martedì 23 ottobre 2012

Dal Medioevo una guida per l'Anno della Fede


 
Propongo di seguito un commento alla lettera pastorale di Benedetto XVI su Santa Ildegarda di Bingen
di Massimo Introvigne

Qualche giorno fa è stata pubblicata la lettera apostolica di Benedetto XVI, datata 7 ottobre 2012, per la proclamazione di  santa Ildegarda di Bingen  (1098-1179) come dottore della Chiesa universale. I dottori della Chiesa sono santi canonizzati che il Papa o un Concilio propongono ai fedeli come maestri particolarmente qualificati della dottrina cattolica. Il titolo è raro,  dal momento che i dottori della Chiesa finora proclamati sono solo trentacinque. Ildegarda è la terza donna a ricevere questo titolo, dopo Teresa d'Ávila (1515-1582) e Teresa di Lisieux (1873-1897).
Il Pontefice è particolarmente affezionato a questa santa benedettina medievale tedesca, che ha spesso citato, e vale dunque la pena di tornare sulla lettera apostolica.
Dopo avere ricordato che il beato Giovanni Paolo II (1920-2005) ebbe a definire Ildegarda «luce del suo popolo e del suo tempo», Benedetto XVI osserva che «come per ogni autentica esperienza umana e teologale, la sua autorevolezza supera decisamente i confini di un’epoca e di una società» e s'impone a noi ancora oggi. La ragione è la «straordinaria armonia tra la dottrina e la vita quotidiana», ispirata alla Regola di san Benedetto (ca. 480-547) e accompagnata da una straordinaria «capacità di penetrazione delle realtà celesti».
Ildegarda, ricorda il Papa, nasce nel 1089 a Bermersheim in Renania, da genitori nobili. A otto anni entra come oblata nell'abbazia benedettina di Disibodenberg, e a diciassette anni emette la sua professione religiosa. Alla morte di Jutta di Sponheim (1092-1136), all'età di quarantasette anni  Ildegarda è chiamata a succederle in qualità di maestra delle novizie. La sua fama di santità attira così tante vocazioni che nel 1150 la comunità dovette dividersi in due. Ildegarda «fondò un monastero sul colle chiamato Rupertsberg, nei pressi di Bingen, dove si trasferì insieme a venti consorelle. Nel 1165, ne istituì un altro a Eibingen, sulla riva opposta del Reno. Fu badessa di entrambi».
Ma non si occupò solo dei suoi monasteri: «s’impegnò attivamente a rinvigorire la fede cristiana e a rafforzare la pratica religiosa, contrastando le tendenze ereticali dei catari, promuovendo la riforma della Chiesa con gli scritti e la predicazione, contribuendo a migliorare la disciplina e la vita del clero. Su invito prima di Adriano IV [1100-1159] e poi di Alessandro III [1100-1181] Ildegarda esercitò un fecondo apostolato — allora non molto frequente per una donna — effettuando alcuni viaggi non privi di disagi e difficoltà, per predicare perfino nelle pubbliche piazze e in varie chiese cattedrali, come avvenne tra l’altro a Colonia, Treviri, Liegi, Magonza, Metz, Bamberga e Würzburg».
Non è esagerato dire che - prima di morire nel monastero del Rupertsberg il 17 settembre 1179 - Ildegarda esercitò un influsso decisivo su tutta la cultura del suo tempo, «coinvolgendo in un incisivo rinnovamento la teologia, la liturgia, le scienze naturali e la musica».
La dottrina di Ildegarda si basa spesso sulle sue rivelazioni private, ma «è ritenuta eminente sia per la profondità e la correttezza delle sue interpretazioni, sia per l’originalità delle sue visioni. I testi da lei composti appaiono animati da un’autentica “carità intellettuale” ed evidenziano densità e freschezza nella contemplazione del mistero». «Il Signore l’aveva resa partecipe, fin da bambina, di una serie di visioni», che furono messe pr iscritto, e studiate e approvate da san Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) e dal Papa beato Eugenio III (1145-1153). Ildegarda scrisse anche di medicina, scienza naturali, musica. «Il corpus dei suoi scritti, per quantità, qualità e varietà di interessi, non ha paragoni con alcun’altra autrice del medioevo».
Benedetto XVI cita come sue opere principali lo «Scivias», il «Liber vitae meritorum» e il «Liber divinorum operum». «Tutte narrano le sue visioni e l’incarico ricevuto dal Signore di trascriverle». Ma anche le sue Lettere, «nella consapevolezza delle stessa autrice, non rivestono una minore importanza e testimoniano l’attenzione di Ildegarda alle vicende del suo tempo, che ella interpreta alla luce del mistero di Dio». Ci sono inoltre cinquantotto discorsi o sermoni alle consorelle, le «Expositiones evangeliorum»,  «contenenti un commento letterale e morale a brani evangelici legati alle principali celebrazioni dell’anno liturgico». Ma andrebbero letti anche gli scritti sulla musica, con la «Symphonia armoniae caelestium revelationum»; sulla medicina, con il «Liber subtilitatum diversarum naturarum creaturarum» e il «Causae et curae»; sulle scienze naturali, con la «Physica»; sulla linguistica, con la «Lingua ignota» e le «Litterae ignotae», «nei quali compaiono parole in una lingua sconosciuta di sua invenzione, ma composta prevalentemente di fonemi presenti nella lingua tedesca».

