sabato 22 settembre 2012

La pianta è l'umiltà; il frutto è il Cielo.


Il testo dell'angelus del Santo Padre - 23 settembre
XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Anno B 


 Cari fratelli e sorelle! Nel nostro cammino con il Vangelo di san Marco, domenica scorsa siamo entrati nella seconda parte, cioè l’ultimo viaggio verso Gerusalemme e verso il culmine della missione di Gesù. Dopo che Pietro, a nome dei discepoli, ha professato la fede in Lui riconoscendolo come il Messia (cfr Mc 8,29), Gesù incomincia a parlare apertamente di ciò che gli accadrà alla fine.
L’Evangelista riporta tre successive predizioni della morte e risurrezione, ai capitoli 8, 9 e 10: in esse Gesù annuncia in modo sempre più chiaro il destino che l’attende e la sua intrinseca necessità. Il brano di questa domenica contiene il secondo di questi annunci. Gesù dice: «Il Figlio dell’uomo – espressione con cui designa se stesso – viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà» (Mc 9,31). I discepoli «però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo» (v. 32).
In effetti, leggendo questa parte del racconto di Marco, appare evidente che tra Gesù e i discepoli c’è una profonda distanza interiore; si trovano, per così dire, su due diverse lunghezze d’onda, così che i discorsi del Maestro non vengono compresi, o lo sono soltanto superficialmente. L’apostolo Pietro, subito dopo aver manifestato la sua fede in Gesù, si permette di rimproverarlo perché ha predetto che dovrà essere rifiutato e ucciso. Dopo il secondo annuncio della passione, i discepoli si mettono a discutere su chi tra loro sia il più grande (cfr Mc 9,34); e, dopo il terzo, Giacomo e Giovanni chiedono a Gesù di poter sedere alla sua destra e alla sua sinistra, quando sarà nella gloria (cfr Mc 10,35-40). Ma ci sono diversi altri segni di questa distanza: ad esempio, i discepoli non riescono a guarire un ragazzo epilettico, che poi Gesù guarisce con la forza della preghiera (cfr Mc 9,14-29); o quando vengono presentati a Gesù dei bambini, i discepoli li rimproverano, e Gesù invece, indignato, li fa rimanere, e afferma che solo chi è come loro può entrare nel Regno di Dio (cfr Mc 10,13-16).
Che cosa ci dice tutto questo? Ci ricorda che la logica di Dio è sempre «altra» rispetto alla nostra, come rivelò Dio stesso per bocca del profeta Isaia: «I miei pensieri non sono i vostri pensieri, / le vostre vie non sono le mie vie» (Is 55,8). Per questo, seguire il Signore richiede sempre all’uomo una profonda conversione, un cambiamento nel modo di pensare e di vivere, richiede di aprire il cuore all’ascolto per lasciarsi illuminare e trasformare interiormente. Un punto-chiave in cui Dio e l’uomo si differenziano è l’orgoglio: in Dio non c’è orgoglio, perché Egli è totale pienezza ed è tutto proteso ad amare e donare vita; in noi uomini, invece, l’orgoglio è intimamente radicato e richiede costante vigilanza e purificazione. Noi, che siamo piccoli, aspiriamo ad apparire grandi, ad essere i primi, mentre Dio, che realmente  è grande, non teme di abbassarsi e di farsi ultimo. La Vergine Maria è perfettamente «sintonizzata» con Dio: invochiamola con fiducia, affinché ci insegni a seguire fedelmente Gesù sulla via dell’amore e dell’umiltà.


Di seguito i testi della Liturgia con qualche commento. Buona domenica!
Pb. Vito Valente.

