogo della terra il cielo è spalancato


Non è un titolo di onore il fatto di essere stati a Gerusalemme; lo è se a Gerusalemme si è vissuti bene. E` a quella città che bisogna aspirare, certo! Proprio a quella! Ma non in quanto città che ha ammazzato i profeti e versato il sangue di Cristo, bensì in quanto è allietata da un fiume straripante, e, posta sul monte, non può stare nascosta; oltre al fatto poi, che l`Apostolo la chiama madre dei santi ed è lieto di avervi cittadinanza con i giusti. Ti ho accennato queste cose, senza tuttavia voler accusare me stesso di incostanza, senza voler condannare quello che faccio. Non vorrei aver l`aria d`aver lasciato inutilmente - seguendo l`esempio di Abramo - la famiglia e la patria. Ma non ho neppure il coraggio di racchiudere l`onnipotenza di Dio in confini troppo stretti e di coartare su un piccolo punto della terra colui che il cielo stesso non contiene. I credenti vengono apprezzati personalmente, non in base al diverso posto in cui risiedono, ma in base al merito della loro fede.

I veri adoratori, non adorano il Padre né a Gerusalemme né sul monte Garizim, perché Dio è spirito, ed è necessario che i suoi adoratori lo adorino in spirito e verità. Ora, lo Spirito soffia dove vuole. E` del Signore la terra e tutto ciò che contiene. Tutto il mondo, dopo che il vello giudaico si fu asciugato, venne cosparso di rugiada celeste; molti che venivano dall`oriente e dall`occidente si riposarono sul seno di Abramo; finì il tempo in cui Dio era conosciuto soltanto in Giudea e il suo nome glorificato solo in Israele. Da allora la voce degli apostoli arrivò a tutta la terra, le loro parole giunsero ai confini del mondo. Il Salvatore, parlando con i suoi discepoli un giorno che si trovava nel tempio, ebbe a dire: Andiamocene via di qui (Gv 14,31), e rivolto ai giudei: La vostra casa vi sarà lasciata in completo abbandono (Mt 23,38). E` certo che se cielo e terra passeranno, finiranno pure tutte le cose della terra. Di conseguenza, anche dai luoghi della croce e della risurrezione ne traggono vantaggio solo coloro che portano la croce ogni giorno e che ogni giorno risorgono con Cristo; coloro, insomma, che si mostrano meritevoli di abitare in una località così gloriosa. Del resto, quelli che vanno ripetendo: Tempio del Signore, tempio del Signore, tempio del Signore (Ger 7,4), stiano a sentire l`Apostolo: Siete voi il tempio di Dio, e lo Spirito Santo abita in voi (1Cor 3,16; 2Cor 6,16). Stai a Gerusalemme? Stai nella Britannia? Non c`è differenza: la dimora celeste ti sta dinanzi, aperta, perché il regno di Dio è dentro di noi.



Né Antonio né alcun altro gruppo di monaci dell`Egitto e della Mesopotamia, del Ponto, della Cappadocia e dell`Armenia hanno visto Gerusalemme; eppure la porta del paradiso è loro spalancata, anche se non hanno avuto niente a che fare con questa città. Sant`Ilarione era palestinese, in Palestina ci viveva; eppure Gerusalemme la vide per una giornata soltanto. Non voleva dare l`impressione, dato che vi si trovava vicino, di disprezzare questi santi luoghi, ma ha voluto pure far capire che non si deve limitare Dio in un punto determinato. Dal tempo di Adriano fino all`impero di Costantino, per ben centottanta anni circa, nel luogo della risurrezione e sulla roccia della crocifissione sono state venerate rispettivamente un`effigie di Giove e una statua marmorea di Venere postevi dai pagani; gli autori delle persecuzioni pensavano di riuscire a strapparci la fede nella risurrezione e nella croce solo col fatto di profanare con i loro idoli questi luoghi sacri. Betlemme, ora nostra, e che è la cittadina più augusta del mondo (di lei il salmista cantava: La verità è fiorita dalla terra: Sal 84,12) era stata messa in ombra da un boschetto sacro a Thamuz, cioè ad Adone, e nella grotta dove aveva dato i suoi vagiti Cristo appena nato, si piangeva sull`amante di Venere.



«Ma dove vuoi arrivare» mi dirai «con questo discorso che prende le mosse da un prologo chilometrico?». A questo: non fissarti sul pensiero che la tua fede sia incompleta per non aver visto Gerusalemme e non pensare neppure che noi siamo migliori di te, solo per il fatto che abbiamo la fortuna di abitare qui. La verità è che sia qui, sia altrove, la tua ricompensa da parte del nostro Dio sarà identica, a parità di opere. Effettivamente (per confessarti con tutta semplicità quanto mi macina dentro), se mi fermo a pensare all`ideale che tu insegui e all`ardore col quale hai dato l`addio al mondo, mi pare che riguardo a un cambiamento di residenza si debba tenere questa linea: lasciare la città e tutto il caos cittadino, andare ad abitare in qualche angolo di campagna, cercare Cristo nella solitudine, pregare sulla montagna in un a tu per tu con Gesù, e accontentarti anche solo della vicinanza dei luoghi santi. In altre parole; anche se devi fare a meno di questa città, non devi perdere assolutamente il tuo ideale di vita monastica. Questa linea che propongo non riguarda né i vescovi né i sacerdoti né i chierici: a loro incombe un altro ministero. Riguarda proprio il monaco, e un monaco che magari tempo addietro aveva una posizione illustre nel mondo, uno che ha deposto ai piedi degli apostoli il ricavato dei suoi possedimenti, proprio per far capire che il denaro è roba da buttarsi sotto i piedi. Così, conducendo una vita umile e nascosta, può continuare a non far conto alcuno di quelle cose che già una volta ha disprezzato.



