domenica 21 ottobre 2012

La santità non ammette distinzioni




Cappella papale in San Pietro per la canonizzazione di 7 beati. Omelia del Papa. "Possa la testimonianza dei nuovi Santi, della loro vita generosamente offerta per amore di Cristo, parlare oggi a tutta la Chiesa, e la loro intercessione possa rafforzarla e sostenerla nella sua missione di annunciare il Vangelo al mondo intero" 

Il Figlio dell’uomo è venuto per servire e dare la propria vita in riscatto per molti (cfr Mc 10,45).
Venerati Fratelli,
cari fratelli e sorelle!
Oggi la Chiesa ascolta ancora una volta queste parole di Gesù, pronunciate durante il cammino verso Gerusalemme, dove si doveva compiere il suo mistero di passione, morte e risurrezione. Sono parole che contengono il senso della missione di Cristo sulla terra, segnata dalla sua immolazione, dalla sua donazione totale. In questa terza domenica di ottobre, nella quale si celebra la Giornata Missionaria Mondiale, la Chiesa le ascolta con particolare intensità e ravviva la consapevolezza di essere tutta intera in perenne stato di servizio all’uomo e al Vangelo, come Colui che ha offerto se stesso fino al sacrificio della vita.
Rivolgo il mio saluto cordiale a tutti voi, che riempite Piazza San Pietro, in particolare le Delegazioni ufficiali e i pellegrini venuti per festeggiare i sette nuovi Santi. Saluto con affetto i Cardinali e i Vescovi che in questi giorni stanno partecipando all’Assemblea sinodale sulla Nuova Evangelizzazione. E’ felice la coincidenza tra questa Assise e la Giornata Missionaria; e la Parola di Dio che abbiamo ascoltato risulta illuminante per entrambe. Essa mostra lo stile dell’evangelizzatore, chiamato a testimoniare ed annunciare il messaggio cristiano conformandosi a Gesù Cristo, seguendo la sua stessa via. Questo vale sia per la missione ad gentes, sia per la nuova evangelizzazione nelle regioni di antica cristianità.
Queste parole hanno costituito il programma di vita dei sette Beati che oggi la Chiesa iscrive solennemente nella gloriosa schiera dei Santi. Con eroico coraggio essi hanno speso la loro esistenza nella totale consacrazione a Dio e nel generoso servizio ai fratelli. Sono figli e figlie della Chiesa, che hanno scelto la via del servizio seguendo il Signore. La santità nella Chiesa ha sempre la sua sorgente nel mistero della Redenzione, che viene prefigurato dal profeta Isaia nella prima Lettura: il Servo del Signore è il Giusto che «giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità» (Is 53,11), è Gesù Cristo, crocifisso, risorto e vivo nella gloria. L’odierna canonizzazione costituisce un’eloquente conferma di tale misteriosa realtà salvifica. La tenace professione di fede di questi sette generosi discepoli di Cristo, la loro conformazione al Figlio dell’Uomo risplende oggi in tutta la Chiesa.
Jacques Berthieu, nato nel 1838, in Francia, fu ben presto conquistato da Gesù Cristo. Durante il suo ministero in parrocchia, ebbe il desiderio ardente di salvare le anime. Diventato gesuita, voleva percorrere il mondo per la gloria di Dio. Pastore infaticabile nell’Isola Santa Maria e poi nel Madagascar, lottò contro l’ingiustizia, mentre recava sollievo ai poveri e ai malati. I Malgasci lo consideravano come un sacerdote venuto dal cielo, dicendo: Lei è il nostro ‘padre e madre’! Si fece tutto a tutti, attingendo nella preghiera e nell’amore del Cuore di Gesù la forza umana e sacerdotale di giungere fino al martirio nel 1896. Morì dicendo: «Preferisco morire piuttosto che rinunciare alla mia fede». Cari amici, la vita di questo evangelizzatore sia un incoraggiamento e un modello per i sacerdoti, affinché siano uomini di Dio come lui! Il suo esempio aiuti i numerosi cristiani oggi perseguitati a causa della fede! Possa la sua intercessione, in questo Anno della fede, portare frutti per il Madagascar e il continente africano! Dio benedica il popolo malgascio!