* * *

I cristiani deboli
Dal «Discorso sui pastori» di sant'Agostino, vescovo
(Disc. 46, 13; CCL 41, 539-540)

Dice il Signore: «Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme» (Ez 34, 4).
Parla ai cattivi pastori, ai falsi pastori, ai pastori che cercano i loro interessi, non quelli di Gesù Cristo, che sono molto solleciti dei proventi del loro ufficio, ma che non hanno affatto cura del gregge, e non rinfrancano chi è malato.
Poiché si parla di malati e di infermi, anche se sembra trattarsi della stessa cosa, una differenza si potrebbe ammettere. Infatti, a considerare bene le parole in se stesse, malato è propriamente chi è già tocco dal male, mentre infermo è colui che non è fermo e quindi solo debole.
Per chi è debole bisogna temere che la tentazione lo assalga e lo abbatta, Il malato invece è già affetto da qualche passione, e questa gli impedisce di entrare nella via di Dio, di sottomettersi al giogo di Cristo.
Alcuni uomini, che vogliono vivere bene e hanno fatto già il proposito di vivere virtuosamente, hanno minore capacità di sopportare il male, che disponibilità a fare il bene. Ora invece è proprio della virtù cristiana non solo operare il bene, ma anche saper sopportare i mali. Coloro dunque che sembrano fervorosi nel fare il bene, ma non vogliono o non sanno sopportare le sofferenze che incalzano, sono infermi ossia deboli. Ma chi ama il mondo per qualche insana voglia e si distoglie anche dalla stesse opere buone, è già vinto dal male ed è malato. La malattia lo rende come privo di forze e incapace di fare qualcosa di buono. Tale era nell'anima quel paralitico che non poté essere introdotto davanti al Signore. Allora coloro che lo trasportavano scoprirono il tetto e di lì lo calarono giù. Anche tu devi comportarti come se volessi fare la stessa cosa nel mondo interiore dell'uomo: scoperchiare il suo tetto e deporre davanti al Signore l'anima stessa paralitica, fiaccata in tutte le membra ed incapace di fare opere buone, oppressa dai suoi peccati e sofferente per la malattia della sua cupidigia.
Il medico c'è , è nascosto e sta dentro il cuore. Questo è il vero senso occhio della Scrittura da spiegare.
Se dunque ti trovi davanti a un malato rattrappito nelle membra e colpito da paralisi interiore, per farlo giungere al medico, apri il tetto e fa' calar giù il paralitico, cioè fallo entrare in se stesso e svelagli ciò che sta nascosto nelle pieghe del suo cuore. Mostragli il suo male e il medico che deve curarlo.
A chi trascura di fare ciò, avete udito quale rimprovero viene rivolto? Questo: «Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite» (Ez 34, 4). Il ferito di cui si parla qui è come abbiamo già detto, colui che si trova come terrorizzato dalle tentazioni. La medicina da offrire in tal caso è contenuta in queste consolanti parole: «Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione ci darà anche la vita d'uscita e la forza per sopportarla» (1 Cor 10, 13).
 
MESSALE
Antifona d'Ingresso
«Io sono la salvezza del popolo»,
dice il Signore,
«in qualunque prova mi invocheranno, li esaudirò,
e sarò il loro Signore per sempre».
 

Colletta

O Dio, che nell'amore verso di te e verso il prossimo hai posto il fondamento di tutta la legge, fa' che osservando i tuoi comandamenti meritiamo di entrare nella vita eterna. Per il nostro Signore...

 
   Oppure:
O Dio, Padre di tutti gli uomini, tu vuoi che gli ultimi siano i primi e fai di un fanciullo la misura del tuo regno; donaci la sapienza che viene dall'alto, perché accogliamo la parola del tuo Figlio e comprendiamo che davanti a te il più grande è colui che serve. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura 
  Sap 2, 12.17-20Condanniamo il giusto a una morte infamante. 
Dal libro della Sapienza
[Dissero gli empi:] 
«Tendiamo insidie al giusto, che per noi è d'incomodo 
e si oppone alle nostre azioni;
ci rim
provera le colpe contro la legge
e ci rinfaccia le tra
sgressioni contro l'educazione ricevuta. 
Vediamo se le sue parole sono vere, 
consideriamo ciò che gli accadrà alla fine. 
Se infatti il giusto è figlio di Dio, egli verrà in suo aiuto 
e lo libererà dalle mani dei suoi avversari.
Mettiamolo alla prova con violenze e tormenti,
per co
noscere la sua mitezza 
e saggiare il suo spirito di sopportazione. 
Condanniamolo a una morte infamante, 
perché, secondo le sue parole, il soccorso gli verrà».