Se i luoghi della crocifissione e della risurrezione non si trovassero in una città importantissima come questa, dove esiste un pretorio, una caserma, donne di malaffare, mimi, parassiti, tutte quelle cose, cioè, che si è soliti trovare nelle altre città; oppure, se essa fosse frequentata unicamente da folle di monaci, veramente un soggiorno del genere dovrebbero desiderarlo tutti quanti i monaci. Ma le cose, ora, stanno proprio all`opposto, ed è una pazzia autentica pensare di ritirarsi dal mondo, lasciare la patria, abbandonare la città, far professione di vita monastica, per trovarsi poi a vivere all`estero in mezzo a un brulicame di persone, maggiore di quello in cui avresti vissuto in patria. Qui vengono da ogni parte del mondo, la città rigurgita d`ogni sorta di uomini; e c`è un tal pigia pigia di persone d`ambo i sessi che mentre altrove - almeno in parte - potevi evitarlo, qui sei costretto a digerirtelo in pieno.



Ma tu, come un fratello, mi hai fatto una domanda: «Qual è la mia via?». E io ti rispondo senza reticenze. Se vuoi darti al ministero sacerdotale, se per caso ti attira o il lavoro o l`onore dell`episcopato, stattene in città o nei villaggi, e salva le anime degli altri per farne profittare la tua. Se invece desideri vivere proprio da monaco, in forza del nome che porti (vale a dire: solo), che stai a fare nelle città, che non sono certo il rifugio di soli, ma di folle?

Girolamo, Le Lettere, II, 58,2-5 (al sacerdote Paolino)

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La lingua malefica


Non calunniare mai nessuno nel modo più assoluto, e non cercare di farti bello mettendoti a criticare gli altri, e impara a rendere più perfetta la tua vita piuttosto che denigrare quella degli altri. Ricorda sempre, inoltre, quello che dice la Scrittura: Non amare la detrazione se vuoi evitare di esser sradicato (Pr 20,13). Sono veramente pochi quelli che sanno staccarsi da questo difetto, ed è ben raro trovare uno che voglia mostrarsi così irreprensibile, nella sua vita, da non criticare con soddisfazione la vita altrui. Anzi, l`istinto di questo difetto è penetrato così fortemente nell`animo umano, che anche coloro che si sono allontanati di molto dagli altri vizi, cadono in questo, che figura come l`ultimo laccio del diavolo. Tu, però, questo difetto devi evitarlo al punto che non solo non devi permetterti di criticare, ma non devi dar retta neppure una volta a chi critica, per non rafforzare con la tua complicità l`influenza di chi sparla degli altri, e per non favorire con la tua accondiscendenza il suo vizio...

Questo difetto è senz`altro il primo che dobbiamo soffocare, e quelli che vogliono formarsi alla santità devono sradicarlo del tutto. Non c`è altra cosa, infatti, che metta l`anima in tanto subbuglio e che renda lo spirito tanto volubile e leggero quanto il prestar fede con facilità a tutto, e dar retta temerariamente alle parole dei criticoni. E` di Lì che saltano fuori discordie su discordie e sentimenti di odio che non hanno motivo d`essere. E` proprio questo difetto che spesso rende nemiche delle persone che erano amiche per la pelle, in quanto la lingua del maldicente divide le anime che erano, sì, all`unisono, ma credulone.

Al contrario, il non dare retta temerariamente a nessuna accusa a carico di altri, lascia l`anima in una grande pace ed è segno di notevole serietà di vita.



Fortunato chi s`è premunito contro questo vizio al punto che nessuno si senta di dir malignità in sua presenza! Se noi avessimo questo scrupolo di non dar retta così alla carlona ai diffamatori, a quest`ora tutti si guarderebbero bene dal dir male degli altri, per evitare di buttare a terra con le loro critiche non tanto gli altri quanto se stessi. Ora, se questo male è universalmente diffuso, se questo vizio è vivo e vegeto in molti, è appunto perché trova quasi in tutti orecchie compiacenti.
Girolamo, Le Lettere, IV, 148,16 (a Celanzia) 

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Digiuno incompleto 

Se digiuni due giorni, non ti credere per questo migliore di chi non ha digiunato. Tu digiuni e magari t`arrabbi; un altro mangia, ma forse pratica la dolcezza; tu sfoghi la tensione dello spirito e la fame dello stomaco altercando; lui, al contrario, si nutre con moderazione e rende grazie a Dio. Perciò Isaia esclama ogni giorno: Non è questo il digiuno che io ho scelto, dice il Signore (Is 58,5), e ancora: Nei giorni di digiuno si scoprono le vostre pretese, voi tormentate i dipendenti, digiunate fra processi e litigi, e prendete a pugni il debole: che vi serve digiunare in mio onore? (Is 58,3-4). Che razza di digiuno vuoi che sia quello che lascia persistere immutata l`ira, non dico un`intera notte, ma un intero ciclo lunare e di più? Quando rifletti su te stessa non fondare la tua gloria sulla caduta altrui, ma sul valore stesso della tua azione. Girolamo, Le Lettere, I, 22,37 (a Eustochio) 