Pedro Calungsod nacque intorno al 1654, nella regione di Visayas nelle Filippine. Il suo amore per Cristo lo spinse a prepararsi per diventare catechista con i missionari Gesuiti di quel luogo. Nel 1668, assieme ad altri giovani catechisti, accompagnò il P. Diego Luis de San Vitores alle Isole Marianas per evangelizzare il popolo Chamorro. La vita là era dura e i missionari soffrirono persecuzioni a causa di invidie e calunnie. Pedro, però, dimostrò fede e carità profonde e continuò a catechizzare i molti convertiti, dando testimonianza a Cristo mediante una vita di purezza e di dedizione al Vangelo. Molto intenso era il suo desiderio di guadagnare anime a Cristo, e ciò lo rese risoluto nell’accettare il martirio. Morì il 2 aprile 1672. Testimoni raccontano che Pedro avrebbe potuto mettersi in salvo ma scelse di rimanere al fianco di P. Diego. Il sacerdote ebbe modo di dare l’assoluzione a Pedro prima di essere lui stesso ucciso. Possano l’esempio e la coraggiosa testimonianza di Pedro Calungsod ispirare le care popolazioni delle Filippine ad annunciare il Regno di Dio con forza e guadagnare anime a Dio!
Giovanni Battista Piamarta, sacerdote della diocesi di Brescia, fu un grande apostolo della carità e della gioventù. Avvertiva l’esigenza di una presenza culturale e sociale del cattolicesimo nel mondo moderno, pertanto si dedicò all’elevazione cristiana, morale e professionale delle nuove generazioni con la sua illuminata carica di umanità e di bontà. Animato da fiducia incrollabile nella Divina Provvidenza e da profondo spirito di sacrificio, affrontò difficoltà e fatiche per dare vita a diverse opere apostoliche, tra le quali: l’Istituto degli Artigianelli, l’Editrice Queriniana, la Congregazione maschile della Santa Famiglia di Nazareth e la Congregazione delle Umili Serve del Signore. Il segreto della sua intensa ed operosa vita sta nelle lunghe ore che egli dedicava alla preghiera. Quando era oberato di lavoro, aumentava il tempo per l’incontro, cuore a cuore, con il Signore. Preferiva le soste davanti al santissimo Sacramento, meditando la passione, morte e risurrezione di Cristo, per attingere forza spirituale e ripartire alla conquista del cuore della gente, specie dei giovani, per ricondurli alle sorgenti della vita con sempre nuove iniziative pastorali.
«Donaci, Signore, il tuo amore: in te speriamo». Con queste parole, la liturgia ci invita a fare nostro questo inno a Dio creatore e provvidente, accettando il suo progetto nella nostra vita. Così fece santa Maria del Carmelo Sallés y Barangueras, religiosa nata a Vic, in Spagna, nel 1848. Ella, vedendo realizzata la sua speranza, dopo molte vicissitudini, contemplando lo sviluppo della Congregazione delle Religiose Concezioniste Missionarie dell’Insegnamento, che aveva fondato nel 1892, poté cantare insieme con la Madre di Dio: «Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono». La sua opera educativa, affidata alla Vergine Immacolata, continua a portare frutti abbondanti in mezzo alla gioventù mediante l’impegno generoso delle sue figlie, che come lei si pongono nelle mani del Dio che tutto può. Rivolgo ora lo sguardo a Marianne Cope, nata nel 1838 ad Heppenheim, in Germania. Quando aveva un anno soltanto fu portata negli Stati Uniti, e nel 1862 entrò nel Terz’Ordine Regolare di san Francesco a Syracuse, New York. In seguito, come Superiora Generale della sua Congregazione, Madre Marianne accolse di sua volontà una chiamata a prendersi cura dei lebbrosi delle Hawaii, dopo che molti altri avevano rifiutato. Si recò là con sei consorelle, per gestire