Salmo Responsoriale
    Dal Salmo 53
Il Signore sostiene la mia vita.
Dio, per il tuo nome salvami,
per la tua potenza rendimi giustizia.
Dio, ascolta la mia preghiera,
porgi l'orecchio alle parole della mia bocca. 
Poiché stranieri contro di me sono insorti
e prepotenti insidiano la mia vita;
non pongono Dio davanti ai loro occhi.Ecco, Dio è il mio aiuto,
il Signore sostiene la mia vita.
Ti offrirò un sacrificio spontaneo,
loderò il tuo nome, Signore, perché è buono.


Seconda Lettura
   Gc 3,16-4,3
Per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia.

Dalla lettera di san Giacomo apostolo
Fratelli miei, dove c'è gelosia e spirito di contesa, c'è disordine e ogni sorta di cattive azioni. Invece la sapienza che viene dall'alto anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera. Per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia.
Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per soddisfare cioè le vostre passioni. 

Canto al Vangelo
   Cfr 2Ts 2,14
Alleluia, alleluia.
Dio ci ha chiamati mediante il Vangelo, 
per entrare in possesso della gloria del Signore nostro Gesù Cristo. 

Alleluia.


 Vangelo   Mc 9, 30-37Il Figlio dell'uomo viene consegnato... Se uno vuole essere il primo, sia il servitore di tutti. 

Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù e suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnào. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. Sedutosi, chiamò Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato». Parola del Signore.

COMMENTI

1. Congregazione per il Clero
«Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande».
Il Signore Gesù non è venuto a diminuirci. Cristo è venuto a dare una risposta vera al nostro desiderio di grandezza, perché Dio stesso ha posto nell'uomo un desiderio di grandezza, di dilatazione, di possesso.
Le tre grandi concupiscenze che secondo S. Giovanni muovono il mondo: la concupiscenza degli occhi, quella della carne e l'orgoglio della vita, sono le espressioni corrotte di questa tensione al possesso di tutto che caratterizza l’uomo, un possesso che ne manifesti la grandezza, perché il disegno di Dio sull'uomo è che egli sia il signore-custode di tutto.
Come diventare, in questo senso, davvero grandi, davanti a Dio?
Col peccato lo abbiamo dimenticato, anzi abbiamo costruito dei surrogati terribili che, nella parzialità, nell'ipocrisia, nell'invidia, nella violenza (perché violenza è la parola che tutto riassume), trovano ultimamente la loro espressione.
Cristo invece invita a guardare al gesto di Colui che - solo - ultimamente è grande: «Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti». E preso un bambino, lo pose in mezzo - così che lo vedessero tutti - e abbracciandolo disse loro: «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato», il più grande di tutti, il Padre, sorgente anche della nostra vera grandezza.
«Dio solo è grande, fratelli»; il Padre solo è grande, e questa sua grandezza si è manifestata nella nostra storia, in una sorta di estrema umiliazione, così che il Padre, per mostrarci chi Egli è veramente, ha inviato suo Figlio, ha affermato suo Figlio per mostrarsi a noi, pur nel sacrificio della croce, che è però ancor prima sacrificio suo: «Chi vede me, vede il Padre», che vuol dire anche: io, il Padre, mi manifesto solo manifestando Lui, innalzando Lui, glorificando Lui: il mio Figlio unigenito. Ed è così perché questa è la natura più intima di Dio che è amore. Dio è Dio perché tra le sue Persone vige una sola legge: essere se stessi affermando un altro: e questa è tutta la legge della carità e l'unica strada verso l'amicizia come autentica reciprocità.
Il Padre è Padre solo perché genera il Figlio, afferma il Figlio, e lo glorifica, così come il Figlio glorifica lui, quasi in una sorta di superiore “cortesia divina” dove l'uno dice all'altro: prima tu; no, prego, prima tu... E questa gloria comune si manifesta nell'umiliazione del gesto con cui il Padre, in Cristo, si china ad abbracciare e servire le nostre esistenze, come nella lavanda dei piedi nell'ultima cena.
Solo guardando continuamente un gesto così nasce un desiderio vero di appartenenza alla grandezza del Padre, di modo che essa diventi anche grandezza nostra e tensione al sacrificio, sapendo che la strada per conseguire la grandezza è il servizio dei fratelli: “Io sono tu che mi ami, e Tu che amandomi mi fai”.
Desiderio di appartenenza al Padre che diventa desiderio di appartenenza al segno che prolunga nella storia il gesto del suo servizio e rimane il luogo dove servirlo per diventare grandi: la Chiesa, compagnia cristiana della grandezza e del servizio!
Solo nella Chiesa inizia il cammino vero della grandezza dell’uomo, e questa grandezza   ci dice San Giacomo   è innanzitutto domanda, preghiera, perché la statura dell’uomo consiste e si compie interamente nella verità della sua domanda: «Bramate e non riuscite a possedere […]. Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per spendere per i vostri piaceri», e non per spendere la vostra vita per la gloria di un Altro, per la gloria di Dio.
E chi non domanda, o domanda male, discute, cioè parla e si muove non a partire da una grandezza che gli sta davanti, ma a partire da un “sogno di grandezza”, da un progetto di affermazione di se stesso che gli cova dentro.
Ogni conversazione, lungo il cammino della vita, deve invece nascere dal fatto di Dio, dal fatto della sua dedizione all’uomo, commovente ed inattesa, dentro una modalità umanissima, perché è proprio l'abbraccio di un bambino che ha bisogno di tutto, così come noi abbiamo bisogno di tutto, e, in quell’abbraccio, c'è tutta la grandezza di Dio e nostra: la Chiesa o è questo abbraccio o è una guerra di chiacchiere!
Se gli apostoli avessero vissuto di questa memoria mentre camminavano verso Cafarnao, dopo aver ascoltato Gesù, non avrebbero perso tempo in discussioni, ma avrebbero cominciato a servirsi gli uni gli altri, consapevoli che proprio così si avvera il Regno, nelle nostre esistenze, nella Chiesa e nel mondo.
Maria Santissima, la Serva del Signore, Ancella della nostra salvezza, totalmente piccola e, perciò, più grande di ogni creatura, sostenga in noi la memoria dell’abbraccio tenero di Dio, unica sorgente dell’autentico servizio ai fratelli.