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La vera pace 

Senza ripugnanza e fastidio tu ci hai dato modo di bere alle dolci onde della pace, disponendoci a bere avidamente, a lunghi sorsi. Ma come fare, però! In noi, nelle nostre possibilità, c`è purtroppo solo un desiderio di pace, non il suo possesso! E` vero che anche solo il desiderio di realizzarla ha la sua ricompensa da parte di Dio; ma è anche vero che malgrado la si desideri, fa male non vederne l`effetto compiuto. Lo sapeva anche l`Apostolo che, la pace, la si raggiunge pienamente quando poggia sulla volontà effettiva di ambedue le parti. Per quanto sta in voi, dice, tenetevi in pace con tutti gli uomini (Rm 12,18). E il profeta: Pace, pace... ma dov`è questa pace? (Ger 6,14). Non è davvero una nobile impresa reclamare la pace a parole e distruggerla a fatti. Si dice di tendere a una cosa e se ne ottiene l`effetto contrario! A parole si dice: andiamo d`accordo! E di fatto, poi, si esige la sottomissione dell`altro. La pace la voglio anch`io; e non solo la desidero, ma la imploro! Ma intendo la pace di Cristo, la pace autentica, una pace senza residui di ostilità, una pace che non covi in sé la guerra; non la pace che soggioga gli avversari, ma quella che ci unisce in amicizia!

Perché diamo il nome di pace alla tirannia? Perché non rendiamo a ogni cosa il suo nome appropriato? C`è odio? Allora diciamo che c`è ostilità! Solo dove c`è carità diciamo che c`è pace! Io la Chiesa non la lacero, no! e neppure mi taglio fuori dalla comunione dei padri! Fin da quand`ero in fasce, se posso esprimermi così, sono stato nutrito col latte del cattolicesimo. E penso che nessuno appartiene di più alla Chiesa di chi non è mai stato eretico. Non conosco, però, una pace che possa fare a meno della carità, o una comunione che possa prescindere dalla pace. Nel Vangelo leggiamo: Se stai offrendo la tua offerta all`altare e lì ti viene in mente che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì l`offerta davanti all`altare, e va` prima a riconciliarti con il tuo fratello; poi ritorna pure a fare la tua offerta (Mt 5,23-24). Se quando non siamo in pace non possiamo fare la nostra offerta, pensa tu, a maggior ragione, se possiamo ricevere il corpo di Cristo! Che razza di coscienza è la mia se rispondo Amen dopo aver ricevuto l`eucaristia di Cristo, mentre invece dubito della carità di chi me la porge?

Girolamo, Le Lettere, III, 82,1-2 (a Teofilo) 

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La regola d`oro 

Se vuoi come condensare in una frase il succo dei consigli del Vangelo, devi cogliere e scolpire nel tuo cuore quella massima uscita dalla bocca del Signore e che è la sintesi di tutta la giustizia: Tutte quelle cose che vorreste che gli altri uomini facessero a voi, fatele voi ad essi. Qui, infatti, sta tutta la legge e i profeti (Mt 7,12). In verità, le specie e le parti della giustizia sono infinite, ed è assai difficile non solo analizzarle per iscritto, ma anche coglierle col pensiero. Tutte, comunque, sono racchiuse in quell`unica e scheletrica massima, che o assolve o condanna - in base a un tacito giudizio dell`anima - la coscienza intima e nascosta degli uomini. Prima d`ogni azione, prima d`ogni parola e prima ancora d`ogni pensiero, ritorna con la mente a questa massima. E` come uno specchio che ti sta di fronte e che puoi sempre avere sottomano, in grado di riflettere la moralità delle tue decisioni nonché di accusarti per le azioni ingiuste o darti gioia per quelle fatte secondo giustizia.



In realtà, ogni volta che verso gli altri ti comporti con quei sentimenti che desidereresti anche tu che gli altri avessero per te, sei sulla strada della giustizia; quando invece nei riguardi degli altri ti comporti in un modo che non vorresti che nessuno usasse verso di te, rispetto alla giustizia sei fuori strada. Sta qui tutta la durezza della legge divina, tutta la difficoltà che comporta; ed è questo il motivo che ci fa protestare col Signore che i suoi ordini sono ostici, e che ci fa dire di sentirci schiacciati dai suoi comandamenti in quanto sono difficili o inattuabili. Ma c`è di più: quando non osserviamo i comandamenti e ci lamentiamo che l`autore stesso della giustizia ci ha comandato cose non solo dure e difficili, ma impossibili, affermiamo implicitamente che il legislatore oltre tutto è ingiusto. «Tutto quello che vorreste che le altre persone facessero a voi, fatelo anche voi ad esse», dice. Vuole unirci l`un l`altro, che sia la carità sotto forma di dono scambievole a cementarci, e che tutti gli uomini si facciano uno in un reciproco amore di servizio. Così, se ognuno dona all`altro ciò che desidera che tutti gli altri donino a lui, tutta la giustizia viene osservata, e questo precetto di Dio porta un vantaggio comune agli uomini. Senza contare che - vedi un po` com`è meravigliosa la clemenza di Dio e ineffabile la sua bontà! - ci promette anche una ricompensa se ci amiamo vicendevolmente, vale a dire se c`è fra noi comunione di quei beni di cui tutti, rispettivamente, abbiamo bisogno. E noi? Con un animo a un tempo superbo e ingrato ci opponiamo alla sua volontà, mentre anche solo il suo comando costituisce già un suo dono per noi.