un ospedale a Oahu e successivamente fondare l’ospedale Malulani a Maui ed aprire una casa per ragazze i cui genitori erano lebbrosi. Dopo cinque anni, accettò l’invito ad aprire una casa per donne e ragazze nella stessa isola di Molokai, coraggiosamente andandovi lei stessa ed in pratica terminando il proprio contatto con il mondo esterno. Là si prese cura di padre Damiano, già famoso per la sua eroica attività fra i lebbrosi, curandolo sino alla morte e prendendone il posto fra i lebbrosi maschi. Quando ancora si poteva fare poco per quanti soffrivano di questa terribile malattia, Marianne Cope dimostrò l’amore, il coraggio e l’entusiasmo più alti. Ella è un luminoso e forte esempio della migliore tradizione cattolica nell’accudire alle sorelle e dello spirito del suo amato san Francesco.
Kateri Tekakwitha nacque nell’odierno stato di New York nel 1656 da padre Mohawk e da madre cristiana algonchina, che le trasmise il senso del Dio vivente. Fu battezzata all’età di vent’anni e, per fuggire dalle persecuzioni, si rifugiò nella missione di san Francesco Saverio vicino a Montreal. Là lavorò, fedele alle tradizioni del suo popolo - anche se rinunciò alle convinzioni religiose della sua gente - sino alla morte all’età di 24 anni. Vivendo un’esistenza semplice, Kateri rimase fedele al suo amore per Gesù, alla preghiera e alla Messa quotidiana. Il suo più grande desiderio era conoscere Dio e fare ciò che a Lui piace.
Kateri ci impressiona per l’azione della grazia nella sua vita in assenza di sostegni esterni, e per il coraggio nella vocazione tanto particolare nella sua cultura. In lei, fede e cultura si arricchiscono a vicenda! Il suo esempio ci aiuti a vivere là dove siamo, senza rinnegare ciò che siamo, amando Gesù! Santa Kateri, patrona del Canada e prima santa amerinda, noi ti affidiamo il rinnovamento della fede nelle prime nazioni e in tutta l’America del Nord! Dio benedica le prime nazioni!
Anna Schäffer di Mindelstetten, da giovane, voleva entrare a far parte di un Ordine religioso missionario. Essendo di modesta provenienza, cercò di guadagnare come domestica la dote necessaria per essere accolta in convento. In questo lavoro ebbe un grave incidente con ustioni inguaribili alle gambe, che la costrinsero al letto per tutta la vita. Così, il letto di dolore diventò per lei cella conventuale e la sofferenza costituì il suo servizio missionario. Inizialmente si lamentava della propria sorte, ma poi giunse a interpretare la sua situazione come una chiamata amorevole del Crocifisso a seguirLo. Confortata dalla Comunione quotidiana, ella diventò un’instancabile strumento di intercessione nella preghiera e un riflesso dell’amore di Dio per molte persone che cercavano il suo consiglio. Possa il suo apostolato di preghiera e di sofferenza, di sacrificio e di espiazione costituire un esempio luminoso per i fedeli nella sua Patria, e la sua intercessione rafforzi il movimento cristiano di hospice [centri di cure palliative per malati terminali] nel loro benefico servizio.
Cari fratelli e sorelle! Questi nuovi Santi, diversi per origine, lingua, nazione e condizione sociale, sono uniti con l’intero Popolo di Dio nel mistero di salvezza di Cristo, il Redentore. Insieme a loro, anche noi qui riuniti con i Padri sinodali venuti da ogni parte del mondo, con le parole del Salmo proclamiamo al Signore che «egli è nostro aiuto e nostro scudo», e lo invochiamo: «Su di noi sia il tuo amore, Signore, come da te noi speriamo» (Sal 32,20-22). Possa la testimonianza dei nuovi Santi, della loro vita generosamente offerta per amore di Cristo, parlare oggi a tutta la Chiesa, e la loro intercessione possa rafforzarla e sostenerla nella sua missione di annunciare il Vangelo al mondo intero.