Al di là del linguaggio simbolico e metaforico, dobbiamo chiederci qual è il centro del l'insegnamento del nuovo dottore della Chiesa. Benedetto XVI risponde che «Ildegarda fissa lo guardo sull’evento della rivelazione. La sua indagine si sviluppa a partire dalla pagina biblica, alla quale, nelle successive fasi, resta saldamente ancorata», offrendo una sintesi di tutta la storia della salvezza. «La decisione di Dio di compiere l’opera della creazione è la prima tappa di questo immenso percorso, che, alla luce della Sacra Scrittura, si snoda dalla costituzione della gerarchia celeste fino alla caduta degli angeli ribelli e al peccato dei progenitori. A questo quadro iniziale fa seguito l’incarnazione redentrice del Figlio di Dio, l’azione della Chiesa che continua nel tempo il mistero dell’incarnazione e la lotta contro satana. L’avvento definitivo del regno di Dio e il giudizio universale saranno il coronamento di questa opera».
Mentre è presentato questo grandioso affresco storico, emerge continuamente «la questione fondamentale se sia possibile conoscere Dio: è questo il compito fondamentale della teologia. La sua risposta è pienamente positiva: mediante la fede, come attraverso una porta, l’uomo è in grado di avvicinarsi a questa conoscenza». Certo, «Dio conserva sempre il suo alone di mistero e di incomprensibilità. Egli si rende intelligibile nel creato, ma questo, a sua volta, non viene compreso pienamente se viene distaccato da Dio. Infatti, la natura considerata in sé fornisce solo delle informazioni parziali, che non di rado diventano occasioni di errori e di abusi. Perciò anche nella dinamica conoscitiva naturale occorre la fede, altrimenti la conoscenza resta limitata, insoddisfacente e fuorviante». Per questo iniziare l'Anno della fede sotto il patrocinio di Ildegarda è particolarmente appropriato. La santa, più di altri, ha sottolineato il ruolo essenziale della fede per la conoscenza della natura.
Per Ildegarda, infatti, «la creazione è un atto di amore, grazie al quale il mondo può emergere dal nulla: dunque tutta la scala delle creature è attraversata, come la corrente di un fiume, dalla carità divina». Ma, «fra tutte le creature, Dio ama in modo particolare l’uomo e gli conferisce una straordinaria dignità, donandogli quella gloria che gli angeli ribelli hanno perduto. L’umanità, così, può essere considerata come il decimo coro della gerarchia angelica».
Con un passaggio ardito, ma fondato rigorosamente dal punto di vista filosofico e teologico, Ildegarda ne deduce che «l’uomo è in grado di conoscere Dio in se stesso, cioè la sua individua natura nella trinità delle persone». Sulla base di questo accostamento piuttosto agostiniano al mistero trinitario, la santa afferma che «per analogia con la propria struttura di essere razionale, l’uomo è in grado di avere almeno un’immagine della intima realtà di Dio. Ma è solo nell’economia dell’incarnazione e della vicenda umana del Figlio di Dio che questo mistero diventa accessibile alla fede e alla consapevolezza dell’uomo. La santa ed ineffabile Trinità nella somma unità era nascosta ai servitori della legge antica. Ma nella nuova grazia veniva rivelata ai liberati dalla servitù. La Trinità si è rivelata in modo particolare nella croce del Figlio»..
Se il primo «luogo» dove il Dio trinitario si rende conoscibile è l'uomo stesso, il secondo è la sua parola contenuta nella Sacra Scrittura. «Proprio perché Dio “parla”, l’uomo è chiamato all’ascolto. Questo concetto offre a Ildegarda l’occasione di esporre la sua dottrina sul canto, in modo particolare quello liturgico. Il suono della parola di Dio crea vita e si manifesta nelle creature. Anche gli esseri privi di razionalità, grazie alla parola creatrice vengono coinvolti nel dinamismo creaturale. Ma, naturalmente, è l’uomo quella creatura che, con la sua voce, può rispondere alla voce del Creatore. E può farlo in due modi principali: "in voce oris", cioè nella celebrazione della liturgia, e "in voce cordis", cioè con una vita virtuosa e santa. L’intera vita umana, pertanto, può essere interpretata come un’armonia e una sinfonia». Si comprende come queste idee abbiano attirato l'attenzione di Benedetto XVI, che è così attento alla musica.
Di qui nasce anche in Ildegarda una completa antropologia filosofica e teologica che parte dalla nozione dell'uomo come immagine di Dio. «L’uomo, secondo la cosmologia ildegardiana fondata sulla Bibbia, racchiude tutti gli elementi del mondo, perché l’universo intero si riassume in lui, che è formato della materia stessa della creazione». Più in particolare, «l'immagine divina nell’uomo consiste nella sua razionalità, strutturata in intelletto e volontà. Grazie all’intelletto l’uomo è capace di distinguere il bene e il male, grazie alla volontà egli è spinto all’azione». Inoltre l'uomo in Ildegarda è sempre considerato come unità di corpo e di anima, il che significa che il corpo non è mai trascurato. «Si nota nella mistica tedesca un apprezzamento positivo della corporeità e, anche negli aspetti di fragilità che il corpo manifesta, ella è capace di cogliere un valore provvidenziale: il corpo non è un peso di cui liberarsi e, perfino quando è debole e fragile, “educa” l’uomo al senso della creaturalità e dell’umiltà, proteggendolo dalla superbia e dall’arroganza». La prospettiva escatologica lo conferma. «In una visione Ildegarda contempla le anime dei beati del paradiso, che sono in attesa di ricongiungersi ai loro corpi. Infatti, come per il corpo di Cristo, anche i nostri corpi sono orientati verso la risurrezione gloriosa, per una profonda trasformazione per la vita eterna. La stessa visione di Dio, nella quale consiste la vita eterna, non si può conseguire in modo definitivo senza il corpo».