Girolamo, Le Lettere, IV, 148,14-15 (a Celanzia) 
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Le autorità devono governare con bontà e dolcezza


La libertà fa presto a divenire rivolta se la forza vuole soffocarla. Nessuno ha potere maggiore su una persona libera, di chi non la obbliga a fare da schiavo. Conosco i canoni ecclesiastici, ho ben presenti i ruoli di ciascuno; la lettura e gli esempi quotidiani mi hanno fatto imparare molte cose in tutti questi anni, e non sono poche le esperienze fatte. Chi per picchiare usa gli scorpioni [per scorpione s`intende una sferza munita di punte di ferro] e si crede di avere le dita più grosse dei lombi paterni, non ci mette molto a dissipare il regno del mite Davide. Sta di fatto che il popolo romano, la superbia non l`ha sopportata neppure in un re (Tarquinio il Superbo). Quella grande guida dell`esercito d`Israele (Mosè), che aveva portato la disperazione in Egitto con le dieci piaghe e che dominava su cielo, terra e mare, è elogiato come l`uomo più mansueto fra tutti quelli del suo tempo che la terra avesse generato. Fu proprio per questa qualità che tenne il comando per quarant`anni: per la sua dolcezza e mitezza mitigava l`orgoglio che porta con sé il potere. Il popolo lo lapida, e lui prega per chi lo lapida (cf. Es 17,4); anzi, preferisce essere cancellato dal libro di Dio piuttosto che si danni il popolo che gli è stato affidato (cf. Es 32,31-32). Non desiderava insomma che imitare quel Pastore che lui già sapeva che si sarebbe portato sulle spalle anche le pecorelle sviate. Gesù dice: Il buon pastore è disposto a dare la vita per le sue pecore (Gv 10,11). Anche un discepolo del buon Pastore desidera essere anatema per il bene dei suoi fratelli, e anche per i loro parenti di sangue, vale a dire: anche per gli israeliti (cf. Rm 9,3-4).

Girolamo, Le Lettere, III, 82,3 (a Teofilo)

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I genitori sono responsabili dei peccati dei loro figli



Se la condotta di un uomo maturo e giuridicamente maggiorenne viene imputata ai genitori, pensa, in proporzione quella di un fragile lattante che, secondo quanto ha detto il Signore, non riconosce la destra dalla sinistra, o in altre parole, non sa distinguere il bene dal male! Se metti ogni cura nell`evitare che tua figlia venga morsicata da una vipera, perché non usi la stessa attenzione per evitare che venga colpita dal martello di tutta quanta la terra (cf. Ger 50,23)? O che beva nel calice dorato di Babilonia (cf. Ger 51,7)? O che se ne vada fuori con Dina per il desiderio di mettere gli occhi sulle figlie d`un paese straniero (cf. Gen 34,1ss), che danzi e che si trascini addosso le tuniche? Non si somministrano i veleni senza addolcirli col miele, e i vizi non ingannerebbero se non avessero una parvenza o un`ombra di virtù. «Ma com`è allora - tu mi dirai - che i peccati dei padri non ricadono sui figli, né quelli dei figli sui genitori, ma che è l`anima che commette peccato quella che deve morire (cf. Ez 18,4.20)?». Questo è detto a riguardo di coloro che sanno usare la ragione, coloro dei quali sta scritto nel Vangelo: Ha la sua età, risponda lui di sé (Gv 9,21). Ma chi è ancora bambino, invece, e ragiona da bambino, tanto il bene quanto il male che opera viene imputato ai suoi genitori fino a che raggiunge l`età della ragione.

Girolamo, Le Lettere, III, 107,6 (a Leta)

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Ammonimento a non fidarsi troppo di sé




Chi può vantarsi di avere il cuore puro? (Pr 20,9). Neppure le stelle sono pure al cospetto di Dio; quanto meno gli uomini, la cui vita è una tentazione continua! Guai a noi se ogni volta che la concupiscenza ci assale fornichiamo! La mia spada - dice Dio - s`è inebriata nel cielo (Is 34,5): molto più sulla terra; che genera triboli e spine. Il «vaso d`elezione», attraverso la cui bocca parlava Cristo, macera il suo corpo e lo riduce schiavo; intanto si accorge che l`ardore naturale della carne va contro la sua intenzione: quello che non vuole si vede costretto a farlo! E come uno che patisce violenza grida e dice: Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? (Rm 7,24). E tu credi di poter vivere senza cadute e senza ferite, se non custodisci con scrupolosa attenzione il tuo cuore?