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Di seguito i testi della Liturgia di oggi 21 ottobre

XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIOAnno B 

Le aspirazioni del cuore, anima della preghiera
Dalla «Lettera a Proba» di sant'Agostino, vescovo
(Lett. 130, 8, 15. 17 - 9, 18; CSEL 44, 56-57. 59-60)

Quando preghiamo non dobbiamo mai perderci in tante considerazioni, cercando di sapere che cosa dobbiamo chiedere e temendo di non riuscire a pregare come si conviene. Perché non diciamo piuttosto col salmista: «Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per gustare la dolcezza del Signore e ammirare il suo, santuario»? (Sal 26, 4). Ivi infatti non c'è successione di giorni come se ogni giorno dovesse arrivare e poi passare. L'inizio dell'uno non segna la fine dell'altro, perché vi si trovano presenti tutti contemporaneamente. La vita, alla quale quei giorni appartengono, non conosce tramonto.
Per conseguire questa vita beata, la stessa vera Vita in persona ci ha insegnato a pregare, non con molte parole, come se fossimo tanto più facilmente esauditi, quanto più siamo prolissi. Nella preghiera infatti ci rivolgiamo a colui che, come dice il Signore medesimo, già sa quello che ci è necessario, prima ancora che glielo chiediamo (cfr. Mt 6, 7-8).
Potrebbe sembrare strano che Dio ci comandi di fargli delle richieste quando egli conosce, prima ancora che glielo domandiamo, quello che ci è necessario. Dobbiamo però riflettere che a lui non importa tanto la manifestazione del nostro desiderio, cosa che egli conosce molto
bene, ma piuttosto che questo desiderio si ravvivi in noi mediante la domanda perché possiamo ottenere ciò che egli è già disposto a concederci. Questo dono, infatti, è assai grande, mentre noi siamo tanto piccoli e limitati per accoglierlo. Perciò ci vien detto: «Aprite anche voi il vostro cuore! Non lasciatevi legare al giogo estraneo degli infedeli» (2 Cor 6, 13-14).
Il dono è davvero grande, tanto che né occhio mai vide, perché non è colore; né orecchio mai udì, perché non è suono; né mai è entrato in cuore d'uomo (cfr. 1 Cor 2, 9), perché è là che il cuore dell'uomo deve entrare. Lo riceviamo con tanta maggiore capacità, quanto più salda sarà la nostra fede, più ferma la nostra speranza, più ardente il nostro desiderio.
Noi dunque preghiamo sempre in questa stessa fede, speranza e carità, con desiderio ininterrotto. Ma in certe ore e in determinate circostanze, ci rivolgiamo a Dio anche con le parole, perché, mediante questi segni, possiamo stimolare noi stessi e insieme renderci conto di quanto abbiamo progredito nelle sante aspirazioni, spronandoci con maggiore ardore a intensificarle. Quanto più vivo, infatti, sarà il desiderio, tanto più ricco sarà l'effetto. E perciò, che altro vogliono dire le parole dell'Apostolo: «Pregate incessantemente» (1 Ts 5, 17) se non questo: Desiderate, senza stancarvi, da colui che solo può concederla quella vita beata, che niente varrebbe se non fosse eterna?
  
MESSALE
Antifona d'Ingresso  Sal 16,6.8
Io t'invoco, mio Dio: dammi risposta,
rivolgi a me l'orecchio e ascolta la mia preghiera.
Custodiscimi, o Signore, come la pupilla degli occhi,
proteggimi all'ombra delle tue ali.
 
Colletta
Dio onnipotente ed eterno, crea in noi un cuore generoso e fedele, perché possiamo sempre servirti con lealtà e purezza di spirito. Per il nostro Signore...
 Oppure: 
Dio della pace e del perdono, tu ci hai dato in Cristo il sommo sacerdote che è entrato nel santuario dei cieli in forza dell'unico sacrificio di espiazione; concedi a tutti noi di trovare grazia davanti a te, perché possiamo condividere fino in fondo il calice della tua volontà e partecipare pienamente alla morte redentrice del tuo Figlio. Egli è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.

LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura 
  Is 53,10-11Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione,
vedrà una discendenza.
 

Dal libro del profeta Isaia
Al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori.
Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione,
vedrà una discendenza, vivrà a lungo,
si compirà per mezzo suo la volontà del Signore.
Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce
e si sazierà della sua conoscenza;
il giusto mio servo giustificherà molti,
egli si addosserà le loro iniquità. 


Salmo Responsoriale
    Dal Salmo 32
Donaci, Signore, il tuo amore:
in te speriamo.

Retta è la parola del Signore
e fedele ogni sua opera.
Egli ama la giustizia e il diritto;
dell'amore del Signore è piena la terra.