* * *

2. Padre Raniero Cantalamessa ofmcapp.

Come essere il primo seguendo la 'via nuova' rivelata da Cristo

"Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti". Forse che Gesù condanna, con queste parole, il desiderio di eccellere, di fare grandi cose nella vita, di dare il meglio di sé, e privilegia invece l'ignavia, lo spirito rinunciatario, i neghittosi? Così pensava il filosofo Federico Nietzsche. Egli si sentì in dovere di combattere ferocemente il cristianesimo, reo, secondo lui, di avere introdotto nel mondo il "cancro" dell'umiltà e della rinuncia. Nella sua opera Così parlò Zaratustra, egli oppone a questo valore evangelico quello della "volontà di potenza", incarnato dal superuomo, l'uomo dalla "grande salute", che vuole innalzarsi, non abbassarsi.

Può essere che i cristiani abbiano talvolta interpretato male il pensiero di Gesù e dato occasione a questo fraintendimento. Ma non è certo questo che vuol dirci il Vangelo. "Se uno vuol essere il primo...": dunque è possibile voler essere il primo, non è proibito, non è peccato. Non solo Gesù non proibisce, con queste parole, il desiderio di voler essere il primo, ma lo incoraggia. Solo rivela una via nuova e diversa per realizzarlo: non a spese degli altri, ma a favore degli altri. Aggiunge infatti: "...si faccia l'ultimo di tutti e il servo di tutti".

Ma quali sono i frutti dell'uno e dell'altro modo di primeggiare? La volontà di potenza, porta a una situazione in cui uno domina e gli altri servono; uno è reso "felice" (se ci può essere felicità in ciò), gli altri infelici; uno solo esce vincitore, tutti gli altri sconfitti; uno domina, gli altri sono dominati.