Girolamo, Le Lettere, IV, 125,7 (al monaco Rustico) 

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Perché consultare la cattedra di Pietro [papa Damaso]

Con un furore che dura da secoli, i popoli d`Oriente continuano a scontrarsi tra loro, e riducono a brandelli la tunica inconsutile del Signore, tessuta da cima a fondo senza cuciture. Delle volpi devastano la vigna di Cristo; in mezzo a cisterne spaccate e senz`acqua è difficile capire dove si trovi quella fontana sigillata, quell`orto chiuso da un recinto, di cui parla la Scrittura (cf. Ct 4,12). Per questo ho deciso di consultare la cattedra di Pietro, dove si trova quella fede che la bocca di un apostolo ha esaltato; vengo ora a chiedere un nutrimento per la mia anima lì, dove un tempo ricevetti il vestito di Cristo [cioè il battesimo].

No davvero! Né l`immensità del mare, né l`enorme distanza terrestre hanno potuto impedirmi di cercare la perla preziosa. Dove sarà il corpo, là si raduneranno le aquile (Lc 17,37). Dopo che il patrimonio è stato dissipato da una progenie perversa, solo presso di voi si conserva intatta l`eredità dei padri. Costì una terra dalle zolle fertili riproduce al centuplo la pura semente del Signore; qui il frumento nascosto nei solchi degenera in loglio e avena. In Occidente sorge il sole della giustizia, mentre in Oriente ha posto il suo tromo sopra le stelle quel Lucifero, che era caduto dal cielo. Voi siete la luce del mondo, il sale della terra (Mt 5,13), voi i vasi d`oro e d`argento; qui da noi vasi di terra cotta e di legno attendono la verga di ferro che li spezzi e il fuoco eterno.

La tua grandezza, a dire il vero, mi mette in soggezione, ma la tua bontà m`attira. Io, vittima, attendo dal sacerdote la salvezza, e come una pecorella chiedo protezione al pastore. Metti da parte ciò che è invidiabile, sottraiti un momento al fasto dell`altissima dignità romana: ecco il successore del pescatore, con un discepolo della croce che desidero parlare.

Io non seguo altro primato se non quello di Cristo; per questo mi metto in comunione con la tua Beatitudine, cioè con la cattedra di Pietro. So che su questa pietra è edificata la Chiesa. Chiunque si ciba dell`Agnello fuori di tale casa è un empio. Chi non si trova nell`arca di Noè, perirà nel giorno del diluvio.

Girolamo, Le Lettere, I, 15,1-2 (a papa Damaso)


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L`ordinazione del clero



Vengo a sapere che un individuo è arrivato a un punto tale di pazzia da anteporre i diaconi ai presbiteri, vale a dire ai vescovi (non ci dice chiaramente, l`Apostolo, che presbiteri e vescovi sono le stesse persone?). E cosa gli ha preso, a questo ministro addetto alle mense e alle vedove, da mettersi pieno di spocchia al di sopra di quelli che con le loro preghiere operano la consacrazione del corpo e del sangue di Cristo? Vuoi sentire uno che fa testo? Ascolta questa dichiarazione: Paolo e Timoteo, schiavi di Gesù Cristo, a tutti i santi in Cristo Gesù che si trovano a Filippi insieme ai vescovi e ai diaconi (Fil 1,1). Vuoi ancora un altro esempio? Negli Atti degli apostoli, Paolo parla in questi termini ai sacerdoti di una medesima Chiesa: Occupatevi di voi stessi e di tutto quanto il gregge, sul quale lo Spirito Santo vi ha messi come vescovi, per governare la Chiesa del Signore, comprata da lui col suo proprio sangue (At 20,28).

Ma per non dare modo a nessuno di polemizzare sostenendo che in un`unica Chiesa c`erano più vescovi, sta` a sentire quest`altro testo, dove la prova che non c`è differenza fra vescovo e presbitero è più che evidente: E` per questo che ti ho lasciato a Creta, perché sistemassi quanto resta da fare e costituissi, secondo le istruzioni che ti ho dato, dei presbiteri in ciascuna città. Devono essere persone incensurate e che abbiano preso moglie una sola volta; i loro figli devono essere loro fedeli e non devono aver fama di lussuriosi o di ribelli. Perché è necessario che un vescovo sia incensurabile, quale economo di Dio (Tt 1,5-7). E a Timoteo: Non disprezzare la grazia della profezia che ti è stata data con l`imposizione delle mani dal collegio dei presbiteri (1Tm 4,14). Ma anche Pietro, nella sua prima lettera, dice: Esorto dunque i presbiteri che sono tra voi, io, presbitero come loro, testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della sua gloria che deve manifestarsi: pascete il gregge di Cristo e assistetelo non come costrettivi a forza, ma spontaneamente, secondo lo Spirito di Dio (1Pt 5,1-2)...

Ti sembrano poco importanti questi testi di persone così qualificate? Ebbene, faccia squillare la sua tromba evangelica il «figlio del tuono» (cf. Mc 3,17), quello che Gesù amava intensamente e che poté bere le acque vive della dottrina sul petto del Salvatore: Il presbitero, alla signora Eletta e ai suoi figli che io amo nella verità (2Gv 1,1), e nell`altra sua lettera: Il presbitero, al carissimo Gaio che amo nella verità (3Gv 1,1). Il fatto che in un secondo tempo sia stato scelto uno a presiedere sugli altri, lo si dovette alla necessità di evitare degli scismi; non doveva accadere che ognuno spezzasse la Chiesa di Cristo col farne una cosa sua personale. Anche ad Alessandria, infatti, a partire da Marco evangelista fino ai vescovi Eracle [231-247] e Dionigi [247 fino a circa il 264], i presbiteri sceglievano sempre uno di mezzo a loro, lo ponevano su un grado più alto e lo chiamavano vescovo; era come se un esercito si nominasse un generale o come se dei diaconi scegliessero di mezzo a sé uno che sapevano essere qualificato e lo chiamavano arcidiacono. In realtà, se non guardi alla carica ricevuta, che altro fa un vescovo che non possa fare un sacerdote?