Ecco, l'occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.

L'anima nostra attende il Signore:
egli è nostro aiuto e nostro scudo.
Su di noi sia il tuo amore, Signore,
come da te noi speriamo.
 

Seconda Lettura
   Eb 4, 14-16
Accostiamoci con piena fiducia al trono della grazia.

Dalla lettera agli Ebrei
Fratelli, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato.
Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno.
 
Canto al Vangelo
   Cf3 Mc 10,45 
Alleluia, alleluia.
Il Figlio dell'uomo è venuto per servire
e dare la propria vita in riscatto per molti. 

Alleluia.


 Vangelo   Mc 10, 35-45, forma breve 10,42-45Il Figlio dell'uomo è venuto per dare la propria vita in riscatto per molti.
Dal vangelo secondo MarcoIn quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».
Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».
Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi cori Giacomo e Giovanni. Allora 
[Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».] Parola del Signore.


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Riporto da "L'Osservatore Romano" di oggi, 21 ottobre

(Nicola Gori) La santità non fa distinzioni di sesso, cultura, lingua, razza e condizione sociale. È il sacramento del battesimo che apre a tutti i cristiani la via della santità, qualunque sia la nostra condizione. Non ha dubbi, in questo senso, il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. 
E nell’intervista rilasciata al nostro giornale prende come esempio Caterina Tekakwhita, la nativa nordamericana che Benedetto XVI eleverà domenica prossima 21 ottobre agli onori degli altari, insieme con altri sei beati: il gesuita Jacques Berthieu, il giovane catechista Pedro Calungsod, il sacerdote bresciano Giovanni Battista Piamarta, María Carmen Sallés y Narangueras, fondatrice di un istituto religioso dedito all’emancipazione delle donne e della gioventù, Marianna Cope, che spese tutta la sua vita al servizio dei lebbrosi nell’isola di Molokai, la laica Anna Schäffer, che visse la sofferenza come strumento di redenzione per sé e per gli altri. Un gesto significativo che si compie in un periodo particolarmente importante nella vita della Chiesa universale.


Come possiamo interpretare queste canonizzazioni nel pieno svolgimento del Sinodo e a pochi giorni dall’avvenuta apertura dell’Anno della fede?

Nell’Anno della fede, queste canonizzazioni celebrano uomini e donne, grandi e piccoli, che hanno vissuto con eroismo la loro fede battesimale. Il Papa non poteva dare un messaggio più chiaro per l’inizio di quest’anno benedetto. La fede, infatti, va non solamente accolta e motivata, ma soprattutto vissuta e testimoniata, anche con eroismo. La Chiesa chiede oggi ai suoi figli di superare il rispetto umano e di essere espliciti nell’affermare e nel difendere la loro identità cristiana. La nostra cultura, che va così fiera nel difendere i fondamentali diritti della libertà di coscienza e del rispetto delle altrui convinzioni religiose, viene enormemente arricchita dalla coerenza di vita e dalla perfezione della carità dei cristiani.

Due sacerdoti, due suore e tre laici: si può dire che il popolo di Dio è interamente rappresentato. Cosa unisce queste figure ecclesiali così lontane, nel tempo, anche tra di loro?

Il filo conduttore è la loro santità, che è la vocazione di ogni battezzato: «Siate perfetti, come è perfetto il vostro Padre celeste» (Mt 5, 48). Il concilio Vaticano II ha dedicato un ampio capitolo della costituzione dogmatica sulla Chiesa proprio alla «vocazione universale alla santità nella Chiesa», affermando che tutti sono chiamati alla santità, sia coloro che appartengono alla gerarchia, come coloro che dalla gerarchia sono diretti. A tutti è, infatti, rivolta la parola dell’apostolo Paolo: «Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione» (1 Ts 4, 3). Nel nostro caso, noi abbiamo il gesuita francese Jacques Berthieu (1838-1896), missionario in Madagascar. Colpiva profondamente il suo zelo evangelizzatore e la sua fede immensa. Fu ucciso in odium fidei con un colpo alla nuca, mentre cercava di difendere i suoi fedeli dagli attacchi dei ribelli, che vedevano nei missionari coloro che, portando Cristo, avevano fatto perdere il potere alle divinità pagane e ai loro amuleti. Nel gruppo dei sette beati c’è anche un altro martire. Si tratta del giovane catechista filippino Pedro Calungsod (1654-1672), uno dei tanti ragazzi che accompagnavano i missionari gesuiti spagnoli in missione nelle isole dell’Oceano Pacifico, oggi denominate Marianne. Fu martirizzato, insieme al beato Diego Luis de San Vitores, con un colpo di lancia. I loro corpi furono abbandonati, con un grosso masso legato ai piedi, in fondo all’oceano. Il fatto destò enorme impressione tra i cristiani, che ricordavano Pedro come un ragazzo virtuoso, fedele a Cristo ed entusiasta della sua fede. Con il suo martirio, Pedro diede prova di essere un coraggioso soldato del Signore Gesù (cfr. 2 Tm 2, 3).

