domenica 30 settembre 2012

La lezione dei santi folli




Carta colorata a tempera, 1947


Riporto da "La Stampa" di oggi,  30 settembre 2012
 a firma di Enzo Bianchi
Nella storia del monachesimo, alcuni uomini e donne hanno caratterizzato il loro stile di vita ascetica attraverso forme di abdicazione alla normalità, di follia agli occhi dei loro contemporanei: non per protagonismo eccentrico, ma per opporre la stoltezza della croce a quanti di questa croce hanno fatto un labaro, un’insegna trionfante, un emblema dell’imperium  ecclesiale sul mondo. A volte, in una chiesa fatta di sapienti, di intellettuali, di arconti, di istituzioni ordinate e allineate non è stato possibile testimoniare la “follia della croce” di cui parla l’apostolo Paolo se non assumendo la forma della pazzia, dell’eccesso, della non-normalità. Questi testimoni amavano definirsi “semplici, idioti, pazzi” e sceglievano di confondere “ciò che è” attraverso la debolezza di “ciò che non è” (cf. Prima Lettera ai Corinti 1,28) in nome di un amore folle per il Crocifisso, il Disprezzato, l’Alienato fino alla morte e alla morte di croce. Il corpo di questi uomini e queste donne, “fratello asino”, rivestendo la forma della follia è divenuto segno efficace di quella stoltezza di Dio che confonde la sapienza umana: a volte si è spogliato nudo, altre volte ha mostrato un eccesso di stravaganza oppure si è mescolato ai trasgressori dell’ordine costituito, si è reso familiare alle bestie, ha assunto la forma del peccatore, preferendo dimorare nei postriboli piuttosto che tra le colonne delle chiese affollate di cristiani ipocriti e formalisti...
Quello che altri innamorati folli di Cristo hanno consegnato ai fratelli attraverso gli scritti e la predicazione, costoro lo hanno impresso nel proprio corpo, mettendo in scena un dramma e vivendo un mimo somatico capaci di trasmettere un messaggio efficace. Fin dal IV secolo, nel deserto della Siria appaiono i folli stiliti, autoconfinati  in cima a una colonna, e i dendriti, che vivevano in simbiosi con gli alberi, come braccia issate verso il cielo; il mondo greco-bizantino ha conosciuto i “pazzi”, così come quello russo secoli dopo ha visto apparire i “folli”: immagini del Crocifisso, questi vagabondi, dimentichi di sé, disprezzati dalla gente comune, hanno ricordato la “follia della croce” a una chiesa ben installata tra i potenti e i saggi di questo mondo. Ma anche in occidente, nonostante il diritto romano e la prudente legislazione ecclesiastica che rendevano attenti al “principio delle realtà e del senso comune”, i folli in Cristo non sono mancati: questa insania evangelica è riuscita addirittura a influenzare un santo come Ignazio di Loyola, che definiva la sua compagnia una “societas di stolti e di professanti la stoltezza”, senza dimenticare Francesco d’Assisi che ribadiva costantemente la sua qualità di “pazzus in Christo, simplex et idiota”.
    
Ma è nell’oriente cristiano che la figura dei folli in Cristo è stata talmente frequente da originare una categoria vera e propria di santità: persone definite nei calendari liturgici come “quelli che, spinti dall’amore di Dio e del prossimo, hanno adottato una forma di pietà cristiana che si chiama follia per amore di Cristo. Costoro rinunciano volontariamente non solo alle comodità e ai beni della vita terrestre, ai vantaggi della vita sociale ma accettano in più di assumere l’apparenza di un pazzo che misconosce le regole della convenienza e del pudore e si permette sovente di commettere azioni scandalose. Costoro non temono di dire la verità ai potenti di questo mondo, accusando quelli che hanno dimenticato la giustizia di Dio e consolando quelli che, pur disprezzati, temono Dio in tutta umiltà”. Come non citare una figura tra tante, quella di san Basilio di Mosca che nella sua apparente follia protestò contro la crudeltà di Ivan il Terribile offrendogli come pasto carne cruda in tempo di Quaresima? Al rifiuto scandalizzato, il folle in Cristo chiese allo zar come mai avesse scrupoli a mangiare carne di animali durante la Quaresima proprio lui che in ogni stagione dell’anno non esitava a mettere a morte cristiani e persone innocenti. Del resto, basta leggere l’Idiota di Dostoevskij o Il maestro e Margherita di Bulgakov per capire come la figura del “folle” abbia informato tutta la cultura russa, fino ai pazzi per Cristo descritti in Le mie missioni in Siberia da Spiridione, cappellano nei gulag zaristi all’inizio del XX secolo.
       
Né a questa santità particolare mancano i riferimenti a figure bibliche decisive: il re David non solo si finse pazzo intonando un salmo “Io sono folle nel Signore, chi è umile ascolti e si rallegri...”, ma di fronte all’arca della presenza di Dio si abbandonò nudo a una danza sfrenato, pazzo di gioia per Dio. Persino Gesù fu considerato “fuori di sé” dai suoi familiari che volevano fermarne la predicazione, ritenuta scomoda a causa delle folle che riusciva ad entusiasmare (cf. Marco 3,20-21). E che dire di san Paolo che a più riprese esortava i cristiani di Corinto a sopportare la sua pazzia e a ritenerlo pure un pazzo, fino a confessare apertamente: “Sì, sono diventato pazzo!”.
Al di là di affermazioni dogmatiche e confessioni di fede dettate da un’inappuntabile razionalità, questi uomini e queste donne hanno vissuto lo slancio estremo della fede, vivendo costantemente rivolti verso il Cristo crocifisso, il solo “sapiente” che han voluto conoscere in questa vita. Malati di mente? Forse. Di certo malati di Dio. Ibn Arabi, il grande mistico sufi poteva dire – forse proprio per aver incontrato qualcuno di questi folli: “Colui la cui malattia è Gesù non guarirà mai più!”. Gesù non ha forse detto di essere “venuto a portare il fuoco sulla terra”? Questi folli hanno lasciato che quel fuoco bruciasse fino a consumare la razionale sapienza di chi si ritiene saggio. Siamo capaci di ascoltarne il riso ammonitore?