La Chiesa della città di Roma, d`altra parte, non la si deve ritenere diversa da quella sparsa su tutta la terra. Anche le Gallie e la Britannia, l`Africa e la Persia, l`Oriente e l`India e tutte le nazioni non romane non adorano che un medesimo Cristo, non osservano che un`unica regola di verità. Se fai questione di autorità, la terra tutta assieme batte Roma. Eppure un vescovo, dovunque si trovi, sia pure a Roma o a Gubbio o a Costantinopoli o a Reggio o ad Alessandria o a Tanis [in Egitto], ha sempre lo stesso grado, come pure lo stesso sacerdozio.

Ciò che rende un vescovo più o meno ragguardevole è, rispettivamente, l`essere povero e umile o ricco e potente; per il resto sono tutti successori degli apostoli.

Girolamo, Le Lettere, IV, 146,1 (a Evangelo, sacerdote) 

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Il pericolo della vanità 



Devi parlare in chiesa? Non provocarti un`acclamazione popolare, ma lacrime. Le lacrime di chi ti ascolta sono l`elogio più bello. E bada che un sacerdote deve dare sapore alla sua predica, leggendo la Scrittura. Non ti voglio sentire declamare, abbaiare, cianciare a vuoto, ma devi essere profondo in teologia e bene aggiornato sui misteri del tuo Dio. E` proprio da ignoranti suscitare l`ammirazione verso di sé da parte del popolo incompetente, con artifici di parola e col parlare di corsa. Solo una faccia di legno può mettersi a spiegare ciò che non sa, e avendo indotto gli altri a crederci, autoconvincersi poi di essere un pozzo di scienza...

Non c`è cosa più facile che incantare il basso popolino privo di istruzione, con un discorso retorico, dato che esso, quanto meno capisce, tanto più ne è ammirato.

Girolamo, Le Lettere, I, 52,8 (a Nepoziano, sacerdote) 


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La comunione quotidiana 



E` bene ricevere l`eucaristia ogni giorno, come pare facciano la Chiesa di Roma e le Spagne? A dir la verità, su questi argomenti ha già scritto Ippolito [forse si tratta di un opuscolo andato perduto], una delle persone più dotte; vari altri scrittori, inoltre, hanno fatto pubblicazioni del genere, attingendo qua e là a diversi autori. Ma credo opportuno darti anch`io questa breve norma: le tradizioni delle Chiese (e soprattutto quelle che non pregiudicano il dogma) le dobbiamo osservare così come ce le hanno tramandate i padri, e una consuetudine di una Chiesa non deve venir variata dalla prassi vigente in un`altra. Fosse vero che potessimo digiunare in qualunque tempo, come sappiamo dagli Atti degli apostoli (cf. At 13,2-3) che hanno fatto, anche nel periodo di Pentecoste e di domenica, l`apostolo Paolo e con lui tutti i fedeli! (E malgrado tutto non si possono incolpare di eresia manichea, dato che il nutrimento materiale non dovrebbe mai avere la preferenza su quello spirituale). E Dio volesse, inoltre, che potessimo ricevere l`eucaristia senza limitazioni di tempo, ma senza incorrere però nella nostra condanna e nei rimorsi di coscienza! Poter ascoltare le parole del salmista: Gustate e rendetevi conto di quanto è buono il Signore (Sal 33,9)!

Girolamo, Le Lettere, II, 71,6 (a Lucino) 

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Conoscere la Bibbia 



C`è una sapienze di Dio, nascosta e avvolta nel mistero, che Dio aveva destinato a noi prima di tutti i secoli (1Cor 2,7). Questa sapienza di Dio è Cristo: Cristo infatti è potenza e sapienza di Dio... In lui sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza: lui, nascosto nel mistero, era già stato destinato per noi prima di tutti i secoli. Sì, predestinato e prefigurato nella legge e nei profeti. I profeti infatti erano chiamati veggenti proprio perché a loro era dato di vederlo, mentre gli altri non lo vedevano. Abramo ha visto il suo giorno e la gioia l`ha invaso. Per Ezechiele i cieli erano aperti, mentre il popolo peccatore non ne poteva penetrare il segreto. Toglimi il velo dagli occhi - dice Davide - e contemplerò le meraviglie della tua legge (Sal 118,18). La legge è infatti spirituale ed è necessario che venga tolto il velo che la nasconde, per poterla capire e per contemplare la gloria di Dio a viso scoperto (cf. 2Cor 3,14-18).

Nell`Apocalisse viene presentato un libro chiuso da sette sigilli. Se lo dai da leggere a un uomo istruito, ti risponderà: «Come posso leggerlo se è sigillato?». Quante persone oggi si ritengono istruite e tengono in mano un libro sigillato! E non possono aprirlo, se non lo dischiude colui che ha la chiave di Davide: se apre, nessuno potrà chiudere e se chiude nessuno riuscirà ad aprire (Ap 3,7).