Molti padri sinodali, nei loro interventi, hanno sottolineato l’esemplarità dei santi per una evangelizzazione più efficace. Crede che la Chiesa debba dare più importanza al valore testimoniale dei suoi fedeli?

Fin dalle origini la Chiesa è stata benedetta dalla testimonianza dei suoi fedeli. I martiri sono appunto i «testimoni» eroici della fede, fino al dono della propria vita. Santi martiri e santi confessori sono tutti testimoni qualificati del Vangelo di Cristo. Essi riflettono il loro Signore, imitandolo con una esistenza di povertà, di purezza di cuore, di misericordia, di carità. I santi, come san Francesco d’Assisi, evangelizzano con la loro esistenza interamente evangelica di completa assimilazione al loro Signore e Maestro. Oggi soprattutto, il popolo di Dio ha bisogno di maestri, ma soprattutto di testimoni santi.

In queste figure di santità, quale aspetto è maggiormente attuale per la Chiesa e per la società?

La loro fedeltà al battesimo. Ciò significa che essi hanno fatto fruttificare i talenti spirituali ricevuti al battesimo e cioè le virtù teologali della fede, speranza e carità. Con l’esercizio della loro carità verso Dio e verso il prossimo essi fanno risplendere la Chiesa, come la casa della misericordia che accoglie i diseredati, che consola gli afflitti, che istruisce gli ignoranti, che cura gli ammalati. Questa loro santità — come dimostra la nostra civiltà dell’amore — aiuta a promuovere un tenore di vita più umano anche nella stessa società terrena. Da questo punto di vista, i santi si rivelano anche dei veri benefattori della città dell’uomo. Il sacerdote bresciano, Giovanni Battista Piamarta (1841-1913), ad esempio, è fondatore della congregazione della Sacra Famiglia di Nazareth e delle Umili Serve del Signore. Sono due istituzioni finalizzate alla formazione cristiana e all’avviamento professionale dei giovani. Questo apostolato è ancora oggi altamente benefico per quei ragazzi che, senza l’acquisizione di un mestiere, si troverebbero abbandonati all’ignoranza e all’indigenza. Anche la suora spagnola, Maria del Monte Carmelo (1848-1911), fondatrice delle suore Concezioniste missionarie dell’insegnamento, si è preoccupata della formazione cristiana e professionale delle ragazze. Come si vede, questi due santi, sull’esempio di Gesù che passava per i villaggi e le città facendo il bene, arricchiscono la società con aspetti concreti della carità cristiana, mediante l’istruzione scolastica, l’avviamento professionale, l’assistenza ai lavoratori, la cura della loro formazione umana e cristiana. In tal modo il Vangelo si incarna nella società, promuovendo un tenore di vita più buona e onesta.

Vi sono due martiri, Pedro Calungsod e Jacques Berthieu, nel gruppo che il Papa canonizza. Perché c’è ancora oggi tanta ostilità nei confronti dei cristiani in molte parti del mondo?