 Ildegarda non conosce il linguaggio politicamente corretto moderno e parla dell'«uomo», ma ovviamente sa che la persona umana si dà nella sua forma concreta maschile o femminile. «Ildegarda riconosce che in questa struttura ontologica della condizione umana si radica una relazione di reciprocità e una sostanziale uguaglianza tra uomo e donna. Nell’umanità, però, abita anche il mistero del peccato ed esso si manifesta per la prima volta nella storia proprio in questo rapporto tra Adamo ed Eva. A differenza di altri autori medievali, che vedevano la causa della caduta nella debolezza di Eva, Ildegarda la coglie soprattutto nella smodata passione di Adamo verso di lei».
L'uomo dunque pecca, ma l'amore di Dio non lo abbandona e si manifesta ora come misericordia. «Perfino la punizione che Dio infligge all’uomo e alla donna fa emergere l’amore misericordioso del Creatore. In tal senso, la più precisa descrizione della creatura umana è quella di un essere in cammino, "homo viator".  In questo pellegrinaggio verso la patria, l’uomo è chiamato ad una lotta per poter scegliere costantemente il bene ed evitare il male», ascoltando la voce del Padre, conformandosi a Cristo e lasciandosi ispirare dallo Spirito Santo, così ancora una volta realizzando in sé l'immagine trinitaria di Dio.
La salvezza e la redenzione dell'uomo, però, «non si compiono solo mediante uno sforzo della volontà, bensì attraverso i doni della grazia che Dio concede nella Chiesa». Si ha qui un altro spunto di Ildegarda prezioso per l'Anno della fede: la fede non si vive da soli, in balia delle proprie derive soggettivistiche, ma si vive nella Chiesa. Per Ildegarda la Chiesa è la «costruzione delle anime viventi», «può essere giustamente considerata come vergine, sposa e madre e, dunque, è strettamente assimilata alla figura storica e mistica della Madre di Dio». La Chiesa, attraverso i sacramenti, comunica la salvezza «perché Dio in essa manifesta il suo amore intratrinitario, che si è rivelato in Cristo». Mistero di Cristo e mistero di Maria, insegna Ildegarda, s'incontrano nel mistero della Chiesa. Gesù «dal grembo trinitario viene incontro all’uomo e dal grembo di Maria va incontro a Dio: come Figlio di Dio è l’amore incarnato, come Figlio di Maria è il rappresentante dell’umanità davanti al trono di Dio».
Il vertice della teologia di Ildegarda sta nella stupefacente affermazione secondo cui «l'uomo può giungere perfino a sperimentare Dio. Il rapporto con lui, infatti, non si consuma nella sola sfera della razionalità, ma coinvolge in modo totale la persona. Tutti i sensi esterni e interni dell’uomo sono interessati nell’esperienza di Dio». Qui vale la pena di ascoltare Ildegarda direttamente, e nell'originale latino della sua «Explanatio Symboli Sancti Athanasii»: «Homo autem ad imaginem et similitudinem Dei factus est, ut quinque sensibus corporis sui operetur; per quos etiam divisus non est, sed per eos est sapiens et sciens et intellegens opera sua adimplere. [...] Sed et per hoc, quod homo sapiens, sciens et intellegens est, creaturas conosci; itaque per creaturas et per magna opera sua, quae etiam quinque sensibus suis vix comprehendit, Deum cognoscit, quem nisi in fide videre non valet» [L’uomo infatti è stato creato a immagine e somiglianza di Dio, affinché agisca tramite i cinque sensi del suo corpo; grazie ad essi non è separato ed è in grado di conoscere, capire e compiere quello che deve fare (...) e proprio per questo, per il fatto che l’uomo è intelligente, conosce le creature, e così attraverso le creature e le grandi opere, che a stento riesce a capire con i suoi cinque sensi, conosce Dio, quel Dio che non può essere visto se non con gli occhi della fede].