Negli Atti degli apostoli, l`eunuco - o più esattamente «l`uomo» etiope eunuco: così infatti lo chiama la Scrittura - mentre legge Isaia, è interrogato da Filippo: Pensi di capire quello che stai leggendo? E lui risponde: Come posso capirlo, se nessuno me lo spiega? (At 8,30-31). Quanto a me, non sono certo più santo di quest`eunuco e neppure più studioso. Quest`uomo parte dall`Etiopia, cioè dagli estremi confini del mondo, abbandonando la corte regale per venire al tempio: ed è tanto grande il suo amore per la legge e per la conoscenza di Dio, che perfino sul suo carro continua a leggere la sacra Scrittura. Malgrado però tenga il libro in mano e cominci a comprendere qualcosa delle parole del Signore, malgrado le articoli con la lingua e le pronunci con le labbra, non conosce ancora quel Dio che, senza saperlo, venera nel suo libro. Sopraggiunge Filippo e gli mostra Gesù, che la lettera teneva chiuso e nascosto. Che meravigliosa potenza ha l`uomo sapiente! Immediatamente l`eunuco crede, è battezzato e diviene fedele e santo; era discepolo e diventa, a sua volta, maestro...

Allora dimmi, fratello carissimo: vivere fra i testi sacri, meditarli sempre, non conoscere altro, non cercare altro, non ti pare che sia già, fin da quaggiù, un modo di abitare nel regno dei cieli? Non vorrei che tu nel leggere la sacra Scrittura fossi urtato dalla semplicità e, direi quasi, dalla banalità del linguaggio, che può dipendere da una traduzione difettosa o da un accorgimento appositamente studiato, per rendere più facile la comprensione: in una sola e medesima frase, l`uomo colto e l`ignorante potranno cogliere significati diversi, a seconda della loro capacità. Non sono tanto sfacciato e stupido da illudermi di conoscere tutte queste cose: sarebbe come voler cogliere in terra i frutti di un albero che ha le radici piantate in cielo. Confesso però che ne ho il desiderio: non me ne starò certo ozioso, e se rifiuto di prendere il posto del maestro, prometto di esserti compagno. A chi chiede si dà, a chi bussa viene aperto e chi cerca trova. Sforziamoci di imparare qui in terra quelle verità la cui conoscenza ci sarà data per sempre in cielo.

Girolamo, Lettera 53 (a Paolino) 


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Letizia nella parola di Dio 



Non ti sembra di abitare già, qui sulla terra, nel regno dei cieli, quando si vive fra questi testi sacri, quando li si medita, quando non si conosce o non si cerca di conoscere nessun`altra cosa? Non vorrei che ti fosse di danno, nella sacra Scrittura, la semplicità e - vorrei dire - la banalità delle parole. Può essere che simile stesura dipenda da un difetto di interpretazione, oppure che sia stata voluta appositamente per renderne più facile la comprensione al pubblico, e per far sì che, in un`unica e medesima frase, tanto l`uomo di cultura quanto l`ignorante potessero coglierne il senso secondo la propria capacità.

Da parte mia, non sono così superficiale e stupido da farmi passare per uno che tutte queste cose le conosce o che vuole cogliere in terra i frutti di quelle radici che sono piantate nel cielo. Confesso però che ne ho il desiderio e che ho pure voglia di mettercela tutta.

Se rifiuto di farti da maestro, ti assicuro però che puoi avermi come compagno. A chi chiede si dà, a chi bussa si apre, chi cerca trova. Cerchiamo d`imparare qui in terra quelle verità la cui conoscenza non verrà meno in cielo.

Girolamo, Le Lettere, II, 53,10 (al sacerdote Paolino) 

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La morte di ogni giorno e la nostra unità nell`amore di Cristo 



Serse, quello strapotente re che demolì montagne e colmò mari, si dice che abbia pianto al vedere da un altipiano una sterminata folla umana e un esercito che non finiva più; fra cento anni - pensava - non sarebbe esistito più nessuno di quelli che gli stavano sotto gli occhi. Oh, se ci fosse possibile salire su un osservatorio del genere, da cui poter vedere tutta la terra ai nostri piedi! Ti mostrerei allora le rovine del mondo intero, popoli che si scagliano contro popoli, regni contro regni; persone torturate, altre uccise, altre inghiottite dal mare, altre messe in schiavitù; qui un matrimonio, là un lamento; uomini che nascono, altri che muoiono; chi ha ricchezze da vendere e chi va mendicando; e non soltanto gli uomini dell`esercito di Serse, ma gli uomini di tutto il mondo, che se al presente sono ancora in vita fra poco non ci saranno più.

Ma il tema è troppo grande e un discorso non ce la fa; qualunque cosa dico è sempre inferiore alla realtà.