Sappiamo con quali risultati l'ideale del superuomo fu attuato da Hitler. Ma non si tratta solo del nazismo; quasi tutti i mali dell'umanità provengono da questa radice. Nella seconda lettura di questa domenica S. Giacomo si pone l'angosciosa e perenne domanda: "Da che cosa provengono le guerre?". Gesù nel vangelo ci da la risposta: dal desiderio di predominio! Predominio di un popolo su un altro, di una razza sull'altra, di un partito sugli altri, di un sesso sull'altro, di una religione sull'altra...

Nel servizio invece tutti beneficiano della grandezza di uno. Chi è grande nel servizio, è grande lui e fa grandi gli altri; anziché innalzarsi sugli altri, innalza gli altri con sé. Alessandro Manzoni conclude la sua rievocazione poetica delle imprese di Napoleone con la domanda: "Fu vera gloria? Ai posteri l'ardua sentenza". Questo dubbio, se fu vera gloria, non si pone per Madre Teresa di Calcutta, Raoul Follereau e tutti quelli che quotidianamente servono la causa dei poveri e dei feriti delle guerre, spesso a rischio della propria vita.

Resta solo un dubbio. Che pensare dell'antagonismo nello sport e della concorrenza nel commercio? Sono, anche queste cose, condannate dalla parola di Cristo? No, quando sono contenute dentro limiti di correttezza sportiva e commerciale, queste cose sono buone, servono ad aumentare il livello delle prestazioni fisiche e...ad abbassare i prezzi nel commercio. Indirettamente servono al bene comune. L'invito di Gesù ad essere l'ultimo, non si applica certo alla corse ciclistiche o alle gare di Formula Uno!

Ma proprio lo sport serve a mettere in luce il limite di questa grandezza rispetto a quella del servizio. "Nelle corse allo stadio, tutti corrono, ma uno solo conquista il premio", dice S. Paolo (1 Cor 9,24). Basta richiamare alla mente quello che avviene al termine di una finale dei 100 metri piani: il vincitore giubila, è attorniato dai fotografi ed è portato in trionfo; tutti gli altri si allontano mesti e umiliati. "Tutti corrono, ma uno solo conquista il premio".

S. Paolo trae però, dalle gare atletiche, anche un insegnamento positivo: "Ogni atleta, dice, è temperante in tutto. Quello che essi fanno per una corona corruttibile, non dovremmo farlo anche noi per avere da Dio la corona incorruttibile della vita eterna?". Via dunque alla gara nuova inventata da Cristo in cui è primo chi si fa ultimo di tutti e servo di tutti.

* * *

3. Luciano Manicardi
La sorte del giusto all’interno di un mondo segnato dall’ingiustizia e dal prevalere della spietata legge della forza è di essere soppresso (I lettura) e tale sorte è anche quella di Gesù che intravede l’esito cruento della sua vita predisponendosi a viverlo come occasione di fedeltà al Dio della vita e dell’amore, al Dio capace di far risorgere i morti (vangelo). Gesù, giusto sofferente, continua a credere al Dio che salva anche mentre va incontro al momento più buio della sua esistenza.
Gesù ripete l’annuncio della sua Pasqua già formulato precedentemente (cf. Mc 8,31), e dovrà ripeterlo ancora (cf. Mc 10,33-34). Ciò che è ripetuto è ciò che è importante, ma anche ciò che fatica a essere compreso. A livello antropologico ciò che è ripetuto è ciò che èessenziale e vitale; a livello teologico la ripetizione riformula l’evento fondamentale della salvezza – l’intervento di Dio nella storia – in situazioni, tempi e luoghi diversi. La ripetizione, all’interno della vicenda biblica, dice che la vicenda di Dio con l’umanità ha una sua semplicità che si sintetizza nell’evento pasquale, nella morte e resurrezione di Cristo.
L’espressione utilizzata da Gesù per indicare gli eventi che stanno per abbattersi su di lui è “essere consegnatonelle mani degli uomini”: colui che ha affidato la sua vita nelle mani di Dio, vedrà finire la sua vita in balia degli uomini, dei peccatori. La fede, come libera e volontaria consegna della propria vita al Signore, consente di vivere anche l’abbandono nelle mani degli uomini e la reificazione che questo comporta come parte integrante del cammino verso Dio.
L’annuncio da parte di Gesù della sua prossima morte segna un momento critico nel rapporto con la sua comunità. La parola di Gesù, che dovrebbe orientare il cammino dei discepoli e della chiesa, diviene motivo di scandalo. I discepoli non comprendono la sua parola e hanno paura di chiedergli spiegazioni. Meglio il buio che la luce, meglio l’incoscienza che la dolorosa ricerca della verità: questa sembra essere la condizione dei discepoli. Si può seguire Gesù senza interrogarlo e senza interrogarsi sul senso della sequela, senza pensare e riflettere, senza domandare e interrogare la fede stessa. Si può seguire Gesù senza cercarlo, per forza di abitudine, e la paura è la più efficace custode delle abitudini.