Ildegarda sa però che, già alla sua epoca, questa esperienza è in pericolo, precisamente perché l'orgoglio umano presume erroneamente di poterla trovare individualmente, fuori della Chiesa. La santa denuncia «come l’individualismo nella dottrina e nella prassi da parte tanto dei laici quanto dei ministri ordinati sia un’espressione di superbia e costituisca il principale ostacolo alla missione evangelizzatrice della Chiesa verso i non cristiani».
Ildegarda è badessa di due monasteri benedettini. «Una delle vette» del suo magistero «è la sua comprensione della vita consacrata [che] è una vera “metafisica teologica”, perché fermamente radicata nella virtù teologale della fede, che è la fonte e la costante motivazione per impegnarsi a fondo nell’obbedienza, nella povertà e nella castità». Questa «eminente dottrina di Ildegarda», così appropriata all'Anno della fede, «riecheggia l’insegnamento degli apostoli, la letteratura patristica e gli autori contemporanei, mentre trova nella Regola di san Benedetto da Norcia un costante punto di riferimento».
Più in generale, «la liturgia monastica e l’interiorizzazione della Sacra Scrittura costituiscono le linee-guida del suo pensiero, che, concentrandosi nel mistero dell’Incarnazione, si esprime in una profonda unità stilistica e contenutistica che percorre intimamente tutti i suoi scritti». Nel loro insieme, essi costituiscono «una guida per l'"homo viator"»,  «straordinariamente attuale» per noi. Studiando gli scritti del nuovo dottore della Chiesa, oggi possiamo guardare «alla capacità carismatica e speculativa di Ildegarda, che si presenta come un vivace incentivo alla ricerca teologica; alla sua riflessione sul mistero di Cristo, considerato nella sua bellezza; al dialogo della Chiesa e della teologia con la cultura, la scienza e l’arte contemporanea; all’ideale di vita consacrata, come possibilità di umana realizzazione; alla valorizzazione della liturgia, come celebrazione della vita; all’idea di riforma della Chiesa, non come sterile cambiamento delle strutture, ma come conversione del cuore; alla sua sensibilità per la natura, le cui leggi sono da tutelare non da violare».
Per questo, conclude Benedetto XVI, «l’attribuzione del titolo di Dottore della Chiesa universale a Ildegarda di Bingen ha un grande significato per il mondo di oggi e una straordinaria importanza per le donne. In Ildegarda risultano espressi i più nobili valori della femminilità: perciò anche la presenza della donna nella Chiesa e nella società viene illuminata dalla sua figura, sia nell’ottica della ricerca scientifica sia in quella dell’azione pastorale. La sua capacità di parlare a coloro che sono lontani dalla fede e dalla Chiesa rendono Ildegarda una testimone credibile della nuova evangelizzazione».

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 IN questo blog vedi anche su Ildegarda di Bingen i post seguenti:

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