La storia della Chiesa è segnata fin dall’inizio dal martirio dei suoi figli innocenti. Del resto, tra le beatitudini evangeliche, che delineano i comportamenti essenziali dei discepoli di Cristo, c’è anche la persecuzione: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi a causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Mt 5, 11-12). Gesù stesso, l’innocente agnello senza macchia, fu ingiustamente condannato a morte e crocifisso. Ma la morte perdette il suo confronto con Colui che era l’autore della vita, che dopo tre giorni risuscitò, svelando all’umanità il vero traguardo dell’esistenza terrena: la vita eterna. Lo scorso 13 ottobre, due giorni dopo l’inizio dell’anno della fede, sono stati beatificati a Praga 14 frati francescani, uccisi in odium fidei dai nemici della Chiesa di Cristo. Perché le persecuzioni anticristiane? Perché le tenebre hanno paura dei figli della luce e non esitano a sopprimerli. Invano, però, perché il sangue dei martiri è seme fecondo di cristiani. La morte, così come il male, non ha mai l’ultima parola.

Tra i nuovi santi vi è la prima nativa nordamericana a salire agli onori degli altari. Quale significato riveste per questi popoli e per quanti li hanno discriminati?

Diciamo subito che la Chiesa non ha mai discriminato nessuno. Si è sempre interessata — si veda la beata Madre Teresa di Calcutta — dell’assistenza e della protezione degli esseri più deboli ed emarginati. Anzi, è stata spesso l’antesignana di molti diritti umani, che oggi vengono considerati non negoziabili, come la dignità e la libertà di ogni persona umana, la sacralità della vita, la difesa dei più piccoli e dei più poveri. È nota la lettera che Meshkioassang, capo di una tribù indiana del Nord America, il 13 marzo 1885, scrisse al Papa per manifestare tutte le virtù di questa giovane e chiederne il riconoscimento della santità per offrirla alla venerazione dei suoi fratelli indiani. La Chiesa non ha lasciato inascoltata la preghiera del capotribù. Nel concistoro di sabato, 18 febbraio 2012, Benedetto XVI ha risposto alla domanda fatta dalle 27 tribù di cattolici nativi americani, sparse tra gli Stati Uniti del Nord e il Canada, annunciando la canonizzazione della beata Caterina Tekakwitha per il 21 ottobre 2012. La glorificazione di Kateri Tekakwitha (1656-1680), figlia di un capotribù irochese, pagano, e di una algonchina, fervente cristiana, ha suscitato grande gioia ed entusiasmo tra i nativi americani. È un grande onore per questo popolo fiero e coraggioso, che vede in questo atto solenne della Chiesa, loro madre spirituale, il riconoscimento ufficiale dell’eroismo della loro giovane figlia, dal temperamento dolce e caritatevole, che viveva lavorando e pregando nei boschi della sua terra. Dedicandosi completamente all’amore di Gesù, fece il voto di verginità perpetua. Nel febbraio del 1680, stremata dalla malattia, si spense, dicendo: «Gesù, ti amo». Si era ancora una volta verificata la beatitudine evangelica: «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio» (Mt 5, 8). La purezza angelica è il messaggio sconvolgente che la giovane Tekakwitha lascia alla Chiesa e al mondo d’oggi, così lontano dalla semplicità divina di questa ragazza.

Tra i nuovi santi ci sono quattro donne e tre uomini. È forse un segno della maggiore attenzione della Chiesa verso le donne?

In questo caso si tratta della semplice maturazione delle rispettive cause e quindi di coincidenza fortuita. Anche in questo campo, comunque, la Chiesa ha sempre dato grande spazio alle sue figlie. Si veda l’autorità concessa alle badesse dei monasteri e anche alla libertà di movimenti e di decisioni che hanno le superiore generali delle congregazioni religiose. Ma è più importante soffermarsi un attimo sulle figure di queste due sante, entrambe con un grande desiderio di diventare missionarie. La Schäffer, però, non poté realizzare questo suo sogno perché colpita da incidenti e malattie, che la costrinsero per lungo tempo a letto. Accettò la sua infermità come via di santificazione personale e di edificazione del prossimo. Marianne Cope, invece, è conosciuta come Madre Marianna di Molokai. Come san Damiano de Veuster, anch’essa si prodigò con eroismo e abnegazione nell’assistenza ai lebbrosi. Nella Chiesa la santità è sempre accompagnata dalla carità verso i bisognosi. Questa benefica sporgenza sociale fa del Vangelo il libro della vita per l’umanità intera.
L'Osservatore Romano 21 ottobre 2012