La comunicazione tra discepoli e Gesù è ostruita: essi non comprendono le sue parole e non rispondono alle sue domande; per paura non lo interrogano, per vergogna e cattiva coscienza non gli rispondono. E a tale incomprensione e non comunicazione “ecclesiale”, dell’intero gruppo dei discepoli nei confronti di Gesù, segue l’instaurarsi nello spazio comunitario della logica della competizione, del primeggiare, dell’imporsi. Se la logica della forza conduce a mettere a morte il giusto, la non assunzione della morte di Cristo nel cammino di sequela crea logiche di forza e di potere nello spazio ecclesiale. La comunicazione intra-ecclesiale e inter-ecclesiale può divenire incontro e comunione solo se la parola del vangelo (con l’evento pasquale che è al suo centro), regna come terzo tra i dialoganti.
Tale parola, che è il Cristo risorto e vivente, chiede alla chiesa di assumere la logica di Cristo: il primo deve essere l’ultimo di tutti. Il bambino vive una condizione di dipendenza, di schiavo (cf. Gal 4,1), dunque è figura del servo. Ma il gesto di Gesù, che mette in mezzo ai discepoli un bambino, assume anche il valore di insegnamento in riferimento alle patologie di comunicazione che i discepoli stanno vivendo: solo l’accoglienza reciproca nei confronti del più piccolo e demunito è degna di una comunità cristiana. A chi ambisce i primi posti fondandosi sulla propria “grandezza”, Gesù oppone il piccolo e ultimo per eccellenza, il bambino. Accoglierlo “nel mio nome” (Mc 9,37) significa entrare in una relazione sacramentale in cui si accoglie Gesù stesso quale servo, e si accoglie Dio che l’ha inviato. Così Dio viene ad assumere l’ultimo posto e contesta le pretese di primato dei discepoli.

4. Enzo Bianchi
Non è facile accogliere lo scandaloso annuncio della passione, morte e resurrezione di Gesù; ecco perché, per ben tre volte nella sua salita verso Gerusalemme, Gesù stesso lo ripete ai suoi discepoli (cf. Mc 8,31-32; 9,30-32; 10,32-34), ricevendone in cambio reazioni di assoluta incomprensione.
Oggi leggiamo il secondo di questi annunci: “Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà”. Gesù, il Figlio dell’Uomo che ha affidato la sua vita totalmente a Dio, la vedrà finire nelle mani dei figli degli uomini, quale giusto sofferente ingiustamente messo alla prova dai peccatori con insulti e tormenti (cf. Sap 2,19), quale Servo del Signore consegnato in riscatto dei nostri peccati (cf. Is 53,10-11). Questa qualità di “consegnato” – non lo si dimentichi – associa Gesù a tutti i profeti e giusti fino a Giovanni il Battezzatore, lui pure consegnato a Erode (cf. Mc 1,14). Gesù sarà consegnato da Giuda ai sommi sacerdoti (cf. Mc 14,10), costoro lo consegneranno a Pilato (cf. 15,1.10), il quale lo consegnerà ai soldati (cf. Mc 15,15): questa è la sorte dello schiavo, trattato come oggetto totalmente in balia di quanti fanno di lui ciò che vogliono…
“I discepoli però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni”. Un silenzio pieno di paura accoglie questa rivelazione di Gesù, a riprova di come egli sia ormai radicalmente solo, incompreso anche da quelli che avevano condiviso più da vicino la sua vicenda: essi sono incapaci di assumere l’atteggiamento di abbandono al Padre vissuto da Gesù in modo sempre più profondo a mano a mano che si avvicina la sua fine violenta. Eppure Gesù non chiude la porta al dialogo con la sua comunità, tentando costantemente di riportare il pensare e l’agire dei discepoli sui sentieri di Dio. Giunto a Cafarnao, in casa, interroga i Dodici: “Di che cosa stavate discutendo lungo la via?”. Ed essi ancora una volta tacciono, probabilmente per vergogna: “per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande”. In risposta alla prospettiva della diminuzione appena evocata da Gesù, i discepoli non sanno fare di meglio che discutere su chi tra di loro sia il più grande: se la comunità cristiananon fa propria la logica pasquale di Gesù, essa finisce inevitabilmente per fomentare al proprio interno lamentalità mondana della competizione e della rivalità…