Torniamo a noi, dunque; caliamo giù dal cielo - per così dire - e vediamo quello che ci interessa. Ti domando: tu hai avuto la percezione del passaggio dall`infanzia alla fanciullezza, alla giovinezza, alla maturità e alla vecchiaia? Ogni giorno si muore un po`; ogni giorno subiamo trasformazioni e, malgrado ciò, viviamo con l`illusione di essere eterni. Queste stesse cose che sto dettando, che vengono scritte e che poi rileggo e correggo, sono tutti momenti che mi restano in meno da vivere. Ogni punto che l`amanuense segna sulla pagina, è un punto tolto alla curva della mia vita. Si scrive, si riscrive, le lettere attraversano i mari, e mentre lo scafo traccia solchi nell`acqua, ogni onda che vi si infrange segna un momento in meno alla nostra vita. L`unico vero guadagno che resta è la nostra unità nell`amore di Cristo. La carità è paziente, è benigna; la carità non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia... tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta; la carità non viene mai meno (1Cor 13,4.7.8); essa vive continuamente nel cuore.

Girolamo, Le Lettere, II, 60,18-19 (a Eliodoro) 

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Non siamo nati per vivere quaggiù in eterno 

Ci rattristiamo per la morte di qualcuno: ma siamo forse nati per vivere eternamente qui? Abramo, Mosè, Isaia, Pietro, Giacomo e Giovanni, Paolo - il vaso d`elezione - e perfino il Figlio di Dio, tutti sono morti; e proprio noi restiamo indignati quando qualcuno lascia il suo corpo? E pensare che probabilmente, proprio affinché il male non riuscisse a forviare la sua ragione, è stato portato via! La sua anima, infatti, era gradita a Dio; per questo s`è affrettato a toglierla di mezzo all`iniquità (Sap 4,11.14) in modo che durante il lungo viaggio della vita non si smarrisse in sentieri traversi.

Piangiamoli, sì, i morti; ma solo quelli che piombano nella geenna, quelli divorati dall`inferno, quelli per i quali è acceso un fuoco eterno! Ma se noi, quando lasciamo questa vita, siamo accompagnati da una schiera di angeli, se Cristo ci viene incontro, rattristiamoci piuttosto se ha da prolungarsi la nostra permanenza in questa residenza sepolcrale. E poiché, effettivamente, per il tempo che qui ci attardiamo, siamo come degli esiliati che camminano lontani dal Signore, il desiderio, l`unico, che ci deve trascinare, è questo: Me infelice! Il mio esilio si prolunga; abito tra i cittadini di Cedar, e da troppo tempo l`anima mia è in esilio (Sal 119,5-6). Ora, se dire «Cedar» è dire «tenebre», se questo mondo è tenebre - nelle tenebre, infatti, la luce risplende, ma le tenebre non l`accolsero (Gv 1,5) - rallegriamoci con la nostra Blesilla che è passata dalle tenebre alla luce, e mentre ancora era lanciata nella fede appena accolta, ha ricevuto la corona di un`opera compiuta.

Girolamo, Le Lettere, I, 39,3 (a Paola) 



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Dalla lettera a Pammachio 

Cristo è vergine, la madre del nostro Cristo vergine è vergine perpetua, è madre e vergine.

Gesù, infatti, è entrato a porte chiuse; nel suo sepolcro, che era nuovo e scavato in una roccia durissima, nessuno fu posto prima né dopo; giardino chiuso, fonte sigillata: da questa fonte scaturisce l’acqua di cui parla Gioele (3,18):

essa alimenta il torrente delle funi e delle spine, delle funi dei peccati, che prima ci erano avvinti, delle spine che soffocavano la semina del padre di famiglia. Questa è la porta orientale di cui la Ezechiele, porta sempre chiusa e splendente, che chiude in sé e fa uscire da sé il Santo dei Santi, (Ez 44,1-3) attraverso il quale il sole di giustizia e pontefice nostro secondo l'orbine di Melchisedech entra ed esce.

Mi sappiano dire come è entrato Gesù a porte chiuse, quando fece palpare le sue mani, esaminare il suo fianco, e mostrò le sue ossa e la sua carne perché il suo corpo vero non fosse ritenuto un fantasma, ed io saprò dire come la santa Maria sia madre e vergine: vergine dopo il parto, madre prima di sposarsi. Dunque, come avevamo iniziato a dire, Cristo vergine e la vergine Maria hanno consacrato gli inizi della verginità per entrambi i sessi; gli apostoli furono vergini o continenti dopo il matrimonio; i vescovi, i preti, i diaconi vengono scelti o vergini o vedovi; in ogni caso, dopo essere divenuti sacerdoti, restano casti per sempre: perché inganniamo noi stessi e ci adiriamo se, anelando sempre al rapporto carnale, ci vengono negati i premi della castità? Vogliamo mangiare sontuosamente, non staccarci dagli abbracci delle nostre mogli e regnare con Cristo nelle schiere delle vergini e delle vedove: avranno dunque lo stesso premio la fame e l'ingordigia, il sudiciume e la pulizia, il sacco e la seta? Lazzaro nella sua vita ebbe i suoi mali e quel ricco, vestito di porpora, grasso e tirato a lucido, godè finché era vivo dei beni della carne, ma occupano posti diversi dopo la morte — le sofferenze sono mutate in gioia e la gioia in sofferenze —: alla nostra scelta seguire Lazzaro o il ricco.

Si noti soprattutto che al tempo di Girolamo già i vari ministeri consacrati venivano assegnati solo a chi era libero da vincoli matrimoniali richiamandosi alla figura verginale di Gesù e di Maria.