Gesù prende allora nuovamente l’iniziativa e, con infinita pazienza, torna a istruire i Dodici; li convoca attorno a sé e rivolge loro parole lapidarie, che capovolgono il loro modo di pensare: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti”. Se nella chiesa c’è un primo posto, esso spetta solo a chi si fa servo dei fratelli! Gesù ribadirà tutto questo più avanti, aggiungendo anche la motivazione decisiva, o meglio l’unica motivazione realmente essenziale per il cristiano, l’esempio di Cristo: “Chi vuole essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per tutti» (Mc 10,44-45).
Segue poi un gesto di Gesù: “Preso un bambino lo pose in mezzo, abbracciandolo”. Il bambino è il povero per eccellenza, l’indifeso, colui che vive una condizione di totale dipendenza da chi può prendersi cura di lui oppure abbandonarlo. Ecco dunque il segno di chi è servo: è servo di tutti colui che sa accogliere e abbracciare quelli che non contano nulla, colui che sa prendere il posto degli ultimi. Con loro infatti si è identificato Gesù, come dimostrano le parole con cui accompagna e commenta il suo gesto: “Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato”. Egli stesso dirà altrove: “Ogni volta che avete servito uno solo di questi miei fratelli più piccoli, avete servito me” (cf. Mt 25,40)…
Sì, nella comunità cristiana il primo posto appartiene a chi accetta di seguire fedelmente il cammino del Signore Gesù, che nel servizio e nell’abbassamento fino alla croce ha sempre e solo cercato l’ultimo posto, quello che nessuno poteva rapirgli (cf. Fil 2,5-11): così ci si identifica con lui e, attraverso di lui, con il Padre che l’ha inviato.
* * *

Letture della preghiera notturna dei certosini

Tempo Ordinario

VENTICINQUESIMA DOMENICA

9

Dal vangelo secondo Luca: 10,23-37Gesù disse a un dottore
della legge: "Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e
incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e
poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Un samaritano,
che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e ne ebbe
compassione".

Dal "Commento sul vangelo di Luca" di sant'Ambrogio.

Gerico è l'immagine di questo mondo, dove, cacciato dal
Paradiso, cioè dalla Gerusalemme celeste, Adamo è disceso
; egli passò dalla vita vera ad una esistenza diminuita, a
causa del passo falso della prevaricazione. Non fu un
cambiamento di luogo, ma un cambiamento di costumi a
trasformare in esilio la sua esistenza. Quanto è mutato da
quell'Adamo, che godeva di una felicità senza incrinature!
Dal giorno in cui è sprofondato nelle colpe di quaggiù,
egli incontra i banditi, nei quali non si sarebbe imbattuto
se non avesse violato il comandamento divino. Chi sono
questi banditi se non gli angeli della notte e delle
tenebre, che talvolta si travestono in angeli di luce, senza
però poter a lungo perseverare cosi? Essi ci spogliano
anzitutto degli abiti della grazia che abbiamo ricevuto. Poi
hanno ogni possibilità di infliggerci ferite; infatti se
noi riuscissimo a conservare intatti gli abiti ricevuti, i
colpi dei banditi non ci ferirebbero. Stai quindi attento a
non essere prima spogliato come Adamo che si trovò nudo,
senza la protezione del comandamento celeste perché aveva
abbandonato l'abito della fede. Così gli fu inflitta quella
ferita mortale che avrebbe fatto soccombere tutta
l'umanità, se non fosse sceso il Samaritano a guarire le
sue piaghe dolorose.

10

Questo Samaritano che discese chi è se non colui che è
salito al cielo, il Figlio dell'uomo che è nel cielo? Gv
3,13. Questo Samaritano, vedendo quell'uomo mezzo morto che
nessuno sino allora aveva potuto guarire - come quella donna
che soffriva di emorragia e aveva spesa tutta la sua fortuna
in medici – gli si fece vicino. In altre parole:
accettando di soffrire con noi, si è fatto nostro prossimo
ed esercitando la sua misericordia ci si è fatto vicino.
Gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino. Questo medico
ha con sé molte medicine, con le quali è solito guarire.
La sua parola è uno di questi rimedi: con un suo discorso
Cristo fascia le ferite, con un altro le asperge d'olio, con
un altro ancora vi versa sopra vino. Fascia le ferite con un
precetto più austero, cura con la remissione dei peccati,
e, infligge la minaccia del giudizio come vino frizzante che
pizzica. Poi lo coricò sul suo giumento. Ascolta in qual
modo carica anche te: Egli si è coricato delle nostre
sofferenze e si è addossato i nostri dolori. Is 53,4. Anche
il pastore ha posto la pecora stanca sulle sue spalle.
L'uomo infatti era divenuto simile a un animale.

11

Infine il nostro buon Samaritano condusse nella locanda noi,
che eravamo come giumenti. Il giorno seguente estrasse due
denari e li diede all'albergatore. Chi è l'albergatore?
Forse colui che disse del denaro e del resto: Tutto
considero come una spazzatura al fine di guadagnare Cristo
Fil 3,8 per aver agio di prendersi cura dell'uomo ferito.
L'albergatore è perciò colui che disse: Cristo è colui
che mi ha mandato a predicare il vangelo. 1 Cor 1, 17. I
locandieri sono coloro ai quali è detto: Andate in tutto il
mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà
e sarò battezzato sarà salvo, Mc 16,15-16 sì, sarà
salvato dalla: morte, salvato d'alle ferite inflittegli dai
briganti. Beato l'albergatore che può curare le ferite
degli altri; beato colui al quale Gesù dice: Ciò che
spenderai di più te lo rifonderò al mio ritorno. Buon
dispensatore colui che dispensa in sovrappiù. Buon
dispensatore Paolo lo era, lui, del quale i discorsi e le
lettere oltrepassano, per così dire, la cerchia di quelli
di cui era responsabile. Infatti egli sorpassò il mandato
stabilitogli dal Signore con un lavoro quasi illimitato
d'anima e di corpo allo scopo di sollevare più uomini
possibile dalle loro gravi malattie dispensando la sua
parola.

12

Il Samaritano promette di saldare il conto. Ma quando
tornerai, Signore, se non nel giorno del giudizio? Benché
tu sia sempre e ovunque, benché tu sia sempre in mezzo a
noi invisibile, verrà tuttavia il giorno in cui tutti gli
uomini ti vedranno tornare. Allora pagherai ciò che devi.
Beati coloro che hanno Dio per debitore! Potessimo noi
essere debitori solvibili, potessimo noi essere in grado di
pagare ciò che abbiamo ricevuto, senza che il ruolo del
sacerdozio o del ministero ci esalti! In qual modo pagherai,
Signore Gesù? Hai promesso che in cielo i buoni avranno
un'abbondante ricompensa. Eppure elargirai ancora, dicendo:
Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti
darò autorità su molto: prendi parte alla gioia del tuo
padrone. Mt 25, 21. Poiché nessuno ci è più prossimo di
colui che ha guarito le nostre ferite, amiamolo come Signore
e amiamolo anche come prossimo: nulla è cosi prossimo come
il capo alle membra. Amiamo anche colui che è imitatore di
Cristo; amiamo colui che soffre per la povertà altrui, a
motivo dell'unità del corpo. Non è la parentela che ci fa
l'un l'altro prossimi, ma la misericordia, poiché la
misericordia è conforme alla natura: non c'è niente
infatti più conforme alla natura quanto aiutare colui che
condivide la nostra, stessa pasta umana.